Capitolo 7 - La prima battaglia di Theresa

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A Theresa non piaceva proprio la piega che stava prendendo quella faccenda.

Prima i poliziotti morti, poi l'ospedale preso in ostaggio e infine suo fratello costretto a usare la magia davanti a due funzionari pubblici. Per il momento avevano deciso di fare finta di nulla, ma il carattere dell'agente Collins le era sembrato fin troppo mutevole: avrebbe potuto decidere di arrestarli tutti quanti una volta sistemato il problema.

Beh, tutto sommato, poteva dargli torto? Alex non aveva mai studiato tramite i canali ufficiali, non era normale che andasse in giro a usare poteri arcani incontrollabili senza essere stato addestrato da qualcuno di più capace. Insomma, era pericoloso tutto quel potere in mano a un ragazzo che poteva rischiare di perdere il controllo.

Non voleva neanche che Alex finisse in galera per il resto della sua vita, certo che no! Quella era una situazione anomala, chiunque sarebbe sceso a compromessi e avrebbe chiuso un occhio.

Chiunque? Davvero lo pensava? Forse lo sperava con tutto il cuore, ma, sotto sotto, era certa che Jacob non fosse quel tipo di agente del FBI che ignorava un avvenimento illegale. Prima della fine di quella nottata, era sicura che Collins sarebbe tornato alla carica per riprendere il discorso che avevano iniziato quel pomeriggio. E concluderlo a modo suo.

Beh, ci avrebbero pensato quando sarebbe giunto il momento. Per ora dovevano concentrarsi su quello che avevano dinanzi, che poteva rivelarsi complicato quanto dover gestire un agente federale in procinto di compiere il suo sacrosanto dovere.

Eliminare l'ostacolo rappresentato dalla sentinella sul tetto non avrebbe reso semplice la loro infiltrazione silenziosa nel Sentara Albemarle. Dopo aver percorso solo i pochi metri di cortile che li separavano dalla porta, zio Darren si era già bloccato davanti al battente rugginoso e aveva fatto uno strano verso nasale di disappunto.

«Non potevi certo credere che fosse aperta,» bisbigliò Jacob, polemico.

Darren non rispose, ma si chinò a osservare la minuscola serratura opaca che svettava in mezzo al mare di ruggine che ricopriva la superficie circostante.

«È vecchia e malconcia, non credo che sia mai stata cambiata da prima della guerra,» commentò, toccandola con la punta dell'indice.

Theresa si appoggiò al muro con la spalla e si limitò a guardare lo zio che infilava una mano nella sua borsa magica e iniziava a cercare qualcosa. Chissà quanti attrezzi curiosi e oggetti incantati nascondeva lì dentro? La novizia sapeva soltanto che Darren sembrava avere la soluzione per ogni possibile intoppo. Non le piaceva vederlo usare troppo spesso oggetti illegali, ma era comunque parte del suo lavoro e... e non credeva che sarebbe riuscito a sopravvivere a quel mestiere senza un aiuto arcano, per quanto non regolamentare per legge. Non le piaceva proprio vederlo infrangere le regole, ma le piaceva ancor meno l'idea di vederlo morto durante un incarico.

Il mezzelfo estrasse un astuccio argentato rigido, molto simile a un grosso portasigari; all'interno, però, non c'erano quelle maleodoranti sigarette troppo cresciute, ma una variegata serie di strumenti metalli appuntiti. Theresa lo aveva già visto adoperare quei grimaldelli: lo zio era un mago con quegli aggeggi ed era capace di aprire qualsiasi serratura, che fosse precedente alla guerra o successiva.

«Sei sicuro di essere soltanto un cacciatore di taglie?» chiese Jacob, dubbioso.

Darren sbuffò e iniziò ad armeggiare intorno alla serratura con un paio dei suoi sottili strumenti.

«Anche per questo motivo voi avete bisogno di quelli come noi,» disse il mezzelfo. «Le forze dell'ordine si fermano davanti a una porta chiusa, i cacciatori di taglie sanno cos'è giusto fare per risolvere un problema.»

«Noi siamo obbligati a rispettare le regole,» mugugnò l'agente Davies, slacciandosi il bottone superiore della divisa.

«Lo so, certo,» rispose Darren. «Non è colpa vostra, voi fate ciò che vi viene detto. Però poi le stesse persone che pongono paletti a voi vengono da me a chiedere soluzioni per qualsiasi intoppo.»

Uno lieve scatto annunciò che, per l'ennesima volta, lo zio aveva fatto ciò gli era stato chiesto.

«Ma non mi lamento del sistema: mi permette di vivere!» Il mezzelfo ridacchiò, sommesso, e abbassò la grossa maniglia di plastica scura.

La porta si mosse con un pesante frastuono cigolante e lo zio si fermò immediatamente, sibilando una colorita imprecazione.

«Zio!» lo redarguì Theresa, tirandogli un lieve scappellotto sulla spalla. «Ti sembra il caso?»

Lui la ignorò, ma la novizia avrebbe scommesso che stesse sorridendo, sornione, nascosto sotto il cappuccio e mascherato dall'oscurità.

Smuovendo di pochi millimetri alla volta il portone per evitare altri cigolii pericolosi, l'agente Collins aprì un passaggio appena sufficiente per permettere a tutti loro di passare. Alex dovette spiaccicarsi contro il battente ricoperto di ruggine e un lembo del mantello impermeabile gli si impigliò nell'angolo della porta.

L'ingresso posteriore si apriva su un lungo corridoio, l'unica luce proveniva da una lampada appesa a un supporto a parete a qualche metro di distanza. La modesta fonte d'illuminazione non era abbastanza per rischiarare l'interno e la fioca luce era appena sufficiente a rendere visibili i contorni del pavimento e delle pareti. Il silenzio era così fuori luogo che Theresa si sentì un nodo allo stomaco: aveva visitato cimiteri più rumorosi.

Darren alzò la mano e fece un eloquente cenno, indicando a tutti quanti di rimanere immobili. Silenzioso come un felino durante la caccia, il mezzelfo s'incamminò lungo il passaggio fino a raggiungere la lampada; rimase fermo qualche secondo a studiare un punto indistinto davanti a lui, poi ritornò sui suoi passi e si affiancò ad Alex e Theresa.

«Il corridoio prosegue dritto per qualche metro,» bisbigliò lo zio, indicando l'aria alle sue spalle. «Ma dietro l'angolo c'è qualcuno. Credo un paio di persone.»

«Andiamo a prenderle!» fece Theresa, appoggiando la mano sull'elsa della spada.

Quel silenzio non le piaceva per nulla e si figurava già medici e pazienti in fin di vita tenuti come ostaggi da degli ignoti malfattori. Non c'era più tempo da perdere.

«Andiamo avanti io e Alex,» rispose Darren. «Se ci sono problemi, li mettiamo a dormire.»

«Ah, due?» balbettò suo fratello. «Io credo che—»

«Zio, non fargli usare la magia di nuovo!» protestò Theresa, alzando il tono di voce per poi coprirsi le labbra con la mano all'occhiata allarmata dei suoi compagni.

«Ormai avete già infranto una buona dose di leggi federali,» disse Collins, scuotendo le spalle «Incantesimo più o incantesimo meno, la differenza è ben poca.»

Theresa intrecciò le mani e si attorcigliò le dita, dubbiosa. Alex era il modo più veloce per superare eventuali ostacoli o sentinelle, ma non voleva continuare a sfruttare capacità che suo fratello avrebbe fatto bene a dimenticare. Non facevano altro che metterlo in pericolo, sempre di più. Però, d'altra parte, Erika era lì da qualche parte e poteva aver bisogno di loro.

Senza neanche darle modo di ribattere, Darren aveva preso Alex per il braccio e lo aveva spinto con sé lungo il corridoio. La bionda trattenne un gemito soffocato mentre il cuore le saltava nel petto, ma riuscì a dominare l'impulso di correre in avanti per afferrare il fratello per la collottola e tenerlo fermo accanto a lei. Gli stava sgusciando via dalle dita, lui e quel maledettissimo serpente invisibile che gli sibilava cose strane nelle orecchie! Non avrebbe mai dovuto permettergli di accompagnarla nel suo viaggio, l'aveva soltanto messo in pericolo, più di quanto già non lo fosse per il solo fatto di essere nato con un... un problema! Sì, nulla più di un problema! Come si poteva definire la magia se non così?

Jacob aveva fatto un solo passo e le si era affiancato, anche lui limitandosi a osservare zio e nipote che raggiungevano l'estremità del corridoio e si sporgevano oltre l'angolo. Le loro sagome erano appena visibili oltre l'alone di fioca luce calda emessa dalla lampada.

«So che cosa temi,» le sussurrò l'agente federale. «Sei una brava ragazza, Theresa. Non farti trascinare in un mondo che non ti appartiene.»

Lei corrugò la fronte e rilassò le mani, prima contratte dal nervosismo.

Anche Darren e Alex erano bravi ragazzi. Nessuno avrebbe dovuto arrogarsi il diritto di giudicarli.

«Sono la mia unica famiglia, agente Collins,» rispose, serrando la mascella. «Che Deladan mi perdoni, ma ripudierei qualsiasi credo e convinzione pur di proteggerli. Non permetterò a nessuno di far loro del male.» Si voltò a guardarlo e, per un breve istante, intravide nel retro dei suoi occhi scuri un brivido di paura. «A nessuno.»

Lui si allontanò con il busto, come se fosse capace di percepire la rabbia di Theresa sferzargli il volto. Però arricciò il labbro in un sorriso e sembrò rilassare le spalle.

«Non siete voi i criminali che quelli come noi dovrebbero inseguire,» disse.

Theresa fece per ribattere, ma la voce di Darren echeggiò tra le pareti del corridoio.

«Venite, è tutto a posto.»

Il primo ad avanzare fu l'agente Davies, con la piccola balestra stretta in pugno. Jacob e Theresa lo seguirono, ma non prima di essersi rivolti un ultimo sguardo eloquente.

Quando arrivarono al punto in cui il corridoio si diramava, si trovarono in un modesto spazio vuoto su cui sfociava una rampa di scale che portava verso l'alto. Nella parete accanto, si apriva un ingresso metallico a doppio battente, con la superficie opaca e consunta, segno che nessuno sembrava varcare quella soglia da moltissimo tempo. Il corridoio proseguiva dritto, ma si diramava anche verso destra: la nuova porzione dell'ospedale era sempre fiocamente illuminata da alcune deboli lampade attaccata alle pareti a intervalli regolari.

Due uomini sconosciuti erano stesi a terra, davanti ai primi scalini; una spartana lanterna era appoggiata a terra e Alex era chino sul corpo esanime di uno dei due, con gli occhi chiusi e le punte delle dita attaccate alle tempie dell'uomo.

«Chi sono?» chiese Davies, avvicinandosi all'imboccatura del corridoio di destra senza mai staccare gli occhi dai due.

Erano vestiti con pantaloni scuri, stivali anfibi e un corpetto rigido a proteggerne il busto. Uno di loro portava dei supporti alla cintura dalla quale pendeva due grossi coltelli, mentre il secondo esibiva sulla schiena un'imbracatura sulla quale era sistemata una spada lunga senza fodero; la lama era poco curata e si potevano notare delle porzioni ossidate lungo il piatto dell'arma.

«Lo sapremo presto,» disse Darren.

Stava seduto sul secondo gradino e osservava Alex con un sorriso compiaciuto disegnato sul viso. Theresa sapeva bene che cosa suo zio stesse pensando, ma no! Non avrebbe mai permesso che suo fratello prendesse quella strada. Quello di zio Darren era un mondo troppo crudele, spietato e pericoloso, e Alex... Alex non era così. Alex voleva fare il bibliotecario, leggere romanzi e perdersi in un tranquillo mare di carta stampata. La cosa più eccitante che aveva fatto nella sua vita era stata la collaborazione con i maghi che gestivano il giornale ufficiale di Filadelfia, lui non era fatto per quella vita avventurosa e letale.

«Cosa sta... no!» Jacob alzò le mani, come esasperato. «Non farò più alcun genere di domanda. Meno cose saprò, meglio sarà.»

«Molto bene,» commentò Darren, con un finto sorriso di cortesia.

In quel momento, Alex riaprì gli occhi e si allontanò dall'uomo che stava toccando. Sbuffò e si massaggiò la radice del naso; sembrava quasi intorpidito, forse addirittura assonnato.

«Questi due appartengono a una banda di ladri,» disse Alex, scandendo le parole come se avesse difficoltà a mettere insieme i pensieri. «Il loro capo è un tizio che si chiama Allan... no, Edgar Allan. Edgar di nome, Allan di cognome. Nell'ospedale ci sono una decina di loro, tra cui il capo e il suo braccio destro che... stanno all'ultimo piano, credo, non ho capito bene.»

L'agente Davies strabuzzò gli occhi e fissò il criminale a terra.

«Come cazzo fai a saperlo?» chiese.

«Avevamo detto niente più domande!» lo redarguì Darren, alzando l'indice.

«No, lo aveva detto lui,» rispose il poliziotto, indicando Jacob.

«Gli ho guardato i sogni,» spiegò Alex.

Theresa mugolò e si portò la mano alla fronte.

Jacob e l'agente Davies si guardarono con gli occhi dilatati dallo stupore, ma non espressero nessuno dei mille pensieri che dovevano affollarsi nelle loro povere menti.

«Hanno portato tutti i pazienti nelle stanze del piano superiore e hanno chiuso i medici e gli infermieri con loro,» continuò suo fratello. La voce stava iniziando ad acquisire colore e tono, come se il ragazzo si stesse pian piano svegliando. «Ci sono quattro guardie al piano di sopra che pattugliano le corsie, un cecchino sul tetto davanti all'ingresso principale e uno sul retro.» Indicò i due avanzi di galera stesi sgraziati sul pavimento. «Questi due dovevano pattugliare gli ingressi, ma si erano messi a rovistare negli uffici alla ricerca di soldi e roba da rivendere. Hanno trovato una cassaforte, ma non sono riusciti ad aprirla e—»

«D'accordo, basta così,» lo interruppe Darren, con una risatina. «Se ci racconti ancora qualcosa sapremo anche dove abitano le loro zie.»

Jacob si passò le dita tra i capelli e sbuffò.

«Ok, quindi dobbiamo eliminarne quattro e liberare i prigionieri,» disse, annuendo. «Non sarà una passeggiata, questi sono tagliagole professionisti.»

Si voltò verso Theresa e le indicò la spada che sporgeva dalla schiena del criminale.

«È una situazione di estremo bisogno, ti conferisco il permesso eccezionale di adoperare quell'arma.»

«Lo rifiuto!» disse Theresa, incrociando le braccia sotto il seno.

Jacob arricciò il labbro e Darren schioccò la lingua. Lo faceva sempre quando era infastidito da qualcosa.

«La legge non è qualcosa che si possa aggirare a proprio piacere,» disse, scuotendo appena la folta chioma.

«Io sono un funzionario della legge,» scandì Jacob, protendendosi in avanti e indicandosi con entrambi i pollici. «Io dico che puoi farlo.»

«E io mi rifiuto,» replicò lei, distogliendo il volto per mettersi a fissare con insistenza una porzione del muro grigiastro. «Ho promesso che impugnerò un'arma vera soltanto quando avrò il titolo di paladino e mi sarà permesso l'uso delle armi bianche. Prima di allora mi accontenterò della mia spada.»

«Thera...» disse Darren, abbassandosi il cappuccio e scuotendo il capo. «Sii ragionevole, per favore.»

«Siatelo voi,» ribatté lei, piccata. «Ci sono persone che hanno dei valori e ci tengono a rispettarli. Una promessa è una promessa. Chi mai potrà prendere sul serio una combattente di Deladan che non è capace di rispettare uno dei suoi voti?»

Nessuno replicò. Certo che no, era la cosa più ovvia del mondo! Il loro mondo era allo sbaraglio anche perché nessuno si preoccupava di rispettare i giuramenti che faceva. Negli ultimi anni, però, le cose sembravano diverse, grazie alla nuova presidentessa, che era una donna come piaceva a Theresa: aveva una ferrea ideologia politica, dei valori incontestabili e non aveva mai fatto dietrofront dinanzi a un impegno. Quante donne avrebbero dovuto prendere come esempio la presidentessa Lawson!

L'agente Davies ridacchiò e scosse le spalle, come incredulo dinanzi a quella scena.

«Faccio un giro su questo piano, voglio controllare che non ci siano sorprese,» disse, prima di allontanarsi lungo il corridoio e scomparire oltre una porta aperta.

Jacob sbuffò e puntò l'indice contro Theresa.

«Ne riparliamo, ma sappi che non porterò una ragazzina a combattere dei ladri armata solo con una spada smussata!» disse.

«Ha ricevuto un addestramento marziale,» rispose Darren, grattandosi la fronte. «Ti assicuro che può essere pericolosa anche con quella.»

«Non ammazzerà nessuno con quel giocattolo,» replicò il federale.

«E non voglio farlo, infatti!» esalò Theresa, spalancando gli occhi. «Mi avete presa per un'assassina?»

«Lasciatela stare,» intervenne Alex, aggrottando la fronte. «Non la vorrete mica costringere a violare la legge; vero, agente Collins?»

Il federale assottigliò gli occhi e aprì la bocca per replicare, ma venne interrotto dalla voce concitata del poliziotto di Elizabeth City che aveva fatto capolino da un angolo.

«Questo lo dovete vedere,» disse. Aveva il fiatone e le pupille dilatate, come se avesse visto un gigantesco demone in carne e ossa.

Il suo tono era abbastanza convincente e nessuno ebbe voglia di replicare. Seguirono il poliziotto lungo un paio di corridoi, tutti debolmente illuminati, che li condussero all'area accoglienza dell'ospedale. Accanto all'ingresso della cappella dedicata al dio della vita, l'agente Davies indicò la porta aperta sotto un cartello che indicava l'accesso ai bagni pubblici.

«Guardate cosa cazzo c'è lì dentro,» disse, con un cenno del capo verso il bagno degli uomini.

Jacob fu il primo a entrare, seguito subito dopo da Darren e dal curioso Alex. Theresa si limitò a infilare la testa oltre la porta per scrutare il piccolo ambiente quadrato su cui si aprivano alcuni divisori in legno per contornare i singoli servizi igienici. Dall'altro lato della stanza c'erano due lavandini bianchi e la parete era coperta da uno specchio; non c'era luce all'interno, se non la lampada che Alex aveva preso dal luogo dove aveva addormentato i due ladri.

Theresa, però, rabbrividì quando vide il cadavere buttato in malo modo contro il muro. Darren, invece, fece schioccare la lingua; più e più volte.

«Porca puttana!» sibilò l'agente Collins, chinandosi sul corpo e girandolo sulla schiena.

Era un umano maschio e doveva avere intorno ai quarant'anni; vestiva un elegante completo scuro e la camicia candida era imbrattata di sangue sul petto, in concomitanza di un ampio squarcio aperto da qualcosa che Theresa non era in grado di identificare. Il volto era paralizzato per l'eternità in un'espressione di stupore e i lattiginosi occhi spalancati fissavano il soffitto. Accanto a lui, abbandonata a terra, c'era una pistola nera. Identica a quella chiusa nella fondina di Jacob.

Il federale infilò la mano all'interno della giacca del cadavere e cercò nelle tasche interne qualche secondo, bloccandosi soltanto dopo aver trovare quello che cercava. Con una nuova imprecazione, estrasse un tesserino identificativo del Federal Bureau of Investigation.

«Oh, cielo...» fece Theresa, portandosi le mani alla bocca, inorridita. «Che possa trovare la pace nelle braccia di Ilimroth.»

«Che cosa ci faceva un agente del Bureau qui?» chiese Darren a mezza voce. «Jacob, ne sapevi qualcosa?»

«No, io... io non...» Sembrava come in confusione. Stringeva il tesserino del suo collega defunto e il respiro gli si era fatto rado e irregolare. «Io non sono in servizio e... e no, non sapevo di alcuna operazione qui in questi giorni.»

«Questa storia mi piace sempre meno,» mugugnò il cacciatore di taglie.

Jacob lasciò cadere il tesserino sul petto immobile del cadavere e si voltò. Un luccichio sinistro gli illuminava la mascella serrata in un'espressione di rabbia repressa; Theresa si affrettò ad allontanarsi dalla porta per lasciar libero il passaggio al federale furente.

«Muoviamoci,» disse, estraendo dal fodero la sua arma e impugnandola con la destra. «Abbiamo perso abbastanza tempo.»

«Dovremmo buttare giù un piano d'azione, non possiamo semplicemente salire le scale e—» disse Darren, ma il fiato gli morì in gola quando vide l'agente Collins fare un cenno al suo collega poliziotto e imboccare una rampa di scale poco distante, sull'altro lato della lobby d'ingresso dell'ospedale.

«Così si farà ammazzare,» sibilò Alex, turbato.

Darren si lanciò in una silenziosa corsa per raggiungere i due agenti e Theresa lo seguì, estraendo al contempo la sua fidata spada.

«Jacob, fermati!» disse il mezzelfo, ma i due uomini avevano già raggiunto un pianerottolo e stavano continuando a salire.

Una luce più intensa proveniva dal piano superiore, chiaro segno che ad attenderli avrebbero trovato molta più resistenza.

Theresa strinse l'elsa dell'arma e il cuore iniziò a batterle più forte ogni scalino che saliva. Sapeva usare quell'arma alla perfezione, tanto che aveva iniziato a considerare quella lama smussata come un prolungamento del suo braccio; però non l'aveva mai adoperata contro qualcuno che non fosse la sua maestra o un suo compagno d'allenamento, e l'idea che a pochi centimetri sopra di lei ci fossero degli esseri viventi che l'avrebbero combattuta con il preciso scopo di ucciderla era agghiacciante. Avrebbe mosso la spada per fare del male al prossimo; davvero avrebbe potuto farlo? Era quello lo scopo del suo addestramento?

Alex camminava dietro di lei e il respiro affannoso del fratello superava in intensità il rimbombo del suo cuore che le riempiva i timpani. La luce calda la avvolse qualche gradino prima della fine della scalinata e la accolse quando fece il suo ingresso in un largo corridoio dalle pareti pitturate di vernice color crema.

Varie porte si intervallavano sui muri sprovvisti di finestre e sulla loro immediata destra si apriva una larga nicchia che ospitava delle sedie e un basso tavolino, senza dubbio una modesta area d'attesa per i visitatori dei ricoverati. Sulla parete esterna si apriva una finestra e un uomo dava loro le spalle, appoggiato con i gomiti al davanzale, intento a scrutare all'esterno. Il suo abbigliamento e la grossa balestra consunta appoggiata al muro accanto a lui lasciava ben intendere che non fosse uno dei pazienti impegnato in una passeggiata notturna. Doveva essere mezzo addormentato perché non si accorse del loro arrivo dalla tromba delle scale; gli agenti e Darren erano stati molto silenziosi, ma il respiro affannoso di Alex era davvero difficile da non sentire, soprattutto nel silenzio della notte.

Jacob fece un cenno rapido e a Darren e il cacciatore di taglie afferrò al volo il comando silenzioso. Il federale e l'agente Davies si mossero verso i due lati del corridoio, sempre con le loro armi imbracciate, mentre Darren, silenzioso come un'ombra, percorse in un battito di ciglia la distanza che lo separava dalla distratta sentinella.

Con un gesto rapido e deciso, Darren circondò la nuca dell'uomo con il braccio sinistro e gli colpì la tempia con una potente e veloce gomitata portata con il destro. Theresa trattenne un singulto nel vedere il malcapitato afflosciarsi a terra con un sommesso rantolo.

«Oh, dei... zio, è...» fece, con le labbra tremanti.

«Mi conosci, Thera,» rispose Darren, abbandonando la vittima a terra e facendo segno ai nipoti di seguirlo lungo il corridoio. «Non ammazzo a sangue freddo.»

Già, ovvio. Era stata stupida a pensarlo anche solo per un istante. Theresa non escludeva che lo zio avesse ucciso nel corso della sua vita, ma non ne aveva mai parlato davanti a lei o ad Alex. Anche in quel momento, nel bel mezzo del pericolo, stava tenendo fede all'educazione che aveva promesso di dar loro quando li aveva salvati.

Zio e nipoti fecero appena due passi nel corridoio, quando un fragore improvviso rimbombò tra le pareti della corsia. Theresa non aveva mai sentito una pistola sparare, ma non le fu difficile ricondurre quel suono all'arma dell'agente Collins.

«Idiota!» sbottò Darren, lanciandosi in avanti lungo il corridoio per raggiungere l'angolo in fondo.

«FBI, non muovetevi!»

La voce di Jacob fece eco al rumore dello sparo che si affievoliva. Delle urla concitate gli risposero e, ben prima che Darren, Theresa e Alex potessero raggiungere il culmine del corridoio, un altro colpo di pistola esplose nella baraonda che si era andata a creare.

La corsia che avevano percorso sfociò in un'ampia stanza, illuminata principalmente da una larga lampada a pavimento piazzata nel centro. Tutto intorno correvano dei banchi di legno laccato di bianco e nelle pareti si aprivano un altro paio di corridoi, diretti in altre aree dell'ospedale. Doveva essere la postazione dei medici e degli infermieri del reparto, ma del personale medico non c'era traccia. In compenso, lo staff era stato sostituito da una manciata di uomini armati che si erano abbarbicati dietro ai tavoloni per proteggersi dal fuoco che l'agente federale aveva scatenato su di loro.

Jacob si era nascosto dietro una delle quattro colonne portanti che si succedevano lungo l'interezza della sala; con le spalle ben adese alla superficie, teneva la pistola con due mani, alzata davanti al viso. Una perfetta macchina di morte, pronta ad agire.

Mentre osservava la scena con gli occhi sbarrati, Theresa si accorse che la lama che stringeva stava tremando. Che vergogna... un paladino di Deladan che vacillava di fronte alle avversità. Aveva ancora tantissima strada da fare.

«Theresa, indietro!» urlò Alex, alle sue spalle.

Le cinse il fianco e la tirò dietro l'angolo del corridoio, proprio mentre una donna dalla pelle verdognola si sporgeva dalla sommità del bancone centrale e le scaricava addosso il dardo di una balestra. Il proiettile impattò contro la parete, ma avrebbe trovato il petto soffice della novizia se non fosse stato per l'intervento del fratello.

Darren si esibì in una veloce capriola, estraendo allo stesso tempo un piccolo coltello da una tasca del mantello per scagliarlo nell'aria. La sottile lama sibilò un istante e si conficcò nella gola della donna che aveva tentato di colpire Theresa, che cadde dietro alla copertura del bancone dopo aver emesso un ultimo suono gorgogliante.

Il mezzelfo si accucciò davanti ai piedi dell'agente federale per un solo momento, prima di eseguire una seconda capriola leggiadra, schivare un dardo mortale scagliato da un secondo criminale e terminare il movimento al sicuro dietro un'altra colonna.

Uno spettacolo meraviglioso, se non fosse stato per la donna che aveva perso la vita nel tempo di un respiro. Theresa poteva giurare di aver intravisto un'espressione di ammirazione persino sul volto dell'agente Collins, mentre seguiva i rapidi movimenti del cacciatore di taglie.

Da un corridoio dal lato opposto della sala fece capolino la sagoma dell'agente Davies; reggeva con entrambe le mani la balestra e la puntava contro il riparo dei loro avversari. Theresa lo vide stringere i denti e correre fuori dal suo riparo per avvicinarsi al bancone, in un tentativo rapido di prendere di sorpresa i fuorilegge rimasti. Jacob si sporse ed esplose un terzo colpo di pistola, inutile dato che i suoi bersagli si stavano ben guardando dallo sporgere la testa dalla barriera improvvisata; il fragore del colpo fu comunque efficace per coprire il rumore dei passi affannati del poliziotto che riuscì ad arrivare accanto ai banconi della postazione senza farsi notare.

Il meccanismo della balestra scattò con un suono sordo e uno strillo strozzato lo seguì. Theresa trattenne il fiato e la mano corse al fianco per serrarsi su quella di Alex che ancora la teneva stretta, come se avesse paura che si potesse gettare a capo chino nella mischia. Da una parte le sarebbe piaciuto dimostrare che anche lei sapeva combattere, ma il suo corpo era come impietrito davanti al frastuono della lotta che si stava consumando davanti a lei.

Con un urlo feroce e disperato, l'ultimo fuorilegge emerse dalla sua copertura e saltò oltre il banco, atterrando con tutto il suo peso sull'agente Davies, intento a ricaricare la balestra con mano tremante. I due rotolarono a terra con un tonfo e Jacob urlò un'imprecazione mentre si staccava dalla colonna e si lanciava a grandi falcate verso il suo collega.

Theresa si ritrasse oltre il bordo del corridoio e chiuse gli occhi; il cuore le si era mosso dal petto e le stava strisciando su per la gola, portandosi dietro un'orrenda sensazione di nausea. Ci fu un grido di dolore, poi un altro sparo, poi il silenzio, inframezzato da una serie di pesanti respiri.

Qualcuno le toccò la spalla e la paladina sobbalzò, alzando d'istinto la spada; quando aprì le palpebre solo per un esitante spiraglio, però, si trovò davanti il viso preoccupato dello zio Darren.

«È finita,» le disse il cacciatore di taglie.

«Scusami, zio,» rispose lei, abbassando la spada e lo sguardo. «Non... non sono riuscita a fare nulla.»

Alex si staccò dal suo fianco, ma non disse nulla.

Darren, invece, allungò il labbro in quel sorriso sincero che sembrava dedicare soltanto a lei.

«Mi sarei preoccupato del contrario, Thera,» mormorò, battendole un buffetto sulla spalla.

Poi fece l'occhiolino ad Alex e si voltò per avvicinarsi a Jacob e all'agente Davies, chinati a qualche metro di distanza per perquisire il corpo dell'ultimo criminale che avevano giustiziato.

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