1. Cavalcare la tempesta

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Londra – East End – Brixton 

9 Luglio 1971


Era accaduto, nonostante lui avesse fatto di tutto per impedirlo.

Rhys afferrò con mano tremante il bicchiere d'acqua che l'agente di polizia gli aveva allungato, mentre si stringeva addosso un giubbotto di pelle che in quel mese non avrebbe mai indossato.

Seduto sul marciapiede davanti all'ingresso della propria abitazione – quella che da quel giorno non sarebbe mai più stata casa sua – cercò di bere.

La gola, però, gli si era seccata. Era come se non avesse più la capacità di deglutire, dopo le urla e i pianti che lo avevano devastato da quando era rientrato al termine di una giornata e una sera di lavoro.

Gli era bastato guardare le auto con i lampeggianti, l'autoambulanza e tutto il vicinato di quella strada di case semi-popolari – basse abitazioni di massimo tre piani tutte uguali e dai colori smorti come buona parte di quella zona – raggruppati attorno all'ingresso del suo edificio.

Era stato in quel momento che aveva capito che no, non ce l'aveva fatta. Non era riuscito a salvare sua madre da quella merda di padre che si ritrovava. Lo stesso che lo aveva preso a botte da quando aveva memoria. L'uomo che aveva picchiato la moglie per qualsiasi motivo, soprattutto quando rientrava a casa e non trovava denaro da sperperare scommettendo su ogni cosa.

Rhys sapeva che prima o poi sarebbe accaduto. Era un miracolo che lui fosse ancora vivo. Gracile e magrolino com'era non aveva mai avuto la capacità di difendere se stesso e la madre.

Mamma, mi dispiace. Ho provato così tante volte a portarti via da lui.

Ed era vero.

Rhys per un soffio aveva portato a termine la scuola e solo grazie all'insistenza della madre, che spesso e volentieri lo aveva buttato fuori casa prendendosi le botte al posto suo. Aveva anche trovato ben due lavori – commesso in un negozietto della sfavillante zona di Piccadilly Circus e barista in un piccolo pub nelle vicinanze – per cercare di racimolare più soldi possibile.

Peccato che ogni sterlina guadagnata fosse finita tra le grinfie di suo padre e, una volta pagato affitto, bollette e lo stretto necessario, a Rhys non era mai avanzato niente. Avrebbe tanto voluto trovare un posto sicuro per lui e la mamma, lontano da quella strada, da quel palazzo e da quel maledetto uomo.

Cosa aveva ottenuto, invece? Soltanto guardarla mentre la portavano via in barella rinchiusa in un sacco nero, e assistere senza forze alla follia di suo padre ammanettato in una volante che sbraitava ancora oscenità.

Che tu possa marcire in galera per il resto dei tuoi giorni nel peggior modo possibile!

Rhys appoggiò il bicchiere d'acqua ancora pieno sul marciapiede e si alzò a fatica su gambe traballanti. Per quanto fosse quasi mezzanotte, faceva ancora abbastanza caldo. Quel giubbotto di pelle che indossava, però, era di sua madre. L'unico indumento che era riuscito a farsi dare dagli agenti e l'unica cosa che gli interessasse avere.

«Ragazzo, hai dove andare? Non c'è alcun bisogno che tu venga adesso in Centrale. Non eri nemmeno presente e ci sono molti testimoni dell'accaduto.»

A quelle parole, Rhys puntò lo sguardo sull'agente che poco prima gli aveva dato da bere. Se gli avesse detto che non aveva né parenti né amici a cui rivolgersi lo avrebbero convinto ad andare con loro?

Non che fosse realmente obbligato. Per quanto avesse l'aspetto di un ragazzino ancora minorenne, con i capelli lunghi, scuri e scarmigliati e un visino smunto da cucciolo, Rhys aveva compiuto da poco i venti anni.

La verità era che non ne voleva sapere più nulla.

Niente da dichiarare: mia madre è morta, mio padre per me non esiste più.

«Sì, certo. Ho una zia che abita non distante da qui,» mentì, sperando di essere abbastanza credibile e con una punta di senso di colpa verso un uomo che stava solo cercando di essere gentile con lui.

«Okay, perfetto. Lasciami il nominativo, un numero di telefono e indirizzo, e poi vai da lei.»

L'agente prese un taccuino da una tasca e Rhys si inventò su due piedi nomi, numero e riferì la prima strada che gli venne in mente. Diede le spalle e a passo svelto si allontanò con l'intenzione di non tornare mai più per il resto dei suoi giorni in quella via di povertà e ricordi dolorosi.

Quando era entrato nel pub? Un'ora prima, due, tre?

Non lo ricordava e con tutta la buona volontà non sarebbe stato in grado in quel momento di fare una banale operazione matematica guardando l'orologio appeso al muro dietro il bancone.

Cristo! Ma quanti ce ne sono di orologi? E perché girano in tondo come una girandola?

Rhys si alzò dalla sedia, rovesciando il boccale di birra che rotolò vuoto sul tavolo – il decimo, l'undicesimo o il millesimo non avrebbe saputo dirlo – e si rese conto di come tutto il pub, le persone presenti, gli "amici" con cui stava bevendo assomigliassero a strani esseri con orecchie a punta e musi da maiale.

«Jack, ma che cazzo mi hai dato?»

«Chi sarebbe Jack?»

Rhys socchiuse gli occhi. Come si chiamava quel ragazzo? Diamine, li aveva conosciuti quella stessa sera. Si era seduto con loro per brindare alla buonanima di Jim Morrison.

Un'altra notizia di merda di una giornata di merda di un periodo di merda!

«Tu,» indicò il ragazzo che gli aveva dato quella pillola per "rilassarsi", così gli aveva detto. «Non avevi detto che era roba leggera?»

L'altro – Jack? John? George? – si ficcò una mano nella tasca dei pantaloni, prese qualcosa e la guardò sotto al tavolo per non farsi vedere dal resto della clientela. «Cazzo, amico. Mi sa che ho sbagliato e ti ho dato quella forte.» Scoppiò a ridere, chinando il capo sul ripiano prima di tornare a scrutarlo. «Beh, dai. Ti farai un bel trip come il nostro Jim!»

«Coglione che non sei altro!»

Rhys avrebbe voluto dargli un pugno, ma anche in condizioni normali avrebbe ottenuto al massimo di fargli il solletico. Non era abituato a nessuna droga o allucinogeno, nel peggiore dei casi ogni tanto si sbronzava fino a svenire.

Quando la nausea iniziò a risalirgli lungo la gola, abbandonò quel gruppo di idioti a cui si era unito – stupido anche lui per averlo fatto – e nel caos che gli invadeva la mente riuscì a individuare per miracolo la porta della toilette.

Barcollando vi si fiondò, nella speranza di non vomitare tutto quello che si era calato tra la folla di gente che c'era nel locale. Spintonò un paio di ragazzi, una ragazza e anche un omone di colore che doveva avere il doppio dell'età di quasi tutti i presenti.

Magari anche lui era un fan di The Doors e si è infilato in questo posto per bere alla sua memoria.

Aprì la porta dei bagni per uomini e non ebbe il tempo di entrare in uno dei due loculi puzzolenti che le gambe lo mollarono del tutto.

Un'improvvisa stanchezza lo fece crollare sul pavimento lercio, e Rhys si ritrovò in un attimo a fissare il neon giallino sul soffitto. Percepiva appena il cuore, rigurgiti gli risalirono lungo l'esofago e il corpo prese a contrarsi e a tremare in modo incontrollabile.

Mamma, sto per morire anche io?

Riders on the storm.

Riders on the storm.

Into this house, we're born.

Into this world, we're thrown.

Like a dog without a bone.

An actor out on loan.

Riders on the storm.

Mamma, sto per morire anche io, gettato come un cane in mezzo a una strada?

Gli venne quasi da ridere per l'assonanza. Anziché "cavalcare la tempesta", sarebbe crepato sul pavimento di un cesso pubblico in preda alle convulsioni.

Fu l'ultimo pensiero, prima di chiudere gli occhi e finire in un limbo in cui ogni cosa attorno a lui gli sembrava lontana e ovattata.

Ebbe l'impressione, in quello strano sogno che stava vivendo, che qualcuno lo stesse scuotendo, gli stesse parlando. Gli stava facendo una domanda?

«Ragazzo, vuoi vivere e avere una seconda possibilità?»

Era la mamma?

No, aveva la voce cavernosa di un uomo. Magari era il Diavolo in persona venuto a portarlo via.

Cosa doveva rispondere? Lei cosa avrebbe desiderato? Lui stesso cosa avrebbe voluto?

Ci sono così tante cose che non ho ancora fatto. Non so neanche cosa significa amare ed essere amati.

«Sì... sì, voglio ancora vivere.»

Non fu nemmeno certo d'averle dette quelle parole o solo pensate.

Rhys sprofondò nel buio più assoluto e tutto il dolore del mondo sembrò finalmente sparire.

Londra – Paddington Gennaio 2017


«Mi senti? Se mi senti, prendi quella penna e portamela!»

Rhys assottigliò lo sguardo, scrutando il falco appollaiato su un trampolo al quale stava cercando di ordinare qualcosa da tutta la mattina.

Da quando era stato trasformato in vampiro dal nuovo "padre" – Connor Glanville, l'unico che realmente potesse definire tale – erano trascorsi più di quarantacinque anni e lui avrebbe dovuto oramai essere in grado di comandare animali di ogni specie.

Nella realtà, riusciva a farsi obbedire solo da gatti, cani – cagnolini più che altro – e qualche passerotto. Per il resto, non soltanto faticava ancora a tenere a bada l'istinto primordiale di dissanguare un umano, ma comunicare con un qualsiasi altro animale più grande di un coniglietto era un miraggio, figurarsi pensare di guidarlo.

«Figliolo? Esci dalla tua stanza e vieni di sotto. C'è una persona che voglio presentarti.»

La voce imperiosa di colui che lo aveva salvato da un'overdose di alcol e droga, per donargli una seconda vita da vampiro, lo costrinse ad alzarsi dal letto. Vestito con dei vecchi blue jeans, una maglia e una felpa con il simbolo più iconico dei Pink Floyd, la cover dell'album "Dark Side of The Moon", Rhys uscì dalla sua camera e, mani in tasca, scese le scale per raggiungere l'atrio e il piano inferiore.

Quella nuova casa dove si erano trasferiti, dopo decenni trascorsi in una tenuta fuori Londra, gli piaceva molto. Era spaziosa, su due piani e piena di stanze, situata in una strada elegante e lussuosa dove edifici dai mattoni rossi si affiancavano lungo un bel viale alberato.

Non era ancora riuscito a esplorare per bene la città e a catalogare tutti i cambiamenti avvenuti negli ultimi decenni. Poteva uscire solo in compagnia evitando posti affollati. Eppure, per la prima volta, era felice di essere tornato in quella metropoli in cui era nato come umano e rinato come vampiro.

La vita da umano era stata un inferno, magari da ora in avanti avrebbe potuto dimenticare una volta per tutte il passato e strappare quel nodo di dolore che ancora gli risiedeva nel fondo dell'anima.

Chissà, un giorno avrebbe anche potuto andare sulla tomba della madre e salutarla come non era riuscito a fare da quando era morta.

Quel giorno siamo morti entrambi, però io sono ancora qui.

Rhys si stampò sul viso il suo solito sorriso. Si era sempre tenuto per sé tutti quei pensieri. Non aveva mai raccontato nulla dei suoi genitori nemmeno a Connor. Sarebbe stato troppo doloroso rivivere ogni cosa e un po', anche, se ne vergognava. In fondo, avrebbe potuto fare altro. Magari denunciare il padre prima che fosse troppo tardi, o portare via sua madre a forza.

Invece non aveva fatto nulla di tutto ciò. Aveva incassato le botte, lavorato come un ossesso, perfino pensato una volta di dare via il culo in un vicolo pur di guadagnare qualcosa, anche se sapeva che poi avrebbe finito comunque per farsi strappare via i soldi da quel bastardo di genitore che si ritrovava. Ci era mancato poco che accadesse, ma alla fine l'idea di perdere la verginità con un uomo in un modo così squallido l'aveva fermato in tempo.

Durante i primi venti anni della sua esistenza aveva avuto qualche ragazza, ma non aveva mai disdegnato l'idea di sperimentare come potesse essere con i ragazzi. Peccato che, dal giorno della sua trasformazione, gli fosse vietato qualsiasi contatto intimo con un umano, e che i vampiri che aveva incrociato non gli avessero mai stuzzicato alcuna fantasia. Per non parlare del fatto che di coetanei ne aveva incontrati ben pochi, chiuso tra le mura di una tenuta con l'unica compagnia della numerosa famiglia Glanville.

Rhys si fermò alla fine delle scale e osservò il proprio riflesso in un piccolo specchio da parete. Nonostante Connor avesse la pelle scura e tutti i vampiri da lui generati avessero ereditato la stessa colorazione, la sua pigmentazione era rimasta quella di sempre: bianca come il latte.

A quanto pareva, il cocktail di alcol e droga aveva alterato il processo di trasformazione e, forse, anche per quel motivo faticava così tanto a comunicare con gli animali.

«Eccoti.»

Il padre arrivò dal salotto e Rhys si voltò verso di lui. Era accompagnato da un uomo, un vampiro, ne era certo, che lui non aveva mai visto.

Diamine, ma quanto è grosso?

Rhys era piccoletto, ne era consapevole, però l'altro era davvero un "colosso". Non uno di quelli pompati con i fianchi stretti e i muscoli pronti a scoppiare. Lo sconosciuto, vestito con un elegante e formale completo, era alto e squadrato, con un petto ampio e massiccio e un ventre solo appena prominente, di quelli sul quale ti addormenteresti rilassato. Aveva i lineamenti del viso decisi e una capigliatura rossa dal taglio corto e curato, fulvo come il manto di una volpe.

«Solomon, che cavolo hai combinato con questo? Sei sicuro di averlo generato tu?»

«Thaddeus, anzi, Asher,» replicò suo padre ridacchiando. «Storia lunga, te la racconterò un giorno. Ricorda, comunque, che non mi chiamo più in quel modo da parecchio tempo. Per fortuna a Londra nessuno ci conosceva e con nuovi documenti siamo riusciti a mantenere gli stessi nomi: io Connor e lui Rhys. Sono stufo di cambiare di continuo.»

«Già, ti capisco. Mio fratello si è scelto un nome così ridicolo che fatico a ricordarmelo. Come fa l'erede di un Duca a volersi chiamare "Christopher"? Ridicolo.»

È anche lui un Duca? Figo! Una montagna di Duca figo!

«Ciao, io sono Rhys, piacere di conoscerti.»

Il nuovo arrivato si voltò a guardarlo, inarcò un sopracciglio e lo scrutò dall'alto in basso. «Asher Baker,» disse, allungando la mano per prendere la sua con una stretta così forte da arrivare quasi a stritolargliela, prima di mollarla e tornare a parlare con suo padre. «Connor, immagino avrai dovuto raccontare d'averlo adottato. Comunque, mi auguro che si vestirà meglio di così quando uscirà di casa. Soprattutto in questo quartiere.»

Rhys aggrottò la fronte. Possibile che non gli piacesse quella felpa bellissima? Forse avrebbe dovuto indossare il suo giubbotto di pelle. Aveva così tanti anni da averlo dovuto far "restaurare" decine di volte, ma gli stava decisamente meglio.

«Tanto al momento non ha molta libera uscita. Deve ancora imparare a controllarsi. Piuttosto, come mai sei qui a Londra? Non tornavi dagli States da molti anni.»

«Vado a trovare mio fratello. Nell'ultimo periodo ha blaterato di voler rientrare in città per fare il detective.» Asher scosse la testa roteando gli occhi. «Spero di fargli cambiare idea. Tornare qui e soprattutto nella casa di Bickenhall Street potrebbe essere deleterio per lui.»

«Credevo avesse superato la morte di Luke e Isadora, oramai.»

«È un idealista romantico, ricordalo. Anche se lo nasconde a tutti.»

E tu come sei, oltre a essere una montagna di carne che scalerei all'istante?

Rhys si ritrovò su due piedi a meravigliarsi dei propri pensieri.

Era da troppo tempo all'asciutto e adesso fantasticava su un tipo appena conosciuto? Che, tra l'altro, doveva avere il doppio dei suoi anni da umano, forse, e chissà quanti secoli in più da vampiro?

«Rimani per un tè o scappi via subito?» chiese il padre.

«Un buon tè non si rifiuta mai, ma ho ancora un viaggio lungo da fare.»

Rhys guardò i due salutarsi, alzò la mano quando Asher gli fece un cenno con il capo e gli puntò gli occhi sulla schiena con un sorriso compiaciuto fino a che non lo vide scomparire.

Per la miseria, credo mi sparerò una sega spettacolare stasera. Magari anche due o tre!



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