Capitolo II - Sebastiano

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Una pioggia insistente e gelida si alternava a fiocchi di neve mentre il freddo infido e persistente penetrava sempre più nelle ossa. L'inverno era solo agli inizi, ma minacciava di essere duro, uno di quelli che faceva rimpiangere di essersi scelti un mestiere da fare all'aria aperta.

Sebastiano si strinse nel mantello piegandosi in avanti sul dorso del cavallo, in cerca di un po' del calore della bestia. Non mancava molto a destinazione. Attraverso i tratti di bosco più rado, sul fianco del colle di Mesamena, poteva già veder affiorare il ripido profilo di Roccacorva. La città compariva e spariva alla vista a seconda delle svolte della vecchia strada dei taglialegna. Aveva compiuto decine di volte quel viaggio: poche ore e sarebbe arrivato in città.

Non vedeva l'ora di consegnare il palafreno allo stalliere, la bisaccia con i messaggi alla Confederazione dei Mercanti e soprattutto di disfarsi del plico cucito nell'interno della sua casacca. Il desiderio di un pasto caldo e di potersi scaldare di fronte al fuoco si mescolò al ricordo di Alice, ridestando un altro desiderio e un altro tipo di calore. Spronò il cavallo ripensando al corpo generoso della ragazza adagiato nella paglia, così come lo aveva visto subito prima dipartire.


Raggiunse i prati di fronte alla città, salutato dal mugghiare delle vacche sparse sui declivi, intente a brucare l'ultima erba prima dell'arrivo della neve. Fiocchi sempre più copiosi stavano prendendo il posto della pioggia e iniziavano a depositarsi al suolo.

Roccacorva lo attendeva stesa sul ripido versante della parte alta della valle. I tetti ripidi delle case erano spolverati di bianco, il fumo di decine di camini saliva pigro nel cielo color latte. Entrò dalla porta cittadina delle mura esterne, tra le case della città bassa, rallentando quel tanto che bastava per permettere alle persone di schiacciarsi contro le pareti e consentirgli il passaggio. Le insegne di messo non gli risparmiarono qualche colorita invettiva. Più in alto l'imponente cinta di mura interna racchiudeva la città vecchia e più in alto ancora, aggrappata alla roccia, c'era la sua destinazione, la Rocca dei Corvi.

Le guardie alla porta di valle lo riconobbero e lo lasciarono passare senza rallentare il suo cammino. Entrando sotto l'arcata il suono degli zoccoli mutò passando dalla terra battuta all'acciottolato. Risalì le strade tortuose e ripide tra i massicci edifici in pietra, costretto a rallentare ulteriormente l'andatura per la neve che ora turbinava fitta, portata da un vento capriccioso.

Il doppio portone della Rocca era aperto, lo oltrepassò facendo un cenno alle guardie rintanate nell'incavo dell'ingresso. Una volta nella corte scese dal cavallo senza nemmeno arrestarne del tutto il movimento. Il palafreniere corse fuori dal basso edificio delle stalle a prendere le briglie che gli porgeva.

«Sarai responsabile delle bisacce e del loro contenuto fino al mio ritorno» disse al giovane ragazzo. «Appartengono alla Confederazione dei Mercanti, immagino tu sappia quanto tengono alle loro cose» aggiunse, giusto per evitare al giovanotto la tentazione di curiosare o allungare le mani.


La grande sala della Rocca era spartana, ma il fuoco ardeva caldo nel camino e nell'aria aleggiava un delizioso odore di stufato. Una governante dall'aria materna si assicurò che ne ricevesse una ciotola piena assieme a un boccale di birra e che sedesse a uno dei tavoli più vicini al focolare.

Aveva quasi finito di mangiare quando giunse il Castellano. Arrogante e dispotico, aveva così poco a che spartire con il nobile Signore della città che in molti si domandavano perché ancora gli fosse permesso di gestire gli affari della città per suo conto.

«Messaggero consegnami il plico» ordinò altero, guardando con malcelato sdegno il fango che insozzava i suoi abiti.

Sebastiano infilò una mano sotto la casacca e prelevò la lettera. Aveva scucito la tasca segreta subito prima di mettersi a mangiare. La ceralacca che sigillava la missiva recava impresso il sigillo di Sua Eminenza Vittorio di Alamena, veniva direttamente dal Sacro Ufficio della città di Varona.

Il plico passò di mano e scomparve nelle pieghe del ricco abito del Castellano.

«Sei vincolato al segreto. Nessuno deve sapere di questo messaggio, né da dove viene, né da parte di chi. È chiaro messaggero?»

«Sì, sua Eccellenza» rispose deciso Sebastiano.

«Per ora ritieniti dispensato. Presentati tra due giorni a mezzodì per ricevere nuovi ordini.»

Il Castellano fece un cenno sbrigativo per congedarlo e si disinteressò di lui, tornando da dove era venuto.

Dopo aver trovato il Tesoriere ed essersi fatto pagare per il servizio reso, Sebastiano tornò alla stalla. Tra le fughe delle pietre del cortile la neve aveva già attecchito. Saltò in sella al cavallo e lasciò un mezzo soldo di rame al palafreniere per aver asciugato e spazzolato la sua cavalcatura.

Aveva due giorni liberi, la scarsella pesante per le monete ricevute e una volta lasciata la bisaccia alla Confederazione, un'idea molto chiara su come avrebbe speso una parte di quel denaro.

***

Dalla pusterla si poteva vedere il camminamento degli spalti sulle mura proseguire dritto fino a giungere contro la mole scura del mastio. Una spanna buona di neve copriva tutto.

«Come mai non vedo tracce nella neve?» domandò Iorio voltandosi a guardare i tre soldati raccolti attorno al braciere. Era chiaro che nessuno aveva fatto la ronda sugli spalti.

«Capitano fa troppo freddo. State tranquillo, nessuno tenterà di scalare le mura questa notte.»

Iorio scoccò un'occhiataccia a colui che aveva appena parlato.

«Tommaso inizierai tu. Fa' il giro del perimetro e torna a riferire, io aspetterò qui.»

«Eravate più simpatico come caporale» brontolò il ragazzo calzando l'elmetto e prendendolo scudo dalla rastrelliera.

«Dunque quando avrai finito con il primo giro, farai anche il secondo» stabilì Iorio guardandolo dritto negli occhi. Voleva vedere fino a che punto si sarebbe dimostrato sfrontato.

Tommaso afferrò la porta della pusterla, la spalancò e uscì fuori «Molto più simpatico» brontolò stringendosi nel mantello. Iorio fece finta di non averlo sentito e nascose un sorriso nel bavero del pastrano. Richiuse la porta per evitare che il gelo notturno disperdesse il poco calore del braciere.

«Voi due sistemate questo porcile, è un posto di guardia non un bivacco» ordinò guardandosi attorno. «E quando avrete finito, uno di voi scenda nelle cucine e si faccia dare delle tazze di vino caldo. Assicuratevi che Tommaso faccia i suoi due giri, poi alternatevi. E se vi trovo di nuovo tutti e tre qui dentro, vi faccio fare tutti i turni di notte della prossima settimana.»

Lasciò i soldati al loro lavoro e riprese il giro di controllo. Scese fino al piano terreno e attraversando il cortile ammantato di neve volse lo sguardo verso l'alto. Nella crescente oscurità, il chiarore dei lumi a olio brillava tenue oltre le strette finestre della rocca. Individuò la sagoma di Tommaso che camminava sugli spalti e soddisfatto rientrò.

Giunto nella sala grande fu informato di essere atteso nella sala delle mappe da sua Signoria.

Il Castellano Manfredo, Madre Lucrezia e il Venerabile Learco erano stati parimenti convocati e si trovavano già attorno al grande tavolo della sala. In piedi vicino al focolare Sua Signoria Elderico gli porse una lettera.

Il nome del mittente era quello di Sua Eminenza Vittorio di Alamena, il contenuto era più o meno quello che si aspettava, ma nell'ultimo periodo c'era un passaggio che dovette leggere due volte per esser certo di aver capito bene.

«Le città di Baronte e Marteana si alleano per reclamare il possesso della valle del Lisarno e conquistare di fatto il controllo dell'omonimo passo e della vicina città di Alamena» ricapitolò per tutti Sua Signoria. «Se riescono nell'impresa, la nostra città perderà l'introito dei dazi su ogni carovana di mercanzie che transita attraverso quella strada, nonché il controllo strategico dell'unico passo montano che porta alle Marche settentrionali senza dover compiere il lungo viaggio attraverso l'Altavalle, la valle di Cafria e la valle del Langone. Come sapete il Re non interverrà, le motivazioni ufficiali richiamano una controversia secolare sul controllo della valle, ma di fatto l'unico vero motivo è che la moglie di Goffredo di Baronte è sua cugina. Inoltre l'ombra del Re alle spalle di Baronte fa sì chela nostra unica possibile alleata sia la città di Varona, e questo solo grazie all'intercessione di Sua Eminenza. Come tutti voi sapete, Vittorio di Alamena si trova a capo del Sacro Ufficio di Varona e tiene saldamente tra le sue mani gli equilibri che detteranno o meno l'ingresso in guerra della città. Il suo interessamento a questo conflitto non è dovuto a interessi politici né commerciali, né tantomeno vuole risparmiare alla sua città natale i rigori di una guerra, o almeno, questi non sono i suoi obiettivi prioritari. Egli persegue un obiettivo trasversale e completamente estraneo alle sorti della guerra: ci garantisce l'appoggio di Varona se acconsentirò a far insediare un Inquisitore del Sacro Ufficio nella nostra città, conferendogli piena autonomia.»

«I vostri antenati hanno estirpato l'ingerenza del Sacro Ufficio dall'amministrazione della città» disse il Castellano. «Per questo non ci sono Inquisitori a Roccacorva. Sua Signoria non vorrà certo prendere in considerazione l'idea di cambiare una così lunga tradizione di indipendenza?»

«Suvvia, l'operato del Sacro Ufficio è sicuramente mirabile» disse Madre Lucrezia. «Gli Inquisitori sono da sempre in prima linea nella lotta contro l'Oscurità.»

«Ciononostante i massacri dell'Inverno Nero furono perpetrati proprio dagli inquisitori» replicò il Venerabile Learco.

«Per salvare il popolo dal male!» esclamò Madre Lucrezia.

«Massacrandolo per evitare che ne fosse corrotto» incalzò caustico Learco.

«Signori vi prego» interruppe la disputa Sua Signoria. «Per quanto rispetti la diversità di vedute e incoraggi il dibattito, questo non è né il luogo né il momento per sviscerare fatti passati. Dobbiamo invece prendere decisioni inerenti il futuro.»

«Io ribadisco che Sua Signoria non dovrebbe cedere al ricatto.»

«Ricatto!» si indignò Madre Lucrezia. «Avete letto cosa dice Sua Eminenza? Le sue fonti riferiscono che un necromante si muove nelle ombre, forte delle forze delle tenebre, proprio nei territori della nostra amata città!»

Era questa la parte della lettera che Iorio aveva riletto due volte. Non credeva possibile che una lettera firmata da un'eminente personalità riportasse, quale cosa certa, credenze popolari come un necromante.

«Suvvia Lucrezia!» intervenne Learco aderendo al pensiero di Iorio. «Sei una donna rispettata proprio per avere i piedi per terra! Non ti farai mica abbindolare da storie di necromanti? Le leggende sono una cosa, la realtà è ben diversa. Non crederai veramente che ci sia un mago oscuro che usi i poteri dell'oltretomba per creare un esercito di morti! Queste sono favole per far paura ai bambini!»

«Non credo che ci sia nessuno che anima i morti!» replicò piccata Lucrezia. «Dico solo che il male ha molti modi di agire e che il Sacro Ufficio ci mette d'avviso sulla sua presenza nella nostra terra.

«Allora non parlare di necromanti!»

«E tu, Learco, smettila di essere così supponente!»

«Signori!» intervenne di nuovo Sua Signoria a placare i toni. «Appurato che non esistono necromanti, che ne dite di proseguire oltre? Il Castellano stava dicendo che non dovremmo piegarci alla proposta di Sua Eminenza.»

«Sì, Sua Signoria. Propongo di mandare messi a Varona con nuove offerte commerciali. Se troveremo altri appoggi in seno alla cerchia del Signore di Varona potremo scavalcare sua Eminenza.»

«Questo è già stato fatto, come da te proposto» sospirò insofferente Learco. «Il fatto che siamo ancora qui a parlarne, Manfredo, significa che non ha funzionato, non credi?»

«Oltre a criticare tutto e tutti, avete almeno qualche proposta costruttiva?» replicò inviperito il Castellano.

«Capitano Iorio, voi che dite?» proseguì oltre Sua Signoria. «Siete l'unico in questa stanza che non ha ancora aperto bocca.»

«Senza l'appoggio di Varona il nostro esercito non ha molte possibilità di vittoria e senza l'intercessione di sua Eminenza è chiaro che non lo avremo, quindi dico di accettare l'insediamento dell'Inquisitore.»

«Accettare le condizioni senza fiatare? Questo è il tuo apporto, ragazzo?»

«Lasciatelo finire» intervenne di nuovo Sua Signoria.

«Sua Eminenza parla di forze nemiche che si annidano nella nostra città. Non un necromante, ma certo una minaccia reale, altrimenti un uomo come Vittorio di Alamena non avrebbe scritto simili parole. Per noi certo è un problema con una guerra alle porte. Con buona parte degli uomini validi impegnati nella guerra, le ronde cittadine dovranno necessariamente essere ridotte e sarà più facile per i nostri nemici agire. Le forze del Sacro Ufficio potrebbero sorvegliare la città facendo le veci delle guardie e nel contempo dare attivamente la caccia a coloro che si nascondono nelle ombre. Una volta finita la guerra ci sarà poi tutto il tempo di circoscrivere l'influenza dell'Inquisitore ai soli casi di pertinenza del Sacro Ufficio.»

Ci fu un attimo di silenzio dopo che Iorio ebbe finito di esporre il suo punto di vista.

«Mi piace» annuì Sua Signoria. «Venerabile Learco?»

«Esposta così non sembra male. Inoltre credo sarà divertente vedere Manfredo ringhiare come un cane rabbioso contro l'Inquisitore per ogni ingerenza del Sacro Ufficio.»

Sua Signoria prevenne la risposta del Castellano con un cenno della mano.

«Madre Lucrezia?»

«Sì, il Sacro Ufficio sarà una risorsa nella battaglia contro il male.»

«Manfredo?»

«Sono ancora contrario, ma non avendo alternative da proporre suppongo che dovremo accettare.»

«Allora è deciso» stabilì Sua Signoria facendo un cenno di approvazione al suo giovane Capitano.

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