Capitolo XXII - Lor Kon

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«Il rastrellamento purtroppo non ha portato alla cattura del ricercato, che è ancora in fuga e probabilmente ha già lasciato Roccacorva» disse rigido Iorio, fermo in piedi di fronte a Sua Signoria.

«Innanzitutto accomodatevi, Capitano» lo invitò Elderico con un gesto.

«Sì, ragazzo siedi, e la prossima volta non rivelare subito il finale del racconto o nessuno vorrà più ascoltare il resto» aggiunse Learco sistemandosi comodo nello scranno vicino al fuoco.

«Riferite prima dell'indagine» disse il Castellano prendendo a sua volta posto, intimamente soddisfatto che una volta tanto il sarcasmo di Learco non fosse rivolto a lui.

Iorio guardò la sedia vuota come fosse il palco del patibolo, ma andò a sedersi. Gli occhi dei tre uomini più influenti di Roccacorva erano su di lui e non gli piaceva tutta quell'attenzione, quella sensazione di sentirsi sotto esame, soprattutto in considerazione del fatto che tutta quella storia alla fine era il suo primo fallimento come Capitano della Rocca.

Aveva la gola secca, colpa del fumo del camino si disse, si schiarì la voce e, con l'idea che prima avesse iniziato, prima sarebbe finita, iniziò a riferire.

«La mattina in cui furono rinvenuti i corpi della Badessa e delle altre due suore, mentre io e il venerabile Learco visitavamo il convento, avevo dato ordine di chiudere gli accessi della città e di controllare tutte le persone sospette a noi note, tra cui anche due presunti mercanti itineranti giunti in città da poche settimane. All'arrivo presso il caseggiato in cui alloggiavano, i miei uomini hanno trovato uno dei due con i bagagli pronti, in procinto di saldare il conto, mentre l'altro non era rientrato per la notte.»

Un accesso di tosse di Learco costrinse Iorio a fare una pausa. Ne approfittò per sistemarsi meglio sulla sedia. Sembrava che ogni spigolo del legno di quello striminzito trabiccolo tendesse a puntare nei suoi punti più sensibili.

«Fermato e condotto in prigione l'uomo, che risponde al nome di Nicodemo di Cafria, è stato interrogato. Non è emerso alcun elemento utile tranne il nome dell'assassino che pare essere Lorcon. Non sembra un vero nome, ma è così che lo identifica il suo compare. Nessun altro lo ha potuto confermare o smentire in quanto l'uomo è muto e quindi non si è mai presentato ad alcuno.»

«Hai detto Lorcon?» domandò Learco.

«Sì, come il gigante di una certa favola che, però, personalmente non conosco.»

«Lorcon o piuttosto Lor Kon

«Suvvia Learco, la pronuncia esatta del nome non cambia certo le cose» minimizzò Manfredo. «Sentiamo piuttosto i fatti. Procedete Capitano.»

Iorio guardò indeciso Learco, a differenza del Castellano aveva notato l'improvviso interesse negli occhi del sapiente. L'anziano invece gli fece cenno di proseguire e tornò a sprofondare nel suo scranno.

«Nome dell'assassino a parte, tutto quello che Nicodemo di Cafria ha riferito su ciò che è accaduto è stato confrontato e completato con testimonianze raccolte in città. La notte del massacro i due escono dal loro alloggio assieme, salgono alla città vecchia, fanno alcune commissioni e poi si separano. Da lì Lorcon scompare nel niente, nessuno l'ha più visto dopo che Nicodemo lo lascia per andare a cena al Carrettiere e trascorrere la notte con una donna. Fino a poche ore fa non avevamo idea di come Lorcon avesse lasciato la città vecchia visto che tutte le porte delle mura sono sorvegliate, ma poi il mio secondo, Vinicio, ha avuto notizia di uno strano incidente da uno degli operai impegnati nelle riparazioni alla torre sud. Da giorni nella sala delle armi della torre ha preso a piovere dal tetto e facendo un'ispezione degli impalcati si sono accorti che sotto la neve le vecchie tegole risultavano divelte, come se qualcuno ci si fosse arrampicato sopra e fosse scivolato. A quanto pare Lorcon, per fuggire non visto, si è arrampicato sui tetti, ha raggiunto gli impalcati e da lì si è calato al di là delle mura della Città Vecchia.»

«Direi che non ci sono molti dubbi sull'identità dell'assassino» stabilì il Castellano guardando in direzione di Sua Signoria, e siccome nessuno sembrava voler aggiungere niente, proseguì tirando le fila dell'indagine. «Quindi questo Lorcon, probabilmente un sicario di Baronte visto il messaggio lasciato da Lucrezia prima di spirare, entra nell'abbazia, uccide la suora alla porta, uccide la novizia che ha avuto la sfortuna di trovarsi a pregare in chiesa la notte sbagliata, poi sale nella camera della Badessa e uccide anche lei, dopodiché fugge dai tetti» riassunse il Castellano.

Iorio ancora una volta guardò Learco, questa volta attendendo una smentita sul coinvolgimento di Baronte che però non giunse, e così Manfredo poté proseguire diritto per la sua strada.

«Ritengo probabile che anche questo Nicodemo di Cafria sia una spia di Baronte. Fatelo interrogare in tal senso Capitano, usate tutti i mezzi a vostra disposizione per avere al più presto una confessione.»


Dopo un breve confronto su come protrarre la prigionia di Nicodemo di Cafria e sulle misure da adottare per estendere la ricerca del fuggitivo ai paesi vicini, Elderico congedò il Capitano. Concordò col Castellano come procedere con l'immagazzinamento delle scorte invernali in ritardo a causa della neve, poi congedò anche lui.

Attese che la porta si fosse richiusa quindi si volse verso il venerabile Learco, rimasto seduto vicino al camino acceso. Fissava il fuoco crepitare tra gli alari, lo sguardo concentrato tra le fiamme danzanti, il pensiero lontano, fuori dalle mura che li circondavano.

Per tutta la durata del colloquio non aveva detto una sola parola, nessuna osservazione, una sola domanda sul nome dell'assassino muto. Nemmeno un commento quando il Castellano era caduto nel tranello lasciato dall'assassino nella camera di Lucrezia. Non era da lui lasciarsi sfuggire l'occasione di mortificare Manfredo.

«Volete condividere con me il vostro pensiero?» domandò posando le mani sul tavolo. Conosceva abbastanza il saggio da sapere quando qualcosa lo turbava.

«Non sono mai stato propenso a diffondere il mio pensiero anzitempo» disse Learco alzandosi faticosamente in piedi, aiutandosi con il bastone. «Credo piuttosto che andrò a coricarmi.»

«Cos'è che non volete dirmi?» domandò Elderico. «Cos'è che turba la vostra brillante mente?»

«Sua Signoria non dovrebbe adularmi, le lusinghe vi avranno aiutato con le vostre conquiste amorose, ma con un vecchio arcigno come me non funzionano.»

Elderico ignorò la frecciatina sul suo turbolento trascorso col gentil sesso. «Eppure, se vi conosco come credo, qualcosa nel racconto del Capitano non vi ha convinto.»

«Assolutamente. Il Capitano ha raccolto le prove e ricostruito i fatti come ci si aspettava che facesse. Ha compiuto un ottimo lavoro e poi è venuto a raccontarci la favola del gigante cattivo Lorcon.»

«State dicendo che il Capitano non ci ha detto la verità?»

«Per carità! Quel ragazzo è in gamba, non sta mentendo. Non lo farebbe mai, crede in quello che fa. Vi ha raccontato quello che le prove gli hanno detto, solo che sono le prove a mentire.»

«Intendete dire che è una montatura?»

«Qualcuno copre le sue tracce e lo fa abilmente, ma ha commesso due errori.»

«Di che errori state parlando?»

Learco lo guardò come se stesse contemplando l'idea di dirgli qualcosa, ma poi si diresse verso la porta borbottando contro le ginocchia che gli dolevano.

«Fate cercare a Iorio il gigante Lorcon e lasciate a Manfredo i suoi sicari di Baronte. Il nostro nemico deve pensare che crediamo alle sue favole o non avremo alcun vantaggio su di lui.»

Elderico guardò la porta richiudersi. Non aveva dimenticato le parole di Learco a proposito dell'avvertimento di Sua Eminenza sul necromante e si domandò se Lucrezia e le altre due suore fossero state le prime vittime della battaglia contro il loro nemico.

***

La porta della cucina del Carrettiere si aprì riversando la luce gialla del fuoco sul bianco sporco della neve nella corte e subito dopo si richiuse. Ka Rhana rabbrividì per la differenza di temperatura e raggiunse la legnaia, portandosi dietro la cesta da riempire.

Sotto la tettoia l'oscurità notturna era più fitta e l'odore aspro di legno umido era forte. Prese dalla cesta l'involto di stoffa e in precario equilibrio sulla catasta di legna si protese verso il fondo. Da un varco nella parete un'enorme mano coperta di pula e polvere si protese a ricevere l'involto.

«C'è carne secca, formaggio e una forma di pane» disse Ka Rhana tornando alla cesta per prendere una bottiglia di terracotta.

La mano si ritrasse e due occhi comparvero nell'oscurità, scrutandola. La bocca priva di lingua emise un basso lamento cavernoso.

«Zitto!» sibilò Ka Rhana.«Stupida bestia! Devi stare fermo e zitto come ti ho ordinato o quel buco di nascondiglio diverrà la tua tomba.»

Gli occhi di Lor Kon non cambiarono espressione, ma ogni suono cessò e la mano tornò a protendersi verso la bottiglia che gli veniva porta.

Nella tarda estate Berto aveva fatto sostituire parte del vecchio tavolato che costituiva il pavimento del fienile. Mentre i due giovani carpentieri si beavano dei sorrisi di Alice che veniva ogni giorno a portar loro il pranzo, lei aveva potuto constatare come il suolo degradasse sotto il solaio e come lo spazio sottostante il pavimento nell'angolo di valle, confinante con la corte e la legnaia, potesse comodamente nascondere degli oggetti, una persona o anche un cadavere.

Quando si era reso necessario nascondere Lor Kon, la notte dell'omicidio di Lucrezia, togliere i chiodi a tre tavole nel fienile era stato un lavoro veloce e silenzioso. Il buco da cui ora Lor Kon la guardava, praticato nella parete a confine con il sotto solaio, le permetteva di fornirgli il necessario per sopravvivere senza dover smuovere di nuovo le tavole nel fienile. Più veloce e meno rischioso.

«Presto l'inquisitore sarà qui» disse iniziando a raccogliere la legna per riempire la cesta, adesso vuota. «Allora potrai uscire.»

Lor Kon continuò a seguire il suo muoversi con lo sguardo, senza proferire suono, come gli era stato ordinato. Il Maestro aveva fatto di lui uno schiavo ubbidiente: un soldato quasi privo di mente, dotato di una forza spaventosa e privo di ogni coscienza. Una perfetta macchina di morte.



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