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Dalle fitte liane dell'oikarion iniziò a intravedersi una luce, che illuminò flebilmente l'interno. Gli occhi assonnati di Bellatrix, rimasti sbarrati tutta la notte, fissavano un piccolo spiraglio tra due liane entro cui un raggio solare era riuscito meglio a farsi strada.

"Oh, è già mattina". La notte era passata in fretta, forse perché per tutto quel tempo non aveva fatto che pensare e ripensare: la sua testa aveva rivissuto a ripetizione ogni secondo della catastrofe della sera precedente, la sua pelle aveva sperimentato di nuovo i brividi che l'avevano fatta accapponare. E le tenebre della notte erano scomparse in fretta, come soffiate via da un alito di vento; ma nel suo animo persistevano ancora.

Si alzò dal giaciglio, facendo attenzione a non produrre alcun rumore per non svegliare gli altri, forse immersi in un sonno profondo o forse adagiati sul loro mucchietto di foglie fingendo di dormire. Chissà cosa poteva aver provocato negli animi dei suoi compagni la vicenda di Zarkros. Solo la sera precedente, per la prima volta, si era sentita accomunata a loro per qualcosa: la paura provata davanti a quell'entità che irradiava in loro un potente senso di impotenza; come potevano risultare vincitori in uno scontro contro un dio? E la stessa domanda, ne era certa, stava turbando anche gli altri, insieme a un'altra, riguardante il modo in cui Zarkros li avrebbe mandati alla rovina.

La possibilità - o meglio, la certezza - di una sconfitta la mandava in crisi, lei che non aveva mai perso contro nessuno, che era sempre risultata l'assoluta vincitrice di tutte le battaglie che aveva dovuto affrontare, quando ancora era nell'Exo. Ora più che mai desiderava tornare in quel luogo, ma doveva accontentarsi di poter almeno andarsene per un po' lontano da Tou Gheneiou. Non aveva cambiato idea in merito alla sua partenza che, anzi, era ancor più indispensabile di prima: la profezia, ora che Zarkros si era manifestato come loro avversario, poteva essere fondamentale.

Con una buona dose di volontà fu in grado di alzarsi e, presa questa spinta, riuscì a compiere il resto delle azioni automaticamente. Raccolse la sacca di pelle dentro cui, il giorno prima, aveva radunato qualche frutto e un po' di carne essiccata, si fasciò i piedi e le mani con le pezze che le erano state fornite nei primi giorni a Tou Gheneiou e prese due coltelli, quello di Mijime e un altro, per ogni evenienza.

Era pronta, sebbene sentisse di star dimenticando qualcosa... che subito le tornò in mente: Mijime. Con una smorfia infastidita si voltò verso il suo giaciglio, notando che stava ancora dormendo profondamente.

Era impossibile che stesse fingendo, sdraiato su un fianco in una posizione rilassata e del tutto inerme, dando le spalle al muro di liane, mentre il petto si muoveva lento e regolare. Nulla del suo corpo dava l'idea di tensione: Zarkros doveva avergli incusso molto timore.

Si ritrovò a osservare i lineamenti del viso del giapponese, rilassati dal sonno: non aveva tratti marcatamente nipponici, ma soltanto il taglio degli occhi era leggermente a mandorla; la pelle candida non aveva alcuna imperfezione, se non quell'ombra di barba che lui tanto odiava, ma che invece Bellatrix trovava alquanto attraente; i capelli neri, che gli ricadevano morbidi sulla fronte in piccole ciocche mosse, scompigliati com'erano gli facevano acquisire ancor più fascino. Non lo aveva mai guardato con attenzione, sapendo che con lui la sua discrezione non sarebbe valsa a nulla: non voleva certo farsi beccare mentre lo stava scrutando. Con un pizzico di rammarico, doveva ammettere che era proprio un bell'uomo...

Scacciò subito quei pensieri dalla testa: "Non è il momento: bisogna partire". Non doveva avere distrazioni e da sempre sapeva che un solo momento di svagatezza poteva essere fatale: ora che Zarkros era nemico del suo clan, questo precetto valeva ancora di più.

Si avvicinò silenziosamente a Mijime e subito la sua bocca si deformò in una smorfia. Come aveva fatto ad avere certi pensieri solo pochi istanti prima? Era un essere affascinante soltanto fisicamente: dentro non era altro che un viscido e insopportabile opportunista, oltre che un essere irritante per natura. Quanto le dava fastidio il suo atteggiamento annoiato, quanto il suo sorrisetto denigratore, quanto i suoi scherzetti infantili! In realtà non c'era niente per cui riuscisse a sopportarlo.

Guardò la botola: poteva andarsene in quel momento senza di lui. Dopotutto, perché aspettarlo? Era vincolato in un sonno profondissimo e non si sarebbe mai accorto che la giovane se ne stava andando. Bellatrix già immaginava l'espressione di stupore che avrebbe impregnato il suo viso una volta che si fosse svegliato; sorrise maliziosa al pensiero, come ogni volta che ordiva qualche scherzo contro di lui: era un essere spregevole e si meritava tutto questo e, poi, non poteva subire sempre e solo lei. Aveva pur diritto a qualche piccola vendetta.

Ma subito le venne in mente un'altra idea, che le avrebbe procurato ancor più ilarità: svegliarlo bruscamente da quel sonno così beato. L'unico difetto del piano precedente era che non avrebbe mai potuto verificare la sua reazione, ciò che le piaceva di più. Così invece si sarebbe gustata ogni singolo momento.

Sollevò un piede, prese un piccolo slancio e sferrò il colpo puntando verso l'addome. Ma la mano di Mijime lo trattenne. Bellatrix sbiancò: quel maledetto non stava dormendo, ma era perfettamente vigile. Stava perdendo colpi: come aveva fatto a non accorgersene? O era lui così abile da riuscire a mascherare perfettamente il sonno?

«Un "buongiorno" poteva bastare, mia cara» disse, colorando subito il suo viso con il suo sorrisetto: quanto lo detestava!
«Se eri sveglio, potevi alzarti subito: dobbiamo partire!» replicò Bellatrix, liberando la caviglia dalla presa del giovane.

L'altro la ignorò, iniziando ad alzarsi molto lentamente: anche se prima non stava realmente dormendo, tutte le preoccupazioni che affliggevano lei in lui erano del tutto assenti.

«Ho visto che mi stavi guardando con un'espressione assorta» disse invece, allungando le braccia sopra alla sua testa e sorridendole irrisorio.
«N-non è come sembra». Quel dannato l'aveva notata: Bellatrix si fece tutta rossa in volto e cercò al più presto una scusa. «Stavo mettendo a posto le idee e... il mio sguardo si è posato proprio su quella porzione di parete».
«Una motivazione davvero pessima» commentò, tirandosi in piedi e ravvivandosi il ciuffo di capelli. «Sbaglio o una spia dovrebbe essere abile a mentire? E, da quello che so, anche discreta».

Bellatrix avvampò: ma come si permetteva?! Sferrò il calcio destinato precedentemente all'addome dell'uomo contro il suo stinco. Mijime non riuscì a prevedere la mossa e cadde a terra, sbilanciato.
«E adesso andiamo» concluse Bellatrix, andando verso la botola e spalancandola con un colpo secco. Era già irritata di prima mattina: Mijime aveva un potere straordinario.

«Finalmente sei arrivata!» esclamò una voce sotto di lei, sorprendendo Bellatrix, che, ancora scocciata dal sarcasmo di Mijime, non si era accorta che Hermit, Sofia, Iulius, Kairos e Anita fossero sulla piattaforma. Si sbrigò a scendere per raggiungerli, senza nemmeno chiedersi come facessero a sapere della sua partenza: voleva salutarli per bene e le domande potevano anche essere relegate in un angolo, per una volta. Subito fu investita dalla più piccola tra loro, che corse ad abbracciarla.

«Ci siamo svegliati presto per salutarti!» esclamò, lasciandosi sfuggire uno sbadiglio, che fece sorridere la giovane.
«Saremmo venuti tutti ma il papà è rimasto tutta notte all'Oikìa a discutere con Genew e gli Anziani e penso sia ancora là» iniziò a giustificarlo Iulius. «Rose invece stava dormendo e quando quella dorme non la sveglia davvero nulla» concluse, alzando gli occhi al cielo.
«Ti volevamo augurare buon viaggio» continuò Kairos. «Il papà ci ha parlato della tua partenza ieri prima di... be', sì, hai capito...» concluse, senza voler aggiungere altro: era visibilmente turbato e anche i suoi fratelli non erano da meno.

«Grazie...» iniziò la giovane, commossa da quella bella sorpresa: da una parte era felice di poter partire e allontanarsi dal clima di tensione creatosi, ma le dispiaceva anche dover abbandonare i suoi piccoli amici. «Siete davvero molto gentili. Anche dopo quello che è accaduto ieri...»
«Non ti preoccupare» intervenne Anita, per la prima volta la più serena della famiglia. «Non si è fatto male nessuno. Per ora l'importante è questo».
«Ma... Zarkros...» iniziò a motivare Bellatrix, già pronta a esternare tutte le sue preoccupazioni.

«Zarkros è un dio immortale,» la precedette Anita, «ha una percezione del tempo diversa da quella di noi umani. Potrebbe mettersi a dormire per cent'anni e scoprire al suo risveglio che i suoi "nemici" sono morti. Finché non agirà concretamente è inutile preoccuparsi. E lo sarebbe comunque, visto che non possiamo farci nulla». Anita sorrise, quasi copiando l'atteggiamento che caratterizzava suo marito, e Bellatrix, proprio come succedeva con Genew, si sentì subito più calma: la donna aveva ragione, per il momento era inutile preoccuparsi e doveva restare concentrata sulla sua missione.

Dalla scala di corda scese ben presto anche Mijime, con la sua immancabile eleganza: era riuscito ad acquisire una certa classe perfino muovendosi tra le liane e ne era molto soddisfatto. Quando atterrò sulla piattaforma vide Bellatrix che lo stava squadrando: che spasso che era quella ragazza! Bastava provocarla un minimo e subito si arrabbiava, scaturendo in qualche reazione improvvisa dettata dall'ira, oppure, ancora meglio, cercando di trattenersi a fatica. Spesso si chiedeva come potesse essere stata una spia, così emotiva com'era.

La famiglia di Genew quasi al completo, che doveva essersi svegliata di buon mattino per salutare Bellatrix, lo stava osservando con stupore: evidentemente non sapevano che si era aggiunto anche lui per quel viaggio.
«Se ve lo state chiedendo, andrò con lei» disse tranquillo.
«Come?! Anche tu?!» esclamò subito Hermit contrariato, con gli occhi spalancati e il labbro inferiore che aveva iniziato a tremolare. Il giovane sapeva bene di essere il suo preferito, dei neoteroi, e la sua partenza doveva averlo sconvolto.

«Dai, non ti preoccupare, ragazzino». Mijime gli posò una mano sulla testa e si espresse in un mezzo sorriso, rassicurandolo subito. Mostrarsi quanto più affettuoso poteva e continuare a piacergli era un comportamento dettato solo dalla praticità: avere i figli di Genew come alleati poteva sempre rivelarsi utile, soprattutto vista l'ostilità interna e la possibilità di essere cacciati. Dei bambini non potevano fare la differenza, ma forse quegli occhioni azzurri avrebbero potuto intenerire qualcuno, spostando l'ago della bilancia di una piccola ma essenziale tacca. Quella era l'unica motivazione, non certo perché aveva iniziato a maturare una vera e sincera amicizia con loro e con tutti coloro che si mostravano benevoli: a dirla tutta, non avrebbe nemmeno saputo come fare. «Tra qualche giorno ci rivedremo. A proposito, quanto tempo dovremo stare via?» si informò poi: il tempo era essenziale; quanti giorni fossero rimasti fuori dal clan avrebbero determinato l'evolversi delle questioni tra neoteroi e Gheneiou. Doveva continuare a essere presente in quella realtà, per evitare che i suoi inesperti compagni potessero causare altri danni come quello di Zarkros. Non potevano più permettersene, dunque doveva tornare il prima possibile.

«Guarda che se non ti va, sei ancora in tempo per non venire» rispose acida Bellatrix.
Mijime sorrise: tra i tanti pensieri che aleggiavano nella sua mente che continuamente pensava ed elaborava nuovi piani e soluzioni, gli era stato finalmente offerto un piccolo divertimento. Come poteva lasciarselo sfuggire?

«Oh, sei sempre così premurosa e dolce! Ti preoccupi in continuazione per me: anche adesso, hai paura che possa non avere più voglia di partire e quindi mi ribadisci con estrema gentilezza che non sono obbligato a mantenere la parola data ieri sera». Il giovane si gustò lo sguardo corrucciato di Bellatrix e, momentaneamente appagato, poté tornare a occuparsi delle faccende pratiche, rivolgendosi anche agli altri: «Comunque no, non ho cambiato idea. E vorrei sapere quanto tempo impiegheremo».

Anita, trattenendo le risate - evidentemente Bellatrix non era uno spasso solo per lui - rispose: «Genew quando si reca dalle maghe impiega meno di due giorni per andare e tornare. Suppongo che per voi ci vorrà un po' più di tempo, ma su per giù la durata del viaggio sarà questa».

"Devo sopportarlo al massimo tre giorni" iniziò a ripetersi Bellatrix. Non sapeva nemmeno lei se i tre giorni fossero una consolazione o una penitenza. Ma perché diamine quello aveva deciso di venire?!

"Tre giorni. Speriamo solo che nel frattempo non sorgano altri problemi. Forse potrebbero essere così lungimiranti da aspettare il nostro ritorno... Tutto sommato non è troppo tempo" rifletteva invece Mijime, continuando a far previsioni.

La loro attenzione fu richiamata da Anita, che si slacciò un piccolo vasetto dalla cintola che aveva intorno alla vita.
«Vi ho preparato questo, nel caso doveste riportare qualche ferita». Porse il contenitore a Bellatrix, che subito lo ripose nella sacca. «Non ci resta che augurarvi buon viaggio e buona fortuna».

«Che gli dei siano con voi!» esclamarono Sofia e Hermit all'unisono, abbracciando i rispettivi neoteroi preferiti, mentre Kairos e Iulius facevano loro eco con altri saluti simili.

Finiti i commiati, Bellatrix e Mijime si diressero verso l'estremità della piattaforma, afferrarono ognuno una liana e presto scomparvero tra la fitta vegetazione.

«Secondo me quei due da soli cercheranno di uccidersi a vicenda» commentò Sofia, una volta che se ne furono andati.
«In tal caso, tornerà solo Mijime» si affrettò a specificare Hermit.
«Oh, ti sbagli di grosso: sarà Bellatrix».
«No: Mijime».
«Ti dico Bellatrix!»

«Ragazzi» li richiamò Anita, per evitare un inutile litigio. «Ricordate cosa dobbiamo fare oltre salutare Bellatrix e Mijime, vero?»
I due bambini fecero un sorrisetto che significava che avevano già compreso; si rivolsero uno sguardo complice e sgattaiolarono di sopra nell'oikarion.
«Voglio proprio vedere la scena!» esclamò subito dopo Iulius, seguendo i due fratellini.

«Bene, è arrivato il momento di mettersi al lavoro anche oggi» disse Anita, battendo le mani quasi a incoraggiarsi all'ennesima e monotona giornata, in cui avrebbe prodotto la sua lozione.

Kairos la vide mentre si allontanava, la schiena un po' incurvata e il passo lento e strascicato. Non aveva nemmeno raggiunto la quarantina, eppure pareva che le fosse piombato addosso il peso di molti più anni. Non era stata l'età a ridurla in quel modo, ma l'atmosfera cui i Gheneiou l'avevano costretta per il solo fatto di non far parte del loro clan. Dalle memorie di quando era piccolo ricordava che talvolta qualcuno le aveva urlato addosso parole di cui non aveva capito il significato; ripensandoci le aveva comprese solo più avanti. E rammentava i pochi, ma pur sempre avvenuti, episodi di violenza, cui aveva assistito durante la sua infanzia: quella volta in cui suo nonno l'aveva quasi spinta giù dalla piattaforma, quell'altra in cui due guerrieri l'avevano battuta a legnate... Forse ce n'erano stati altri, ma non li ricordava più. Del resto, erano accaduti più di dieci anni prima. Suo padre, che tanto si era prodigato perché venisse accettata, dopo che il timore che fosse stata lei a uccidere la precedente Genew era andato scemando, era finalmente riuscito a porre fine a quella violenza gratuita e la vita di sua madre era se non altro divenuta tranquilla.

Ma adesso che i nuovi neoteroi avevano irritato Zarkros, c'era la possibilità che il suo popolo tornasse a insorgere anche contro di lei. Non era per forza necessaria una scusa logica e fondata perché la violenza prendesse piede di nuovo; e la tensione che aveva avvolto Tou Gheneiou dall'arrivo dei Melitos non poteva che sfociarvi.

«Mamma» chiamò Kairos, con una nota preoccupata. Probabilmente Anita stessa stava avendo quei pensieri e il figlio voleva confortarla; ma la donna non si voltò. Forse non lo aveva sentito, forse lo aveva ignorato: con loro e con loro padre fingeva che tutto stesse andando bene e teneva dentro il suo malessere. Ma il giovane lo aveva notato lo stesso ormai da tempo e l'unica cosa che sentiva di poter fare concretamente era trattarla meglio che potesse, almeno lui, e aiutarla sempre. Ogni figlio avrebbe dovuto comportarsi così con la propria madre, ma nella sua condizione lui aveva il dovere di impegnarsi ancora di più.

Non fece in tempo a chiamarla di nuovo che era già partita, diretta al suo oikarion; Kairos rimase da solo sulla piattaforma, con l'amaro in bocca. Cosa avrebbe potuto fare se davvero si fosse verificato il suo presagio? Non poteva mettersi contro il suo clan, era proibito, anzi, non esisteva qualcosa di più empio; ma per questo non era tenuto a difendere sua madre?

«Accidenti a voi, bambini pestiferi!» La voce di Em rimbombò fuori dalla botola seguita dai risolini di Hermit e Sofia e giunse alle orecchie di Kairos, che sorrise per un attimo, divertito, immaginandosi la scena.
"Finché non si verificherà nulla di tutto ciò, non c'è bisogno di preoccuparsi". Anita avrebbe detto certamente così, come aveva affermato in merito allo scandalo di Zarkros. Avrebbe seguito i suoi precetti; dopotutto erano tanti i pensieri positivi a cui poteva ricorrere per distrarsi: il buffo diverbio che era in atto di sopra, ma soprattutto i due grandi occhi neri che erano sempre nella sua testa...

Dissolta facilmente la preoccupazione, ora non aveva tempo per svagarsi: era giunto il momento di raddrizzare i neoteroi. Avrebbe presto spiegato loro come comportarsi d'ora in avanti e forse, se il dio alla fine avesse compreso, si sarebbero persino salvati dalla sua maledizione.

Dopo le urla lanciate da Em, uscirono dall'oikarion tutti i Melitos rimasti, un po' stremati per l'ora e accompagnati dalle grida dell'unica neotera rimasta: «Ma avete idea di che ore siano?! Sarà appena l'alba!»
Gli altri tre scesero dalla scala senza proferire parola, ma sui loro volti era impressa un'ombra di profonda stanchezza: forse se ne avessero avuto le forze, si sarebbero lamentati pure loro.

«Buongiorno a tutti!» li salutò con entusiasmo Kairos, ridacchiando per il loro comportamento.
«Buongiorno... Buongiorno... Macché buongiorno!» continuava a borbottare Em.
Kairos represse un'ulteriore risata per evitare che la neotera si irritasse di più: se non altro, poteva essere contento del fatto che non fossero stati traumatizzati così tanto dalle minacce del daimon. Almeno non doveva ripetere le parole con cui sua madre aveva tranquillizzato Bellatrix.

«Vi starete chiedendo perché vi abbiamo svegliati così presto» continuò. «Dopo l'accaduto di ieri sera, mio padre, mia sorella e gli Anziani hanno discusso tutta la notte sul vostro destino. Per ragioni...»

Sulla piattaforma atterrarono proprio in quel momento tre figure, con una potenza e un impatto tali da far quasi traballare la ben fissata base di legno.
«Grazie, Kairos, puoi andare» disse sua sorella Genew, avvicinandosi a lui, ma senza nemmeno guardarlo: stava scrutando i quattro neoteroi e il suo sguardo non presagiva nulla di buono. Il giovane non voleva essere nei loro panni. «Adesso ci penso io: affidarveli è stato un errore a cui cercherò di rimediare. Avrei dovuto occuparmene io sin dal loro arrivo».

I Melitos si sentirono raggelare: e questa adesso cos'era venuta a dire? La paura era tale che erano molto più spaventati per la presenza di quella, di cui avevano sentito riportate diverse uscite non felicissime, che della presunta maledizione che Zarkros aveva lanciato contro di loro.

L'azzurro glaciale degli occhi di Genew penetrò i corpi dei neoteroi e, solo quando le sembrarono abbastanza svegli per l'effetto che aveva perpetrato in loro, attaccò con il suo discorso: «Avevamo già discusso sul vostro conto quando eravate arrivati ma dopo ieri sera abbiamo parlato di nuovo e in modo assai più rigoroso. Siamo arrivati alla conclusione che purtroppo dobbiamo tenervi con noi» sbuffò sonoramente, quasi a voler ribadire quanto fosse scontenta di quella scelta. «Non pensate sia un atto di pietà: io e la maggior parte del mio popolo nemmeno vi vorremmo; anzi, soltanto mio padre e la sua famiglia sono felici di avervi qui; altrettanto pochi sono indifferenti. Ai nostri occhi siete solo potenziali traditori e fautori di empietà, come tutti i neoteroi. Allora perché tenervi? Semplice. Quello che potremmo ottenere dalla vostra inutile e dannosa presenza potrebbe valerci il sacrificio: la morte di quel bastardo di Mortino».

A quelle ultime parole i neoteroi si scambiarono fugaci occhiate di stupore: stava parlando proprio di quel gigante che li aveva assaliti nel bosco? Dopo tutto quel tempo se ne erano quasi dimenticati, ma al sol pronunciare del suo nome il ricordo riaffiorò in fretta. Si sbrigarono a guardare anche Kairos e gli altri ragazzi, che si erano fatti da parte senza farsi notare dalla sorella, ma anche nei loro occhi si leggeva uno sconcerto non indifferente: non solo per i neoteroi quella era una novità.

Genew proseguì, noncurante: «Siamo venuti a conoscenza di una profezia che dice che il biondo scemo qui davanti lo ucciderà».

Per quanta paura la giovane guerriera incutesse, i neoteroi non riuscirono a trattenere un'esclamazione: potevano anche accettare che, in un qualche modo noto solo alle maghe, Mortino sarebbe morto, ma era semplicemente assurdo che Germanico potesse non solo uccidere qualcuno - che, considerata la sua bontà d'animo e la sua paura, sembrava già un'impresa sconcertante - ma togliere la vita a colui che era detto l'uomo più forte dell'isola. E il primo a pensare ciò era proprio il giovane tedesco, che guardava con due occhi supplicanti la figlia del capo, quasi a volerla pregare di rimangiarsi quelle parole, di negare tutto quanto. "Come sarebbe a dire che devo ucciderlo?! Io non ucciderò proprio nessuno! Io non posso uccidere!" Se solo ne avesse avuto il coraggio non avrebbe esitato a gridarlo, ma si limitò a scuotere impercettibilmente il capo.

«Voi tre,» continuò quella, sempre con lo stesso distacco, rivolgendosi agli altri, «vi siete salvati solo grazie a lui, il figlio del Sole, come lo hanno chiamato le maghe. Ma non ho intenzione di farvi rimanere nel mio clan come dei parassiti: è finito il tempo in cui andavate a giocare sulle cime degli alberi con i miei fratelli. Adesso dovete lavorare, e lavorare duramente: dovete meritarvi di stare qui, in particolare l'idiota là dietro che ha provocato l'ira di Zarkros, ma vorrei che mi stessero a sentire bene anche gli altri. Dopo ieri sera si è capito che non avete ancora compreso che tipo di atteggiamento dovete tenere. Sull'Exo magari non avete dei daimona a cui obbedire e portare rispetto, ma qui sì e d'ora in avanti non voglio più sentir parlare di simili atti sacrileghi!»

Gli occhi di Genew si erano ridotti a due fessure e la sua espressione si era deformata in una maschera di ira mentre pronunciava queste parole; dall'altra parte i neoteroi tenevano la testa bassa, evitando di incrociare il suo sguardo.

«Ma non l'ho fatto apposta» mormorò Spiro, nel bel mezzo del silenzio che si era creato.
Gli altri tre sollevarono il capo e lo guardarono truci, mentre Genew avanzava minacciosa contro il più vecchio dei Melitos. «Ti ho chiesto per caso di intervenire?» sbraitò, quando gli fu a un'esigua distanza, ma prima che potesse raggiungerlo del tutto una mano si posò sulla sua schiena e la fermò.

«Questo se non altro può essere una vostra fortuna». A parlare fu lo stesso uomo che con un solo tocco aveva impedito a Genew di scaricare la sua furia contro Spiro: era giunto insieme alla figlia del capo e a un'altra giovane dalla chioma di uno scuro biondo cinereo, ma di lui, come della terza arrivata, i neoteroi non si erano neanche accorti, troppo presi dall'inquietudine portata da Genew. Alto e possente quanto Germanico, si massaggiava il viso scuro sopra cui scorreva una lunga cicatrice, probabilmente seccato dalla mansione che gli era toccata quella mattina. «Zarkros dovrebbe averlo capito, dunque la sua ira si manifesterà in misura minore, quindi solo contro il fautore effettivo del danno».

«Zeno, non tranquillizzarli troppo» riprese Genew, tornando nella posizione precedente. «O vuoi continuare a trattarli con indulgenza come hanno fatto tutti finora?» Zeno non ribatté e l'altra si espresse in un breve sorrisetto compiaciuto per aver avuto l'ultima parola. I neoteroi non fecero in tempo a considerare quanto quel comportamento fosse infantile, che la giovane anaxa, ripreso l'atteggiamento intrattabile di prima, puntò un dito contro Spiro. «Tu ti autopunirai ogni mattina e ogni sera e trascorrerai giorni alterni a digiuno».

L'uomo non era ben certo della punizione che gli sarebbe stata somministrata ma comunque sgranò gli occhi dalla paura: con quel tono di voce non poteva essere qualcosa di bello. Poi vedeva gli sguardi che gli lanciavano Em e Morag, con la bocca semi-aperta e gli occhi carichi di commiserazione. Deglutì appena: doveva essere una cosa bruttissima! Una spiacevole sensazione che non sperimentava più da anni si fece largo in lui: gli occhi erano improvvisamente diventati pesanti e sentiva che sarebbero potuti esplodere in un fiume di lacrime da un momento all'altro. Oh, perché non aveva saputo aspettare per pochi minuti? Perché aveva dovuto far crollare il ramo? Adesso capiva le parole di biasimo che i suoi compagni gli avevano rivolto. Ma almeno, dalle parole di Zeno, sembrava che loro fossero salvi: lui no, Zarkros non l'avrebbe perdonato. Solo in quel momento si rese conto del pasticcio che aveva combinato: come gli altri non sapeva a cosa stesse andando incontro, ma era certo che sarebbe stato terribile. Doveva fare qualcosa per sfuggire a tutto questo... ma cosa?

«Gli altri due se ne sono andati» proseguì Genew, richiamando l'attenzione dei neoteroi spostatasi per poco sul povero Spiro. «Forse sarebbe stato meglio se fossero stati accompagnati da un Gheneiou, ma dal momento che volete entrare nel nostro clan abbiamo deciso di dar loro fiducia. Se entrerete infatti, sarete come noi. Elimineremo ogni sospetto che coltiviamo adesso e smetteremo di tenervi costantemente d'occhio: sicuramente non l'avete notato ma da quando ho saputo che siete arrivati faccio in modo che siate sempre, costantemente, sorvegliati. È il compromesso cui sono riuscita a venire con mio padre. Finché non sarete Gheneiou, scordatevi di essere liberi».

Germanico lanciò un'occhiata dubbiosa prima a Em e poi a Morag, riscontrando anche sul volto di quelli un'analoga incomprensione: cosa mai poteva cambiare di così sostanziale dall'essere Melitos a essere Gheneiou? Già Iulius, la sera prima, aveva detto che erano considerati dei traditori, ma ancora non riuscivano a capire il perché.

Genew si avvicinò a Germanico con fare minaccioso, prima che il giovane potesse terminare le sue riflessioni. Lo agguantò dalla tunica e lo tirò a sé con una forza incredibile.
«Tu oggi verrai con me: inizierà il tuo
addestramento per diventare subito un Guerriero».
«Ma... io... veramente...» inziò a borbottare Germanico: per quanto temesse quella giovane, doveva farle capire che lui non poteva uccidere, non poteva andare contro i suoi principi.

Non fece in tempo a realizzare una frase di senso compiuto, che Genew gli tirò un pugno nello stomaco. Germanico cadde in ginocchio dal dolore: non pensava che un colpo potesse essere tanto vigoroso.
«Se c'è una cosa che odio è quando qualcuno di inferiore a me prova anche solo a contestare i miei ordini» gridò l'altra, avvicinandosi al suo orecchio. «Se dico che diventerai un Guerriero, tu lo diventerai! Solo mio padre e gli Anziani possono smentire le mie idee, e posso accettare i consigli dei miei compagni di squadra: tu fai forse parte di queste categorie? No!»

«Kairos» si rivolse quindi al fratello, con lo stesso tono gelido, e il giovane, sentendosi menzionato, scattò sull'attenti. «Sono già abbastanza irritata, quindi vedi di non farmi perdere ulteriormente la pazienza. Porta i bambini a fare le loro attività e fa' in modo che i neoteroi inizino a lavorare già da oggi. Qualsiasi cosa ma ricorda che devono rendersi utili dall'alba fino al tramonto».

Guardò poi i due Guerrieri sulla piattaforma. «Rigel, Zeno, è arrivato il momento, purtroppo: si va ad allenare il biondo. Se dovrà uccidere il più forte di tutti, dovrà prima essere addestrato dai migliori tra noi».

Si diresse infine verso una liana e si lanciò giù senza aspettare altro, con Zeno alle calcagna, partito subito dopo di lei. Mancava solo l'altra giovane guerriera, Rigel, che senza dire una parola trascinò Germanico per il colletto della tunica fino al bordo della piattaforma, per poi, afferrata una liana, spiccare il volo tenendo ben stretto da sotto le spalle il tedesco.

Al primo ramo che trovarono lo lasciò cadere. «Adesso proseguirai da solo». Per la prima volta parlò, sfoderando una voce candida e pulita, musicale, che non sembrava certo propria di una rigida combattente. A Germanico ricordava qualcosa di meraviglioso e, pur avendo appena sbattuto la schiena sul ramo, si sentì alleviato da ogni male. «Vedi di stare al mio passo. Il colpo che ti ha sferrato prima Genew ti sembrerà una carezza in confronto a quelli che ti darò io se non ubbidisci».

Germanico si tirò in fretta in piedi, uscendo dal suo breve idillio, e vide che Rigel era già partita; la seguì in fretta, cercando di mantenere la sua velocità: non era eccellente sulle liane, ma in quel momento aveva un motivo in più per sforzarsi a diventarlo.

Giunsero su una piattaforma in cui era già stato con Kairos, quando gli aveva insegnato a usare la lancia. Genew e Zeno erano già lì e lo stavano aspettando, con ammucchiate dietro di loro decine e decine di armi. Germanico deglutì. Ormai si chiedeva solo cosa gli sarebbe successo di lì in avanti e persino le domande che normalmente lo avrebbero potuto affliggere - perché continuano a colpirmi? Perché proprio io? Come posso farle capire che non voglio uccidere nessuno? - avevano lasciato spazio a un profondo timore; il dolore sul suo corpo, la paura quasi assoluta avevano inibito la sua capacità di ragionamento: forse era proprio questo lo scopo dei tre guerrieri.

Genew gli si avvicinò e gli si pose davanti con le braccia conserte: «Che genere di armi sai usare?»
«Ehm...» Germanico esitò, non sapendo cosa rispondere per paura della reazione della guerriera.

Rigel gli sferrò un calcio su un fianco da dietro e Zeno bloccò la sua caduta con una mano, realizzando il tutto in modo così coordinato che Germanico tornò, tutto intontito, nella stessa posizione da cui era partito.
«Sembra che questa domanda sia troppo difficile» commentò Genew con una smorfia. «Cercherò di semplificare: sai usare una lancia?»

«Sì». Germanico rispose immediatamente, per non subire lo stesso supplizio di prima. Era anche la verità: dopo pochi allenamenti con Kairos aveva subito imparato e si era anche rivelato piuttosto bravo. Certo, non aveva mai ucciso un animale - non lo avrebbe mai fatto! - ma quando si trattava di beccare dei bersagli non ne mancava uno.

«Una clava?» Genew continuò l'interrogatorio.
«Sì».
«Un coltello?»
«Sì».
«Un arco?»
«Sì».

Genew si voltò soddisfatta prima verso Rigel e poi verso Zeno: «Be', meglio di quanto pensassi».
L'uomo alzò gli occhi al cielo e poi guardò Germanico dicendo: «E con queste armi riusciresti a uccidere qualcuno?»
«Certo che no!» esclamò subito l'altro.

L'ennesimo colpo, questa volta così improvviso e veloce che Germanico se ne accorse solo quando sentì il basso ventre bruciare tanto da piegarlo in due e fargli scendere una lacrima silenziosa.
Genew non si impietosì nemmeno allora. Prese con vigore il mento di Germanico e fece sì che la guardasse negli occhi: «Mettiti in testa che dovrai uccidere almeno un uomo nel corso della tua miserabile vita, Figlio del Sole. È così che ti hanno chiamato le maghe. Un nome altisonante, non trovi? Non come te...»

Con quelle parole taglienti si staccò da lui e si diresse verso il cumulo di armi, da cui prese una lancia, che porse a Germanico. Aprì quindi le braccia, come volesse invitarlo verso di lei: «Bene, mostrami ciò che sai fare».

Germanico rimase interdetto, proprio come quando gli avevano posto le loro domande, finché non venne risvegliato dall'urlo di Rigel: «Attaccala, imbecille!»
«Ma... è disarmata!» esclamò di nuovo Germanico, a cui, già per la seconda volta, si chiedeva di andare contro i suoi princìpi: come poteva cercare di fare del male a una donna, per di più in circostanze a lei sfavorevoli?

Genew scoppiò in una fragorosa risata, che prolungò a lungo, facendo sprofondare l'altro in un sempre più profondo senso di inettitudine; quando smise dal suo volto era scomparsa ogni traccia di divertimento.
«Ti ho detto di attaccarmi!»

Germanico sobbalzò per lo spavento e subito si precipitò contro di lei, puntandole addosso la lancia. Quando questa fu a pochi centimetri dal suo ventre, con un movimento repentino Genew afferrò il bastone, strappandoglielo di mano, e ancor più velocemente girò la punta contro di lui. Con un ultimo calcio a una coscia lo fece cadere, continuando a tenere la pietra dell'arma puntata sul suo collo.

«Quindi tu sapresti usare la lancia? Se l'avessi data in mano a un vasaio avrebbe saputo fare di meglio. Sono abbastanza delusa, e odio esserlo» concluse, spostando la lancia e tornando verso il cumulo a prendere un'altra arma. «Proviamo con questo».

Porse un coltello di pietra affilato a Germanico e andò vicino a Zeno. Fu Rigel a piazzarsi davanti a lui questa volta.
«Avanti, su» borbottò, facendo roteare le iridi di giada.
Stavolta il giovane non esitò e subito corse contro di lei, puntando la lama del coltello verso il suo fianco destro, un punto meno prevedibile del ventre o della gola.

Rigel bloccò la lama con due dita e si impossessò velocemente dell'arma. Quando l'ebbe in mano, la fece girare in aria, riprendendola immediatamente con una grazia incredibile, e infine la gettò a terra, facendola conficcare nel legno della piattaforma.
«Continua ad attaccarmi, senza armi. Cerca di farmi male».

Germanico si buttò su di lei e le afferrò la gamba destra tirandola verso di sé per cercare di sbilanciarla, ma Rigel si liberò facilmente dalla presa. Lui continuò a provare a sferrarle dei colpi abbastanza improvvisati prima sulla faccia e poi verso la pancia, ma lei li bloccò tutti. In realtà non stava reagendo, ma solo difendendosi dai suoi pugni: voleva solo che lui continuasse ad attaccarla finché non ne avesse assestato uno.

Andarono avanti così per molto tempo, finché Germanico non riuscì a bloccarle entrambe le mani: per un attimo si guardarono fisso negli occhi e improvvisamente Germanico ricordò di averla già vista. Ma certo, era la stessa giovane che la sera prima aveva suonato il flauto alla festa di Zarkros! Gli abiti erano molto diversi rispetto a quelli della cerimonia e anche i capelli, oltre a essere acconciati in modo da stare indietro e non ostacolarla nei movimenti, presentavano un colore più scuro rispetto al biondo dorato, frutto dell'esposizione alla luce delle lanterne. Ma ora che erano così vicini la somiglianza che riscontrava era tale da non fargli avere dubbi; ed ecco che erano spiegate anche la grazia e la melodia della sua voce.

Rigel lo colpì con un piede, allontanandolo e liberandosi dalla sua presa.
Germanico finì di nuovo disteso per terra, ma ormai non riusciva più a distogliere gli occhi da quella giovane non eccessivamente alta e nemmeno tanto muscolosa, ma che nascondeva una potenza eccezionale.
«Ieri sera...» ansimò il tedesco. «Ieri sera non avrei mai detto che tu fossi così... forte. Eri così graziosa».

Un altro calcio, questa volta in faccia.
«Grazia e forza non è detto che siano opposte. Mi servono entrambe, sia nella danza che nel combattimento: senza forza non avrei l'energia necessaria per muovermi in un ballo, e la grazia mi stimola la precisione necessaria nei combattimenti. Queste poi devono essere accompagnate da una terza qualità: la forza di volontà. Tu hai carenza di tutte e tre: per questo sei debole» concluse prendendolo per i capelli e facendolo alzare in ginocchio. «Tirati in piedi e continua a combattere!»

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Spazio autrici
Non siamo convintissime di questo ultimo capitolo, ma dateci anche voi un vostro parere, così capiremo come migliorarlo ancora. Che dire? Mijime e Bellatrix (fortunati come pochi) sono riusciti a scampare alla penitenza di stare a Tou Gheneiou adesso che Genew padre non può più garantire loro una totale protezione dai suoi compagni. Ma al loro ritorno dovranno fare i conti anche loro, a meno che non riescano a diventare Gheneiou, nel frattempo: quale pensate sarà il destino dei neoteroi a questo punto? Abbiamo poi Germanico, che d'ora in poi sarà sempre costretto ad allenamenti di questo tenore per diventare potentiiiiiiiissimo: che ne pensate della sua situazione? Ce la farà a diventare quello che tutti sperano? Da ultimi nemmeno gli altri tre neoteroi, che nella seconda parte di questo capitolo vedremo cosa combineranno, se la stanno passando benissimo: il piccolo idillio che si erano creati nelle prime tre settimane sembra ormai molto lontano, in virtù di una realtà molto più cupa e sormontata dall'odio dei Gheneiou, se non entreranno nel clan... Sarà davvero così oppure ci saranno riservate altre sorprese?
Ci tengo a farvi notare poi il piccolo inserto del punto di vista di Kairos: d'ora in poi anche i personaggi che vi sono sembrati un po' più marginali saranno sempre più presenti nella narrazione, alcuni diventando dei veri e propri protagonisti. Dicendo questo, sembra che il prosieguo sarà qualcosa di incasinatissimo, ma non temete, non lo sarà (almeno, speriamo!): vogliamo solo indagare più punti di vista possibili, dal momento che non solo quelli dei neoteroi sono interessanti ^^
Bene, vi abbiamo stressato abbastanza, quindi, alla seconda parte del capitolo 10!
~ 🐼🐢

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