11.1

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Bellatrix camminava a passo veloce, respirando affannosamente, più per la rabbia che in lei continuava a ribollire che per l'effettiva fatica che stava facendo a procedere tanto spedita: a quella ormai si era abituata, alla presenza di Mijime mai.

Ancora, dopo ore di cammino nella foresta, inframezzate da un pasto veloce per cui non si erano neanche fermati, continuava a canticchiare, passando attraverso melodie che Bellatrix percepiva tutte uguali: qualsiasi musica fosse stata l'avrebbe disprezzata, dal momento che era lui a produrla. Lui che non stava facendo altro che deriderla, sempre, adesso anche con quella nuova, simpatica, modalità.

Da quando aveva raggiunto l'apice della sopportazione, esplodendo nel discorso che gli aveva rivolto, che aveva involontariamente caricato di tutte le pesantezze che portava dentro da tempo, lo sentiva ancora più irrispettoso: gli aveva persino rivelato dell'uccisione del Mortinou, il primo uomo a cui avesse tolto la vita. E Mijime aveva considerato niente anche una vicenda grave come quella! Le sue parole non gli avevano fatto comprendere che aveva superato il limite con lei: no, aveva ripreso a cantare. Ma che razza di sensibilità aveva?!

Mentre continuava a respirare sonoramente per provare a buttar fuori la sua rabbia, in lei si faceva strada un'altra posizione: forse era stata troppo dura con lui; non credeva affatto che Mijime avesse delle buone ragioni, ma almeno avrebbe potuto cedere sull'alleanza. Ma quell'opinione ben più razionale non riuscì a far presa nel suo animo. Collaborare avrebbe significato abbandonare la giustizia. Oh no, non poteva. Quello era il suo fine, a cui non avrebbe mai voltato le spalle. Se quella era l'unica possibilità per fuggire dall'isola, la declinava gentilmente: la sua missione era portare Mijime dietro le sbarre e, in quel luogo, era come se stesse scontando la sua prigionia. Lei sarebbe impazzita - perché lo sapeva che l'isola la stava portando alla follia - ma avrebbe completato il suo scopo: non esisteva nient'altro di importante.

Poi, anche se si fossero uniti, il tesoro non lo avrebbero trovato: affermare questo era solo un'illusione. Così, tutti gli elogi che le aveva rivolto non potevano che essere falsi; quel pensiero l'abbatteva ancora di più. Da quando era lì non aveva ancora portato a termine qualcosa di buono e sentirselo costantemente rinfacciato dall'atteggiamento irrisorio del suo compagno non faceva che peggiorare la situazione. Non capiva cosa le stesse accadendo, probabilmente non ne sarebbe mai venuta a capo, e per questo non poteva abbandonare anche il suo più importante ideale: di lei altrimenti cosa sarebbe rimasto?

L'immagine della donna dai ricci neri che spesso veniva a trovarla si palesò davanti a lei anche allora, squadrandola severa.
"Qui non ci sei, ma non posso comunque deluderti" rifletté la giovane e la donna nella sua testa annuì per poi scomparire.

Bellatrix sospirò e strinse le mani a pugno, determinata. Doveva fare solo due cose: continuare a seguire la giustizia e recuperare la sua razionalità. Del resto non le importava: in un modo o nell'altro sarebbe andata avanti comunque.
"Ce la farò" continuava a pensare. "Non importa se Mijime persisterà nel distrarmi, se l'isola vuole farmi impazzire a tutti i costi con la sua mancanza di senso: io ce la farò. Ce l'ho sempre fatta". Ma di quei pensieri non era convinta nemmeno lei.

E così Bellatrix continuava a tormentarsi da ore, distraendosi se non altro da un Mijime che si stava improvvisando direttore d'orchestra, talmente immersa nei suoi pensieri che non notò che la foresta aveva iniziato a diradarsi.

Dopo ore e ore di viaggio, intravide una luce tra le piante, che le fece sorgere un sorriso spontaneo sulle labbra: erano arrivati! Corse istintivamente verso l'uscita e ritrovò il sole, che le baciò la pelle candida. Com'era bello tornare sotto il suo caldo tepore dopo settimane trascorse sotto l'ombra degli alberi!

Assaporò al meglio quel tepore, ma un colpetto di tosse del giapponese la fece risvegliare di soprassalto; in risposta lei gli lanciò una delle sue solite occhiatacce, come al solito, senza raggiungere il suo scopo intimidatorio. Avrebbe dovuto mantenere un atteggiamento indifferente, in cuor suo lo sapeva, ma con lui era davvero un'impresa mostrarsi imperturbabile.

Cercò di sopprimere il desiderio di colpirlo di nuovo e volse lo sguardo su ciò che si trovava davanti a lei. La bocca si spalancò involontariamente: un'enorme gola scendeva a precipizio proprio sotto di loro e proseguiva a lungo fino all'altra sponda, a occhio uno o due chilometri più avanti. Sembrava che una potenza sovrumana avesse diviso la terra proprio in quel punto, formando quell'immenso crepaccio che segnava il termine della giungla: sull'altro lato infatti s'intravedeva una fresca erbetta verde e rigogliosa, che ricopriva il territorio collinare caratterizzato da dolci pendii. Tutt'altra storia rispetto all'umida foresta pluviale in cui erano rimasti: il luogo che si trovava al di là pareva perfetto; nessuna bestia feroce, nessun pericolo imminente, solo pace e tranquillità. Alla sola vista di quelle colline Bellatrix si sentì più leggera e per un attimo dimenticò tutto il resto, mentre la mente andava a immaginare come doveva essere immergere i piedi nell'erba fresca, respirare l'aria che doveva esserci di là...

«Bene, le maghe si trovano oltre il canyon». La voce di Mijime fece sobbalzare Bellatrix. Si era distratta un'altra volta! Era già la seconda volta in meno di pochi minuti: isola dannata!

Mijime ridacchiò, scuotendo la testa, e si affrettò a indicarle un punto al di là della gola: una nuvola di fumo si propagava dietro le colline fino a salire in alto nel cielo e a disperdersi nell'atmosfera. Bellatrix sgranò gli occhi, eccitata: l'abitazione delle maghe doveva essere nascosta tra quei prati verdeggianti.

«E fin qua ci siamo» continuò Mijime, accondiscendente. «C'è solo un problema: come le raggiungiamo?»

Bellatrix stava per rispondergli secca, quando notò che a collegare le due sponde non era presente alcunché. Subito si incupì: attraversare la gola era impossibile e non potevano certo raggiungere le maghe volando. Ma allora cosa potevano fare? Come avevano fatto tutti gli altri abitanti dell'isola a recarsi da Arla e Silva, allora?

Mentalmente provò a esaminare di nuovo le istruzioni che Genew le aveva fornito il giorno precedente: "La casa delle maghe più vicina a noi si trova poco più a sud della foresta, circondata da un crepaccio che corre tutt'intorno alla loro prateria. Una volta giunta lì, dovresti trovare il ponte di legno per accedervi proseguendo verso ovest". Le aveva davvero riferito tutto quanto e lei lo aveva momentaneamente rimosso... Colpa di Mijime e delle sue canzoni! Scosse la testa e si liberò da quei pensieri: non era il momento di rammaricarsi; nel futuro sarebbe stata più attenta e non avrebbe dimenticato nulla, come sempre.

«Procedendo verso ovest c'è un ponte di legno» rimuginò, provando a controllare nella direzione in cui il sole stava terminando il suo corso.
«Io non vedo proprio nessun ponte, mia cara» considerò Mijime, l'espressione appena divertita.
"Non serve che me lo ricordi, lo vedo da sola". Stringendo i denti, provò a scrutare l'orizzonte: niente, nessun passaggio. Guardò a lungo, tanto che a un tratto le parve di vedere qualcosa che si stava muovendo a una velocità incredibile, sorvolando il crepaccio. Sbatté le palpebre e sopra la gola non ravvisò più nulla: persino le allucinazioni iniziavano a capitarle...
Si girò verso il suo compagno, riferendogli: «Genew mi aveva detto così».

«Oh, hai ragione infatti. Guarda, eccolo là!» esclamò, emozionato tutto d'un tratto, tendendo l'indice verso un punto alle spalle della giovane, che si voltò rapidamente, credendo che il ponte fosse comparso all'improvviso. Ma la situazione non era cambiata rispetto a prima, se non per Mijime, che aveva iniziato a ridere di gusto dietro di lei.

«Ti sembra divertente?!» scandì, espirando sonoramente dalle narici, più arrabbiata con se stessa per la propria ingenuità che per lo scherzo in sé. Da quando aveva iniziato a credere a tutto ciò che le veniva detto?
«Avanti, mia cara» disse l'altro, sornione. «Devo pur stemperare la tensione, altrimenti tutto questo diventa una vera tragedia».
Bellatrix si portò una mano alla fronte, stremata da quella giornata: «Vorrei solo che ti spegnessi».

~

«Elvira! Elvira!»

Un'esile figura, dai capelli e dalla tunica dello stesso marrone intenso, volò alla massima velocità sul crepaccio, passando poi sui prati verdeggianti, fino a schiantarsi contro un fiore che ospitava altre due piccole creature, che beatamente sonnecchiavano tra i morbidi petali. All'impatto, la corolla si piegò in avanti e le tre atterrarono tra i fili d'erba.

«Elpenore, che c'è? Stavo dormendo!» protestò una di quelle addormentate, scrollandosi di dosso la terra che era andata a imbrattare il suo vestitino rosa.
«Esatto, Elpenore! Capiti sempre nei momenti peggiori!» le fece eco l'altra, scostandosi i capelli dorati dagli occhi verdognoli ancora assonnati.

«E tu che c'entri, Elene? Potevi anche startene a dormire» borbottò Elpenore la disturbatrice, che, prima che la terza fata potesse protestare ancora, si rivolse di nuovo a quella dei fiori, con lo stesso entusiasmo con cui era arrivata: «Elvira, devi ascoltarmi: proprio dall'altra parte della gola c'è quel mortale a cui abbiamo cambiato nome quasi una luna fa, che adesso vuole passare per andare dalle maghe. Non vuoi andare ad aiutarlo?» chiese infine, con un sorrisetto malizioso.

Elvira, dall'altra parte, la squadrò confusa, alzando le spalle: «E che mi importa dei mortali? Mica voglio essere punita dalle maghe per questo: se il ponte non c'è, è perché vogliono stare tranquille».
«Ma è quello bello!» continuò Elpenore, sgranando gli occhi a sentire che la sua compagna non ne era interessata. L'aveva svegliata solo per vederla di nuovo infatuarsi di quello lì - di cui ovviamente aveva dimenticato il nome. Ma se non lo ricordava più che gusto c'era?!

«Ah sì? Quale?»
«Mmm... ha i capelli neri, gli occhi neri...»
«Sai quanti ne abbiamo visti...»
Elpenore ebbe finalmente un'illuminazione per descrivere il bel giovane: «È quello che sembra un daimon perché è senza barba!»

Elvira rimase senza parole per alcuni secondi, per poi sgranare gli occhi fino a far luccicare alla luce del sole le due iridi ametista: «Lui?! Parli proprio di lui? Di quel mortale bellissimo?»
«Sì sì!» esclamò la fata degli alberi, sollevandosi in volo dall'euforia.
«Pur di ammirarlo posso anche sopportare un castigo di Arla. Andiamo ad aiutarlo!» Elvira la imitò, gli occhi che scintillavano al pensiero del mortale, e prese per mano anche la terza fata. «Elene, vieni anche tu: uno spettacolo del genere non lo vedi tutti i giorni».

~

Bellatrix si sedette, buttandosi a terra sconfortata: dopo aver rivolto una delle sue solite sfuriate contro il compagno, esausta anche dal viaggio senza sosta intrapreso all'alba di quella mattina, non era più riuscita a reggerlo e si era allontanata da lui, cercando la pace da sola.

Ma che pace voleva trovare? Non sarebbero andati dalle maghe: il loro viaggio era stato compiuto a vuoto. Neanche un compito così semplice come quello della transizione, il motivo per cui era partita, era riuscita a portare a termine. Era diventata così... inutile. Si sentiva inutile, ogni sua azione lo era. Era colpa dell'isola, di questo ne era certa, ma non riusciva ad accettarlo. 

Sbuffò, prolungando quell'espirazione per diversi istanti: non poteva piangere, c'era Mijime dietro di lei e non voleva dargli un ulteriore motivo di derisione! Proprio mentre la sua mente lo pensava, lo sentì spostarsi vicino a lei, sedendosi al suo fianco. E adesso cosa voleva da lei?! Ma Bellatrix non aveva più la forza per opporsi ancora, e mormorò semplicemente: «Quindi siamo bloccati qui».
«Evidentemente» la assecondò l'altro.

La sua testa a un tratto si fece troppo pesante per reggersi da sola e andò ad appoggiarsi sulle ginocchia. «Perché mi è venuta l'idea di partire?» iniziò a rammaricarsi: non era da lei, sapeva che piangersi addosso non serviva a nulla, che piuttosto bisognava reagire, ma in quel momento non ne era proprio in grado. «Potevo aspettare che fosse Genew ad andare a eseguire la transizione».

Intercorsero secondi di silenzio, ma poi Mijime ribatté: «Non potevi saperlo». La voce era calma e serena, priva di ogni traccia di scherno: quasi non sembrava la sua. «Dai, considera il lato positivo: siamo sfuggiti ai tumulti che ci saranno sicuramente al clan».

Bellatrix non credeva alle proprie orecchie, sentendo l'improvvisa gentilezza del giovane, tanto che sollevò appena la testa per vederlo con i suoi occhi: sul volto di Mijime era sorto un sorriso che sembrava volerle infondere coraggio. Non era davvero lui, il criminale, assassino, malvivente che si era trovata ad avere come compagno di clan, quello!

«Oh, vero» rispose, sovrappensiero, considerando appena le sue parole, ancora sbigottita da quel cambiamento repentino.
«Riusciremo ad affrontare anche questo problema:» continuò Mijime, sempre tranquillo, «passiamo la notte qui e domani partiamo di nuovo per Tou Gheneiou. Spiegheremo la situazione a Genew e sono sicuro che comprenderà».
«E gli altri Gheneiou?» rifletté la giovane, ricordandosi subito dell'ostilità del popolo che li ospitava. I problemi non erano certo finiti e lei stava a rimuginare sul cambiamento di Mijime!

«Se lo faranno andare bene» fece spallucce l'altro. «Se non ci vorranno ce ne andremo, ma tutti insieme, portandoci anche il Figlio del Sole. Saranno costretti a tenerci con loro».
«E questo come lo sai?» chiese poi Bellatrix, la cui attenzione era stata attirata dal logico e semplice piano di Mijime, che presupponeva però la conoscenza della profezia, che lei sola aveva appreso da Genew.

«Varie informazioni apprese origliando la scorsa notte» mormorò velocemente l'altro, cercando di evitare lo sguardo di lei ma trattenendo un'espressione giocosa. «È un metodo utile, non dire il contrario».
«Per questa volta te lo concedo: mi hai sollevato dal dover rispiegare tutto quanto» sorrise lei, rimanendo allo scherzo, sentendo subito dopo la risatina di Mijime. Stavano davvero ridacchiando insieme? Non solo lui aveva cercato di consolarla e avevano iniziato a parlare civilmente, senza che lui si facesse beffe di lei o che lei urlasse contro di lui, ma avevano persino iniziato a ridere. A Bellatrix sembrava incredibile: lo guardò di sfuggita per un istante, senza che lui la notasse, imprimendosi nella mente il suo profilo sereno, sebbene non avessero terminato la loro missione, le sue labbra piegate verso l'alto, che scoprivano appena l'arcata superiore dei denti. Forse l'aveva giudicato male, facendo combaciare le sue azioni alla sua persona: forse doveva ricredersi, forse non era così.

«Elpenore!» Un urlo acutissimo le perforò un orecchio e subito si destò dalle sue considerazioni. Tre minuscole figure si stavano dirigendo velocemente verso di loro, volando. La giovane si espresse in una smorfia contrariata, notando con la coda dell'occhio un'espressione analoga sul volto di Mijime: ci mancavano solo le fate.

Più si avvicinavano, più i loro gridolini sembravano acuirsi, sebbene ciò che stavano dicendo rimanesse incomprensibile alle menti dei due giovani: kàllistos, kàllistos, kàllistos*, e altre parole che Bellatrix non avrebbe saputo riprodurre.

Volavano vicine, con in testa quella che ricordava si chiamasse Elpenore, subito seguita da Elvira, con gli occhi spalancati e la bocca semi-aperta, che teneva per mano un'altra fata ancora, vestita con gli stessi colori della prima, in profondo contrasto con i capelli talmente dorati da brillare sotto gli ultimi raggi del sole.

Arrivarono infine sulla loro sponda e si precipitarono in pochi istanti davanti a Mijime, sempre mantenendosi in aria; smisero finalmente di conversare tra loro, limitandosi a osservare con attenzione il giovane, con gli occhi carichi di estasi. In breve, Elpenore si risvegliò da quella specie di torpore e rivolse un grande sorriso al giapponese: «Salve, kàlliste thnéte**, mortale bellissimo!» disse, facendosi comprendere, alzandosi appena in volo fino a sfiorare con le manine la punta del naso dell'interlocutore. Elvira e l'altra le furono subito di fianco. «Hai bisogno di parlare con le maghe se sei venuto fin qui, vero?»
«Be', sì» mormorò Mijime, probabilmente ancora sorpreso da quell'incontro inaspettato.

«Sei proprio capitato nel periodo peggiore, stupidello, quando le maghe non vogliono seccatori» ridacchiò quella bionda. «È per questo che hanno fatto scomparire il ponte».
«Ma niente paura: vieni con noi!» esclamò di nuovo Elpenore, abbassandosi fino a raggiungere la mano destra del giovane, che provò a tirare per farlo alzare.

L'altro non oppose resistenza e seguì le tre fate che si erano di nuovo appressate al crepaccio. Bellatrix si rimise a sua volta in piedi e lo raggiunse in fretta, ma subito le creature tornarono indietro, piazzandosi con le mani sui fianchi come a volerle sbarrare la strada.

«Ehm... lui può venire e ascoltare» disse Elpenore, seria.
«Tu no, racchia!» sottolineò Elvira, che non aveva ancora parlato fino ad allora ma che sembrava la più attirata dal giovane mortale.
«Ma-» provò a protestare Bellatrix, ma la figura rosa si scagliò contro di lei, puntandole contro un minaccioso indice.
«Niente obiezioni!» gridò, con le guance che avevano assunto un colore ancora più intenso di quello del suo vestitino.

La giovane stava per ribattere, già sul piede di guerra, ma Mijime, alle spalle degli esserini, le fece segno di attendere. Effettivamente, non aveva tutti i torti: una volta che le fate avessero fatto apparire il ponte, avrebbe potuto oltrepassarlo anche lei. Ascoltarle non era certo indispensabile e, se lo fosse stato, Mijime le avrebbe riferito le informazioni necessarie.

Bellatrix tornò a sedersi, tenendo gli occhi puntati su Mijime e le fate: chissà adesso come l'avrebbero fatto comparire, il ponte...
Senza motivo le tre si erano messe a svolazzare intorno alla testa del giovane, visibilmente provato dai continui urletti che emettevano quelle, che cercava di riportarle all'ordine. A un tratto sembrò che si fossero calmate: continuavano a ridacchiare, ma si erano fermate, adagiandosi sulle spalle del giapponese.

«Ma lo volete far apparire questo ponte o volete continuare a scherzare?» lo sentiva dire, al limite della sopportazione. Bellatrix trattenne una risata divertita: "La prossima volta canti di meno e fai meno il molesto, se non vuoi che queste tue abilità ti si ritorcano contro" pensò bonariamente.

Le fate avevano ripreso a confabulare tra di loro, così piano che Bellatrix non riusciva a sentire; dovevano anche parlare nella loro lingua, o per lo meno dire cose del tutto insensate, considerata l'espressione confusa che Mijime aveva assunto.

Bellatrix provava a tendere l'orecchio ma non c'era nulla da fare: dopo diversi tentativi in cui cercava di decifrare i loro bisbigli, si arrese, sbuffando per l'impazienza. Ma quanto ci voleva?! E se fosse stato solo una loro beffa: non si sarebbe stupita di un comportamento simile da parte loro...

Ma non fece in tempo a pensarlo che dalla terra sotto di lei sentì un rapido movimento, come se il suolo si stesse innalzando. Guardò immediatamente e vide che dalla foresta si stava formando una protuberanza del terreno, che continuava a prolungarsi verso il dirupo.

La giovane si alzò in piedi e proprio in quel momento una radice di enormi dimensioni, quella che aveva smosso la terra sotto di loro, perforò la parete della gola e continuò ad allungarsi, sempre di più, e con sempre maggiore velocità.

Bellatrix, continuando a sentire la terra muoversi al passaggio della pianta, spostò lo sguardo da quell'evento incredibile a Mijime, a sua volta stupefatto, e dal suo compagno alle fatine, che da quando la radice aveva iniziato a muoversi stavano ridendo a dismisura e delle quali le due vestite di marrone avevano preso un colore più intenso, brillando, come due piccoli astri.

A un tratto la radice smise di deformare il suolo e Bellatrix distrasse l'attenzione dalle fate, rivolgendola all'altra sponda, con cui erano ora collegati da un solido e massiccio tronco, appena ritorto in alcuni punti, ma per lo più rettilineo, grande come il fusto di una pianta centenaria: per abbracciarne il diametro sarebbero serviti almeno quattro uomini.

La giovane iniziò a muoversi lentamente verso il ponte magico: più lo guardava, più non riusciva a capacitarsene. Una radice della foresta? L'avevano fatta crescere? A tal punto? Quelle creature così stupide avevano in realtà tali poteri? Ma non era possibile, non era possibile!

«Se ne sono andate».
Bellatrix sobbalzò: Mijime era di fianco a lei, di nuovo da solo. Un'altra volta si era persa nei suoi pensieri!
«Come-» provò ad articolare lei, appena ripresasi dal suo rimuginare, protendendo le mani verso l'enorme radice; ma le parole le mancavano.
«Ho imparato a non farmi più domande da quando sono qui. Dovresti farlo anche tu, Bellatrix» considerò, per poi avvicinarsi al ponte, ponendovi sopra prima un piede e poi un altro e iniziando a camminare spedito.

"Dovresti farlo anche tu, Bellatrix". Ma come poteva farsi una ragione di tutto ciò che accadeva? Non era razionale, per niente, non aveva senso! Era qualcosa che andava al di là della sua logica, l'unica costante su cui aveva sempre saputo di poter contare, e per questo non riusciva ad accettarlo. Per questo la mandava tanto in crisi.

Uno schiocco di dita la riportò - per l'ennesima volta - alla realtà: Mijime era avanzato ormai di qualche metro e la stava aspettando, quasi con impazienza. Bellatrix non lo fece attendere oltre e, cercando di sbarrare la strada a ogni altro pensiero, lo raggiunse.

Il tramonto aveva tinto di rosa il cielo terso e privo di nembi che lo deturpassero; l'unico vapore presente nella volta celeste era il fumo che si scorgeva dietro le colline. Procedendo l'una dietro l'altro, i due giovani si incamminarono verso il luogo dove vivevano le misteriose maghe.

~

Helloooooooooooooo!
Oggi siamo più in vena del solito e pronte a commentare brevemente questo capitolo, da parte di Bellatrix, che, per quanto a una lettura disattenta non sembri, è piuttosto complessa. Non voglio darvi già la pappa pronta, quindi mi limito a esortarvi a riflettere sul rapporto che c'è in lei tra razionalità e irrazionalità, che è poi il giochino su cui si fonda buona parte del suo personaggio. Che ne pensate di lei, anche dopo aver pensato a questo rapporto piuttosto conflittuale? Del suo continuo perdersi nei suoi pensieri, quando nell'Exo era una delle migliori spie in circolazione? Perché la sua disattenzione sembra aumentare man mano passa del tempo sull'isola? E che ne pensate, infine, del suo rapporto con Mijime? Perché tutto d'un tratto in questo capitolo è cambiato nei suoi confronti? Fateci sapere che siamo taaanto curiose :))))))))))
Detto ciò, a presto: ci rivedremo con un capitolo suuuuuper intrigante (almeno, speriamo!)
Ciao ciaooo
~🐼🐢

*kàllistos: bellissimo, è il superlativo maschile singolare di kalòs
*kalliste thnete: bellissimo mortale, al vocativo.

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