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Bellatrix fu destata dai primi raggi del sole che andarono a solleticarle il viso. Avrebbe voluto godersi quel dolce momento di risveglio ma non c'era il tempo: doveva sbrigarsi a chiedere informazioni sul Vulcano per raggiungerlo il prima possibile, come aveva stabilito.

Inizialmente aveva pensato di interrogare le maghe anche su questo, sperando che non l'avrebbero cacciata a causa del dialogo dai toni piuttosto accesi del giorno precedente, ma l'enorme radice con cui le fate avevano fatto congiungere le sponde opposte era scomparsa durante la notte: doveva trovare un'altra strada, compito non certo semplice. Gli unici che sapeva potevano venirle in aiuto erano i Gheneiou, ma non poteva certo tornare al clan dandola di conseguenza vinta a Mijime, che glielo aveva proposto fin dall'inizio.

Ma un colpo di fortuna aveva deciso di agevolarla e fu un'acuta quanto cristallina risata a rivelarglielo: non lontano dal luogo dove si era addormentata alcune fate erano sedute su una roccia a chiacchierare amabilmente tra loro. Il volto della giovane si illuminò, ma la sua razionalità le impose di stare calma e non agire in modo avventato. Così si avvicinò, senza far rumore, tenendosi a una distanza sufficiente per poter origliare le loro conversazioni: avrebbe pensato a come inserirsi e arrivare ai propri scopi solo dopo aver sentito di cosa stessero parlando.

«... e si è innamorata di un mortale» disse una dalla voluminosa chioma azzurrina, che sembrava tenere le redini del discorso.
«E com'è?»
«È quello che se n'è andato ieri notte da qui».
«Eh, non l'ho visto bene, ero lontana...»
«Ve lo dico io, è proprio bello».

Qualcosa suggeriva a Bellatrix che stessero parlando di Mijime. Sogghignò tra sé, considerando come avrebbe dato di matto, se avesse saputo che almeno un'altra decina di fate si era invaghita di lui.

«Elissa, ma Elvira si è proprio innamorata? Nel senso, innamorata innamorata?» obiettò un'altra piuttosto stralunata, dalla pelle e i capelli così scuri da sembrare carbonizzati, mentre Bellatrix tornava a prestare loro estrema attenzione: era dunque la fata dei fiori, tra quelle che conoscevano, a essersi persa per Mijime. Si segnò mentalmente quell'elemento: poteva essere importante.

«Suvvia, Eltea, le fate non si innamorano!» Le compagne iniziarono subito a redarguire l'ultima che aveva proferito parola.
«Al massimo si sarà infatuata».
«Che sciocca a infatuarsi per un mortale!»
«È meglio perdere la testa per i folletti, che sono della nostra stessa misura. Con un mortale mica puoi godertela...»
«Come sono fortunati i daimona e le ninfe! Loro possono innamorarsi di chi vogliono!»
«Mi fanno così tanta invidia... Alcuni mortali sono così carini».

«Oh, ma lui non è soltanto carino. Alcuni lo scambiano persino per un daimon tanto è divina la sua bellezza» disse Bellatrix, il tono encomiastico, il sorriso che tratteneva una smorfia divertita: aveva in mente un piano che non avrebbe mancato l'obiettivo.

Le fate si girarono repentinamente verso di lei, sobbalzando per la sorpresa: le sue doti da spia non l'avevano ancora abbandonata del tutto, allora!
«E questa che vuole?!» esclamò quella che doveva chiamarsi Eltea, abbastanza irritata per l'interruzione.
«Qualcuna sa chi sia?» chiese un'altra, con indosso una svolazzante tunica verde, dubbiosa.

La giovane si schiarì la voce e con un tono estremamente sicuro di sé riprese il suo discorso, che avrebbe intrappolato le ingenue fatine: «Non preoccupatevi di chi sia io: non sono importante. Nulla in confronto a lui, l'uomo di cui la vostra amichetta si è invaghita. Il suo nome è Mijime e ha fama di essere il più bello dei mortali. I suoi capelli, di un nero perfetto, si dice siano più morbidi e lisci di qualsiasi altra fibra; la sua pelle è priva di brutture e, se ci sono, sembra che la natura gliele abbia volute concedere per mostrare che anche con dei nei e delle cicatrici è comunque un essere perfetto; i lineamenti, poi, sono dolci e mascolini al contempo, in una giusta via di mezzo che risulta piacevolissima alla vista».

Sui volti delle fate era scomparso l'iniziale sospetto che Bellatrix aveva colto appena si era mostrata a loro e, ammaliate dalla descrizione del suo compagno di clan, la ascoltavano totalmente assorte. La giovane, dal canto suo, nemmeno faticava a intessere gli elogi dell'aspetto di Mijime, anzi le riusciva quasi naturale: per quanto lo detestasse, non poteva non riconoscere la sua bellezza.
«Ma i suoi occhi sono ciò che incanta di più:» continuò, pronta a concludere il suo encomio, «scuri, profondi, intensi, ma soprattutto brillanti; è una scintilla, quella della sua intelligenza, che li rende tali».

Le fate sembravano attonite, tanto che non proferivano più parola, finché quella di nome Elissa non esclamò: «Sembra la descrizione di un daimon
«No! No! È meglio! Gli occhi dei daimona non hanno nulla di speciale».
«Invece i suoi... oh, non riesco nemmeno a immaginarli da quanto sono belli!»

La giovane le lasciò sfogarsi, divertendosi anche a sentire le assurdità che talvolta sparavano, finché fu certa dell'interesse che aveva suscitato in tutte loro.
«Ma...» proseguì, il tono stravolto: al suo interno una marcata nota malinconica. Le fate si ammutolirono di nuovo, prestandole ancora una volta la loro completa attenzione. «...c'è un però: la sua bellezza è destinata a morire e probabilmente mai ne nascerà un'altra altrettanto nobile e pura».

Bellatrix si portò teatralmente una mano alla fronte, fingendosi affranta, e non poté gustarsi le espressioni sconvolte delle fate, che per qualche istante rimasero in silenzio, allibite, per poi esplodere ancora, tra urla isteriche, pianti e brevi voli da un fiore all'altro per stemperare la tensione. Se Bellatrix non fosse stata una professionista dell'arte del mentire, non sarebbe riuscita a trattenere le risate.

«Che sciagura!»
«Bisogna fare qualcosa!»
«Ma noi non possiamo fare niente!»
«No! No! Non è giusto!»

Avrebbero continuato ancora a lungo, ma era ora che il piano della giovane proseguisse.
«Purtroppo» disse, alzando il tono della voce perché le fate tornassero ai loro posti, «tutto ciò è inevitabile. Ma voi siete fortunate: potreste avere la possibilità di conoscerlo, vederlo, toccarlo, rendervi conto della sua perfezione».

Il tono persuasivo di Bellatrix calmò in un istante gli esserini, che iniziarono a meditare tra loro le parole dell'umana.
«Giusto» asserì infine quella dai capelli azzurri, annuendo, imitata da alcune sue compagne: molte però non sembravano ancora convinte in merito al discorso, così Bellatrix si sbrigò ad aggiungere: «E vi basterà conservare in voi il suo ricordo, una volta che la sua bellezza sarà sfiorita».
«Vero anche questo!» esclamò l'altra fata più in mostra, sollevandosi in aria dalla gioia. Quell'ultima notizia risollevò il morale anche a tutte le altre, che presto si librarono anch'esse in volo, unendosi tra loro e abbracciandosi. Bellatrix sogghignò, mentre si accingeva ad arrivare alla sua richiesta, che non avrebbero potuto rifiutarle: «Ve lo mostrerò io, che sono una sua compagna di clan, se vorret-». Ma le fate, già alle prime tre parole, erano completamente impazzite.

«Ti prego, ti prego, conducici da lui!» iniziarono a urlare in coro, mentre si fiondavano sulla testa di Bellatrix, tirandole i capelli, strizzandole le guance, avvinghiandosi alle sue orecchie... La giovane fece un balzo all'indietro per liberarsene, per poi lanciar loro un'occhiata storta.

«Non voglio lasciarlo tutto a Elvira, ne voglio un po' anche io» biascicò Eltea, a mo' di giustificazione.
«Ma certo,» disse Bellatrix, prendendo un respiro per calmarsi, mentre si ricordava che, per quanto fastidiose ed esuberanti, le erano indispensabili, «con calma però». Le fate, ubbidienti, tornarono a sedersi sulla loro pietra. «Ho bisogno di un favore da parte vostra, se volete che ve lo mostri».

Un'espressione di sgomento oltrepassò i volti di tutte quante e la fata dai capelli azzurri aveva già iniziato a dire: «Ma noi non potrem-».
«Elissa, falla parlare!» la interruppe di nuovo quella dalla pelle del color del carbone, per poi rivolgersi a Bellatrix: «Avanti, thnétē*, dicci».

La giovane era stranita da quella situazione: era abituata ai repentini sbalzi d'umore delle fatine, ma non capiva perché adesso non potessero aiutarla.
«Indicatemi dove si trova il Vulcano» espose infine: nel peggiore dei casi non glielo avrebbero rivelato... Ma in quel caso cos'avrebbe potuto fare?

Bellatrix attendeva la risposta, cercando di non mostrare l'agitazione che si era impadronita del suo corpo, mentre le fate spostavano lo sguardo da lei alle compagne, troppo pensierose per la loro natura; persino timorose. Ma cosa c'era che non andava?
«Eltea, non dirglielo, non possiamo!» esclamò infine una fata completamente rossa.

Tutte restavano in silenzio, attendendo soltanto la risposta che avrebbe dato Eltea, l'unica che sembrava ancora non demordere, desiderosa di accettare il patto di Bellatrix. Con un sorrisetto furbo - per quanto furbo possa essere il sorriso di una fata - mormorò: «Oh, ma io non glielo dirò». Si andò quindi a piazzare davanti all'umana, così da guardarla in faccia, le braccia conserte e un'espressione seria: «Thnétē, quando ce lo mostrerai?»

Bellatrix cercò ancora di non farsi domande in merito a tutta quella farsa e si limitò a rispondere: le bastava solo che le dessero le indicazioni! «Una volta che avrò ottenuto i poteri dal Vulcano, tornerò proprio in questo posto, di fronte alla terra delle maghe, portando con me Mijime». Pronunciando il nome del diretto interessato, si accorse solo allora di aver fatto i conti senza l'oste... Be', dopotutto se lo meritava!

«E questo tra quanto?» continuò a scrutarla Eltea.
«Siete immortali, a voi cosa cambia?» rispose di getto la giovane, sperando che quella motivazione fosse sufficiente a non suscitare in loro altre domande. «Vi basti sapere che lui sarà ancora nel pieno del suo vigore» specificò poi, per essere meno evasiva.
«Mh...» rifletté a lungo Eltea, per poi annuire, tutta sorridente. «Affare fatto» disse, allungandole la piccola mano; Bellatrix le porse il suo indice e sigillarono così il loro accordo. «Eleanor!» esclamò quindi l'esserino e una fata piccola e minuta dalla scoppiettante chioma arancione si avvicinò timidamente a lei. «Per tutti i daimona, ho un vuoto di memoria: mi sapresti dire dove si trova il Vulcano?»

Quelle parole fecero rispuntare il sorriso sul volto timoroso della fata arancione, che volando un po' più in alto puntò un dito in mezzo alla foresta. Bellatrix alzò la testa verso il cielo: il sole, sorto ormai da qualche ora, era spostato un po' a sinistra rispetto a quanto avesse indicato la fata. Est-Nord-Est: quella era la strada che doveva seguire.
«Di là, Eltea! A sette giorni da qui».

Ogni parte di Bellatrix fremeva e per nulla al mondo sarebbe rimasta ancora ferma. «Vi ringrazio!» esclamò, piena di gioia, e subito, incurante del lungo viaggio che avrebbe dovuto affrontare, incurante delle vocine delle fate che le urlavano dietro «Ricorda di tornare presto!», incurante di Mijime, che aveva utilizzato come una merce di scambio, incurante di ogni altra cosa, iniziò a correre verso il luogo dove tutto sarebbe cambiato.

~

La sera era calata prima di quanto avesse potuto immaginare. Bellatrix aveva camminato per tutto il giorno sotto le fronde della foresta pluviale, più fitta e paludosa rispetto al territorio che aveva percorso il giorno precedente, e ben più viva e diversificata per la fauna. Impegnata com'era a fantasticare sul suo arrivo alle pendici del Vulcano, non si era nemmeno accorta dello scorrere del tempo.

Continuò a camminare ancora un poco per poi fermarsi, quando il buio non le permetté più di proseguire: non aveva alcun lume con sé e la foresta non permetteva al chiarore lunare di mostrarle la via. Decise di andare su un albero dove avrebbe mangiato qualche frutto raccolto strada facendo e si sarebbe riposata, per poi ripartire all'alba del giorno seguente. Non era ugualmente sicuro assopirsi, ma non poteva non pensare di dormire finché non avesse raggiunto il Vulcano: le fate avevano detto che ci sarebbero voluti sette giorni, probabilmente senza contare eventuali imprevisti. Le sarebbe stato sufficiente fare economia sulle ore di sonno, per poter dormire il minimo indispensabile.

Accomodatasi sul ramo prese a sbucciare un frutto dalla succulenta polpa rossa con il coltello, ormai il suo inseparabile compagno, senza il quale sarebbe stata completamente perduta e in balìa degli eventi. Iniziò a mangiare, mentre pensava alla giornata trascorsa e a ciò che avrebbe dovuto fare nei giorni successivi: le fate non erano state molto esaustive nella loro risposta e quindi non era sicura di cosa la attendesse. Luoghi impervi? Bestie feroci? Clan bellicosi? Cos'era stato a farla partire in tutta velocità senza chiedere maggiori informazioni agli esserini? Ma forse non v'era nulla di pericoloso durante il tragitto, per questo le fate non avevano aggiunto altro: avrebbe continuato a trovare territori floridi e ricchi di frutti e sostanzialmente disabitati. Al massimo poteva incappare in una belva, dalla quale però sapeva di essere capace di difendersi. Sì, era certamente così.

Un rumore di rami che si spezzavano provenne dalla vegetazione sovrastante. Bellatrix lasciò cadere il frutto che stava mangiando e la mano si strinse subito attorno al coltello. Ma dalle foglie che la nascondevano spuntò fuori solo una piccola scimmietta, dall'aspetto innocuo e simpatico.

Bellatrix sospirò, dando voce ai suoi pensieri: «Certo che mi hai fatto prendere un bello spavento».
La scimmia per tutta risposta storse appena la testa di lato continuando a fissare la giovane con i suoi occhioni; senza mai spostare lo sguardo da lei, staccò le zampe dal tronco a cui era appesa, lasciandosi penzolare dalla coda. Bellatrix non riuscì a reprimere una risata: Rose che si dondolava dai rami a Tou Gheneiou era davvero uguale.

Chissà cosa stava accadendo là?
Avrebbe voluto tanto esserci, a sentire i discorsi di Iulius, a far giocare i piccoli Hermit e Sofia, ad ascoltare le lamentele di Rose verso Kairos. A stare in compagnia con quella famiglia così felice. Si sentì improvvisamente sola, come mai era successo prima; non doveva: gli affetti sono soltanto una distrazione. Quella stessa frase si ripeté nella sua testa, pronunciata dalle labbra della donna dai lunghi e crespi capelli neri, identici ai suoi, che non faceva che guardarla amareggiata.

"Lo so che ti sto deludendo" disse tra sé, provando a comunicarle: doveva renderla fiera di lei. "Ma non ti preoccupare: una volta che avrò ottenuto i poteri da Robero tornerò quella di prima. Tornerò a essere me stessa. Te lo prometto".

La donna si dissolse e Bellatrix rivide ciò che stava accadendo nella realtà: la scimmietta che le era sbucata davanti si era avvicinata a lei sempre di più; completamente persa nei suoi pensieri, non aveva notato che l'animaletto, attratto dal coltello, aveva iniziato a tirarlo per prenderlo.

La scimmia impiegò un po' più di forza e in men che non si dica le rubò l'arma, per poi scappare di nuovo tra le fronde. La giovane imprecò: aveva appena pensato pochi minuti prima che senza quell'arnese sarebbe stata assolutamente perduta. Maledizione! Lei stessa e la sua distrazione! Doveva tornare in sé, doveva tornare in sé... ma prima ancora doveva riprendere quel coltello. Iniziò ad arrampicarsi verso il luogo in cui supponeva si fosse nascosto il piccolo primate, cercando di non fare troppo rumore per spaventarlo.

Lo trovò appeso a un nuovo ramo mentre maneggiava il coltello quasi ammirandolo. Bellatrix gli si avvicinò, provando a tendere con cautela la mano verso l'arma: «Avanti, scimmietta, ridammi il coltello».
In risposta, si trovò l'animaletto che le rivolgeva un'espressione quasi corrucciata.
«Avanti, su» provò di nuovo, cercando di parlare con una voce tranquillizzante, allungando ancora la mano verso il coltello: era ormai vicinissima. «Ridammelo».

Ma la scimmia scappò di nuovo, questa volta verso il basso. Bellatrix si rassegnò ancora a inseguirla. E se in quel momento fosse spuntato qualche carnivoro? Non voleva pensarci.

Il primate si spostò su un altro albero e la giovane per raggiungerlo dovette scendere a terra; il ramo su cui si era piazzato questa volta era abbastanza basso e Bellatrix vi arrivava facilmente. Con una mossa veloce acchiappò la scimmia che iniziò subito a dimenarsi tra le sue mani. La giovane le strappò dalle zampe l'arma, tirando un sospiro di sollievo e appoggiandosi al tronco dell'albero. Che fatica! Aveva corso su e giù per gli alberi per rincorrere un'insulsa scimmietta che le aveva rubato il coltello! Non doveva sprecare energie in quel modo.

Cercando di tranquillizzarsi, la posò su un albero: «Su, adesso vai».
Ma la scimmia non voleva proprio sentir ragione e la giovane stava iniziando a irritarsi: se l'avesse ancora infastidita l'avrebbe scaraventata contro un albero.

«Ti ho detto che so dove siamo!»
«Non è vero!»
«E io ti dico di sì!»
«Non rompere! Sono già irritata di mio».

Delle voci. Accompagnate da un innaturale rischiararsi della foresta notturna: una fiaccola. Bellatrix si appiattì contro l'albero, trattenendo il respiro. Due voci femminili piuttosto infiammate provenivano da un luogo - troppo - vicino. Tra tutte le peggiori casistiche che aveva ipotizzato c'era proprio quella di imbattersi in un altro clan. Se fosse rimasta sugli alberi, la problematica non si sarebbe presentata: avrebbe dovuto soltanto rimanere in religioso silenzio finché la minaccia non fosse passata. Ma era a terra e non riusciva a tornare sulle piante senza emettere il minimo rumore: tutto ciò che poteva sperare era che le due - se erano due soltanto - se ne andassero da quel luogo senza notarla.

«Ai... cioè, volevo dire, Dejanira - ma che nome è? -, ti stavo dicendo...»
«E io ti ho detto di non rompere, Diamantina!»
«Ho un brutto presentimento...»
«E che vuoi che sia! Mi basta tornare al campo da Pablo».
«Ma come facciamo, che ci siamo perse?!»
«Diamantina, non è vero!»
«Sì, invece!»
«Chiudi quella fogna!»

Dai loro passi sembrava si stessero avvicinando a lei. Proprio quello che non doveva accadere: forse non l'avrebbero notata comunque, considerato com'erano impegnate nella loro conversazione.

Ma improvvisamente il primate, che pure era rimasto immobile tutto il tempo, balzò giù dalle braccia della giovane, strappandole il coltello di mano e saltando a terra, emettendo un sonoro tonfo. Bellatrix sgranò gli occhi dalla rabbia: avrebbe ammazzato quella scimmia, prima o poi! Ma adesso non doveva muoversi: poteva ancora esserci il caso che le due non si fossero accorte di nulla. In caso contrario, senza coltello come avrebbe fatto?!

«Diamantina, adesso taci che ti riporto da Pablo!»
«Dejanira, aspetta! Mi è sembrato di aver sentito un rumore».
«Adesso hai pure le allucinazioni»
«Ti dico sul serio! Veniva da là!»

Bellatrix maledisse mentalmente la scimmia in ogni modo che le venisse in mente: doveva aver attirato la loro attenzione e ora si stavano avvicinando. Con una mano cercò di afferrarla di nuovo, perché non combinasse altri danni, ma quella fu più veloce e si arrampicò sull'albero, portando con sé il coltello. E adesso?

«C'è solo una scimmia. Che è, ti faceva paura?»
«Non c'è solo una scimmia: c'è qualcos'altro là dietro».
«E allora sbrigati a controllare».

Una delle due si avvicinò sempre di più, fino a fermarsi a pochi centimetri dall'albero dietro a cui era nascosta.
«E se poi c'è qualcosa di pericoloso?»
«Il mio Pablito sarà tutto per me».
«Dejanira, non scherzare: mi fa paura 'sta situazione».
«Che compagna inetta! Adesso vengo lì io e vediamo che cosa c'è».

L'altra si avvicinò con passo più deciso di quella di prima fino a superare la sua compagna nella posizione: bastava che si sporgesse per vedere che dietro all'albero era nascosto un ospite indesiderato. Bellatrix non poteva più esitare: l'avrebbero scoperta in ogni modo. Doveva tentare la fuga. In un attimo balzò in piedi e si avventò contro la donna. La sua gamba andò a colpire la testa dell'avversaria, che urlò di rabbia, e Bellatrix non fece in tempo a staccarsi da lei che la scaraventò contro un albero con una forza che non avrebbe mai immaginato.

«Te l'avevo detto che non c'era solo la scimmia!»
Bellatrix, dolorante, si tirò immediatamente in piedi e con orrore osservò le figure che si ritrovò davanti: la fiaccola che teneva in mano quella più alta e possente illuminava due donne, una delle due caratterizzata da grandi e forti muscoli, e faceva brillare decine e decine di lame. Appesi a un fodero sul petto della virago almeno dodici coltelli dalla lama metallica estremamente affilati, mentre l'altra teneva in mano una grande ascia. Com'era possibile che sull'isola avessero trovato delle armi del genere?! Nemmeno Tou Mortinou, il clan che possedeva quelle più serie e pericolose che aveva visto, aveva coltelli simili. Parevano provenire direttamente dall'Exo, come del resto le due donne, abbigliate di jeans e maglietta sgualciti.

Pur provandoci in tutti i modi, un corpo a corpo con quelle era un puro suicidio, considerando anche che non dovevano essere totalmente inesperte nel combattimento. Lei era sola e disarmata. Doveva inventarsi una tattica per scappare o, almeno, temporeggiare.

«Attenta, Ai-, Dejanira, può essere una nemica!» esclamò la donna più magra, Diamantina.
«Sono Bellatrix di Tou Melitos» si affrettò a dire la giovane, rivelando la sua identità: di certo avrebbero capito che non si trattava di una spia, se si mostrava aperta nei loro confronti. «Perdonatemi se vi ho aggredite, ma sono sola nella foresta e qui in mezzo posso aspettarmi davvero ogni cosa».

Il volto di Diamantina, che non brillava certo di intelligenza, si espresse in una smorfia dispiaciuta, che fece palpitare il cuore di Bellatrix: forse l'avrebbero lasciata andare!
Ma Dejanira la squadrò: «Perché sei sola nella foresta, di notte, nei territori del nostro clan?» Non sarebbe stato facile come aveva immaginato.
«Ero andata ad apprendere una profezia dalle maghe, ma mi sono perduta nel viaggio di ritorno. Domani stesso non mi vedrete più» mentì la giovane, non riuscendo nemmeno allora a convincere Dejanira, che con tono solenne aggiunse: «E chi ci dice che tu non sia una spia in una sortita notturna per rubare le splendide armi del glorioso Sardanapalo?»

«Chi?» chiese improvvisamente Diamantina, distruggendo il pathos creatosi.
«È Pablo, deficiente».
«Chi?»
Bellatrix colse l'espressione stremata di Dejanira, costretta a sopportare una compagna simile, e iniziò a ragionare: spesso Diamantina era capace di distrarre l'altra e in uno di quei momenti Bellatrix avrebbe potuto tentare di fuggire. Aveva già mosso un piede ma la voce sferzante di Dejanira la raggiunse: «Allora perché?»

La donna aveva agguantato uno dei coltelli e lo aveva estratto per metà.
«Potete fidarvi della mia parola: sono sola e disarmata» continuò Bellatrix, cercando di non tradire la preoccupazione che sentiva crescere istante dopo istante. «Chi, sano di mente, sarebbe venuto nei territori di un clan nemico senza nemmeno un coltello e un compagno?»
«Non hai tutti i torti...» rifletté la donna. Bellatrix attendeva trepidante una risposta. «Ma non vedo perché dovrei lasciarti andare. Ti porteremo alla base. Avanti, Diamantina, catturala».

Bellatrix stava per darsi a una fuga disperata, l'unica via che le rimaneva, ma Diamantina non si avvicinò a lei nemmeno d'un passo. Dejanira le rivolse un'occhiata d'incomprensione e la compagna si limitò a rispondere, alzando le spalle: «Anche noi ci siamo perse».
«So benissimo dove siamo!»
«Allora perché non siamo al campo?»

Anche Dejanira ammutolì, pur non perdendo di vista Bellatrix, che continuava a sentire il suo occhio vigile puntato contro di lei.
«Come pensavo: non lo sai» cantilenò Diamantina. «Però mi è venuta un'idea geniale! Lei deve essere dell'isola - li hai visti i suoi vestiti, no? - quindi forse sa dove ci troviamo. Allora, bellina,» disse la donna, avvicinandosi alla giovane e abbracciandole le spalle, «dicci come tornare al campo e noi ti libereremo».

L'avevano scambiata per una nativa. Non avrebbe mai pensato che il vestito di lana di merango sarebbe stato così utile: quella poteva essere una buona scappatoia! Si sarebbe finta un'esperta dei luoghi, le avrebbe condotte casualmente all'interno della foresta e, quando meno se lo sarebbero aspettate, avrebbe tagliato la corda sugli alberi.

«Ma ci sei con la testa?!» gridò Dejanira, distruggendo l'ultimo piano formulato da Bellatrix. «Ha appena detto che si è persa, come credi che ci ricondurrà al clan?»
«Oh».
«Sei proprio rincretinita».

Diamantina si staccò da Bellatrix e si appoggiò al tronco dell'albero: sembrava sconfortata.
«Vorrei solo che il mio Giovanni fosse qui...» mormorò, ma parlando abbastanza forte perché Dejanira potesse sentirla. Questa sgranò gli occhi, come se fosse appena venuta a conoscenza di un fatto gravissimo.

«Idiota! Idiota idiota idiota!» iniziò poi a esclamare, dirigendosi a grandi passi verso la compagna, il volto una maschera d'angoscia. «C'è una sola cosa che da quando siamo qui ti ricordo di fare: non pronunciare i nostri nomi veri!»
Il terrore si impadronì anche dell'altra donna: «No... No, non è vero? E ora Gio... volevo dire, Pablo? Oh, no, no no no!»
«Oh, il mio Pablo. Il mio eroico, bellissimo Pablo!» La più alta si buttò per terra ai piedi di Bellatrix, disperata e ormai sul punto di piangere, mentre la sua compagna, anch'ella turbata come non mai, si affrettava a chinarsi su di lei per consolarla.

«Scusa, Ai-» iniziò, ma subito interrotta dall'altra.
«Non dirlo! Non dire il mio nome!» ruggì Dejanira, tirandosi di nuovo in piedi ed estraendo con la mano libera il coltello, che le puntò addosso.
«Scusa» mormorò la compagna, alzando le mani in segno di resa e lasciando cadere la sua ascia.

Bellatrix era rimasta impietrita da quell'improvviso mutamento della situazione ma, essendosi ripresa dall'iniziale stupore, capì all'istante che quello era il momento propizio per salutare per sempre le due nuove conoscenze. Molto lentamente, cercando di non fare rumore malgrado il terreno sdruccioloso, si diresse verso un albero vicino: una volta che si fosse nascosta dietro sarebbe potuta scappare dovunque avesse voluto.

«È colpa tua!»
I suoi movimenti non erano rimasti inavvertiti. L'urlo di Dejanira la raggiunse con la stessa velocità dell'enorme coltello della donna, che stava roteando contro la testa di Bellatrix.

La giovane lo localizzò in tempo e si piegò abbastanza da non farsi raggiungere: l'arma si incastrò nel tronco dietro di lei, tranciandole solo una piccola ciocca di capelli. Stava tremando: il corpo non rispondeva più come voleva e se Dejanira avesse lanciato un altro coltello l'avrebbe sicuramente presa. Continuava a ripetersi di non lasciarsi prendere dal panico, ma più se lo diceva più entrava in quel baratro da cui era così difficile uscire.

"Pensa, pensa, pensa" cercava di esortarsi, ma la sua mente rimbombava solo delle urla emesse in precedenza dalle due donne di fronte a lei, disperate per ciò che era loro successo, del fatto che il loro amatissimo Pablo fosse in preda alle convulsioni dettate dalla maledizione del nome...

La sua mente si illuminò improvvisamente: ecco la chiave! Diamantina non faceva che sbagliare i nomi dei membri del suo clan, e più di una volta aveva provato a chiamare con il nome precedente anche la compagna, la più pericolosa tra le due, interrompendosi però alle prime due lettere: AI.

«Aila, Aida, Aisha...»
Bellatrix iniziò a proferire d'un fiato tutti i nomi femminili che conoscesse che iniziassero con AI, fissando negli occhi Dejanira, che ad "Aisha" lampeggiarono di terrore. La sua mano lasciò cadere la torcia. Caddero nel buio. Ma pur nell'oscurità si intravide lo stesso la sua figura che levitò in aria, dove si contorse esattamente come era accaduto a Em, finché, dopo brevi momenti agghiaccianti, non ripiombò a terra, priva di sensi, gli occhi fuori dalle orbite, le membra stese in posizoni innaturali, ferme come se fossero morte.

Altrettanto immobile era Bellatrix, turbata da quella visione raccapricciante a cui non si sarebbe mai abituata, ma atterrita era soprattutto Diamantina, ancora seduta a terra, con le mani in alto e l'ascia abbandonata tra la melma della foresta. Senza emettere un solo respiro, tutta tremante si alzò in piedi, voltò le spalle a Bellatrix e corse via, scomparendo tra le fronde.

«I miei più sentiti complimenti, mia cara».

Bellatrix sobbalzò dalla paura quando percepì l'ennesima voce provenire dall'oscurità. Chi era adesso? Quelle due non erano state abbastanza? Non perse tempo a preoccuparsi e scattò subito in piedi, avvolgendo la mano attorno al manico del coltello che Dejanira le aveva lanciato addosso e staccandolo dal tronco in cui si era conficcato.

Alcuni passi provennero da un luogo indefinito davanti a lei, man mano avanzavano il loro attrito con la melma si faceva più udibile. Bellatrix strinse gli occhi, cercando di abituarli all'oscurità, e distinse una figura maschile, che continuava ad avvicinarsi e prendeva lineamenti sempre più definiti: prima la sagoma dei capelli folti e voluminosi, poi il fisico asciutto e infine quei due dannati occhi...
"Non può essere..."

«Davvero, la trovata del nome è stata geniale!» esclamò Mijime, quando le fu talmente vicino che Bellatrix poté rendersi conto persino della sua solita espressione divertita e del suo irritante sorrisetto sarcastico.

«Che cosa ci fai tu qui?» chiese, senza nascondere il suo risentimento. Avrebbe preferito affrontare una seconda volta Dejanira e Diamantina piuttosto che conversare ancora con quello.
«"Ciao, come stai? È da un giorno che non ci vediamo, tutto bene?" Ricordavo iniziassero così le conversazioni» rifletté l'altro, per poi ruotare la testa a sinistra, come se di fianco a lui ci fosse qualcuno. «Tu che ne dici, piccolo amico?»

Fu allora che Bellatrix notò che non era solo: sulla spalla si era appollaiata la scimmietta di prima, che sembrava aver assunto la stessa espressione beffarda del giovane. "Ti ho messo in un bel guaio prima, non trovi?" sembrava voler dire. Bellatrix non si trattenne.
«Tu, stupida scimmia!» esclamò, puntandole contro un dito minaccioso.

«Che esagerazione!» rise Mijime. «Dopotutto, se non fosse stato per questo amichetto probabilmente non sarei riuscito a trovarti. Stavo camminando nella foresta, quando ho visto sbucarmi davanti questa scimmietta, che teneva in mano un coltello. Mi sembrava strano, così ho fatto in modo di attirare la sua attenzione e, mentre si avvicinava, ho notato che era il tuo. Così mi sono inoltrato in questa parte di foresta e, quando ho iniziato a sentire le esclamazioni delle signorine, è stato facile trovarti».

«Cosa sei venuto a fare qui?» ripeté Bellatrix, a cui non poteva importare di meno delle avventure di Mijime per riuscire a raggiungerla.
L'altro esitò un attimo, per poi rivelare, in un unico sospiro: «Al clan c'è stato un casino». Le raccontò di come fosse tornato, in che condizioni, manifestate ancora dalle occhiaie che gli segnavano il volto smunto, ma soprattutto di come i Gheneiou avessero aggredito lui e i loro compagni per le notizie portate, e in seguito persino Anita. Le raccontò tutto, nei minimi particolari. Bellatrix rabbrividì.

«Alla fine è arrivato Genew che ha proibito categoricamente di farci del male. Pena: l'esilio permanente».
Considerando le ultime parole di Mijime, Bellatrix si sentì più sollevata: «Be', quindi si è risolto tutto: non vedo il problema» azzardò, ma subito smentita dal compagno.
«Non hai capito la gravità della situazione: nessun deterrente, ormai, li terrà fermi. Come sono insorti una volta, lo rifaranno, e noi non possiamo pensare di rischiare la vita in questo modo».

«Cosa consigli di fare, allora?» lo incalzò, sperando che non rispondesse come credeva.
«Andarcene: ecco perché sono venuto, per riprenderti, tornare al clan e organizzare i preparativi».

Bellatrix aggrottò la fronte: non poteva tornare al clan, non ora, non durante il suo viaggio per diventare una maga. Continuava a sostenere che fosse l'unica strada percorribile per la loro - e in particolare la sua - salvezza: ottenere dei poteri e capire i meccanismi dell'isola era ciò di cui aveva bisogno. Mijime non poteva impedirglielo!

«Gli altri cos'hanno detto?» chiese, prima di iniziare a polemizzare: senza qualche elemento in più non poteva sostenere le proprie tesi.
«Gliene parlerò quando torneremo: sono partito in fretta e furia da Tou Gheneiou per evitare che la distanza tra noi divenisse troppa e diventasse impossibile raggiungerti. Già così non è stata una passeggiata».
«Sai già dove andremo, dopo?»
«Non ho ancora stabilito niente».

Bellatrix si illuminò: adesso sì che poteva far valere la propria idea. «Allora te lo dico io: da nessuna parte! Ogni pezzettino dell'isola è già occupato da un altro clan - anche questa foresta paludosa in cui siamo ora: è di quel Pablo, o come si chiama - e, come i Gheneiou, nessun'altra popolazione ci vorrà di mezzo, perché possibili traditori. Immagina pure il piano più brillante che ti venga in mente, ma ti dico per certo che almeno due di noi moriranno. Ecco perché devo andare a ottenere i poteri: sia che saremo tra i Gheneiou, sia che saremo dispersi da tutt'altra parte, avremo modo di proteggerci».

Si piazzò con le braccia conserte davanti a lui e il mento sollevato in aria di sfida: "Trovalo un modo per contraddirmi, adesso".
Mijime sospirò, ma senza cancellare il suo sorrisetto: «E il vero motivo per cui sono venuto, cioè dissuaderti dall'andare dal Vulcano, è miseramente fallito».
«Hai mentito per quanto riguarda la storia dei Gheneiou
«Oh, no, quello è tutto vero. Speravo però di farti desistere da un viaggio così pericoloso. Invece la tua testardaggine mi ha sconfitto».

La giovane sogghignò al pensiero che forse se ne sarebbe persino sbarazzata. «Quindi te ne andrai con la coda tra le gambe e mi lascerai di nuovo da sola?»
«Scordatelo, mia cara» ridacchiò a sua volta Mijime. «Non voglio più sentir parlare di azioni avventate come quelle di oggi».
«Me la sono cavata comunque».
«Non importa, restando disarmata hai messo a repentaglio la tua vita, quindi anche la mia. Asseconderò la tua volontà, quindi andremo dal Vulcano per ottenere questi maledetti poteri, ma rimarrò sempre con te».

Mijime aveva tolto ogni parola di bocca a Bellatrix, che non sapeva più come replicare. La sua compagnia era il prezzo da pagare per poter proseguire il suo viaggio. Si limitò ad annuire debolmente: ancor più della sua presenza, odiava la sconfitta.

«Chiarito questo,» continuò Mijime, con un sorrisetto inorgoglito, che teneva in bella mostra, «ho un paio di cose da raccontarti, che mi ha detto Anita, mentre mi preparava una buona scorta di lozione e mi spiegava come uscire dai territori senza dare nell'occhio: che donna preziosa».
«So già tutto» lo fermò: non aveva intenzione di sentirlo parlare ancora. «Robero è a Est-Nord-Est, a sette giorni di cammino da qui».
«Ma che brava!» esclamò Mijime, pieno di scherno. «Hai racimolato le informazioni basilari». Bellatrix avrebbe voluto sputargli in un occhio.

Forse per lo sguardo truce che gli aveva rivolto, il giovane tornò serio: «Non ti basta questo per arrivare sana e salva laggiù. Ma non c'è problema, te lo dirò io. Intanto però mi sembra una scelta saggia prendere in prestito queste favolose armi dell'Exo» disse, appressandosi al corpo di Dejanira e staccando uno dei coltelli dal fodero. Lo ammirò per bene, rigirandoselo tra le mani e saggiandone la fattura, per poi riporlo di nuovo tra i suoi compagni. Si sbottonò dunque qualche bottone della camicia e infilò in una tasca interna la sua arma personale.

«Tu resterai di scorta» disse, picchiettandosi il punto dove l'aveva nascosto. La scimmia sulla sua spalla emise un mormorio che pareva di dissenso e Mijime si girò per sorriderle. «No, simpatico primate, non te lo posso dare. Hai già quello di pietra, per oggi puoi accontentarti». Continuando ad armeggiare e a valutare i coltelli di Dejanira, si rivolse a Bellatrix: «Allora, mia cara, ti dovevo dire...»
Ma le orecchie della giovane si erano ormai chiuse a ogni cosa che le avrebbe potuto dire.

~

E con immenso piacere dichiaro conclusa la serie di capitoli fake! I prossimi saranno corretti direttamente su quelli già esistenti e non certo riscritti da zero (questo per dirvi che ci sarà moooolto meno da correggere ed elaborare, dunque dovrei andare più spedita). Ma bando alle ciance e passiamo al capitolo, il più "di transizione" di tutta la storia. Spero di essere riuscita a renderlo il meno noioso possibile, ma era necessario: mi serviva un espediente per far rincontrare Bellatrix e Mijime e per far ottenere loro qualche arma... Ma non posso dire di più! Ovviamente non ho sprecato il capitolo solo per questo e ne ho approfittato per mostrare ulteriormente la permanente contradditorietà di Bellatrix (che è davvero lampante quando, dopo essersi detta più volte di sentir la mancanza di una presenza umana, quando arriva Mijime, cambia totalmente idea e vuole di nuovo stare da sola. Ma questo è solo un esempio, ce ne sono talmente tanti...) oltre alla sua sempre presente impulsività, e fare un po' più attenzione sulla visione che appare più volte a Bellatrix: di cosa si tratterà? Avanzate le ipotesi!
Comunque, non dimenticate Dejanira e Diamantina: una è stordita, l'altra è scappata, ma sono ancora vive e vegete... Chissà se le rincontreremo, magari conoscendo anche il misterioso Pablo di cui tanto parlano... Io vi dico solo di non dimenticarle :)
E con questo, vi salutiamo!
~🐼🐢

*mortale

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