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[Potrebbe contenere scene violente]

«Basta! Mi arrendo!» sospirò Rigel, sdraiandosi stremata sulla piattaforma, dopo aver vinto per l'ennesima volta in un combattimento a corpo libero contro Germanico. Quanto tempo era passato da quando avevano iniziato ad allenare il neoteros? Un tempo indefinito ma estremamente lungo. E non lo avevano che sprecato, insieme a un mucchio di energie: quello non sembrava voler apprendere alcunché e sottraeva loro ore preziose in cui avrebbero potuto scoprire qualcosa di significativo insieme agli altri della Squadra.

«Ma come? Di già?» la stuzzicò Zeno, rivolgendole un sorrisetto divertito.
«Di già?!» Rigel sgranò gli occhi. «È da quasi una luna che stiamo andando avanti così, senza ottenere alcun risultato!» esclamò, indicando Germanico sdraiato supino e ansimante per la fatica: stava per perdere conoscenza, come al solito dopo i suoi addestramenti. E pensare che la guerriera non impiegava neanche la metà delle proprie forze...

«Non è da te arrendersi così facilmente» sentenziò l'uomo, con il solito tono provocatorio che Rigel conosceva bene. «Però non posso darti torto: molto spesso mi viene da pensare che, se lui dovesse davvero arrivare a uccidere Mortino, potrei iniziare a farmi chiamare Arla, colei che vede tutto ciò che accade» disse, dandosi un certo tono con l'ultima affermazione.
«E io Silva, colei che vede tutto ciò che accadrà!» gli fece eco la compagna, imitandolo per poi scoppiare a ridere.

Ma c'era ben poco di cui gioire: mentre loro scherzavano, Mortino continuava a portare scompiglio nell'isola, come da sempre faceva. Eliminarlo era di primaria importanza, a differenza di quel che pensava Genew, occupata solo a preoccuparsi dei neoteroi.

«Allora,» disse poi, riprendendo il suo tono serioso, «Genew non dovrebbe tornare per un po': che ne dici di prenderci una pausa?»
«Volentieri» la assecondò subito il compagno, arrampicandosi su un ramo e sdraiandosi sul tronco da cui partiva.
«Sì!» mormorò flebilmente Germanico, che stava iniziando a rinvenire.

«Ah, ecco chi si è svegliato!» esclamò poi Rigel. «Siamo ancora in tempo per riprendere ad allenarti!»
«No! No! No!» Germanico si tirò su da terra, mettendosi in ginocchio davanti a lei con le sue ultime forze. «Ti prego! Ti supplico! Non ce la faccio più!»
«Fa un po' pena persino a me» commentò Zeno dall'alto. «Dai, Rigel, sii buona: lasciamogli un po' di tregua».

Con un sospiro, Rigel tornò a sdraiarsi: non sarebbero stati cinque minuti in più a renderlo un Guerriero formidabile. Più proseguiva ad allenarlo, in realtà, più si convinceva che quel giovane senza spina dorsale avrebbe ucciso Mortino soltanto per caso.

Tanto valeva riposarsi un po' e cercare di concentrarsi sul loro vero obiettivo, che troppo spesso veniva dimenticato: trovare il tesoro. Quello era il suo pensiero fisso come, supponeva, per il resto dei suoi compagni della Squadra di Ricerca: in ogni momento della giornata la sua mente era portata a pensare a quello e agli innumerevoli modi per provare a scovare un solo indizio. Anche quella sembrava un'impresa già fallita dall'inizio ma non si poteva arrendere e non lo avrebbe mai fatto: fino alla fine dei suoi giorni avrebbe lottato per procedere nella ricerca anche solo di un piccolo passo, avrebbe cercato di eliminare il peso che la opprimeva da quando era nata, la frustrazione di conoscere qualcosa che esiste al di fuori ma di non poterlo raggiungere. Da ogni dove provenivano racconti sul meraviglioso Exo e a lei era stato vietato poter farne parte. Era il desiderio che accomunava tutti gli abitanti dell'isola, chi più chi meno, ma nessuno escluso: raggiungere e ammirare in tutta la sua bellezza quella terra libera da ogni divinità malevola dove gli uomini sono a loro volta liberi, e fare in modo che i propri figli potessero vivere in quel mondo e non assoggettati dal continuo timore dei daimona. Sembrava un sogno, lontano da lei come le stelle. Probabilmente lo era.

«Allora, neotere» disse a un tratto, rivolgendosi a Germanico: il momento di svago era finito e, se non poteva addestrare il Figlio del Sole perché non era in grado di combattere ancora, doveva impiegare il suo tempo nel modo più fruttuoso possibile. Parlare con lui e provare a smuovere la sua latente forza di volontà: l'ennesima missione che pareva impossibile. «Hai cambiato idea?» Ormai non serviva più che esplicitasse la domanda, tante erano state le volte in cui gliel'aveva posta.

«No. Io non cambierò mai i miei princìpi; è una perdita di tempo provare a convincermi. Io non ucciderò nessuno. Io non posso farlo» affermò con fermezza Germanico, che stava solo ora iniziando a riprendersi dai colpi subiti.

«Se non altro, non è contraddittorio» commentò Zeno, mentre Rigel stringeva i pugni per provare a dissolvere la rabbia che sentiva esserle montata dentro.
«Lo ritieni ancora degno di vita?» chiese, la voce calma e pacata come il fondo di un lago quando la superficie è in fermento a causa del vento e della tempesta.

«Ogni essere umano lo è» ribadì Germanico, strenuo nei suoi princìpi.
«E tutto ciò che ti ho raccontato non ti ha smosso nulla?» continuò la giovane, facendo riferimento ai lunghi discorsi dei giorni precedenti, che aveva cercato di usare, invano, per spronare l'odio di Germanico nei confronti dell'uomo immortale.

«Mortino non è certo un uomo buono».
Rigel non riuscì più a trattenersi. «È un mostro!» esclamò, più forte che poté, provocando stupore non solo in Germanico, ma anche in Zeno. Si ricompose immediatamente: quella era la regola che si era imposta per riuscire sempre in tutto alla perfezione. Le era sempre stata utile e non avrebbe smesso di farlo.

«Capisco abbia provocato la morte dei tuoi genitori, ma-».
«Non è per quello» scosse la testa la giovane, di nuovo respirando imperturbabile. «Non è per quello. Ero troppo piccola».

Ma, per quanto non volesse ammetterlo, per quanto volesse rimanere impassibile, il pensiero dei genitori morti quando aveva solo tre anni non poteva non toccarla. Com'erano fatti i loro volti? Che tipo di persone erano? Se lo era chiesta spesso ma la sua curiosità era stata placata in minima parte solo dai racconti che li esaltavano e che li ricordavano per una sola caratteristica. Eusebeîs, più di chiunque altro avesse toccato il suolo dell'isola; fedeli agli dei e a loro volta amati da loro tanto che erano stati onorati del dono più prezioso che potevano elargire, lei, la danzatrice che comunicava con i daimona più di chiunque altro nel corso del tempo. Così dicevano. In realtà se fossero stati davvero amati dai daimona come si narrava, Zarkros non li avrebbe massacrati insieme agli altri Gheneiou giunti per uccidere Mortino con la precedente Genew.

«Da sempre è il mio popolo a farmi da famiglia» proseguì, scacciando quei pensieri: dopotutto, non aveva mai sentito la loro mancanza; con lei erano sempre stati i Genew, gli Anziani, una volta cresciuta i membri della Squadra di Ricera. E i daimona. «I miei genitori non sono state che due sole vittime, tra i migliaia che quella bestia ha sterminato, torturato, violentato... Non ti provoca alcun dolore la situazione dei poveretti che hanno subìto la sua violenza?»

«Mi dispiace per loro» mormorò il giovane, accasciato davanti a lei. «Ma davvero, Rigel, io non posso» concluse, guardandola con gli occhi supplicanti. La giovane sospirò: continuava a non capire cosa significasse davvero quel "non posso".

«Cosa state facendo seduti?!» Una voce alquanto stizzita distrasse tutti i presenti. Genew era appena tornata, contro ogni aspettativa dei suoi compagni, visibilmente sorpresi che fosse di nuovo con loro.
«Genew?!» esclamò Zeno, tirandosi in piedi in un baleno. «Non dovevi andare in riunione con tuo padre e gli Anziani stamattina?»

«Ci sono andata, e ora eccomi qui» rispose, incrociando le braccia e chiudendo gli occhi a fessura, mentre la bocca era diventata un taglio netto sul viso: la tipica espressione di quando era su tutte le furie. Rigel la conosceva fin troppo bene. «Voi, piuttosto, non avreste dovuto allenare il neoteros come avevo stabilito?!»

«Abbiamo deciso di prendere una pausa: oggi è particolarmente improduttivo e proseguire di questo passo sarebbe solo fatica sprecata» disse Rigel, senza scomporsi e senza nemmeno alzarsi.

«Va bene, allora!» replicò spazientita l'altra, piantando la lancia che aveva in mano sulla piattaforma e andandosi a sedere sul bordo, lontano dai presenti.
"Come al solito" pensò Rigel, osservando la sfuriata dell'amica, che non la scuoteva nemmeno un po', come ogni suo comportamento eccessivo. Era sempre stata così, da quando ne aveva ricordo.

«Male malissimo» commentò Zeno, in un fil di voce, accennando alla figura muscolosa della giovane, che probabilmente aveva iniziato a controllare il suo arco.
«Si riprenderà» alzò le spalle Rigel. «Dopotutto non è mai morto nessuno, venendo privato del proprio titolo».
«Ah, è ancora per quello?»
«E per i neoteroi».

I due rimasero in silenzio e Rigel sospirò ancora una volta: Genew era sempre stata così, i suoi alti valori erano sempre rimasti offuscati dal suo modo di fare che pochi nel clan sopportavano.
«E tu non riesci a farci niente?» continuò a chiedere Zeno, uno dei pochi, insieme a lei, che da sempre stava vicino alla figlia del capo.
«Non sono una maga» rispose, un po' cinica, abbandonata completamente la pazienza che da sempre teneva nei confronti di Genew e che era diventata un suo tratto peculiare.
«Ma sei la sua migliore amica».

«Vorrebbe solo sentirsi dare ragione» mormorò ancora, guardando finalmente il compagno d'armi negli occhi. «Posso farlo? No. La sua posizione è assurda, irrazionale e ci fa perdere una possibilità unica». Sterminare i neoteroi, senza avere uno straccio di prova su cui basare la loro colpevolezza, solo per il timore che avevano gli Anziani e che le avevano infuso. Ma che senso aveva? E se esisteva qualcosa che Rigel non sopportava, erano le azioni fatte senza un criterio logico.

Ma la sua freddezza e razionalità non sembrava convincere del tutto Zeno. «Non ti dispiace vederla così?» disse. Davanti a loro vedevano solo un piccolo tratto della Genew irascibile che era diventata: per il resto, si isolava sempre, mangiava da sola, parlava il meno possibile. Si era esclusa dalla vita comunitaria della Squadra di Ricerca.

«Certo che mi dispiace» mormorò Rigel, sorridendo nostalgica ai momenti in cui erano stati insieme, loro tre, inseparabili: dapprima quando, da bambine, la loro insegnante aveva deciso di farle scontrare con un avversario ben più esperto, suo figlio Zeno, di dieci anni più grande di loro, quando si erano ritrovati nella Squadra di Ricerca, quando avevano affrontato avversità e insidie nelle loro spedizioni fuori dai territori. «Però le passerà».

Ma sperava solo che quei momenti tornassero presto. Volse gli occhi ancora una volta sul corpo di Genew, la schiena piegata in avanti che si alzava e si abbassava seguendo il ritmo naturale del suo respiro: lo scatto d'ira le stava passando, ma non certo la condizione in cui si trovava da giorni. Forse anche lei stava sbagliando, a ignorarla e a non cercare di darle il suo supporto. Allora cosa avrebbe dovuto fare?

Per quanto fossero due poli opposti, le era affezionata come a nessun altro. E come non poteva esserlo, dopo aver trascorso tutta la vita insieme? Dopo aver iniziato a mostrare doti eccezionali già nei primi anni della sua esistenza, gli Anziani avevano deciso di crescerla loro, perché diventasse la compagna di addestramento della piccola Genew, colei che sarebbe sempre stata un passo davanti alla figlia del capo per spronarla a perfezionarsi in continuazione. Inevitabilmente erano diventate amiche ma, se da una parte Rigel era riuscita a distaccarsi presto dall'opprimente sfera di influenza degli Anziani, Genew non l'aveva ancora fatto e a vent'anni, per quanto non volesse ammetterlo, si ritrovava ad agire e pensare come una loro pedina.
"Se solo riuscissi a capirlo, Genew..."

Qualcuno atterrò improvvisamente sopra la piattaforma e Rigel riconobbe i figli minori del capo, che sembravano giunti in fretta e furia per comunicare un'informazione urgente.
«Genew, ti stavamo cercando!» esclamò subito la bambina, correndo dalla sorella, che si alzò in piedi di scatto con un'espressione incredula.
«Intanto, scusaci se ti stiamo disturbando,» si affrettò ad aggiungere il maggiore dei due, «ma hanno preso un intruso!»

"Un intruso? Cosa significa?" pensò Rigel, sentendo un'improvvisa inquietudine impossessarsi di lei.
«Cosa intendete dire?» chiese Genew, il corpo irrigidito e il viso una maschera di tensione. «Chi ha preso l'intruso? E soprattutto, chi è costui?»

«È stata la sesta squadra degli Avventurieri: sono stati fermati da alcuni Guerrieri, appena hanno visto che stavano trasportando l'intruso» disse Hermit tutto d'un fiato.
«Non sappiamo chi sia:» continuò Sofia, mantendendo lo stesso tono concitato e abbastanza ansioso, «eravamo lontani e non abbiamo visto bene, ma doveva essere sicuramente un neoteros, per i vestiti».

«Conduceteli qui, e al più presto» ordinò Genew dopo qualche attimo di esitazione e i due bambini si allontanarono subito sulle liane. «Un altro neoteros...» la sentì borbottare tra sé Rigel. Ci mancava solo quell'inconveniente a peggiorare la situazione già grave di per sé. Ma chi poteva essere, questa volta? Che fosse collegato con i loro neoteroi e Genew avesse sempre avuto ragione? Un brivido la percorse ma Rigel, preso un profondo respiro, fece in modo che la sua freddezza tornasse a manovrarla: non poteva saltare a conclusioni affrettate - non era certo Genew! Doveva aspettare di avere qualche elemento in più per valutare la situazione.

Tra i quattro rimasti era calato un silenzio di tomba: nessuno osava proferire parola. Finalmente, dopo diverso tempo, giunsero sulla piattaforma due giovani alti e robusti.
«Ana... Volevo dire, Genew» iniziò il primo, ricordandosi immediatamente della formalità che non doveva più rispettare. «I tuoi fratelli ci hanno detto dove ti trovavi; anche i nostri compagni stanno arrivando ma sono stati bloccati dalla folla di curiosi che abbiamo trovato vicino all'Oikìa».

«Intanto, spiegami cosa è successo» intimò Genew, ma, accorgendosi subito di aver usato un tono troppo duro con il ragazzo, aggiunse con più calma, cercando di tranquillizzarlo: «Nekhen».
«Io e la mia squadra ci stavamo recando a uno degli oikaria esterni per andare a prendere dei vasi con cui avremmo raccolto della resina nei territori a nord» iniziò Nekhen, mordicchiandosi le labbra. «Mentre eravamo lì, un mio compagno di squadra, il neoteros Morag, ha visto questo qui nascosto tra le piante, lo ha rincorso e lo ha catturato. Ci ha detto sotto interrogatorio che si chiama Egregio e che è di Tes Gheisas ma non abbiamo ottenuto altre infornazioni. Per questo Milo, il mio capitano, ha deciso di portarlo da te».

Rigel sgranò gli occhi a quelle ultime frasi: la presenza di un membro di un altro clan piuttosto longevo come Tes Gheisas era preoccupante. Ma come poteva un Gheisas essere venuto a spiarli? Genew aveva stipulato una pace solo un anno prima: cosa stava cambiando?

Improvvisamente vide una folla indistinta che si stava dirigendo verso di loro. Le persone da cui era formata erano tutte accalcate e non procedevano spedite, ma a un tratto un ragazzo che portava in braccio un giovane con le mani e i piedi legati riuscì a farsi spazio tra la moltitudine e giunse sulla piattaforma, seguito velocemente da tutti gli altri.

Atterrò davanti a lei e a Genew e buttò a terra senza alcuna premura il ragazzo legato. L'indumento superiore era visibilmente rovinato e sul petto si scorgevano alcuni lividi: Milo e gli altri dovevano aver cercato di estorcergli informazioni con la forza.

Il giovane che lo aveva trasportato fece per aprire la bocca per spiegare l'accaduto ma Genew lo interruppe con un gesto della mano: «Nekhen mi ha già spiegato tutto».

Strappò invece dal legno della piattaforma la lancia che aveva conficcato prima al suo interno per la rabbia e puntò la pietra affilata contro la base del collo del ragazzo.

«Chi ci dice che non sta con loro?» ipotizzò la giovane, mentre lo scrutava con attenzione. Bisbigli provennero dalla folla e Rigel alzò una mano al cielo per interromperli: non si potevano permettere il ritorno delle vicende di pochi giorni prima. Una minaccia serpeggiava sul loro clan e stavolta era reale: non dovevano perdere tempo prezioso.

Rigel si appressò alla figura del neoteros e con due dita afferrò un lembo del suo strano indumento dal colore eccentrico. Iniziò a tirare con una certa forza, finché dopo solo pochi istanti non si lacerò, scoprendogli la spalla destra.
«Questo tessuto non resisterebbe più di due settimane nella giungla dei Gheisas, mentre i nostri neoteroi sono qui da una luna, oramai: costui non ha alcun rapporto con loro».

Genew annuì, convinta: per quanto odiasse i neoteroi, non era così sciocca da mettere il loro problema in primo piano in una situazione simile.
Dunque fece un cenno del capo a Rigel, che alzò di peso il giovane facendolo inginocchiare.

«Veniamo a noi» disse la figlia del capo guardandolo negli occhi. «Chi sei e cosa ci fai qui?»
Vedendo che il ragazzo non rispondeva e, anzi, la stava guardando con sdegno, infervorandosi immediatamente, gli tirò un calcio nello stomaco, gridando: «Rispondi quando ti parlo!»

Seppur dolorante, il giovane, sorprendendo Rigel, la guardò dritta negli occhi. «L'ho già detto, sono Egregio di Tes Gheisas» biascicò, con una punta irriverente nel tono della voce.
«Da quanto tempo fai parte di quel clan?» continuò Genew, ponendo nuovamente la punta della lancia sul suo collo, ma senza premere: non lo avrebbe ferito se non ci fosse stato motivo.
«Una settimana e due giorni» rispose quasi annoiato l'altro, confermando le supposizione di Rigel.

«Non hai ancora risposto alla mia prima domanda» riprese Genew.
Un'altra volta Egregio rimase a guardarla senza rispondere; teneva la testa alta, e sul suo viso si leggeva un incredibile disprezzo verso di lei, che infastidiva persino Rigel.

«Come osi guardarmi in quel modo?!» gli urlò contro Genew, colpendo la sua testa con il bastone della lancia. «Pensi di essere nella posizione per condurre tu la conversazione?!»
«Selvaggia ignorante...» biascicò Egregio, forse pensando di non farsi sentire. Ma sia Rigel che Genew udirono benissimo le sue parole e il disprezzo con le quali le pronunciò. Rigel non fece in tempo a stupirsi di quell'ignobile affermazione che il volto della seconda si deformò in un attimo e si avventò su di lui, costringendo l'altra a spostarsi.
«Ripeti quello che hai detto, se ne hai il coraggio» ringhiò Genew, quasi attaccata alla faccia del nemico.

Egregio ora tremava sotto di lei, per quanto una minima aria di disgusto continuasse a connotarlo. Genew strinse gli occhi mentre continuava a osservarlo.
«Selvaggia ignorante, hai detto?» sibilò, tornando a puntare la lancia contro il suo collo, senza preoccuparsi di provocargli dolore.
«Genew, non è...» provò a dire Rigel, ma bloccandosi immediatamente, ancora scossa dalla frase e dall'atteggiamento del Gheisas, che aveva percepito come un pugno allo stomaco: anche in una posizione di inferiorità nella quale era continuava a pensare che non fossero altro che dei selvaggi. Non tentò di fermare Genew: in cuor suo, non sperava fosse clemente con quel giovane ardito.

«Non hai neanche il coraggio di ripeterlo» scosse la testa Genew, disgustata. «Che essere infimo... Ma non ho tempo di discutere di questo. Dimmi perché sei qui, e subito!» sbraitò, andando a premere maggiormente con la punta della lancia il collo di Egregio. «Se non lo farai, questa selvaggia ignorante, dopo averti riempito di botte, tanto che non si riconoscerà più la tua faccia da quanto sarà nera, ti taglierà ogni arto del corpo, poi ti ricucirà, così che non morirai in fretta, e infine ti lascerà marcire appeso a un albero finché non sarai finalmente crepato! Se avrò pietà, ti trafiggerò il ventre con la mia lancia prima che la morte sopraggiunga naturalmente».

Sbattè la destra di lui sui tronchi, vi puntò contro la lancia e, con un colpo netto, gli tranciò il pollice. Una cascata di sangue iniziò a scorrere dall'estremità, macchiando gli indumenti del giovane e formando una piccola pozza sulla piattaforma, mentre Egregio non riusciva a smettere di urlare per il dolore, muovendo convulsamente il braccio.

«Ho già iniziato» continuò, schiacciandolo sotto il suo peso così che non si dimenasse e portando di nuovo la sua arma contro il collo scoperto. «Hai un'ultima possibilità: vedi di parlare. Lascia passare altri cinque secondi e ti taglierò l'intera mano».

«Ho... ho capito» mormorò Egregio con un filo di voce, il fiato corto per lo spavento e la vista del sangue. «La Geisha mi ha mandato qui... per osservare i luoghi... i luoghi dentro cui vuole penetrare. Ha... ha detto... ha detto che vuole muovere guerra contro Tou Gheneiou... non ne conosco le ragioni, ma vuole farlo. Attaccherà... attaccherà quando la luna sarà a metà del suo ciclo calante, ha detto. Porterà tutto il clan a combattere e ha detto... ha detto che vuole sterminare tutti i Gheneiou. Non so altro: ti ho detto tutto ciò che sapevo. Va bene? Così va bene?»

Rigel teneva gli occhi sbarrati, cercando lo sguardo di qualcuno che le stesse vicino. Ma, insieme a Genew, era stata l'unica che aveva ascoltato il discorso che preannunciava la loro rovina. Zeno aveva un'espressione dubbiosa, che condivideva con il resto dei presenti: erano rimasti troppo lontani per sentire bene il mormorio dell'intruso. Una paura che non aveva mai sentito prima si era impossessata di lei, scacciando il suo fare calmo e calcolato. Mille domande le tempestavano la mente, ma nessuna risposta riusciva a placarle. La Geisha, il capo del clan confinante, voleva davvero sterminarli? Cosa avrebbero fatto, cosa potevano fare? E Genew non la considerava: guardava ancora il neoteros, piena di sprezzo.

«E hai anche il coraggio di definirti uomo? Essere senza alcun pregio! Ti rendi conto di quello che hai appena fatto? Hai tradito il tuo intero clan. E solo perché ti ho minacciato di morte. Ma per il bene del proprio clan la vita non è nulla ed è un privilegio poterla sacrificare purché non accada niente di male al proprio popolo. Tu, invece, hai fatto l'esatto opposto: sei stato così egoista da ritenere la tua vita superiore rispetto alla tua comunità e l'hai tradita. Grazie a te, potrebbero non riuscire nel loro intento. Deridi me e il mio popolo perché siamo nati in un luogo lontano dal tuo mondo, che ci è stato precluso alla nascita; per lo meno noi selvaggi abbiamo ancora qualcosa per cui vale davvero la pena vantarsi: l'onore. Il tuo dov'è finito? Se lo conservavi ancora, l'hai completamente disseminato con la tua penosa dichiarazione di poco fa. Quanto mi fai schifo!»

Un terrore viscerale negli occhi di Egregio, non appena capì che Genew non lo avrebbe lasciato libero. Con una mossa veloce cercò di liberarsi per l'ennesima volta ma, proprio sopra di lui, era puntata la lancia, che andò a perforare il suo collo. Un fiotto caldo iniziò a sgorgare dalla ferita, che tutti i presenti fissarono inorriditi. Persino Genew si staccò dal suo corpo, passando lo sguardo dalle sue mani alla lancia conficcata nel collo di Egregio: evidentemente, per quanto fosse adirata con il giovane, non aveva avuto l'intenzione di ucciderlo. Quello aveva fatto tutto da solo e ormai era troppo tardi: il volto era esangue, gli occhi vacui.

Si sollevò da terra, mantenendo lo sguardo puntato verso il basso.
«Genew, l'hai ucciso?» La domanda arrivò dalla folla, incredula solo per la morte dell'intruso: le loro orecchie erano ancora vereconde, preservate dalla cupa notizia che aveva toccato Rigel e Genew.
«No, si è mosso» si giustificò subito la primogenita, quasi gridando. «La pietra era troppo vicina... In ogni caso lo avremmo imprigionato o... Non lo avremmo lasciato andare, questo è certo». Farneticava, scossa come Rigel non l'aveva mai vista: non avrebbe saputo dire se per l'improvvisa morte del ragazzo o per le notizie che aveva portato.

«Ma cos'ha detto?» continuavano a chiedere i Gheneiou, stringendo il cerchio e avvicinandosi al capo del clan.
«Esatto, cos'ha detto?»
«Perché Rigel ha quell'espressione?»
«Genew, almeno tu hai sentito?»

«Portiamolo via, nelle basse mangrovie, lontano da qui» tagliò corto la giovane, accennando al corpo morto. «Dimenticatelo. Dimenticatelo tutti» disse, il fiato ancora corto.
«Vado io» si propose subito l'amica, afferrando Egregio per i capelli: aveva bisogno di allontanarsi da lì, di rimuginare da sola. Voleva che i daimona venissero a trovarla, in quel momento. Magari, anche se non potevano, l'avrebbero aiutata. Improbabile.

«Non farti vedere da nessun altro: qua sono ancora pochi che hanno visto» le sussurrò in un orecchio Genew.
«Le voci gireranno comunque» ribatté Rigel. «Sai che, se una cosa la sa un solo Gheneiou, dopo un giorno la sa tutto il clan».
«Prima o poi lo sapranno. Per ora, è meglio che restino tranquilli, ancora per un po'» concluse Genew, prendendo una liana e voltando le spalle all'amica.

Rigel, ancora scossa, la imitò e, senza curarsi delle domande che le rivolgevano da ogni parte dalla piattaforma, si calò giù.
«Daimona, daimona, met'emoû ête*» si ritrovò a sussurrare, ma una voce la raggiunse prima che i volti sorridenti e tranquilli degli dei potessero palesarsi.

«Rigel!» Zeno era sopra di lei, ma in un attimo fu al suo fianco. «Mi vuoi dire cosa diamine è successo?»
La guerriera considerò solo in quel momento come si stava comportando, da ragazzina spaventata: se lo era lei, che era la combattente più forte di Tou Gheneiou, come avrebbero dovuto reagire tutti gli altri? La prospettiva della guerra la stava sconvolgendo, ma ugualmente il suo animo doveva rimanere come sempre: imperturbabile.
«Siamo in guerra, Zeno» annunciò, apatica. «Tra una settimana, Tes Gheisas attaccherà».

~

E questo non ve lo aspettavate.
Ebbene sì, un clan minaccia seriamente Tou Gheneiou e se Rigel stessa è preoccupata come l'avete vista, avete tutte le ragioni per farlo anche voi! Cosa potrà mai portare questo clan, di nome Tes Gheisas? Ma soprattutto, perché vuole venire a disturbare i Gheneiou, che, tra un insulto ai neoteroi e una battuta di caccia ai meranghi, se ne stavano tanto bene?
Fate tutte le vostre ipotesi e ditecele che siamo curiose. Noi intanto vi sveliamo che abbiamo voluto concedere questo intero capitolo a Rigel per prima cosa per dare voce anche a lei, in secondo luogo per mostrare da un punto di vista un po' distaccato Genew. È davvero il personaggio senza cuore che sembra o qualcosa di buono ce lo ha anche lei? Fate pure le vostre valutazioni anche qui. Per ultimissima cosa (poi prometto che vi lascio liberi) voglio farvi notare che in questo capitolo abbiamo cercato di creare aspettativa in due punti: quello di Mortino, di cui si ribadisce che è un mostro senza però parlare apertamente di ciò che ha fatto, e quello dei Gheisas, che allo stesso modo di Mortino non sappiamo perché possano essere tanto temibili. Queste belle informazioni le scoprirete a brevissimo ma prima... non ci stiamo dimenticando qualcosa?
Bellatrix & Mijime: ...
Scusate, ragazzi. Nel prossimo capitolo torneremo da voi.
Ci si vedeee!
~🐼🐢

*daimona, daimona, siate con me

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