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«Bellatrix».

Di nuovo. Di nuovo. Di nuovo. Eccolo di nuovo intento a chiamarla per importunarla in qualche modo, per prenderla in giro, per darle fastidio, per farle saltare i nervi. Per quanto ancora sarebbero andati avanti così?!

Bellatrix si girò stremata verso Mijime, fulminandolo con lo sguardo: «Sei insopportabile! Semplicemente insopportabile! Va bene: istigarmi sarà anche divertente, ma io non ce la faccio più! Era questo quello che volevi sentirti dire? Era questo il tuo intento? Farmi arrivare al limite della sopportazione? Allora ti devo fare i miei complimenti: bravo, anzi, bravissimo, ci sei riuscito!»

«Veramente, tu sei un po' troppo suscettibile, mia cara; devo parlarti di qualcosa di serio» replicò Mijime, ridacchiando sotto i baffi. Bellatrix si infiammò: quanto avrebbe voluto fargli male in quel momento!

«No, Mijime, non ci cascherò di nuovo: sta' in silenzio e basta!» disse irritata lei, per poi voltarsi nuovamente e procedere nella sua direzione.
«Purtroppo devo deluderti: ciò che sto per comunicarti è alquanto urgente» continuò il giovane con la solita affabilità.
«Cos'è? Quell'odioso primate ha imparato a volare, per caso?»

«Innanzitutto, Buz non è per niente odioso: quella al massimo sarai tu» rispose Mijime con un sorrisetto, carezzando affettuoso la scimmietta appollaiata sulla sua spalla, il suo fidato complice negli scherzi che giocavano a Bellatrix. Come quella volta che le avevano fatto credere che ci fosse un alligatore nel fiume da cui stavano bevendo. O come quel giorno che, dopo averla svegliata nel cuore della notte "avendo sentito dei rumori", l'avevano fatta finire in una pozza d'acqua. O ancora... Gli esempi che le sovvenivano erano infiniti: quei due avevano deciso di usarla come passatempo! «Ti stavo dicendo che stiamo sbagliando strada».

Bellatrix si fermò voltandosi perplessa verso il compagno di viaggio. «Cosa stai dicendo? Il vulcano è a Est-Nord-Est. Guarda dov'è il sole e guarda dove ci stiamo dirigendo noi: stiamo andando dalla parte giusta».

Se non altro quella mattina, dopo cinque giorni trascorsi nella giungla più fitta, erano finalmente giunti in un luogo ancora tropicale, ma con una vegetazione più bassa e rada, che permetteva loro di scorgere il cielo e orientarsi meglio.

«È proprio questo il punto. Se solo mi ascoltassi ogni tanto...» Mijime si strofinò gli occhi con le mani. «Non importa: ripeterò ciò che ti avevo detto mentre spiegavo le varie raccomandazioni di Anita. Mi aveva spiegato che lungo il tragitto per arrivare al Vulcano si trova un clan particolarmente bellicoso, chiamato Ton Paidon, i cui territori iniziano quando comincia a ridursi la foresta». Sollevò le mani, come a rendere più evidente che adesso, oltre gli alberi, si vedesse bene il cielo terso. «Sarebbe meglio aggirarlo finché non siamo ancora entrati nei loro confini».

«Questo non me l'hai mai detto!» esclamò Bellatrix. In realtà, se doveva essere sincera con se stessa e con Mijime, non ne aveva la minima idea: categoricamente, aveva deciso di ignorare ogni cosa che il suo odioso compagno le avrebbe detto da allora in avanti. Ma, in ogni caso, quell'ultima informazione aveva proprio l'aria di essere l'espediente per l'ennesimo giochetto. «Te lo ripeto: non cascherò di nuovo in uno dei tuoi dannatissimi scherzi che mi fanno solo perdere tempo. Ho fretta di arrivare dal Vulcano e, soprattutto, di liberarmi una buona volta di te. Quindi, noi proseguiremo per questa direzione» concluse con un tono che non ammetteva repliche.

«Bellatrix, non sto scherzando». Mijime le si parò davanti, costringendola a fermarsi, le braccia incrociate e uno sguardo che non gli aveva mai visto in volto: sembrava davvero serio. «Senti forse dell'ironia nella mia voce?»
«Ormai ti conosco abbastanza bene per diffidare di te anche quando mascheri il tuo perenne sarcasmo» ribatté ugualmente, non fidandosi.
«Ma-».

«Niente ma!» scoppiò, scostandolo di lato e procedendo senza smettere di urlare. «Sono stufa di te e dei tuoi giochetti! Ti ho sopportato per cinque giorni in cui ti sei potuto divertire, ma adesso basta! Resta in silenzio!»
«Perché ti comporti da imbecille anche se sei l'esatto opposto?» si lamentò il suo compagno, mentre tornava al suo fianco, per poi cambiare subito tono di voce. «Questa volta non ti lascerò fare quello che vuoi» aggiunse, incontrovertibile. «Come ben sai, tengo molto alla mia vita e, di conseguenza, anche alla tua: se incontrassimo questo clan le metteremmo entrambe a rischio. È solo un piccolo sacrificio prolungare il viaggio di un giorno al massimo».

Così dicendo, le cinse i fianchi e in una sola mossa la sollevò di peso, caricandosela su una spalla. Bellatrix sbarrò gli occhi in un'espressione indemoniata: come osava?! Subito iniziò a tempestargli la schiena di pugni, di cui però Mijime, che aveva ripreso a camminare nella direzione opposta, neanche si accorgeva.

Doveva cambiare strategia. Bellatrix provò a lasciarsi scivolare in avanti, compiendo piccoli movimenti che sarebbero rimasti inavvertiti da Mijime, ma il compagno la afferrò per una gamba e la riposizionò dove doveva rimanere. La giovane tentò allora di sgusciare via con un unico rapido movimento, ma Mijime la bloccò ancora una volta, circondando la sua schiena con un braccio per evitare che si muovesse ulteriormente.

«Mettimi subito giù» ordinò all'altro, perentoria, constatato che non sarebbe riuscita a liberarsi da sola.
«Ti ho detto che non ti lascerò fare quello che vuoi» replicò Mijime, ancora impassibile. Bellatrix non capiva: cosa poteva avergli detto Anita in merito a quel clan che lo facesse preoccupare così tanto? Non lo avevano turbato nemmeno le maghe: cosa aveva questo clan di diverso? E perché non glielo diceva?

Era ovvio che si trattava sempre di uno dei suoi scherzi, anche se sicuramente meglio organizzato e recitato: erano troppi gli elementi che continuavano a sfuggirle.

«Se non vuoi percorrere la via più breve mi sta benissimo, ma almeno falla proseguire a me» ritentò la giovane, stando al gioco: le bastava che la riponesse a terra, poi anche lui, capendo che questa volta non era incappata nella sua burla, sarebbe tornato a percorrere la loro strada.

«Non ci penso proprio: così sarai da sola contro un clan tremendo che, come minimo, ti imprigionerà da qualche parte. Scordatelo».
«Contro Dejanira e Diamantina ero sola e disarmata e ne sono uscita lo stesso! Non ho bisogno di te per sopravvivere! E adesso mettimi giù!»

Bellatrix continuava a gridare, sempre più insofferente, ma Mijime non la stava più a sentire: sembrava invece assorto in qualche pensiero, lo sguardo per aria, come se qualcosa sopra di loro avesse attirato la sua attenzione.

«Mi stai ascoltando?» lo richiamò Bellatrix.
«Taci» la zittì il giovane: aveva abbassato nettamente la voce, sebbene fosse rimasta irremovibile, gli occhi rivolti ancora in alto, lo sguardo più circospetto ogni secondo che passava. Lentamente, portò la mano ancora libera su uno dei coltelli di Dejanira.

Una piccola freccia dalla punta lignea partì dall'alto della vegetazione, mirando contro di loro. Mijime la evitò facilmente ma subito ne arrivò un'altra, e un'altra ancora. Il giovane corse dietro a un albero, dove depositò a terra Bellatrix, e riprese a spostarsi veloce da una parte all'altra per evitare le frecce, sempre più fitte. Quanti arceri erano appostati là sopra? E, soprattutto, come facevano a nascondersi così bene? Le foglie erano abbastanza rade ma sopra agli alberi non si vedeva alcunché, solo le frecce che venivano scoccate.

"Mijime aveva ragione" pensò in un brivido di terrore Bellatrix, che però recuperò in fretta le sue facoltà cognitive e prese a imitare il compagno nei movimenti, allontanandosi il più possibile dal lui: se non erano vicini, le frecce, per poter essere scagliate contro entrambi, si sarebbero dimezzate e sarebbe stato più facile schivarle. Prima o poi, i dardi sarebbero finiti e avrebbero iniziato a combattere corpo a corpo: allora, chiunque fossero i loro avversari, sarebbero stati di gran lunga avvantaggiati grazie alle sofisticate armi di Dejanira e Diamantina.

Le frecce iniziarono a diradarsi. Come aveva supposto Bellatrix, le stavano terminando; adesso si sarebbero finalmente mostrati. Mise le mani sull'ascia che portava dietro la schiena e la estrasse dal fodero dentro cui era riposta, portandola davanti a sé, pronta a reagire a qualsiasi attacco.

Dall'alto saltarono giù dieci figure estremamente basse e con i volti coperti da maschere rivoltanti, muniti di lance e coltelli. Cinque di loro si rivolsero contro di lei, mentre gli altri corsero contro Mijime, levando lievi urla di battaglia. Erano voci di... bambini?

I cinque la circondarono completamente, lanciandole veloci attacchi alle gambe con le armi più lunghe: se solo l'avessero colpita, l'avrebbero messa facilmente fuori combattimento. Bellatrix, scostandosi ogni volta per evitare le lance degli avversari, cercava di colpirli, ma non riusciva a raggiungerli: quelli si mantenevano troppo lontani perché la sua ascia potesse controbattere. Poteva però tentare comunque qualcosa: con un unico colpo, spezzò il bastone dell'arma di uno dei cinque. Sorrise compiaciuta: le sarebbe bastato eseguire lo stesso procedimento con gli altri quattro e la vittoria sarebbe stata sua.

La giovane tagliò un'altra lancia, ma il suo proprietario fece qualcosa di inaspettato: gettò a terra il pezzo di bastone rimastogli in mano e, spiccando un balzo incredibilmente alto, le saltò addosso, contro il petto, avvinghiandosi a lei e ponendole le mani sugli occhi.

Bellatrix cercò di toglierselo di dosso ma sentì che anche altri lo avevano imitato, assalendola e bloccandole le mani.
A un tratto qualcosa di piccolo si conficcò nella sua spalla e il corpo smise di risponderle, infiacchitosi tutto d'un colpo: la invase il desiderio di un lungo, rigenerante sonno... No! Doveva combattere e scappare! I cinque erano ancora attorno a lei, non poteva lasciarsi andare in quel modo! Ma anche la vista iniziò ad abbandonarla: vedeva, sì, dopo che il nemico aveva tolto le piccole e tozze manine dalla sua faccia, ma solo a tratti riusciva a mettere a fuoco, mentre le girava la testa. Cadde in ginocchio: le gambe non la reggevano più. Dormire, dormire, dormire: il suo cervello le mandava un unico messaggio. Intorno a lei tutto era estremamente confuso: gli avversari ora le stavano saltellando intorno, esultanti. Più lontano Mijime stava ancora cercando di resistere ma, ora che avevano beccato lei, si sarebbero concentrati completamente su di lui. Non avevano più scampo.

Anche gli occhi si spensero; tutto ciò che le era rimasto per continuare a percepire il mondo esterno era l'udito. Da qualche parte si levò un grido di giubilo, pareva lontanissimo.
«Portiamoli ai Nobili! Portiamoli ai Nobili!»
La circondò una marea nebulosa di voci finché non furono così lontane da sembrare sparite. Finalmente, il sonno l'avvolse.

~

«Nobile Fossa, hai visto che armi!»
«Nobile Defe, ma quando mai ne avremo altre del genere?!»
«Propongo dei festeggiamenti!»
«Voglio tagliare!»
«Anche io! Anche io!»
«Nobili! Nobili! Guardate! Si stanno svegliando!»
«L'effetto del veleno deve essere finito, Nobili!»

Bellatrix sentiva che, lentamente, le stavano tornando tutte le facoltà cognitive ma non capiva proprio dove fosse finita e cosa le fosse accaduto. Tutto ciò che percepiva erano delle voci estasiate di bambini, e di essere in ginocchio su una superficie legnosa con le mani e i piedi legati dietro la schiena a qualcosa da cui non riusciva a muoversi.

Con fatica aprì gli occhi: davanti a lei, un'orda di figure basse e frenetiche si muoveva saltellando attorno a una piattaforma di legno sopraelevata, in cima alla quale stavano altri due, sdraiati su un fianco su rudimentali panche di legno. Differivano dagli altri solo per le maschere più grandi, una dalla testa d'aquila e l'altra con le sembianze del muso di un felino, e per i vestiti colorati, pur essendo luridi e stracciati come quelli dei compagni.

Bellatrix sbatté velocemente le palpebre, ma la situazione davanti ai suoi occhi, per quanto fosse più assurda di un sogno, non mutò. Ma non poteva essere vero. Un clan di soli bambini? Ma come poteva esistere? Non aveva senso, non aveva senso!

Tutto questo però non era ancora abbastanza: dietro ai bambini sulla piattaforma decine e decine di armi, appese a tronchi di diverse dimensioni. Bellatrix rabbrividì accorgendosi che, tra la moltitudine di bronzi, spiccavano anche i lucenti coltelli e l'ascia di Dejanira e Diamantina.

Mijime aveva davvero detto la verità. Ma che razza di sciocca era stata a non avergli dato retta, a non avergli nemmeno lasciato la possibilità di spiegarsi? Come aveva detto lui, allungare il viaggio di un giorno sarebbe stato un sacrificio sopportabile. Ora cosa sarebbe accaduto? Supponendo anche che fossero riusciti a fuggire, erano completamente disarmati, in un luogo che non conoscevano; in quelle condizioni chiunque avrebbe potuto catturarli. Piegò il capo verso il basso, sconfortata: cosa le aveva detto la testa?

Ma riprese subito a guardarsi attorno, quasi cercasse una disperata via di fuga: non c'era altro oltre la piattaforma su cui si ergevano trionfanti i due ragazzini mascherati. Soltanto in lontananza si vedeva qualche capanna di paglia, qua e là tra le piante. Voltandosi, scoprì invece che era stata legata a un palo, anch'esso su una piattaforma in legno sopraelevata rispetto alla terra, seppur non tanto quanto quella dei due bambini. Alla sua sinistra un altro prigioniero nella sua stessa posizione, i cui occhi a mandorla la stavano guardando con aria al contempo rammaricata e compiaciuta, quasi volessero ribadire: "Te l'avevo detto".

Bellatrix distolse in fretta lo sguardo da Mijime: lo sapeva benissimo ed era inutile che glielo facesse pesare. Certe volte era così infantile! Se non fosse stato per la sua mania di giocarle in continuazione scherzi di qualsiasi genere, probabilmente lo avrebbe ascoltato. E, anche adesso, rinfacciarle il suo errore non serviva a nulla: continuare a istigarla non era il modo per uscire da quella situazione. Soprattutto perché un modo non c'era. Voltò la testa ed evitò di incrociare ancora lo sguardo del compagno.

«Nobile Fossa! Nobile Defe! Sono svegli! Sono svegli!»
«Nobili! Nobili! Sono svegli!»
«Voglio tagliare!»
«Si sono svegliati!»

I bambini sotto di loro iniziarono ad agitarsi ancora di più, correndo sopra le piattaforme e saltando dall'una all'altra, urlando, emettendo ogni genere di verso, imitando quelli di animali feroci, e lanciando grida elettrizzate.

«Ragazzi, ragazzi! Calmi, fermatevi» disse il bambino con la testa d'aquila, ridacchiando.
«Esatto» lo seguì ancor più tranquillo l'altro, che si rivolse poi ai giovani legati contro il palo. «Scusateli: sono un po' irrequieti. Ma perché dovreste scusarli, invece?» si contraddisse subito. «Sono bambini, è ovvio che sono così. Be', benvenuti all'accampamento di Ton Paidon, il clan migliore e più forte dell'isola. Non sappiamo chi e di che clan siete e, sinceramente, non ce ne può fregar di meno. Tuttavia, vi dobbiamo molto: le armi che avevate sono stupende e potremo essere ancora più forti grazie a queste. Per questo motivo, quando vi sacrificheremo, saremo buoni con voi e non vi faremo soffrire molto, anche se non è una cosa che facciamo spesso».

Cosa aveva appena detto quel moccioso? Bellatrix voleva gridare. O tornare indietro nel tempo. Era inutile che provasse a colpevolizzare Mijime: stavolta, la responsabilità era tutta sua. Se solo l'avesse ascoltato quando gliene aveva parlato la prima volta, se solo lo avesse fatto anche solo poco prima, invece che urlare attirando di certo l'attenzione dei bambini. Forse avrebbero avuto una possibilità. Ma ora... Erano legati, senza le loro armi, attorniati da almeno sessanta bambini che, benché la giovane età, erano abilissimi nel combattimento. Si rinchiuse in se stessa, abbattendosi totalmente. Non ce l'avrebbero fatta questa volta.

~

"Cosa ti costava darmi ascolto per pochi secondi?!" Mijime era furioso: se prima aveva anche ironizzato sulla loro situazione, riuscendo ancora a sorridere beffardo verso la sua compagna, ora non lo era più. Mancavano due giorni per arrivare dal Vulcano, ottenere i maledetti poteri e ritornare al clan per vedere di sistemare tutto. Due soli giorni. E Bellatrix era riuscita a prolungare il loro viaggio per chissà quanto, se non addirittura a far conquistare loro i biglietti di sola andata per l'oltretomba.

Una parte di colpa doveva in realtà ammettere che spettava anche a lui: si era abituato troppo, per svagarsi e tenere la mente lontana da cupi pensieri, a farsi beffe di Bellatrix, e avrebbe dovuto immaginare che così facendo avrebbe perso tutta la sua credibilità. Se si trovavano lì, ora, legati a un palo e in procinto di essere sacrificati a chissà quale divinità, la responsabilità era indiscutibilmente di entrambi.

Ma non si sarebbe dato per vinto: con calma, avrebbe trovato una soluzione.
«Deve esserci stato sicuramente un fraintendimento» iniziò con il tono più affabile possibile, senza mostrare la tensione che stava provando e dimenticando le mille imprecazioni che avrebbe voluto urlare contro Bellatrix. Provò a consolarsi: non era la prima volta che era in pericolo di vita. Ma non era mai stato così tanto a corto di idee in merito a una fuga.

«E che cos'è?»
«Nobile Defe, cos'è un framendimento
«Voglio tagliare!»

Il ragazzino con la testa d'aquila si alzò dalla panca su cui era sdraiato e spiccò un balzo sulla piattaforma dei giovani, puntando contro Mijime uno dei coltelli che gli aveva sottratto. Il giovane si ritrasse abbastanza da non farsi sfiorare il collo dalla lama fredda.

«Vedi di parlare chiaramente» ringhiò quello, minaccioso. «Voi adulti siete così insopportabili: pensate di essere migliori dei bambini e per farcelo pesare usate tutti questi paroloni! Mi fate arrabbiare e dovete morire tutti, voi grandi!»

"Ton Paidon, il clan dei bambini, i cui componenti sembrano sadici ed esaltati bambini di otto o nove anni". Anita non avrebbe potuto descrivere meglio i loro aguzzini. Peccato non gli avesse anche rivelato come fare a scampare a un loro sacrificio.

Mijime continuava a tenere d'occhio la lama vicina al suo collo e intanto riprese il suo discorso, sperando che le sue qualità oratorie potessero trarlo in salvo.
«Stavo cercando di dire,» riattaccò, con un sorriso a fior di labbra che avrebbe potuto sfoderare discutendo amabilmente di facezie, «deve esserci stato un errore: non abbiamo alcuna intenzione bellicosa nei vostri confronti. Siamo due soltanto, cosa mai potremmo farvi? Siamo capitati nei vostri territori per puro sbaglio e stavamo giusto per andarcene, quando-».

Il bambino dalla maschera d'aquila conficcò con forza il suo coltello nel palo alle spalle del giovane, che subito serrò la bocca. Dietro al legno intarsiato due occhietti marroni lo stavano scrutando con perfidia: un solo passo falso e la lama metallica gli avrebbe tagliato la gola.

«Senti senti l'adulto...» borbottava intanto l'altro, alzandosi dalla sua posizione e protendendosi verso di loro. «Che è? Pensi che c'è bisogno che due siano di un clan nemico perché noi li facciamo a fettine? L'ho già detto - e odio ripetermi: quali sono i vostri nomi e chi siete non ci importa!» esclamò, sollevando in urla e applausi la folla di bambini che lo attorniava. «Ci importa che vi abbiamo trovati nei nostri territori e che, in quanto adulti, vi sgozzeremo come dei capretti!»

Un urlo clamoroso rimbombò nella foresta, che fomentò l'eccitazione dei bambini: continuavano a correre, gridare, saltare, ma con una foga innaturale, come posseduti da una divinità. Alcuni di quelli balzarono sulla piattaforma sopra cui erano legati Mijime e Bellatrix, ma lo sguardo del giovane fu attirato, inorridito, solo da uno di loro: un bambinetto più basso degli altri, che si era impossessato dell'ascia di Diamantina e si stava dirigendo proprio verso di lui, cauto e lento come un predatore. Quando gli fu a pochi passi, si tolse la maschera, rivelando un ghigno agghiacciante, con i denti che digrignavano nel suo sorriso malefico e le pupille, quasi prive di iride, che guardavano strabiche da due parti opposte.
«Voglio tagliare!» disse, in un'esclamazione che tolse il respiro a Mijime.
«Oh, Joao, non sai quanto voglio farlo io».
«A morte gli adulti! A morte gli adulti!»

Seguito dai commenti dei suoi compagni, Joao continuava ad avanzare, agitando l'arma davanti a sé, come a valutare le mosse che avrebbe eseguito, una volta che fosse stato addosso a Mijime, per... Effettivamente, cosa aveva intenzione di fargli? Ci avrebbe messo molto? O, più probabilmente, considerando la sua espressione psicopatica, avrebbe goduto nel lacerare la sua carne? Qualsiasi cosa avesse avuta in mente, Mijime non poteva fare in modo che si concretizzasse.

«Continuo a ritenere che stiate commettendo uno sbaglio» proferì tutto d'un fiato, spostando gli occhi, quasi supplicanti, verso il bambino con la maschera d'aquila: lui solo, insieme all'altro capo, avrebbe potuto riportare all'ordine i suoi sottoposti. «Avete mai pensato a quanto potremmo esservi utili?» osò, cercando di sorridere accomodante come suo solito, ma riuscendo a piegare la bocca solo in una smorfia isterica.

«Lo siete già stati, con le armi. Adesso, a morte!» All'ennesimo grido di Defe, Joao scattò repentinamente contro Mijime, arrivando a toccare con l'ascia il suo petto. Il giovane si scostò subito, provando a indietreggiare ancora un poco. Doveva muoversi il meno possibile per evitare che la lama potesse ferirlo, o anche solo lacerargli la camicia: nella sua tasca interna aveva ancora il suo coltello e un vasetto di riserva della lozione di Anita, qualora avessero smarrito quello più grande. Non poteva permettere che gli venissero sottratti anche gli ultimi suoi averi.

«Lasciatemi parlare e vi convincerò del contrario» disse ancora, questa volta in un sussurro quasi disperato: anche se gli avessero concesso di esprimersi, sarebbe stato punto e a capo. Come poteva sfuggire al suo destino, ormai?
«Non ci inganni, sciocco adulto! Lo sappiamo che gli adulti vogliono solo ingannare noi bambini, con le loro assurde bugie. Ma noi non ci lasceremo ingannare!»

Lo sguardo di Mijime era ormai tutto concentrato sull'arma di Joao, che, se solo avesse premuto poco di più, avrebbe trafitto il suo torace.
"Non solo ci siamo lasciati catturare da dei mocciosi, ma abbiamo anche donato loro le armi che ci sottrarranno la vita!" si ritrovò a pensare, ma illuminandosi immediatamente: le armi! Ma come aveva fatto a non pensarci subito?

«Va bene,» affermò, riacquistata la sua tipica tranquillità, «rinunciate pure alla possibilità di ottenere centinaia di armi come quelle».
Ovviamente questo non sarebbe mai successo, ma era una scusa abbastanza plausibile: li avevano trovati con quelle armi addosso, era probabile credessero che a produrle fosse il loro clan. Bastava convincerli, per farsi liberare, e una volta che lo fossero stati avrebbero potuto salutarli per sempre.

Il Nobile rimasto sull'altra piattaforma sobbalzò subito dalla sua posizione e con un breve cenno placò i suoi caotici compagni di clan. Saltò anche lui su quella dei prigionieri e spinse Joao da una parte, per poter stare di fronte a Mijime e guardarlo negli occhi, mentre si grattava il mento sotto la maschera di felino.

«Non mi fido degli adulti» sentenziò Defe, ma senza mutare l'interesse del compagno.
«Però... quelle armi sono belle...»
«Voglio tagliare!» intervenne ancora Joao, inframezzandosi tra i due Nobili.
«E taci un po', Joao!» esclamò Fossa, spintonandolo per farlo cadere a terra. Non si mosse ulteriormente. «Quelle armi sono belle e averne molte di più sarebbe bello» riprese a considerare tra sé. «Potremmo essere molto più forti, Defe!»
«Siamo già forti. Nessuno osa sfidarci».
«Ma se diventassimo più forti potremmo conquistare popoli e territori, avere degli schiavi, fare molti più sacrifici...»

«È proprio così» lo appoggiò Mijime, senza lasciarsi sfuggire l'occasione. «Già immagino quando la gente tremerà al sol pronunciare il nome del vostro clan».
«Sì, sì, sarete temuti da tutti» aggiunse Bellatrix. Mijime si voltò un attimo stupito verso di lei, che non aveva osato proferire parola fino ad allora. Quella annuì, come a voler fargli intendere che avesse capito cosa doveva fare. «Non che ora non sia così, ma gli abitanti dell'isola saranno terrorizzati dalla prospettiva di una vostra invasione. Vi offriranno parte delle loro fatiche, si sottometteranno a voi, alcuni vi innalzeranno persino al pari degli dei, pur di sapere che non li tormenterete».

Mijime sogghignò: avrebbe dovuto ricordarsi della sua abilità come attrice. Considerando poi che i loro aguzzini erano sostanzialmente bambini nel corpo e nella mente, un'adulazione in più avrebbe giocato solo a loro vantaggio. "Se ne usciremo vivi, ti darò una piccola parte di merito, mia cara".
«Sarete egemoni sull'isola, in tutto e per tutto» concluse, nel tono più convincente che riuscisse a esternare.

I due Nobili si guardarono a lungo, dietro le loro maschere, mentre gli altri bambini trepidavano per sentire il verdetto finale.
«Defe, allora, che ne dici?» lo incalzò infine quello dalla testa di felino.
Mijime fremeva per quella risposta: Fossa, era chiaro, era stato convinto e doveva solo giungere la risposta del secondo, che però continuava a temporeggiare.

Ma la risposta arrivò inesorabile: «Non mi convincono ancora...»
Mijime tremò, per l'ennesima volta in quella giornata. E adesso? Come avrebbero fatto a mettersi d'accordo? Come potevano intervenire ancora? Oltre alle armi non sapeva cosa proporre in cambio delle loro vite...

«Forse perché non è il potere ciò che cerchi: sei più saggio di così». Era stata Bellatrix a riprendere la parola. Cosa poteva esserle venuto in mente? Si girò ancora per lanciarle un'occhiata interrogativa, ma ormai lei era determinata a percorrere la sua idea. «Ma con il nostro aiuto potrai ottenere ben altro. Potremo essere vostri alleati nella ricerca del tesoro. E dopo duemila anni, finalmente, saremo noi, insieme, a trovarlo, per primi rimetteremo piede nell'Exo. È forse questo ciò che desiderate? Riabbracciare i vostri cari, rivedere i luoghi da cui provenite? Oppure osservarli per la prima volta, potendo finalmente farne parte?»

Se avevano anche una minima possibilità di essere liberati, quella era svanita per sempre. Perché, perché aveva dovuto parlare?! Bellatrix non lo aveva mai ascoltato, non sapeva cos'erano davvero quei bambini. E non sapeva che non avrebbe potuto pronunciare discorso peggiore.

Il pianto di una di quelli irruppe nel silenzio creatosi, andando a confermare i timori di Mijime. Al suo si unirono i singhiozzi di altri, finché tutto l'accampamento non fu sovrastato dai gemiti dei bambini, che man mano si trasformarono in grida ferine di rabbia.

«Adulti cattivi!»
«Vi odio! Vi odio!»
«Sacrificio! Sacrificio! Sacrificio!»

«Mi avevate anche convinto, con le vostre belle parole» fece Fossa, abbattuto, in mezzo al clamore creato dai suoi compagni. «Ma si vede come, dopotutto, non siete altro che due sporchi e disonesti adulti che non sanno fare altro che parlare. Mi fate così schifo».
«Io l'avevo capito fin da subito che volevate ingannarci» ringhiò Defe. «Ma non pensavo voleste addirittura farci stare così male. Guardate, guardate». Indicò con un gesto plateale la folla di bambini disperati. «Tutti piangono, ora, ed è colpa vostra, che li avete fatti ricordare. Cattivi, malvagi!» urlò ancora, la voce distorta dai suoi stessi singhiozzi. «Pensate solo a voi stessi! Non pensate a noi, a quanto soffriamo!»

«Sacrificio! Sacrificio! Sacrificio!» Il grido sembrava provenire da una voce sola, scandita dal pestare ritmico dei piedi.
«Voglio tagliare!» gridò Joao, più infervorato che mai.
«Certo che sì, Joao» disse Fossa, con disgusto. «Taglierai tutto quello che vuoi. È quello che si meritano. Ma prima... arrostiamoli un po'. Lenny» si rivolse a uno dei compagni, «porta il fuoco di Kreitton per bruciare il legno su cui stanno i due ignobili adulti».

Non poteva finire così, pensava Mijime, scuotendo lentamente la testa, mentre la lingua cercava ancora di muoversi per articolare le sue scuse, per pronunciare l'ennesima bugia con cui sperava di uscire da quel clan maledetto. Ma il tempo era finito, come di lì a poco sarebbe stata la sua vita.

«A lui dedicheremo questo sacrificio» continuava Fossa, alzando le braccia al cielo, come invasato, «perché ci renda propizie le prossime battaglie e la nostra ricerca, e offriremo le loro ceneri alla luce del mondo, la divina Tancresea, che noi amiamo e adoriamo».

«Nobile Fossa, Nobile Defe, volete ascoltarmi?!» Mijime sobbalzò: sulla piattaforma era salita una bambina che da tempo si sbracciava per farsi notare, ma che era rimasta sostanzialmente ignorata. Con il fiato lungo per aver urlato tanto, riprese: «Non possiamo sacrificarli ora. Ricordate la profezia delle maghe? Se sacrifichiamo qualcuno potrebbe accaderci qualcosa di grave».

Mijime non credeva alle sue orecchie e dalla bocca gli sfuggì un lungo e stanco sospiro di sollievo. Il destino aveva deciso di concedergli un'altra possibilità: non l'avrebbe sprecata, questa volta. Intanto poteva consolarsi di una cosa: quel giorno la vita sarebbe rimasta ancora con lui.

«Hai ragione, Erika» rifletté Fossa, irritato da quell'interruzione. «Magari però è cambiato qualcosa nel frattempo... Be', in tal caso li terremo sottoterra finché non avremo il via libera delle maghe» fece infine spallucce. Sottoterra? Mijime non capiva; cosa ne sarebbe stato di loro? Ma non trapelò nessuna informazione utile dalle parole del bambino, che invece proseguì con i suoi ordini. «Per questo, Arturo, va' subito da loro a sentire se hanno delle novità e torna il prima possibile con delle buone notizie!»

Un bambino annuì e si allontanò dagli altri, che cercavano in ogni modo di contenersi dal piangere ancora. Mijime ne aveva quasi pietà.
«Bene così» assentì Fossa, turbato, mentre girava le spalle ai due adulti, imitato dal compagno. «E adesso metteteli sottoterra; non ho altro da dire».
Così concludendo, se ne andò anche lui.

Quando fu scomparso, Defe tornò sulla sua piattaforma e si adagiò di nuovo sulla sua panca. «Sganciateli e tirate la leva» ordinò, indifferente, e si rivolse un'ultima volta ai due giovani, togliendosi la maschera per guardarli meglio negli occhi, o forse per mostrare loro il sorrisetto perfido comparso sulle sue labbra. «Addio, schifosissimi adulti! Ci vediamo tra qualche giorno, se ci sarete ancora; altrimenti, a mai più!»

Quattro bambine salirono sulla piattaforma e si avvicinarono a Mijime e Bellatrix. Due di loro, con una forza incredibile, non certo propria di esserini così gracili e minuti, tennero fermi i due giovani, facendoli sdraiare proni e immobilizzandoli del tutto. Mijime sentì un improvviso sollievo ai polsi e alle caviglie - dovevano averlo liberato - ma quel piacere durò per pochi istanti: le corde vennero riavvolte come prima, se non ancora più strette.

Le figure si staccarono dal suo corpo e le sentì saltare giù dalla piattaforma. Non fece in tempo a rialzare la testa per accertarsi di ciò che stava accadendo, che il legno sprofondò sotto le sue gambe. Cadde rovinosamente su un terreno duro e polveroso. Un rumore sordo provenne da sopra e l'oscurità lo avvolse.

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Ecco a voi anche il capitolo 18! Siamo tornati a parlare del viaggio di questi due carissimi personaggi che proprio non ce la fanno ad andare d'accordo...😑 e questo ha portato a un piccolo intoppo che potrebbe rivelarsi più lungo del previsto. Bravi, bravissimi: uno che, troppo impegnato a distrarsi, non ha pensato che a lungo andare avrebbe fatto la fine di Pierino, e l'altra che non ha pensato che UN GIORNO in più di viaggio poteva essere meglio che... qualunque cosa decideranno di fare i bambini. A proposito, cosa potrà mai succedere? Mijime riuscirà a trovare un piano per riuscire a scappare, e questa volta davvero? Bellatrix riuscirà ad ascoltarlo? Ma soprattutto, vi siete chiesti il perché della reazione esagerata che hanno avuto i bambini quando Bellatrix ha parlato dell'Exo? Restate con noi per scoprire questo e molto di più!
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