22.1

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

«Ciao, mamma!» Kairos approdò con un movimento veloce sulla piattaforma e si precipitò a stringere tra le sue braccia la madre, quasi come se non la vedesse da mesi, e sentì che il corpo di Anita contraccambiò allo stesso modo quella stretta.
"Deve stare meglio del solito, se riesce a ricambiare così energicamente!" si disse Kairos, felice di quell'insolito cambiamento. Ma quando si staccò dal suo corpo vide gli occhi di lei appena arrossati, come se avesse pianto. Che era accaduto?
«Mamma, tutto bene?»

«Ma sì, tranquillo. Mi sono solo appena alzata» rispose, sorridendo e coprendosi la bocca, all'improvviso colta da uno sbadiglio. «Stamattina ho fatto un po' fatica a svegliarmi. Come va?»

«Tutto bene» sorrise di nuovo, anche se la risposta frettolosa della madre, seppur ben contraffatta, non lo convinceva. Che, mentre lui era rimasto con Raya e i neoteroi, qualcuno del clan fosse tornato a importunarla? Che fosse ancora afflitta per gli eventi dei giorni precedenti? Non avrebbe saputo spiegarsi altrimenti la sua tristezza. Ma forse non era così: magari si era davvero svegliata da poco, per quanto non fosse da lei.

«Kairos, allora, hai intenzione di sederti o preferisci rimanere in contemplazione dei tronchi della piattaforma?»

Il giovane sussultò appena e, rialzando gli occhi, vide come sua moglie stesse ridacchiando alla battuta di Em, insieme agli altri neoteroi. Perso nei suoi pensieri, non si era accorto che il resto dei presenti aveva preso posto a sedere per la colazione.

«Ehm... stavo aspettando gli altri» mentì, con la prima scusa che gli passò per la testa. Sentendo le risate soffocate dei neoteroi, cercò di rafforzare la propria tesi: «Trascuriamo Rose: lei starà sicuramente dormendo ancora. Ma deve essere successo qualcosa di grave se Hermit e Sofia non sono ancora scesi a farmi un assalt-».

Mentre stava finendo la frase, dall'oikarion si precipitarono giù due figure così veloci che non si riuscivano neanche a distinguere.
«Kairos!» esclamarono, buttandosi addosso al fratello, uno sulle spalle e l'altra aggrappandosi a un braccio.
«Infatti mi sembrava strano che foste ancora addormentati» commentò Kairos, acchiappando facilmente tutti e due e bloccandoli tra le sue braccia possenti.

«Ma certo che no!» esclamò con fermezza Hermit, quasi offeso dall'insinuazione del maggiore. «Eravamo andati a svegliare quei dormiglioni di Rose e Iulius. Indovina: Rose non si è ancora svegliata!»
«Se ti vorrà salutare dovrà darsi una mossa...» continuò Sofia. «Invece noi siamo stati bravissimi, oggi. Io in particolare: mi sono svegliata quasi insieme alla mamma!»

Un'ombra passò sul volto di Kairos: Anita aveva appena detto che aveva faticato a svegliarsi, mentre secondo il resoconto di Sofia doveva essere stata mattiniera, come suo solito. Era improbabile che sua sorella stesse mentendo, dunque la risposta che poteva dedurne era una sola.
«Ma guarda un po' che brava!» esclamò, dissimulando. Avrebbe fatto in modo di ottenere informazioni, ma non alla presenza dei più piccoli della famiglia.

Riposò a terra i fratelli, che corsero a sedersi tra i neoteroi, e fece per prendere posto, quando l'ennesima figura si scagliò giù dalla scala di corda, saltando quasi tutti i gradini e risultando il doppio più veloce di Hermit e Sofia.
«Iulius, non scendere a quella velocità!» esclamò subito Anita, con gli occhi sgranati per l'acrobazia del figlio. «Non dovrei neanche più rimproverarti per cose simili alla tua età...»

«Scusa, mamma» ridacchiò lui, senza degnarla di uno sguardo e andando a sedersi il più lontano possibile dalla botola. «Però ho fatto uno scherzetto innocuo a Rose, per il quale però potrebbe arrabbiarsi... un pochino».
«Cos'hai fatto stavolta?» chiese Kairos, elettrizzato dalle parole del fratello, prima che Anita potesse rimproverare di nuovo il quartogenito, stavolta per il tranello ordito contro la sorella.
«Lo vedrai, fratellone. Dovrebbe star scendendo» concluse enigmatico, mordendosi il labbro inferiore inarcato all'insù e andando a nascondersi dietro la schiena di Morag.

Dalla botola spuntò la testa di Rose, tutta arruffata, ma dagli occhi vigilissimi, che subito si puntarono sulla piattaforma, scrutandola con estrema attenzione. Subito il suo sguardo divenne dubbioso, ma nessuno osava chiederle qualcosa o comunque non fece in tempo: fu lei la prima a prorompere.

«E le fragole del bosco?!» Quell'esclamazione stranì tutti i presenti.
«Be', dove sono? Perché ci sono solo i frutti delle mangrovie lì sotto?»
Kairos distolse lo sguardo dalla sorella per provare a non ridere: ecco cosa aveva architettato Iulius. E dire che da fuori sembrava un ragazzino tanto tranquillo e così poco malizioso...

Dovettero capirlo tutti molto in fretta, persino i neoteroi, che ormai si erano abituati a certe dinamiche, e persino la stessa Rose realizzò presto di essere stata ingannata. A passi pesanti, che denotavano tutta la sua furia, iniziò a scendere dalla scala, tenendo gli occhi puntati contro il cerchio di persone sedute, per individuarne una in particolare.

«Dov'è quel disgraziato che mi ha svegliata dicendomi che gli Avventurieri avevano portato le fragole?!» sbraitò, facendo scattare in volo un gruppo di pappagalli appollaiato su un ramo vicino. «Esci subito fuori, Iulius, se non vuoi che...» continuò, ma lasciando la minaccia a metà. Kairos non riusciva a smettere di ridere, come del resto anche gli altri: persino Anita si copriva la bocca con una mano per coprire un sorriso quasi divertito che non riusciva a trattenere. Erano tutti ben consapevoli che Rose, sotto quell'atteggiamento imbestialito, era assolutamente innocua.

La ragazzina toccò la piattaforma e Kairos le si parò subito davanti, sfoderando un gran sorriso, prima che quella potesse raggiungere il fratello minore.
«Sorellina, non hai visto chi è venuto a trovarti?»
«Ma chissene strafrega di te! Io volevo le fragole!» sbottò l'altra, facendo per scansare il maggiore da un lato, con il chiaro obiettivo di farla pagare a Iulius, ma le braccia di lui l'avvolsero prima che potesse superarlo, arrivando a sollevarla da terra.
«Oh, sei sempre così dolce!»

Dopo il prevedibile grido di Rose, Kairos poteva ritenersi soddisfatto, per aver infastidito a dovere anche quel giorno la sua cara sorellina. Riprese posto di fianco a Raya, ignorando il continuo borbottio di Rose, che aveva occupato la scena, intrattenendo fratelli e neoteroi. Il suo occhio era piuttosto tornato a posarsi sulla figura della madre, che aveva iniziato a porgere il cesto con la frutta a chi le era seduto più vicino: ora che il divertimento di prima si era affievolito, notava come sul suo volto, sotto l'ombra di un sorriso, si intravedesse un sentimento che Kairos non riusciva a comprendere: era tesa, lo vedeva dagli occhi, che guizzavano da una parte e dall'altra, come a voler tenere tutto sotto controllo, e che, per quanto non fossero sgranati, erano troppo aperti, in modo innaturale.

Come ogni volta che sentiva una preoccupazione nascere in lui, sentì il bisogno di cercare un conforto da Raya. Istintivamente le afferrò una mano e quella si voltò verso di lui, dubbiosa di quell'atto così a sproposito. Kairos, cercando di sembrare naturale, si avvicinò a lei fino a posarle la testa sulla spalla.

«Raya, c'è qualcosa che non va...» le sussurrò, talmente piano che solo lei poté sentirlo.
«Allora non l'ho notato solo io» disse, passandogli una mano tra i capelli, mentre teneva gli occhi discretamente puntati su Anita.

«Ma come fai sempre-» iniziò Kairos, per esprimere il suo stupore per lo spiccato sesto senso di Raya, che si accorgeva sempre dei più piccoli particolari, ma la moglie lo mise a tacere, serrandogli le labbra con due dita; approfittò di quel momento per baciarle con dolcezza.

«Ti sarai pur innamorato di me per qualcosa di più significativo dei miei grandi occhi neri...» sorrise, facendoli roteare, quasi volesse attirare tutte le attenzioni dell'innamorato sulle sue iridi profonde e brillanti. Kairos già vagava nei loro meandri e avrebbe voluto perdercisi, ma Raya, così come lo aveva distratto, lo disincantò in un attimo. «Devi parlarle. Meglio da solo» aggiunse, accennando a chi era seduto di fianco a loro.
«E come faccio? Quando finiremo di mangiare ci separeremo subito» considerò il giovane.

«Raya, la vuoi piantare?» La voce lamentosa di Rose interruppe il loro discorso. «Quando fai così, Kairos ha una tale espressione da rimbambito...» Kairos le lanciò un'occhiata bieca e, vedendo il sorrisetto beffardo della sorella, si infastidì ancor di più, ma in un istante la sensualità delle parole di Raya, per quanto involontaria, lo rimise calmo.
«Lascia fare a me» gli sussurrò nell'orecchio e con un braccio lo distanziò un poco.

«Eh, Rose,» sospirò poi, il tono già totalmente cambiato, «di' pure quello che vuoi, ma io so perché continui sempre a brontolare».
«Perché sono disgustata».
«Oh, no. Il motivo è un altro». Prese un respiro e, con aria insinuante, scandì bene: «In-vi-dia».

Kairos la stava guardando ancora con ammirazione, appena sognante, ma subito si accorse di come aveva già iniziato a mettere in atto il piano che aveva in mente e con cui avrebbe fatto in modo che lui potesse parlare da solo con la madre. Un po' risentito, si impose di tornare serio anche lui e di mettersi già nell'ottica di un dialogo, si augurava il meno doloroso possibile, con Anita.

«Mi prendi in giro?»
«Certo che no, sono serissima».
«Io, invidiosa di voi» borbottò ancora Rose, talmente incredula da esserne divertita, puntando due dita contro il fratello e la cognata. «Che c'è? Oggi siete in vena di farmi degli scherzi?»
«Rose, finiscila di mentire a te stessa» scosse ancora la testa Raya, sorridendo bonaria.
«Io, in realtà, non sono mai stata più sincera di così».

Raya non rispose nell'immediato e Rose poté gongolarsi un poco, sicura di aver ottenuto l'ultima parola, ma l'altra ragazza risollevò i suoi occhi e ghignò appena.
«Ebbene,» esordì nuovamente, guardandosi intorno per constatare che tutti avessero rivolto l'attenzione su di lei, «io ho delle prove per cui posso affermare il contrario. E queste prove me le hai fornite tu stessa quel giorno che, sotto il mio oikarion, mi hai rivelato che ti piace-».
«No no no!» si affrettò a dire Rose. «Non ho mai detto nulla del genere!»

Ma le sue scuse, per quanto esprimessero la verità, sarebbero valse ormai a poco alle orecchie curiose dei presenti.
«Che le piace chi, Raya?» chiese Hermit, incredulo del discorso della giovane come ogni altro.
«Esatto, esatto!» gli fece eco la sorellina. «Voglio saperlo!»
«Non mi piace nessuno!» esclamò ancora Rose, ma rimanendo inascoltata.

Raya intanto si era alzata dal suo posto e aveva già afferrato una liana, alla quale si aggrappò saldamente, per poi esortare i fratelli del marito e i neoteroi con un cenno del capo.
«Seguitemi e ve lo dirò» rafforzò il suo gesto, mentre iniziava a calarsi giù.

Hermit e Sofia furono i primi a raggiungerla e anche altri sulla piattaforma erano scattati in piedi.
«Fate pure, tanto è una bugia» disse con sufficienza Rose, ormai disinteressata da quell'episodio. Se era così arrendevole, era probabile che stesse proferendo il vero: la conoscevano bene tutti loro e sapevano che sarebbe scattata per fermare Raya prima che dicesse una parola di troppo. Iulius tornò a sedersi e anche Germanico e Spiro lo imitarono.

Ma Raya aveva promesso a Kairos che sarebbe rimasto solo con sua madre. Così sarebbe accaduto.
«Ve lo dirò,» riprese, mordendosi un labbro in maniera accattivante, pronta a rendere tale anche la proposta che aveva in mente, «insieme a un altro aneddoto molto divertente, di qualche annetto fa, quando Rose era stata beccata da Telegono...»
«No!» Questa volta anche Rose schizzò in piedi, visibilmente turbata. «Quello non puoi dirlo! È un segreto! Mi avevi giurato che non lo avresti detto a nessuno! Provaci e io...»

«Prova a fermarmi, se ci riesci» concluse provocatoria Raya, lasciandosi scivolare giù dalla liana.
Rose partì subito alla riscossa, quasi buttandosi giù dalla piattaforma, e gli altri fratelli non furono da meno: Hermit e Sofia stavano attaccati alle calcagna di Raya, e Iulius era appena indietro, con Germanico e Spiro, ma senza lasciarsi distanziare troppo.

"Non l'hanno capito che era tutto architettato..." Em rovesciò gli occhi, incredula di come non tanto i ragazzi, che tutto sommato era normale avessero la testa per aria, ma i suoi compagni, adulti e responsabili, non avessero notato una simile banalità. "Almeno Morag..." Ma non fece nemmeno in tempo a pensarlo che pure il giovane al suo fianco si era alzato per andare ad ascoltare il mirabolante racconto di Raya. No, non anche lui!

Con forza afferrò la sua tunica e, strattonandola, lo costrinse a rimettersi seduto.
"Quello era uno stratagemma per ingannare i ragazzi, non certo noi! Non va tutto bene e noi potremmo essere utili per dare una mano a sistemare la situazione". Con il suo sguardo sperava di passargli quel messaggio, ma dall'espressione inebetita dell'altro ancora non doveva esserci arrivato.

Em scosse la testa e si concentrò sugli altri due individui rimasti sulla piattaforma, Kairos e sua madre. Subito comprese il turbamento che aleggiava sull'uno e sull'altra, sebben in modo diverso - alla fine bastava osservare le persone per coglierne gli stati d'animo: chi l'avrebbe mai detto! Il giovane sembrava voler dire qualcosa che probabilmente faticava a esprimere, considerato come, ogni volta che cercasse di parlare, si bloccava alla prima sillaba e si giustificava evasivo. Dall'altra parte Anita doveva nascondere un peso che gravava su di lei ben più di quelli di ogni giorno.

«Mamma» riuscì infine a dire Kairos, la voce completamente diversa da quella scherzosa adottata con sua sorella: la serietà impregnava tanto il suo tono quanto gli occhi con cui squadrava la madre con un'aria quasi severa. «Adesso che non ci sono i miei fratelli, puoi dirmi la verità?»

Anita non rispose subito e abbassò lo sguardo, lasciando trapelare tutto il suo abbattimento, talmente intenso da sembrare quasi disperazione. Em iniziò a torturarsi il pollice con un'unghia, per la tensione che sentiva crescere in lei: lo sapeva che nascondeva qualcosa!

«Siamo in guerra» mormorò a fatica la donna, dopo la lunga esitazione. «Le voci che hai sicuramente sentito sono vere. I Gheisas attaccheranno tra sei giorni».

Guerra.

Em sentì un brivido percorrerle la spina dorsale. Tutto aveva immaginato, ma nulla di così grave! Ecco perché Genew non si faceva più vedere, ecco spiegate le interminabili assemblee all'Oikìa. Gettando un'occhiata fugace a Kairos, lo vide però più tranquillo di quanto avrebbe potuto immaginarsi dopo una simile notizia. Era un Cacciatore, sicuramente conosceva più di lei la conformazione dell'esercito di Tou Gheneiou, la sua preparazione, eventuali strategie che conoscevano per difendersi...

«Mi fa piacere per i Guerrieri» commentò quest'ultimo, quasi con indifferenza. «Avranno modo di ottenere storie tutte per loro e, contenti di questo, la smetteranno di vessare i lavoratori più umili». Non aveva certo tutti i torti: occupati a parlare delle loro prodezze, i vanagloriosi Guerrieri si sarebbero dimenticati, almeno per un periodo, dell'esistenza di altri lavoratori, come lei o come Raya, caratterizzati dall'unica colpa di non voler rischiare la pelle a ogni spedizione fuori dalle mangrovie.

«Ma non capisci?» avvampò Anita, scattando contro il figlio e scuotendolo per le spalle. «Non puoi avere come termine di paragone le storie di Paula! Perché questo sono: storie, e nient'altro. La realtà è diversa: non c'è parità tra i nostri eserciti. Loro hanno armi e quattrocento guerrieri. Noi... È come se avessimo già perso. E dalle storie sai come finiscono i perdenti nelle guerre».
«Cosa-» provò a dire Kairos, ma la madre lo interruppe ancora.
«Dovranno combattere tutti quelli in grado di tenere in mano una lancia e aiuteranno anche i bambini al di sopra dei dieci anni. Questo è quello che ha detto tuo padre e sembra essere l'unica possibilità che abbiamo».

Em, sconvolta, continuava a scorticarsi le dita, quasi in preda al panico, fermandosi solo quando sentì la mano di Morag intrecciarsi con la sua. La strinse, cercando di calmarsi. Ma come poteva? I numeri, che aveva ascoltato con attenzione durante le spiegazioni di Kairos nelle settimane precendenti, parlavano chiaro: di persone che combattessero tutti i giorni non ce n'erano più di duecento cinquanta, ma tra questi si contavano anche i Cacciatori. Arruolando gli altri giovani potevano anche arrivare a un numero di quattrocento cinquanta o cinquecento, ma sarebbe stato un battaglione, se così poteva chiamarsi, raffazzonato e inesperto. Un esercito non poteva essere costruito in sei giorni.

Anche Kairos sgranò gli occhi, in uno sguardo segnato dal terrore, colto probabilmente dagli stessi pensieri di Em. «Raya... Rose... Iulius...» iniziò a mormorare tra sé, caduto anch'egli nella disperazione che attanagliava la madre. «Ma non sono adatti!» proruppe infine. «Sì, Raya e Rose sanno tenere in mano una lancia, a tutti l'hanno insegnato. Ma affrontare qualcuno... E Iulius... Ha poco meno di tredici anni, è ancora un bambino! No, mamma, non è vero. Dimmi che non è vero».

«È così, Kairos. Non dovevo essere io a dirtelo ma questa è la verità. Lo avresti comunque scoperto a breve, entro oggi tuo padre lo avrebbe comunicato».
«Raya è incinta!» insisté Kairos, ormai sull'orlo delle lacrime. «Rose e Iulius sono dei bambini! Il papà non può farlo!»
«Non ha altra scelta».
«Ma moriranno!»
«Lo so! E non saranno gli unici! Hai idea di quanti perderanno la vita? E non è detto comunque che vinceremo».

«Scusate». Em si voltò verso Morag, che era appena intervenuto. Forse aveva in mente qualcosa. Lo sperava. Anche lei stava cercando di scervellarsi per provare a proporre un'alternativa, ma non le sovveniva nulla. «Non potremmo semplicemente spostarci da qui? Abbiamo ancora sei giorni, da quello che ho capito, un tempo abbastanza buono per poter organizzarci. Certo, dovremmo lasciare molte provviste e scorte qui al campo, ma almeno riusciremmo a salvare tutti».

Em storse la bocca: era impossibile che Genew non avesse pensato a una simile soluzione. Doveva esserci qualcosa che gli impediva di metterla in atto.
Kairos e Anita tenevano il capo abbassato, confermando la supposizione della giovane. Fu il figlio, infine, a rispondere, osservando un punto fisso davanti a sé, la voce apatica. «Non possiamo. Tra tutte le profezie che le maghe ci hanno dato negli anni, una sola è cristallina: "Tra le fronde Tou Gheneiou fiorirà. Fuori, al caldo, al freddo, presto seccherà". Chiaro, no? Il nostro clan - inteso nel suo insieme - deve stare tra le mangrovie».

«Kairos, e per una profezia volete davvero lasciar morire il vostro clan?» insisté Morag, totalmente coinvolto. «Siamo stati fortunati, conosciamo il giorno preciso dell'attacco: non dovremmo sprecare un'occasione simile. Una strage, dalle vostre parole, avverrà comunque: almeno avrete provato a sfuggirvi. Non è detto che la profezia delle maghe sia esatta. Kairos, dobbiamo provare!»

Em annuì tacitamente: concordava con le parole di Morag, sul fatto che dovessero sfruttare al meglio l'informazione del giorno esatto dell'attacco. Dovevano solo trovare una strategia...

«Anche se non ci fosse la profezia, uscire dalle mangrovie non è possibile» rispose, questa volta, Anita. «Ogni territorio che circonda i nostri è occupato da altri clan, che non sono certo alleati: a parte Mortino, che è nostro nemico, e adesso anche la Geisha, tutti gli altri sono indifferenti nei nostri confronti. Potremmo anche chiedere protezione a uno di questi, ma non lo faranno gratis: vorranno che tutti noi prendiamo il nome del loro clan. E pensi che i Gheneiou, orgogliosi e fieri quali sono, accetteranno di sottomettersi e di perdere la loro identità centenaria? Se Genew dovesse prendere questa decisione, si ritroverebbe nell'aldilà quel giorno stesso. I Gheneiou si macchierebbero del delitto peggiore, pur di conservare il nome dei propri antenati. E Genew ne è consapevole».

«Allora...» tentò ancora Morag, «allora possiamo spostarci all'interno delle mangrovie: sono grandi, riusciremo a nasconderci».
«Così sarà peggio» gemette Kairos. «Quelli ingaggeranno una vera e propria caccia al Gheneiou: si stanzieranno nelle nostre mangrovie, continuando a cercarci e ad ammazzarci finché non avranno ottenuto ciò che vogliono. Forse solo andare nelle basse mangrovie potrebbe salvarci: la giungla dei Gheisas è ben più sicura dei luoghi sotto di noi, non si attenterebbero mai a rimanerci per un periodo troppo lungo».

Quella prospettiva parve quasi convincerlo, ma i fatti la smentirono troppo presto. «E avrebbero ragione, non si può sopravvivere laggiù: distanziato un nemico, ne dovremmo affrontare un altro, i famelici giaguari e gli apirei. Effettivamente l'unica soluzione è quella che hanno preso all'Oikìa: attuare una difesa disperata con la collaborazione della maggior parte del nostro clan». Kairos nascose la testa tra le mani, non osando più aggiungere nulla.

«E ovviamente il piano ha centrato il suo obiettivo! Non servono complimenti, ma grazie, graz-». Raya approdò ridendo sulla piattaforma, in quel momento di assoluto silenzio, ritrovandosi davanti le facce smorte dei quattro rimasti sotto l'oikarion e in particolare quella di suo marito, dal quale accorse subito. «Kairos, cos'è successo? Perché tutto d'un tratto...» iniziò a chiedere, senza neanche finire la frase, avvolta dall'ansia com'era.

«Dobbiamo combattere e, probabilmente, morire, tutti quanti, anche i bambini, anche i più fragili, basta che sappiano usare una lancia» disse Kairos, guardandola, mostrando la lacrima che gli aveva solcato la guancia. «Anche tu».

«Combattere? Ma come? Perché? Cosa sta succedendo?» chiese lei, sempre più agitata, non sapendo come spiegarsi quell'improvvisa affermazione.
Kairos non sembrava più intenzionato a parlare e cercava di evitare in ogni modo lo sguardo di Raya, che allora andò a posarsi sui neoteroi, in cerca del minimo chiarimento.

«Vedi, Raya» iniziò Morag, tentennante mentre provava a scegliere le parole corrette, per esprimere nel modo meno d'impatto che ci fosse cosa stava per accadere; purtroppo non esistevano. «I Gheisas attaccheranno tra sei giorni e noi dovremo cercare di difenderci: questo è l'unico piano che sono riusciti a elaborare Genew e chi di dovere».

Dall'espressione che aveva preso piede sul suo volto, anche Raya ne rimase distrutta; mesta, si avvicinò a Kairos, abbracciandolo da un lato e nascondendo il volto sul suo petto, pur non osando piangere, per alimentare ancor di più la tristezza che pregnava quel luogo.

Tutti rimasero a lungo nelle stesse posizioni e, soprattutto, in silenzio: non avevano altro da dire e non potevano manovrare la situazione. Ogni tanto, si udiva solo qualche sospiro un po' più forte degli altri: quell'unica emissione d'aria valeva come tutte le parole che potevano essere spese, tanto era forte la pesantezza che trasudava.

Solo Em non era coinvolta in quel compianto rassegnato. Pur rispettando il silenzio degli altri, non aveva smesso di pensare.
"Avanti, avanti! La soluzione è dietro l'angolo, me lo sento" continuava a esortarsi, provando a ripercorrere mentalmente le parole ascoltate da quando la piattaforma si era svuotata.

Non era possibile che un clan tanto illustre sarebbe scomparso per così poco! Un misero attacco da parte di soli quattrocento individui. Quella che loro chiamavano guerra non poteva neanche definirsi una battaglia, se messa a confronto con quelle che, più o meno, aveva sentito raccontate dal nonno, che fino al termine dei suoi giorni aveva militato nell'esercito come generale. Non che vi avesse prestato molta attenzione, ma un vago ricordo era rimasto in lei: se solo allora fosse stata più concentrata, forse sarebbe riuscita a proporre una strategia adatta... Non doveva essere difficile.

Ma i Guerrieri, gli Anziani non erano in grado di macchinarne una? I loro amichetti non avevano narrato tante volte il glorioso passato da combattenti dei Gheneiou? Lassù, all'Oikìa, non potevano rifarsi a quelle leggende? Certo che no: erano sempre stati abituati soltanto ad attaccare, non avevano mai avuto bisogno di difendersi...

Em improvvisamente si illuminò: un'idea, un'idea! Non valeva niente, di sicuro, non era una stratega, ma era pur sempre un'idea! Aveva solo bisogno di alcune conferme.

«Che tipo di battaglia avevano in mente?» La sua voce sorprese tutti, riscuotendoli dai cupi pensieri dentro cui si erano addentrati: non aveva ancora aperto bocca, ma, soprattutto, nessuno si sarebbe aspettato da lei una domanda così tecnica. Sollevarono la testa, iniziando a guardarla con un'espressione stupita.

«Che c'è? Non posso chiedere?» continuò lei, con una punta di irritazione. Stava cercando di aiutare e come unico riconoscimento otteneva degli sguardi straniti!
«Da quello che mi ha detto Genew ieri,» rispose Anita, dopo qualche attimo di esitazione, in cui i presenti si erano lanciati occhiate di incomprensione, «siccome non sappiamo da dove abbiano intenzione di attaccarci, saranno fatti appostare piccoli manipoli di sette combattenti e tre staffette - compito riservato ai più piccoli - intorno a tutto il perimetro della zona degli oikaria. Qualora uno di loro avvistasse i Gheisas manderà le staffette a comunicarlo agli altri manipoli, così che si riverseranno tutti nel luogo in cui sono stati scorti».

«Quanti dovrebbero essere in tutto i nostri guerrieri?»
«Senza contare le staffette, che non combatteranno ma potrebbero ugualmente restare vittime del massacro, direi quattrocento cinquanta».
«E come armi loro utilizzano anche oggetti di metallo» continuò a riflettere la giovane.
«Sì, esatto, ma cosa-».

Em la interruppe subito, esternando il pensiero che da tempo martellava la sua mente: «Combattere in questo modo non ha alcun senso: siete in totale svantaggio e tanto varrebbe aspettare la morte al campo, se proprio non è possibile scappare. Se anche tutti i nostri guerrieri fossero i più esperti su tutta l'isola, non sapendo da che parte arriveranno i Gheisas, non avrebbero la possibilità di fronteggiare un attacco diretto. Sì, le staffette andrebbero ad avvisare gli altri, ma il territorio è troppo vasto e non farebbero in tempo a dire "ci attaccano!" che Tou Gheneiou sarebbe già scomparso».

Em finì di esporre i fatti, accorgendosi troppo tardi, dagli occhi sgranati degli interlocutori, di essere stata un po' troppo diretta.
«Em...» mormorò infatti Morag con un fil di voce e una punta di biasimo. «Potresti avere un po' più di tatto... Non siamo proprio in una situazione...»

Ma quell'intervento la mandò su tutte le furie. «Taci!» gli urlò in faccia: non aveva proposto nulla di buono, che almeno non si permettesse di interromperla! «Se non mi lasci finire, non posso arrivare al dunque!»

Forse anche con lui era stata un po' troppo dura. Arrossì appena e, dissimulando con un sorrisetto il suo stato d'animo, continuò: «Stavo dicendo, basta cambiare tattica - cosa non troppo difficile - una che si rifaccia di più al vostro modo di combattere. Quando disseminavate terrore tra gli altri clan, non era certo per le vostre capacità nella difesa, ma piuttosto per i vostri attacchi che eravate temuti da tutti: per questo all'Oikìa non sanno proporre nulla di decente. Trasformate allora l'attacco dei Gheisas nell'attacco dei Gheneiou. Quando arriveranno, voi non vi farete trovare schierati ai confini del vostro clan: quella sarà solo una minima parte di voi, quella dei più esperti, che serviranno da esca. Appostati sopra ai rami invece si troveranno tutti gli altri combattenti, quelli più abili nell'uso dell'arco, che scaglieranno frecce - se avvelenate ancor meglio! - su chiunque si getterà all'assalto dei Guerrieri. Ecco l'elemento sorpresa!»

Em parlava, senza prendere fiato, trasportata dall'entusiasmo per quell'idea sopraggiunta da una sola, piccola, suggestione. «I Gheisas non conoscono i luoghi e, colti alla sprovvista, saranno davvero in difficoltà, mentre gli arceri avranno la possibilità di massacrarli dall'alto senza correre grandi rischi. Probabilmente, poi, saranno pochi a giungere fin dai Guerrieri veri e propri, perché stroncati prima dalle frecce, quindi l'inferiorità numerica e del materiale delle armi non sarebbe così tangibile. Il numero dei combattenti si ridurrebbe a ottimi arceri ed esperti individui che sappiano usare le lance: non dovranno essere impiegati né soggetti fragili né bambini, che basterà che invece aiuteranno con i feriti, che comunque devono essere tenuti in conto».

Em concluse e non riuscì a rendersi conto delle espressioni incredule degli altri che Raya accorse verso di lei e l'abbracciò: «Non ho idea di come tu sappia queste cose, ma è assolutamente vero! La situazione potrebbe ribaltarsi! Potrebbe davvero farlo!»

Em non si sarebbe aspettata una dimostrazione di affetto così immediata e inizialmente rimase rigida tra le braccia della giovane che, con tanta pazienza, le aveva insegnato le basi per modellare la terra, ma dopo un po' il suo corpo la ricambiò spontaneo. Del resto, era giusto che andasse così: prima era stata lei ad aiutarla, ora toccava il contrario. Era su un concetto così semplice che si fondava l'amicizia e, per quanto ci avesse impiegato un tempo interminabile, finalmente lo aveva capito.

Raya si staccò da Em e si voltò verso Kairos, con un sorriso entusiasta: «Dobbiamo subito andare all'Oikìa e comunicarlo a tuo padre».
«Aspetta, cosa?» esclamò Em. «La mia era solo una supposizione... non so se si possa effettivamente...» Non aveva considerato decine di elementi, prima tra tutti la direzione da cui sarebbero arrivati i Gheisas: senza quella piccola ma cruciale informazione, tutta la sua idea si sgretolava.

«Cosa dici!» continuò Raya, sempre più esultante, balzando in piedi. «È geniale! Siamo salvi, dobbiamo solo metterla in pratica! Dai, andiamo all'Oikìa

«Raya, non possiamo» mormorò Kairos. «Lo sai che all'Oikìa possono entrare solo mio padre, mia sorella e gli Anziani. Se poi facciamo irruzione là per proporre un piano di una neotera...»

«Un piano di una neotera che ci salverà!» ribadì Raya, avvicinandosi al giovane. «Tuo padre è intelligente, capirà la situazione e agirà di conseguenza: osserva le regole e le tradizioni solo per dare il contentino a quei vecchi deficienti! Non penso ci dirà niente se anche entreremo in quel luogo pieno di segreti, per una volta, durante un'emergenza».

«Ma mia sorella...» continuò Kairos, preoccupato.
«Che si butti nel Vulcano! Finché tuo padre sarà d'accordo con noi, non potrà farci niente, né lei né gli Anziani. E, se vuole davvero il bene del popolo prima di ogni altra cosa, come dice, sarà d'accordo anche lei, si tratti o meno del piano di una neotera. Vieni, Em» disse, infine, prendendole le mani e facendola alzare in piedi. «Adesso andiamo all'Oikìa».

~

Tutti: wtf???
Ebbene sì, miei cari amici, sembra che sia proprio Em (la spocchiosa, altezzosa, insopportabile, snob etc...) a proporre una soluzione. Certo, ancora lacunosa ma... È PUR SEMPRE UNA SOLUZIONE! FORSE NON SIAMO MORTI! Ok, mi sto immedesimando un po' troppo. *prende un respiro e si ricompone*. Non cantate vittoria troppo presto, però:
1) la battaglia ci sarà comunque, non si scappa
2) non è ancora stata adottata questa strategia, ma prima deve essere valutata dai Genew e dagli Anziani. E vi ricordo che questo piano è stato formulato da Em la neotera. Mmm, non so voi, ma sento puzza di guai. Lo scoprirete nel prossimo capitolo! Restate sincronizzati :)

P.s. la parte iniziale di questo capitolo sembra cozzare molto con la visione demoralizzata che abbiamo osservato nello scorso capitolo dal punto di vista di Anita. È assolutamente voluto, dal momento che nessuno di loro era al corrente di quanto sta succedendo. Spero che questo sia intuibile e non risulti agli occhi di voi lettori come una svista ^^

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro