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I caldi raggi del sole della mattina ormai inoltrata giunsero sulla piattaforma ombreggiata dall'Oikìa, insieme al vociare dei lavoratori, già pronti a svolgere la propria attività. Intenti a chiacchierare tra loro, nessuno si accorse di Zeno, che sedeva sul primo gradino della maestosa scala intarsiata e si passava di mano in mano un piccolo coltello per ingannare il tempo, con l'amara consapevolezza che quel giorno, insieme alla Squadra, avrebbe dovuto intraprendere una missione di una settimana oltre l'isolotto delle maghe, se non fosse stato per la seccatura sopraggiunta poco prima: Tes Gheisas, per qualche ragione a loro ignota, così, di punto in bianco, aveva avuto la brillante idea di dichiarar loro guerra. Come se passare ogni singolo momento di un'esistenza a cercare un tesoro non fosse già abbastanza! La Geisha evidentemente aveva voglia di andare a trovarsi altri cavilli, portandone però anche a chi non ne voleva.

E così era costretto a stare lì, seduto, con le mani in mano, ad aspettare che la giovane Genew scendesse e spiegasse qualcosa in maniera concreta. Sempre che si decidesse a farlo, togliendosi dalla bocca quell'espressione euforica per l'imminente battaglia. Chissà cosa le avevano detto gli Anziani, stavolta...

Il piano cui aveva accennato la sera precedente non lo convinceva in nessun modo. Far combattere persone incapaci solo per raggiungere un numero equilibrato all'altro schieramento non era solo inutile, ma anche dannoso: avrebbero potuto intralciare l'operato di quelli più esperti. Non tutti però condividevano la sua idea: alcuni avevano accolto con entusiasmo la prospettiva della battaglia, che a detta della giovane anaxa sarebbe stata equiparabile ai gloriosi combattimenti del passato.
"Sarà, ma non ne sono convinto".

Se solo ne fosse stato capace, avrebbe provato a formulare un piano lui stesso, ma era consapevole di essere un guerriero molto più valido sul campo a combattere, che nelle retrovie ad architettare dei piani.
Guardò in alto, verso la grande botola: sperava che almeno lassù riuscissero a trovare una soluzione migliore.

«Zeno! Zeno!» Il Guerriero sentì improvvisamente chiamare il suo nome e alzò lo sguardo: Kairos, il secondogenito del capo, si stava facendo largo tra gli individui che avevano preso posto sulla piattaforma per lavorare, suscitando non poche lamentele. Ignorando ogni rimprovero, riuscì a raggiungerlo prima ancora che Zeno potesse pensare cosa diamine fosse successo a quell'ora, di mattina, che coinvolgesse uno dei ragazzi più pacifici del clan.

«Zeno! È successa una cosa: devi venire subito!» Il tono del giovane era preoccupato, anche se al suo interno si percepiva una nota strana, che stonava con il contesto generale.
«Cos'è successo?» chiese, con una punta di sospetto.
«Non c'è tempo! Ti spiegherò mentre saremo sulle liane!» continuò il ragazzo, la voce sempre più alterata, tirandogli un braccio fino a portarlo di nuovo in piedi e sbrigandosi a trascinarlo verso alcune liane all'estremità della piattaforma.

L'uomo non oppose resistenza: un giovane così onesto - di cui era risaputa l'incapacità nel mentire - non avrebbe mai proferito il falso dinanzi a un personaggio di spicco come lui all'interno del clan. Ma proprio in quel momento il suo occhio fu attirato da due figure basse e silenziose che sgattaiolavano nella direzione opposta rispetto a dove lo stava portando il figlio del capo. 

Si fermò e, voltandosi, vide due giovani donne di spalle andare furtive e veloci verso le scale dell'Oikìa. Cosa avevano intenzione di fare?!
«Cosa?» riuscì appena a mormorare in quel frangente, troppo stupito, per poi liberarsi dalla stretta di Kairos e raggiungerle. Accortesi che l'uomo aveva percepito il loro movimento, quelle accelerarono il passo, ma Zeno fu comunque più veloce di loro. Afferrò i polsi di entrambe, quando si trovavano ancora solo sul primo gradino, e fece in modo che si voltassero verso di lui, mostrandogli bene il volto: si rivelarono una ragazzina di diciassette anni - se non sbagliava, doveva essere la moglie di Kairos - e una dei neoteroi, quella che tutti deridevano per le sue scarse capacità sulle liane.

«Cosa significa tutto questo? Come vi è saltato in testa di irrompere all'Oikìa?» chiese, senza molti preamboli: entrare all'interno del luogo delle assemblee era severamente proibito a tutti coloro che non fossero annoverati tra il numero degli Anziani o non portassero il nome di Genew. Quella regola era lì dall'inizio della storia di Tou Gheneiou e mai nessuno, per quanto ne sapeva il Guerriero, aveva trasgredito a quel piccolo, semplice dettame; dopotutto, a chi interessava immischiarsi nelle faccende dei capi?

Le due giovani si limitarono a fissarlo, senza rispondere, la prima quasi con aria di sfida, impavida, l'altra, invece, totalmente impaurita, con le gambe che già non erano più in grado di sorreggerla saldamente: se non fosse stato per la fermezza dell'altra, sarebbe già scappata da lì.

«Cosa sta succedendo qui?» Un'altra voce sopraggiunse. I lavoratori della piattaforma si erano già radunati tutt'intorno e dalla folla si era staccato un altro dei neoteroi, quello che era riuscito a diventare Avventuriero e aveva persino catturato la spia: era stato lui a parlare e si stava avvicinando anch'egli alla scala. «Perché le stai trattenendo?»

«Stavano cercando di entrare all'Oikìa» rispose Zeno, appena sospettoso: che fosse coinvolto anche lui?
«Ma non è severamente proibito?» chiese l'altro, con profondo stupore e un'aria accigliata, che rivolse alle due giovani insieme a un'occhiata di rimprovero.
«Infatti le ho bloccate...»

«Ma cosa vi è venuto in mente?!» esclamò severo, ignorando Zeno. Strattonò con forza i polsi di entrambe, quasi volesse prenderle da parte per somministrare loro una punizione anche più incisiva del dovuto. Ma così facendo le allontanò abbastanza dal corpo di Zeno, e subito staccò le mani dalle giovani: nessun vincolo le tratteneva più. La ragazzina corse sui gradini più alti, con la mano ben stretta in quella della compagna, che si trascinò dietro.

Zeno, per quanto sbigottito dalla velocità e dall'imprevedibilità di quell'azione, si ridestò alla svelta da quello stupore e iniziò subito a correre verso le due per raggiungerle, ma delle mani avevano afferrato la sua tunica e lo stavano trattenendo: il neoteros e il figlio di Genew erano ancora dietro di lui. E intanto le due giovani erano entrate all'interno dell'Oikìa.

~

«Questa guerra riporterà Tou Gheneiou al suo antico splendore!»

Genew era seduta sulla propria pelle di giaguaro, fantasticando ad alta voce insieme agli Anziani. La riunione era terminata, la decisione presa; dovevano solo aspettare che suo padre tornasse dal luogo dove si era recato con Rigel per pregare i daimona nella speranza che qualcosa potesse cambiare. La primogenita non capiva di cosa avesse paura. Vedeva i sorrisi tranquilli degli Anziani, rimasti immutati da quando era sopraggiunta la notizia dell'attacco, e a sua volta si era lasciata persuadere che non ci fosse nulla di cui preoccuparsi, come aveva invece creduto non appena le sue orecchie avevano udito le parole della spia. Lo dicevano gli Anziani, non poteva che essere così.

«Torneranno tutti a tremare al solo sentire il mio nome e quello del mio clan!» concluse, sfoderando lo stesso ghigno con cui sapeva si sarebbe avventata sulla Geisha, una volta che avesse visto il sole sorgere e tramontare ancora cinque volte.

«Ma guardate che brava la nostra Genew! Fiera e sicura, proprio come sua nonna» sospirò la zia Mara, guardando con gli occhi intrisi di orgoglio la nipote.
«Niente a che vedere con suo padre, che al solo sentir nominare la parola "guerra" è subito corso a pregare gli dei» sentenziò sprezzante Pitone.
«Non vedo l'ora di vederti sedere su quella pelle» aggiunse Pako, sporgendosi appena dalla sua posizione per carezzare la guancia della giovane, mentre con gli occhi scrutava il vello di tigre, non occupato da nessuno. «Spero almeno di esserci ancora, per ammirare il principio dell'epoca più lucente di Tou Gheneiou».
«Con due occhi come i suoi non potrà essere altro se non questo: lucente!» ridacchiò Leda, dall'altra parte della sala.

Genew sorrise appena a quelle parole, che riuscirono persino a smorzare l'entusiasmo che l'infiammava per la guerra imminente; nascondeva in realtà una smorfia di dolore, che non poteva mostrare agli Anziani. Non voleva trovarsi in disaccordo con loro, sentiva che era sbagliato, eppure, quando malignavano in quel modo su suo padre, non era capace di assentire. Era diverso da tutti i Genew che lo avevano preceduto, lo sapeva, e spesso non condivideva le sue scelte, ma lo stimava come uno dei migliori capi che Tou Gheneiou avesse mai conosciuto.

Vedeva gli occhi brillanti della gente del suo popolo, quando lo incontrava o quando ne pronunciava il nome, chiamandolo "Genew il Saggio" o "Genew il Giusto", e leggeva al loro interno stima, fiducia, rispetto. Sembravano felici di averlo come capo. Lo erano. E una figura simile come poteva essere denigrata?

Avrebbe voluto essere come suo padre, passare tra i membri del clan e sentirsi osservata come lo era lui. E invece le era stato persino revocato il titolo di anaxa...

Ma tutto, a breve, sarebbe cambiato. Sarebbe iniziata la guerra e allora sì che avrebbe dimostrato tutto il suo valore. Ecco che l'atteggiamento nei suoi confronti sarebbe mutato, da parte di tutti. Sarebbe diventata la salvatrice del suo popolo, l'avrebbero considerata la degna erede di sua nonna. Persino suo padre avrebbe cambiato opinione, e questo era, in cuor suo, tutto ciò a cui ambiva.

La smania della guerra l'avvolse in un istante, mentre già pregustava i combattimenti che avrebbe sostenuto, i nemici che avrebbe mandato all'altro mondo. Quanto ci mettevano a eseguire il sacrificio, Rigel e suo padre? Voleva annunciare la notizia e, soprattutto, iniziare ad allenarsi al più presto con l'amica, proiettata già con la mente al giorno della battaglia.

Ma non erano ancora tornati e doveva attendere. Si impose di tenere ferme le braccia, che già fremevano, e per ingannare il tempo volse il suo sguardo sugli Anziani attorno a lei, nei soliti posti, come voleva la tradizione, in quella perfetta immutabilità che amava tanto. Il nonno, le zie e gli anzianissimi alla sua destra, separati da lei solo dalla pelle di tigre di suo padre; dall'altra parte i compagni d'armi di sua nonna, i più giovani e, infine, Paula.

Evitò di soffermarsi sulla sua figura, perché la sensazione di pace che provava a guardare l'ordine dell'Oikìa non venisse meno: come al solito quella aveva provato a dissentire alle proposte degli Anziani e per fortuna, dopo essere stata giustamente redarguita, aveva smesso di parlare. Ma, ancora, se ne stava, tutta afflitta, a rimuginare a chissà cosa. Distolse gli occhi da lei e il pensiero fisso della guerra che aveva momentaneamente assopito tornò a martellarle la mente.

«Oh, per Calpurnia, dove sono finiti?» sbottò a un tratto: non era più in grado di aspettare. «Devo annunciare la guerra ed esortare tutti al combattimento! Pensate, che fortuna che hanno! Tutti avranno la possibilità, il privilegio, di ottenere l'onore. Tutti, persino chi ha scelto una vita vile, persino dei ragazzini! Gli dei hanno stabilito per loro un destino di gloria, anche se costoro l'hanno rifiutata in passato. Oh, non riesco ad attendere, devo parlare al mio popolo, affinché il loro unico desiderio sia lo stesso che muove me: morire, per la vita di Tou Gheneiou. Non posso aspettare!»

«Ottimo discorso, Genew» annuì melliflua Pako. «Ma contieniti ancora qualche istante: tuo padre sarà qui a momenti. Tra la danza della giovane, il sacrificio e la preghiera, ormai dovrebbe aver finito».

Un rumore fece voltare tutti verso la botola, che qualcuno doveva aver spostato.
«Oh, guarda, eccolo-» iniziò a dire Eracle, ma il fiato gli si bloccò in gola non appena si fece avanti chi davvero era entrato nella sala.

~

Em sentiva puntati addosso a lei decine di occhi, sbalorditi, confusi, ma soprattutto ostili. Solo un paio non ne riusciva a vedere, quelli che l'avrebbero guardata con dolcezza e comprensione, sebbene avesse violato una delle regole principali del clan. Si voltò verso Raya, allarmata, e scorse anche sul volto della giovane un'espressione di sgomento: dov'era il capo di Tou Gheneiou?! Proprio quando avevano bisogno di lui, non c'era! Era lui l'unico su cui potessero contare, che le avrebbe ascoltate in modo incondizionato. Adesso, invece, erano spacciate.

Si voltò appena, verso la botola. Nessuna traccia di Kairos e Morag. Probabilmente stavano trattenendo Zeno, perché non venisse a riprenderle. Non ci voleva quell'imprevisto! In realtà avrebbero dovuto aspettarselo: quel piano, inventato in pochi istanti, come tutte le cose fatte in fretta non avrebbe potuto dare buoni risultati.

«Cosa...» iniziò Genew, la voce un sussurro, pronta a esplodere da un momento all'altro, mentre il solito sguardo glaciale lanciava scintille furiose. «Cosa ci fate qui?!»

Il corpo di Em era completamente paralizzato dalla paura. In quel momento si sarebbe data volentieri alla fuga, se solo le sue gambe avessero potuto muoversi. E invece era lì, con gli arti tremanti per il panico che non faceva che aumentare, indotto per lo più da quegli occhi di cristallo che la stavano fissando con uno sguardo omicida.

"Lo sapevo che non avremmo dovuto farlo. Lo sapevo lo sapevo lo sapevo lo sapevo" ripeteva nella sua testa, come se, così facendo, potesse cambiare magicamente la situazione, tornare a pochi istanti prima, quando, ancora fuori dall'oikarion del potere, erano in tempo per decidere di non trasformarsi nelle eroine della situazione. Sarebbe finita male, malissimo!

«Allora?» le richiamò Genew, avvolgendo le dita intorno al bastone della lancia appoggiata alla parete di liane dietro di sé, pur rimanendo seduta.

«Siamo venute a proporre un nuovo piano per la guerra imminente» rispose tutto d'un fiato Raya, cercando di mantenere la voce ferma. I battiti del suo cuore erano celeri e irrefrenabili e il respiro si era accorciato. Ma pur temendo per la sua incolumità e quella della sua compagna, continuava a guardare negli occhi la cognata, senza distogliere lo sguardo: non doveva assoggettarsi a lei perché potesse essere ascoltata. «Vi preghiamo di ascoltarci».

Gli occhi di Genew diventarono due fessure, puntate contro la giovane che aveva appena parlato. Il corpo statuario era immobile, non un solo dito veniva mosso. Raya portò le mani dietro la schiena, stringendole una con l'altra per farsi coraggio. Non poteva cedere. Arrendersi subito era la scelta più sbagliata che potessero compiere: ormai avevano trasgredito le regole, tirarsi indietro non era più possibile.

«Genew, io-» intervenne Paula, con il tono pacato, provando a esprimere il suo parere, ma Genew, senza muovere un muscolo, continuando solo a fissare Raya, ordinò, inflessibile: «Esci. Immediatamente».

Tutti gli Anziani sussultarono appena a quel comando così categorico e Raya sperò con tutta se stessa che i vecchi del clan, dopo l'intervento tirannico di Genew, le muovessero un rimprovero e passassero dalla parte di Paula - e di conseguenza dalla loro: la cantastorie era sicuramente intervenuta per esortare la figlia del capo ad ascoltarle.

Ma il primo movimento, dopo il lungo e grave momento di inerzia, provenne da Pitone, che con un mezzo sorriso, annuì alle parole di Genew, seguito subito dalle sorelle. Altri Anziani, dopo qualche attimo di riflessione, si accodarono ai tre consiglieri maggiori, e solo Eracle e Vinsenes non imitarono il padre del capo, ma non provarono nemmeno a dire qualcosa per difendere Paula. Quest'ultima, con gli occhi carichi di biasimo che guardavano ancora Genew, si alzò dalla propria pelle e con l'andatura lenta se ne andò.

La botola sbatté e anche Genew uscì dal suo stato di immobilità. Con due passi sorpassò l'intero gruppo degli Anziani seduti in cerchio, che si limitavano a osservare, quasi quella fosse diventata una prova che la figlia del capo doveva superare, e si posizionò di fronte a Raya. Era più alta di lei e in posizione di vantaggio anche per quello, ma la giovane vasaia era ostinata e non abbassava lo sguardo di fronte all'imponenza del suo.

«Povero Lisimaco, povera Camilla» sibilò la figlia del capo, mentre Raya cercava di contenersi, pur sentendo nominare i nomi dei genitori che l'avevano ripudiata. «Che penitenza dev'essere avere una figlia simile. Non solo una vile che tradisce le illustri tradizioni familiari per paura, ma anche una sciocca che osa infrangere le centenarie regole del suo popolo. Con quale orgoglio - qualità che non ti si addice - ti mostri qui, in un luogo a te proibito, pensando di dettar legge?!»

Raya sentì una bile amara passare attraverso la gola. Quella donna, quanto la detestava! Attaccata al passato come nessun'altro, rancorosa come nessun'altro, ottusa come nessun'altro.
"E se non discendessi da una famiglia che vanta da sempre eccellenti Guerrieri e Sentinelle e se non fossi la moglie di suo fratello, il problema non ci sarebbe". Invece reputava la sua libera scelta come un gesto codardo, come se l'avesse fatto apposta a voltare le spalle a tutti i suoi parenti. Non cercava neanche di immedesimarsi in lei, di capire quella scelta - che aveva sempre saputo, fin da quando l'aveva meditata la prima volta, l'avrebbe allontanata dalla sua famiglia. Non desiderava distruggere, voleva che lo scopo della propria esistenza fosse creare. E il modo di perseguire la sua volontà lo aveva trovato nell'argilla, che con le sue stesse mani trasformava, in un lento e preciso processo, nei suoi vasi, che la comunità avrebbe poi potuto sfruttare come avrebbe preferito. Ma come poteva capirlo quella Genew, capace di ragionare solo attraverso la mediazione di individui ancor più chiusi e retrogradi di lei?!

Respirò appena più forte, per buttar fuori tutta la rabbia che provava: sputare in faccia a Genew tutti i suoi pensieri non era ciò che serviva per salvare Tou Gheneiou. Per quanto fosse difficile, doveva trattenersi.

Era invece il momento di esporre quello che Em aveva illustrato poco prima a lei. L'altra poteva essere adirata ma, se avesse ascoltato l'idea della neotera, non avrebbe potuto obiettare: anche un idiota avrebbe capito che, se non si voleva mandare il clan alla rovina, quella era l'unica via da perseguire.

Ma all'improvviso si sentì la botola spostarsi nuovamente. Raya ed Em si voltarono raggianti: forse era tornato il capo!
«... una cosa così disonesta!»
«Shh, Kairos! Ti lamenterai dopo! Sbrigati a entrare!»

La botola si spalancò e dal passaggio fecero capolino Kairos e Morag, un po' affaticati, che subito rivolsero un'occhiata preoccupata alle due giovani complici, che non sapevano come rassicurarli: come fare a spiegar loro che del capo del clan non c'era traccia?

«Kairos?!» mormorò Genew, ancor più sconvolta di prima, non avendo di certo immaginato che persino l'onesto fratello fosse coinvolto in una tale trasgressione.
La botola si aprì per l'ennesima volta e balzò al suo interno una terza figura maschile.
«Zeno?!» Genew non avrebbe potuto essere più alterata. Raya deglutì, impensierita: l'ira che stava crescendo nella primogenita del capo era ormai tangibile e, presto o tardi, sarebbe fuoriuscita da lei, riversandosi, inevitabilmente, su chi le stava davanti.

«Perdonami, Genew!» esclamò l'uomo, giustificandosi in anticipo. «Adesso... li porto via... subito» disse poi, chiaramente in imbarazzo, ma prima che potesse avvicinarsi di nuovo ai giovani, Kairos mosse un passo verso Genew.

«Sorella» la chiamò solennemente. «Em ha trovato una soluzione ai nostri problemi. Per favore, ascoltaci e non opporti solo perché è l'idea di una neotera».

Tutti ammutolirono, lasciando solo che la tensione crescesse ancora.
«Come sai che abbiamo problemi?!» sbottò infine la sorella, con uno sguardo squilibrato. «Non ci sono problemi! Nessuno, di nessun genere!»
«Come puoi negarlo!» esclamò Kairos, con più forza di prima, protendendosi verso di lei. «Non capisci che l'idea che avete preso condannerà tutto il nostro popolo? Dov'è nostro padre? Dobbiamo parlare con lui».

«Non ti riguarda. Nulla di ciò ti riguarda!» Genew si spostò da Raya e si avvicinò a Kairos, fulminandolo, minacciosa e sempre più efferata. «È stata nostra madre a dirti tutto questo, vero? Quella... non è altro che una debole! Non pensa ad altro che a salvare se stessa! Quell'ignobile, meschina...»

«Non...» mormorò il giovane e Raya scorse sul suo volto una piccola contrazione, dovuta all'afflizione per i soliti insulti di Genew nei confronti della madre. Ma, come lei aveva tenuto a freno la lingua prima, ora toccava anche a lui: i problemi che avevano con la primogenita del capo, in quella circostanza, passavano in secondo piano. «Dov'è nostro padre?» ripeté, cercando di mantenersi freddo.

«È andato a fare un sacrificio propiziatorio ai daimona» sbuffò la sorella, voltandogli le spalle e dirigendosi di nuovo verso la sua postazione. «Non ti dico dove così non potrete andare a disturbarlo: a differenza vostra, lui ha qualcosa da fare. In realtà anche voi: tu sei un Cacciatore, tu un Avventuriero» sentenziò, indicando il fratello e il suo compagno. «E pure voi due avete qualcosa da fare» rivolgendosi a Raya e ad Em, con un'espressione sdegnosa. «Dovete... modellare la terra. Andatevene, allora. Non ho altro tempo da perdere, ora, ma aspettatevi una punizione che non dimenticherete, tutti e quattro» concluse, sedendosi a gambe incrociate, per poi aggiungere un'ultima cosa: «Ah, Kairos. Vedi di insegnare a tua moglie qual è il suo posto nella società: non è abbastanza intelligente da capirlo da sola».

La bocca di Raya si deformò in una smorfia a quell'ultima sentenza: la rabbia che aveva contenuto prima scoppiò, prepotente.
«È vero» iniziò, con la testa ancora dritta e uno sguardo di sfida verso colei che, suo malgrado, sarebbe divenuta la sua anaxa. «Io sono piena di orgoglio, anche se sono solo una semplice vasaia. Non sarò umile e sottomessa, come vorresti tu, non accetterò tutto quello che direte voi qui, se non mi starà bene. E ardo di orgoglio anche adesso, pensando che sto cercando di far sentire la mia voce. Non me ne pento e lo rifarei. Il mio scopo è tentare di salvare il mio popolo. Quello che non sei in grado di fare tu!»

Genew non attese un istante: si alzò subito, apprestandosi a lei e andando a impattare la mano aperta e potente contro la guancia dell'ardita, abbastanza da farla stramazzare a terra.
«Raya!» esclamò Kairos, accorrendo dalla moglie che non riusciva a rialzarsi. Ma prima ancora di accertarsi che stesse bene, cambiò direzione e si avvicinò svelto a sua sorella, spinto da un impeto sempre più forte: «Non la toccare mai più! Non provare a...»

Zeno si frappose tra i due, sbarrando il passaggio a Kairos.
«Genew, cosa stai facendo?» disse, bloccando con forza le mani della giovane. «Non puoi picchiarla a caso! Cosa ti è...»
«Stai dalla loro parte?!» Genew sbarrò gli occhi, fissando il Guerriero e liberandosi con uno strattone.
«Sì!» esclamò, muovendosi ancora verso di lei perché non raggiungesse di nuovo i giovani, mentre quelli erano accorsi dalla ragazza colpita, tranne la neotera, che sembrava incapace di compiere qualsiasi gesto. «Non avresti dovuto aggredirla: sei il capo, dovresti contenerti!»

«Non dirmi quello che devo fare. È il contrario che deve succedere. Ti ordino di portarli via e punirli».
«Se hanno trasgredito alle regole avranno dei buoni motivi...»
«Non mi importa! Non li ascolterò!» urlò. Tutti i presenti rimasero sbigottiti da quell'ultima manifestazione di ira, tanto che nessuno osava più aggiungere una parola o muovere un muscolo.

Genew però, con quell'ultima scenata isterica, sembrava essersi sfogata e persino dimenticata dell'onta subita dalla vasaia: si stava dirigendo nuovamente verso il suo posto nel cerchio, sotto gli sguardi degli Anziani, increduli persino loro per quella bambinesca manifestazione di rabbia, pur non osando proferire parola per evitare che la giovane potesse scoppiare di nuovo.

Ma proprio quando la situazione sembrava essersi ristabilizzata, Raya si alzò un poco e riposò il proprio sguardo su Genew.
«Tu...» Era riuscita appena a mettersi in ginocchio, reggendosi con entrambe le mani al corpo di Kairos, ma sebbene quel colpo l'avesse privata di ogni forza, non era stato in grado di sottrarle quella d'animo. «Tu non potrai mai essere un capo».

Quelle parole dissiparono anche la poca razionalità rimasta nell'animo della figlia del capo, che, con gli occhi pieni di furore, si precipitò di nuovo contro la ragazza, brandendo la lancia.
Kairos e Morag si schierarono subito, cercando di fare da scudo all'inferma, pur sapendo di non essere in grado di uscire vincitori da uno scontro contro la futura anaxa. Gettarono subito gli occhi per il resto dell'Oikìa per intercettare Zeno, che magari avrebbe potuto tentare di farla ragionare ancora, ma il Guerriero... era improvvisamente scomparso?!

Come potevano fare? Solo un miracolo avrebbe potuto salvarli. E forse un miracolo accadde.

Em si sbloccò immediatamente dal suo stato di rigidità e si buttò a terra, in ginocchio, di fronte alla giovane. «Scusaci, Genew, perdonaci!» esordì. Mai avrebbe pensato che un giorno lei si sarebbe inginocchiata di fronte a qualcuno, proprio lei, i cui antenati erano soliti osservare i servitori nella stessa posizione nella quale si trovava adesso. Ma al diavolo gli antenati! Al diavolo la nobiltà! Aveva tanto sentito parlare del fatto che quella vera non consistesse nel sangue, ma nell'animo. E tutte le volte, sorseggiando un calice di champagne, ci aveva riso sopra, facendosi versare altro vino dal maggiordomo. E invece era tutto vero. Cosa contava, adesso, il suo nobile lignaggio? Non sarebbe stato quello a evitare che i suoi compagni stramazzassero a terra con una lancia nello stomaco. Solo quel semplice atto di umiltà avrebbe potuto salvarli: sapeva, per esperienza, che Genew voleva sentirsi dire certe cose. Che venisse soddisfatta, allora!

«Hai ragione a chiamarla sciocca, la mia compagna: nessuno dovrebbe osare rivolgersi a te in quel modo. Si vede già così che sei un grande capo! Ti prego, non riversare la tua ira su di noi!» Doveva per forza ridursi in quello stato pietoso? La sua volontà di restare in ginocchio vacillava a ogni sua parola. Ma una voce dettata da un sentimento che non aveva mai sperimentato diceva qualcos'altro: "Questo ed altro per loro". «Quello che volevamo fare era soltanto esporti quest'idea. Vedi, invece che affrontare il nostro nemico frontalmente, sebbene sia un piano totalmente valido, avevo pensato...»

Non riuscì a completare la frase che nella grande capanna riecheggiò la folle, agghiacciante risata della figlia del capo.
«Come sei ingenua, neotera» disse, infine, afferrandole il colletto della veste con la mano libera e sollevandola in aria. «Loro» continuò, accennando con il capo agli altri tre, mentre sul suo volto andava dipingendosi un'espressione sempre più dissennata, «cascheranno anche nella tua trappola, ma io no! L'ho sempre saputo: voi siete alleati con un altro clan - adesso è chiaro che è Tes Gheisas! - e ci state spiando da tutto questo tempo. Avete paura che noi combattiamo frontalmente perché potremmo mettervi in difficoltà: così hai elaborato un piano per consegnarci direttamente nelle vostre mani!»

«Ma cosa stai-».
«È così!» esclamò, l'ombra del precedente sorriso maligno era scomparsa, lasciando al suo posto uno sguardo assassino. «Non mi importa se con la vostra morte non avremo più la possibilità di uccidere Mortino. Pazienza». Sollevò la lancia finché la punta non toccò il collo della giovane. «Meglio lui vivo che avervi dieci istanti di più nel mio clan».

"Cosa ho fatto? Cosa ho fatto?! Sapevo che non avrei mai dovuto dire niente: perché d'un tratto ho pensato di fare l'eroina?! Nobiltà d'animo: ma perché mi è venuta in mente proprio adesso! Che stupida! Che stupida!" Quando percepì la punta affilatissima toccarle la pelle del collo, Em chiuse gli occhi, avendo troppa paura per assistere al momento della sua stessa morte.

Tutto fu molto veloce: prima sopraggiunsero assordanti rumori, poi diverse voci concitate, di cui non capì le parole per la poca lucidità; la mano che la stava sorreggendo la liberò e lei cadde invece sul rigido pavimento.

Cos'era accaduto? Non lo capiva. Sentiva dolore a ogni parte del corpo e, pur udendo diversi rumori che si sovrapponevano intorno a lei, voleva solo ignorarli. Una mano le sfiorò con dolcezza il volto e, aprendo gli occhi, vide Morag che la stava guardando, teso. I suoi lineamenti si rilassarono subito constatando che, dopotutto, stava bene.

Ancora intontita, accompagnata dalla paziente mano del giovane, riuscì a mettersi a sedere, osservando che la disposizione nella stanza era cambiata molto: solo gli Anziani erano rimasti invariati nelle loro postazioni, anche se le loro espressioni non erano più beffarde come prima, ma piuttosto preoccupate, tranne quella di Paula, tutta contenta, rientrata chissà quando. Kairos e Raya erano ancora vicino a lei e infine sulla pelle di tigre, accanto a quella di giaguaro dove prima era stata seduta Genew, ora v'era il padre, che con una mano sorreggeva la testa sconfortato; dietro di lui Zeno e Rigel. Quando erano arrivati? E dov'era finita Genew? La giovane guardò dubbiosa i tre compagni che, per tutta risposta, si limitarono a sorridere.

«Perdonatemi» sospirò a un tratto Genew, risvegliando Em dai suoi pensieri: la voce, gli occhi, i modi del capo del clan non erano caratterizzati dalla solita luminosità. «Non è lei la vera responsabile delle sue azioni, ma chi l'ha educata. Dunque, principalmente,» continuò, sottolineando con meticolosità l'avverbio e squadrando velatamente tutti gli Anziani, «è colpa mia. Non sono stato capace neanche di fare questo... Non importa: non vi assillerò oltre con le mie lamentele». Rivolgendosi, poi, ai due alle sue spalle: «Grazie ancora, Zeno, per avermi chiamato, e a te, Rigel, per aver calmato le acque. Chissà cosa sarebbe successo se non fossimo sopraggiunti in tempo...»

«Lo rifarei, anax» rispose la Guerriera, piegando appena la testa. «Permettimi solo di dire che a volte sei troppo indulgente con lei. Altro che i due calcetti che le ho dato... Sapessi cosa ci vorrebbe per metterla a posto...»

«Taci, Rigel!» Una voce giunse da una parte dell'Oikìa in cui lo spazio tra i tronchi e le liane era talmente piccolo che non permetteva di stare in piedi neanche a un bambino. Lì Genew era rannicchiata su un fianco, dando le spalle ai presenti.
«Ma guarda te!» fece l'altra. «Ha pure il fegato di controbattere!»

«Non importa, Rigel». Il capo alzò appena un braccio per imporre silenzio. «Lasciala fare. Non cambierà, anche se le dovessi somministrarle una pena tremenda. Se lo farà, non sarà merito di nessuno di noi, ma grazie a un percorso che compirà da sola. Potrebbe essere una questione di tempo, nonostante lo reputi ormai impossibile persino io. Ma, tanto, il nostro clan sta per scomparire... Inutile preoccuparsi per il futuro».

«Padre» lo chiamò Kairos. «Scusami se ti interrompo, ma è per questo che siamo venuti. Devi sapere che Em ha trovato una soluzione, un piano alternativo». Guardò la giovane per accertarsi che si fosse ripresa dalla caduta, per poi rivolgersi nuovamente al genitore. «Se sta meglio, può spiegarlo».

L'espressione di Genew si rasserenò per un attimo, scacciando quell'insolita ombra dal suo viso e facendo posto a una flebile curiosità. Raddrizzò la schiena e rivolse ogni sua attenzione alla giovane appena nominata dal figlio.

Em percepì gli occhi dei presenti puntati su di lei: si aspettavano grandi cose, tutta la responsabilità delle sorti di Tou Gheneiou pareva gravare sulle sue spalle.
"Speriamo non sia stato solo un abbaglio".
Deglutendo appena per il nervosismo, iniziò: «Da quel poco che ho sentito, la vostra idea era quella di formare dei piccoli gruppi di uomini da disporre intorno all'intero perimetro del campo. Non ho idea di quanto sia esteso e nemmeno come li abbiate suddivisi, ma, nella maggior parte dei casi, se un vostro manipolo si venisse a scontrare con l'esercito nemico, non si farebbe mai in tempo ad avvertire gli altri gruppi e si formerebbe una breccia nei territori del clan: in quel caso non ci sarebbero molte speranze».

Prima che un'atmosfera cupa impregnasse tutto l'ambiente, si sbrigò a continuare.
«Per questo dobbiamo tendergli un attacco a sorpresa. Quello che mi è venuto in mente, e che penso sia anche la cosa migliore da mettere in atto con le vostre disponibilità, è quello di far combattere solo coloro che hanno intrapreso il Percorso dell'Onore, in questo modo: i più abili negli scontri frontali attenderanno l'esercito di Tes Gheisas, mentre gli altri staranno sulle cime degli alberi, pronti a inondare il nemico di frecce prima che inizi la battaglia con gli uomini di sotto, che saranno comunque pronti a non far penetrare nessuno in Tou Gheneiou. Avremo buone probabilità di vittoria, e intanto la maggior parte del clan potrà stare al sicuro all'interno dei territori».

Finì di parlare e si guardò intorno: i suoi tre compagni sorridevano verso Genew, che però aveva riacquistato un'espressione che lasciava ben poco spazio alla speranza.
«È una buona soluzione» concesse, con un sorriso debole. «Ma non possiamo attuarla: noi non sappiamo da dove arrivi l'esercito di Tes Gheisas».

«Lo so e ho pensato a qualcosa» disse ancora la giovane, mordendosi le labbra: sì, durante lo spostamento dall'oikarion di Genew e Anita all'Oikìa, aveva abbozzato un'altra idea per scavalcare l'unico ostacolo rimasto, ma ne era così poco convinta... «Però non ho abbastanza conoscenze per creare un piano solido. Ho bisogno del tuo aiuto».
«Dimmi».
«Si potrebbe organizzare una missione preliminare all'interno del clan nemico: questa consisterebbe nel mandare il prima possibile alcuni uomini che vadano a parlare con il capo di Tes Gheisas, spacciandosi come membri di un loro clan alleato. So che sembra un'idea campata per aria, ma, magari, voi sapete qualche informazione in più grazie a cui potrebbe realizzarsi. E, in ogni caso, tanto varrebbe tentare» aggiunse infine, come a volersi giustificare di non essere stata capace di elaborare nulla di meglio.

Si concentrò subito sulle reazioni degli interlocutori e sbiancò quando gli Anziani iniziarono a lanciarsi occhiate e a mormorare qualcosa tra loro, con un tono di disapprovazione. Non andava bene? Era irrealizzabile? Allora davvero dovevano arrendersi e sottostare al primo piano formulato?

Ma il capo del clan sogghignò, vedendo la reazione dei vecchi, e il volto di Em tornò a illuminarsi: Genew sembrava convinto!
«Una tattica simile...» iniziò sorridendo appena l'uomo, ma subito interrotto da una voce all'estremità della stanza.

«Non possiamo! Non possiamo, padre!» gridò Genew, voltandosi di nuovo nella loro direzione, con la parte del volto vicina all'occhio destro gonfia e violacea. «È un'ingiuria abbassare la nobiltà del nostro clan in questo modo: soltanto i deboli sono subdoli e sleali! È meglio morire tutti con onore piuttosto che...»

«Ma buttati nel Vulcano, imbecille, o almeno vedi di tacere!» esclamò stremata Rigel, mentre sui volti dei quattro giovani sorse un sorriso spontaneo e quasi divertito, sentendola parlare così. «Oggi ne hai dette anche abbastanza... Anax, piuttosto, stavo pensando alle parole della neotera e non è un'idea malvagia: Tou Mortinou e Tes Gheisas sono alleati».

«Stavo pensando proprio a quello. E so anche che da poco c'è una nuova Geisha; o meglio, neanche due settimane fa, recandomi da Ton Korakon, avevo appreso che quella vecchia era stata da pochissimo portata al nord, in maniera permanente». Uno sguardo eloquente tra il capo e i due Guerrieri confermò che si erano capiti. «Di conseguenza deve esserne sicuramente subentrata un'altra».

«Perfetto!» esclamò allora Zeno. «Se il cambio è avvenuto da poco, Tes Gheisas e Tou Mortinou probabilmente non hanno ancora reinstaurato il patto. Potrebbe essere la nostra occasione». Rifletté un momento, per poi riprendere il discorso: «Mi è venuta in mente un'idea: un nostro gruppo andrà là, sotto mentite spoglie di Mortinou, con la scusa di voler riconfermare l'allenza. Intanto, come pegno di fedeltà da parte di Mortino, le diremo che le sarà concesso il nostro aiuto nell'attacco a Tou Gheneiou. Così ci faremo svelare precisamente dove e quando hanno intenzione di passare e avremo la possibilità di attenderli in un luogo propizio per mettere in atto il piano della neotera. Ora che ci penso, non è affatto male come prospettiva!»

«Hai proprio ragione, Zeno» confermò il capo del clan, sul cui volto stava iniziando a formarsi un sorriso sempre più grande, finché non esclamò: «Per tutti gli dei, quanto hai ragione, Zeno! Ragazzi miei,» disse poi, rivolto ai quattro giovani di fronte a lui, quasi commosso, «non... non so come ringraziarvi. Se non fosse stato per la vostra testardaggine a esporre a ogni costo le vostre idee, avrei già comunicato al mio popolo una mesta fine. E invece... Rigel!» proruppe di nuovo, guardando dietro di sé: la sua contentezza aveva ormai raggiunto l'apice. «Hai visto? La tua danza e il mio sacrificio sono contati a qualcosa! Oh, che gioia! Daimona, dieci tigri potrei sacrificarvi, la prossima volta! Anzi, perché rimandare: lo faccio oggi stesso! Intanto, ragazza,» proseguì, rivolgendosi sempre alla Guerriera, «fa' radunare tutti e comunica che siamo in guerra con Tes Gheisas ma che non si preoccupino: esponi pure i piani di Em e di Zeno. Invece, Zeno, organizza un gruppo di alcuni iniziati al Percorso dell'Onore che vada domani a Tes Gheisas. Sarai tu a capitanarlo; non ti dispiace, vero?»

«Assolutamente no, mio anax».
«Benissimo!» esclamò di nuovo Genew, scattando in piedi. «Ah, Rigel, dimenticavo: di' anche che, qualora qualcuno abbia qualcosa da proporre in merito alle questioni del clan, potrà recarsi all'interno dell'Oikìa ed esporle» disse, guardando tutti gli Anziani con aria di sfida, in particolare suo padre e le due zie. «Finiamola con questa insulsa tradizione, una buona volta!»

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Hello, guys!
Chiediamo anche noi perdono da parte vostra per il capitolo chilometrico (scusate, ma non sapevano proprio dove tagliare o come separarlo!) Quindi, in proporzione, vi ritroverete anche un commentone (scusate pt.2). Serve infatti che spenda due parole per quello che ha fatto Genew f, che si mostra qui all'apice della sua immaturità. Ma come ha fatto ad arrivare a un comportamento così estremo? Nel caso non si fosse capito dal capitolo (spero di sì, in realtà 😅), la causa scatenante è una: il fatto che l'ordine all'interno dell'Oikìa, su cui abbiamo indugiato parecchio per mostrarvelo sereno e immutabile come lo vede Genew, è stato rotto dall'arrivo dei Fantastici Quattro, che osano per di più dire che ci sono problemi al clan, cosa che Genew, avendo ascoltato i discorsi degli Anziani, è convinta che non ci sia. Dunque mostra due lati della sua personalità, rimasti fino ad ora latenti, prima il lato infantile, per cui non accetta la sconfitta (ascoltare il piano di Em equivarrebbe a dargliela vinta) e, poi, il lato dissennato. Ricordo che in quest'ultimo non sta ragionando (a parte che, come avrete capito, sono praticamente inesistenti le volte in cui ragiona con la propria testa...) e probabilmente non si sarebbe davvero comportata così: sono state le circostanze a perdere la ragione. Sto cercando di giustificarla? Assolutamente no, ma mi sembravano precisazioni doverose, perché la sua reazione non sembri una sfuriata molto a caso. Passiamo all'altra protagonista del capitolo, di cui invece possiamo essere ben più felici: la nostra Em! 🤩 che finalmente abbandona la patina stereotipata che abbiamo voluto attribuirle all'inizio della storia. Ora capite meglio il perché il suo personaggio in principio doveva essere così: perché potesse, pian piano, umanizzarsi sempre di più, fino ad arrivare a considerare più importante l'amicizia con Kairos, Raya e Morag - purtroppo ho dovuto tagliare molti momenti in cui il loro rapporto, e in particolare quello tra Em e Raya, si sviluppa, mostrandovelo solo quando è ormai formato - che la sua dignità. Aw, Em, sono commossa 🥲🥲🥲. Bene, questo commento è stato fin troppo lungo, quindi evito di rompervi anche con Raya e Zeno, gli ultimi due di cui abbiamo osservato il pov; del resto non ci sarebbe molto da dire in merito a loro, se non che si vede finalmente in modo abbastanza accurato la personalità di Raya, che spero di aver sviluppato decentemente anche se non la vediamo molto.
Cari lettori (a cui vogliamo tanto bene, anche se non ve lo diciamo mai 🥺❤), al prossimo capitolo!
~🐼🐢

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