24

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Un'immagine. Una suggestione di quello che sarebbe accaduto. Lei, insieme alla sua spada bronzea, la sua compagna di vita dalla più tenera età, lentamente, procedeva tra la fitta natura intricata; il tempo era come se si fosse fermato: tutto intorno il massacro continuava a rilento, ormai irrilevante. Tutto ciò che scorgeva era quella figura mascolina, a cui lei stava avvicinandosi sempre più, a ogni suo passo. Quell'uomo.

Si slanciava all'indietro, brandendo la sua spada perché il colpo potesse risultare il più violento possibile, e affondava la lama nel corpo dell'uomo, che non riusciva a difendersi innanzi alla sua incredibile velocità. L'arma penetrava nel suo costato, un liquido vermiglio iniziava a macchiargli la tunica e a sporcare il terreno sottostante. Lei guardava la scena con piena soddisfazione. Finalmente! Finalmente!

«Giustizia sarà fatta!» esclamò, aprendo gli occhi e tornando in quel presente che aveva iniziato a esserle così stretto. Solo cinque giorni, prima che potesse compiere ciò che stava contemplando. Così poco e così tanto al tempo stesso. Una vita intera aveva aspettato, eppure quelle ore, ormai, che la separavano dal grande giorno le sembravano più dure e pesanti dell'intera esistenza.

Avvicinò l'arma di bronzo alla faccia e iniziò ad accarezzarne la superficie, liscia e fredda.
«Non vedo l'ora che tu sia ricoperta del suo sangue» sussurrò alla compagna inanimata, avvicinando la bocca alla lama e lasciandovi sopra con l'alito un piccolo alone. «Del sangue di Genew».

Maledetto. Lui e il suo intero clan. Al solo pensiero di quell'essere ignobile provò un moto di rabbia tale che le fece scagliare la spada contro la parete di legno della piccola capanna, accompagnandolo con un urlo.

Portatori di massacri e sciagure. Questo erano i membri di Tou Gheneiou e nient'altro. Dovevano essere sterminati, tutti. Da quando aveva sei anni sapeva il suo scopo nell'esistenza: privare della vita tutti quegli esseri che non era neanche possibile definire umani e ristabilire la giustizia, oltraggiata per anni dai loro scempi.

«Zia, dov'è la mamma?» Una bambina dai lunghi capelli rossi era sulla soglia della capanna di legno, confusa e scombussolata. Fuori era calata la notte e solo la luna, a metà del suo ciclo calante, illuminava appena la radura della foresta. Tutti gridavano e piangevano e non vedeva i suoi genitori tra la folla. La zia doveva saperne qualcosa, di sicuro: questa, però, appoggiata alla parete di legno, fissava il vuoto, assorta, non degnando la nipote di una risposta.

«Zia, perché non rispondi?» continuò insistente la piccola, che voleva solo sapere dove fosse andata sua madre: la sera prima le aveva assicurato che si sarebbero riviste il pomeriggio successivo, perché quella mattina sarebbe andata con suo padre e gli altri del clan in battaglia. Ma non era ancora tornata.

La bocca della zia non si muoveva. La bambina si avvicinò e le tirò un lembo della manica, per vedere se cambiasse atteggiamento: niente. Sbuffando, la prese con più forza, cercando di trascinarla giù verso di lei. Ma ancora niente. La zia era immobile e muta. La piccola le si piantò davanti e iniziò a osservarla bene: solo le sue palpebre, sbattendo di tanto in tanto, compivano ancora un piccolo movimento.

«Zia...» la chiamò ancora. «Almeno dimmi dov'è il papà».
Una lacrima scese lenta giù dalla guancia della zia. La bambina si spaventò: perché piangeva? Gli adulti non piangono mai.

«Zia, perché fai così?!» urlò allarmata la bambina: anche sulle sue gote avevano iniziato a sgorgare lacrime copiose.

«Alycia...». La zia finalmente si riscosse vedendo la nipote piangere in quel modo: dopotutto, seppur fosse ancora così piccola, non aveva il diritto di restare ignara di cosa fosse successo. Si chinò, così che i due volti potessero essere alla stessa altezza, e prese le mani della bambina tra le sue. «Puoi essere fiera di avere due genitori come i tuoi. Si sono battuti con valore e con onore contro quei demoni, che ogni male scenda sui loro capi! I tuoi genitori hanno combattuto strenuamente contro quelli ma...» La zia non riuscì a terminare la frase che di nuovo i suoi occhi rilasciarono lacrime e dalla sua bocca uscirono gemiti di dolore, non permettendole di aggiungere altro.

«Zia, non capisco, cosa vuoi dire?» continuò la bambina, piangendo più forte: forse aveva capito cosa intendeva la zia, ma, poiché l'altra non aveva finito la frase, forse c'era ancora la possibilità...
«Alycia, sono morti!» esclamò, in preda al dolore. «Non ci sono più! Non li rivedrai mai più!»

Sentendo quelle parole dure, la bambina non riuscì più a trattenersi e iniziò a urlare: «La mamma aveva detto che tornava! La mamma torna! Zia, sei bugiarda!»
«No, Alycia. La mamma non torna» continuò sconfortata la zia, abbracciando la piccola per consolarla e per consolarsi a sua volta per la morte della sorella.
«Sei cattiva!» singhiozzò ancora Alycia. «Voglio la mamma! Voglio il papà! Sono cattivi se non tornano».

«Alycia». La zia aveva smesso di ascoltare i comprensibili lamenti della bambina e aveva iniziato ad accarezzarle la testa scarlatta, senza distogliere la mente dal ricordo della famiglia defunta e da quello dei suoi assassini. «Ricorda bene questo nome: Genew. Questo è il nome dell'assassina dei tuoi genitori. Tu devi vendicarli! Tu dovrai essere là, un giorno, quando sarai grande, e guardare negli occhi quella serpe, mentre le squarci il ventre come lei ha fatto con i tuoi genitori. E, se non ci sarà più lei, lo farai con suo figlio: da un grembo così dannato non può che essere nato un figlio altrettanto crudele. Devi riportare la giustizia! Devi vendicarli! Promettimi che lo farai, Alycia. Per tua madre, per tuo padre. Promettilo!»

«Questo...» disse la bambina, staccando il volto dal corpo della donna ma continuando a singhiozzare e guardando con infantile speranza il viso di colei che aveva davanti, «questo farà tornare la mamma?»
«No, Alycia». sospirò questa, sfiorandole con delicatezza la guancia. «Nulla potrà farla tornare». Si fermò un istante per poi riprendere il discorso, con maggiore fermezza e serietà: «Però tua madre e tuo padre ci stanno guardando dall'aldilà: si aspettano che tu faccia qualcosa. Vogliono che tu li vendichi, vogliono che tu uccida Genew e stermini la sua famiglia. Devi prometterlo».

Alycia si sentì spaventata da quelle parole: i suoi genitori la stavano davvero guardando in quel momento? Anche se lei non li vedeva, loro erano con lei? Si aspettavano qualcosa e lei non poteva deluderli. Si asciugò la faccia con la manica del vestito: davanti alla madre e al padre non poteva essere triste e sconsolata, doveva mostrarsi forte. Doveva far vedere loro che sarebbe stata capace di soddisfarli, proprio ora che avevano più aspettative su di lei.

«Lo prometto, zia».

Quella conversazione era rimasta incisa nella sua memoria e mai l'avrebbe scordata: trascorsi diciassette anni, aveva dimenticato i volti dei suoi genitori, persino quello della zia, che poco dopo si era data la morte per il troppo dolore. Ma quelle parole erano indelebili.

Si mosse per recuperare la spada che aveva scagliato contro la parete.
«Genew,» mormorò ancora, staccando con forza l'arma dal legno, «sarai anche solo il figlio di quella dannata, ma io ti ammazzerò».

Questo era il suo obiettivo nella vita. Del resto non le importava nulla. Dal momento in cui aveva promesso alla zia di impegnarsi per vendicare i suoi genitori, aveva dedicato anima e corpo al raggiungimento di quell'unico scopo.

Le tensioni tra Tes Gheisas e Tou Gheneiou si erano attenuate col tempo, grazie all'operato del figlio dell'assassina dei suoi genitori, che aveva stretto un patto di non belligeranza con il clan, ma non il suo sentimento di vendetta: col passare degli anni, anzi, si era sempre più fortificato. Aveva iniziato improvvisamente ad accorgersi della realtà del mondo circostante: vedeva madri con i bambini in braccio, i suoi coetanei correre dai genitori ad abbracciarli, giovani adulti che andavano a far visita ai parenti non più nel vigore degli anni. Riusciva ormai a vedere solo questi particolari e più cercava di evitarli per non soffrire, più se li trovava davanti, non potendo fare altro che rimanere a guardarli, con un moto di invidia e tristezza, consapevole che lei non avrebbe mai più condiviso simili momenti.

Tutta la sua vita girava intorno al senso di repulsione che provava per Tou Gheneiou. Non c'era momento che non pensasse alla morte dei genitori, alla risata malefica di quella donna mentre privava i due guerrieri della vita, il sorriso di suo figlio, che poteva contare sulla stabilità che aveva ottenuto solo grazie alle vittime mietute dalla madre. Ogni secondo della sua vita lo aveva trascorso volgendo la mente al momento decisivo, alla resa dei conti. La morte di Genew era diventata la sua ossessione.

Così a sette anni aveva iniziato ad allenarsi per diventare la più forte di tutti ed essere così eletta come nuova Geisha, alla morte dell'odierna. A causa del patto di non belligeranza, doveva per forza prendere in mano le redini del clan, così da poter decidere per esso e muovere guerra a quei demoni senza ostacoli.

Per quell'unico obiettivo aveva rinunciato a tutto, dedicandosi unicamente alla cura del corpo sia per rinvigorirlo sia per renderlo il più attraente possibile. Per sedici anni non aveva fatto altro, trascurando tutto il resto, persino le amicizie, persino l'amore. Del resto, doveva farlo: una qualsiasi relazione, con un uomo o con una donna che fosse, le avrebbe precluso la strada per diventare la nuova Geisha.

Mentre si allenava instancabilmente nell'utilizzo delle armi, aveva visto i suoi coetanei crescere, scherzare, divertirsi, innamorarsi, alcuni, persino, avere dei figli. A volte le facevano invidia, ma scacciava subito quel pensiero ritenendo invece che un giorno sarebbe giunto il suo momento.

Lei e altre quattro giovani aspiranti Geisha erano riuscite a resistere alle tentazioni della giovinezza. Solo una delle altre aveva avuto una motivazione simile a quella che aveva mosso lei per tutti quegli anni. Era stata scartata per l'età, trentun'anni: lui aveva detto che non ne avrebbe accettata una con più di ventisette. Le altre tre avevano solo i soliti futili motivi e non possedevano certo il dono della bellezza. Così era stata scelta lei. Proprio lei.

Al momento della sua salita al potere aveva già programmato tutto: aveva mandato un pugno di uomini alla ricerca di un neoteros disperso - se ne trovavano sempre in giro - e lo aveva mandato a spiare Genew e il suo clan. Aveva ottenuto informazioni preziose: ora erano deboli dal punto di vista militare e la sua furia sarebbe scesa sul loro capo incontrastata. La notte in cui la luna sarebbe stata a metà del suo ciclo calante, proprio come la notte in cui la sua vita era crollata, avrebbe attaccato, ottenendo finalmente la sua tanto agognata vendetta.

«Geisha». Qualcuno bussò all'ingresso della piccola capanna. La giovane si voltò di scatto, con un sussulto, verso la porticina di legno, per poi correre a prepararsi. Si diresse verso la cassapanca di fianco al suo giaciglio e, riposta al suo interno la spada, estrasse il lungo mantello che doveva sempre utilizzare al cospetto di altre persone, per suo volere. Lo indossò con un movimento rapido e rispose alla donna ancora in attesa dietro la porta: «Avanti».

Entrò una giovane del clan, che, tenendo la testa appena piegata, la guardava con un misto di rispetto e soggezione: il giusto comportamento da mantenere di fronte alla sua carica, a cui non era ancora riuscita ad abituarsi, soprattutto a causa del significato che portava con sé. Fino al mese prima, l'avevano sempre chiamata Alycia, e non sentire più quel nome così familiare era strano. Non che ci fosse affezionata: come ogni altro nome, era stato scelto dalle maghe, quindi non aveva alcun valore affettivo. Era pur sempre però la parola che per anni aveva associato a se stessa e, adesso che era venuta meno, le sembrava di non essere più quella di prima. Effettivamente era così.

«Ti ho disturbata, signora?» continuò con rispetto la giovane donna, che aveva ormai oltrepassato la soglia della capanna.
«Cosa c'è?» chiese la Geisha, senza badare a fornirle una risposta: non aveva tempo da perdere. Doveva ancora sistemare decine di operazioni perché il piano che aveva premeditato fosse perfetto. Quello che desiderava era uno sterminio totale: forse li avrebbe fatti soffrire di più se li avesse tenuti come schiavi, ma non aveva intenzione di lasciar vivere un minuto di più quel clan di demoni. E tantomeno poteva permettersi di lasciarli scappare: non ne sarebbe dovuto sopravvivere neanche uno.

«È arrivato un gruppo di uomini» disse l'altra, quasi come se stesse annunciando una condanna, abbassando ancora di più la testa, per non incrociare lo sguardo della sua signora. «Dicono di venire da Tou Mortinou».

La Geisha sbiancò e si sentì vacillare: il mantello che la copriva completamente riuscì a nascondere le gambe che avevano iniziato a tremare. No, non poteva essere! Non così presto. Ecco allora che il nome della sua carica adesso prendeva totalmente il suo significato. Percepì un forte bruciore alla gola. Voleva urlare, ma non poteva farlo. Aveva scelto lei stessa quella vita e aveva sempre saputo a cosa andava incontro, ma, ora che tutto questo si prospettava innanzi a lei, non riusciva a sopportarlo.

"Devo calmarmi" pensò, bloccando con la mano sinistra il polso che sorreggeva la spada e che aveva iniziato a tremare come le gambe. "Devo farlo. Sono stata io a scegliere tutto questo: è necessario. Se voglio la mia vendetta, devo farlo. E io desidero solo questo".

«Va bene, falli entrare».

~

«Chi è là?»

Da una piattaforma piuttosto bassa, pochi metri sopra di loro, si sporse un uomo, mantenendosi schiacciato contro la propria base e con una freccia già incoccata nell'arco, puntata contro di loro. Morag deglutì, turbato come pensava di non essere mai stato: il loro piano aveva davvero inizio.

«Messaggeri» si sbrigò a rispondere Zeno, con una certa fermezza nella voce. «Da Tou Mortinou».

Il Gheisas ebbe un piccolo sussulto a quella rivelazione e i suoi occhi si fissarono più precisi sui nuovi arrivati e anche Morag sentì una certa preoccupazione: si era accorto che non erano di Tou Mortinou? Le loro tuniche erano così diverse da quelle che caratterizzavano i membri del clan del nord?

«Avanti, facci salire» comandò Zeno, con una certa imperiosità. «Il grande Mortino ha mandato noialtri che abitiamo subito sopra i vostri confini perché la notizia giungesse il prima possibile: non perdere tempo, allora, e portaci dal tuo capo».

La durezza dei toni, oltre all'abbigliamento plausibile per territori non così lontani, dovette convincere la sentinella, perché, scomparso per pochi istanti, tornò subito con una scala di corda, che calò finché non raggiunse gli uomini ancora a terra.

Zeno salì per primo e Morag attese che qualcun altro passasse davanti a lui prima di procedere: ormai era lì e non poteva sottrarsi al proprio dovere, ma non riusciva proprio a stare sereno, e quell'inquietudine lo bloccava.
«Non dirmi che per quello che ti abbiamo raccontato prima adesso hai paura, neotere» sentenziò Milo, l'unico altro Avventuriero che aveva deciso di unirsi alla missione. Morag sobbalzò, ritrovandoselo dietro, ma subito scosse la testa: certo che i discorsi di prima lo avevano turbato, ma adesso non doveva pensarci. Doveva sembrare naturale, altrimenti il piano sarebbe stato mandato a monte.

Prese la scala di corda e vi si arrampicò velocemente, appena stranito dal fatto che quel giorno non si sarebbe mai mosso sulle liane, sebbene anche a Tes Gheisas fosse il mezzo di trasporto privilegiato: era un Mortinou, i Mortinou non sono in grado di muoversi come la gente delle mangrovie e della giungla. Era un Mortinou... Un senso di nausea permeò il suo corpo.

Aveva deciso di unirsi alla missione solo per senso del dovere, dopo aver trasgredito a una delle regole principali di Tou Gheneiou, e dopo aver osservato la scarsa affluenza di volontari, dal momento che quel piano era troppo subdolo per la loro moralità, oltre a voler offrire concretamente il suo aiuto. Ma adesso era certo che avrebbe combinato qualcosa per cui sarebbero stati scoperti: non sarebbe riuscito a comportarsi come un Mortinou! Ormai sperava solo che la sua presenza non portasse troppi danni.

Salì sulla piattaforma, sopra alla quale era sopraggiunta anche una giovane donna, che spostava incredula lo sguardo dal suo compagno agli intrusi.
«Vengono da Tou Mortinou e vogliono incontrare la Geisha» la informò l'uomo e quella, dopo aver annuito, iniziò a percorrere, correndo, una rampa di scale in legno che si connetteva a una piattaforma più alta, per poi spostarsi su un ponte collegato a un altro albero e sparire.

«Non immaginavamo del vostro arrivo e la Geisha nemmeno» disse di nuovo il Gheisas, con una punta di rispetto nella sua voce, mentre parlava a Zeno. «La mia compagna è andata ad avvertirla, ma dovrà comunque ricevervi nella sua capanna, dove si trova ora» proseguì, indicando una casupola di legno in cima a un albero a fianco, «non ha tempo di preparare la sala delle riunioni. Perdonate l'informalità».
«Per questa volta ci passeremo sopra» grugnì Zeno, gelido, e come se conoscesse il luogo alla perfezione si avviò verso le scale percorse prima dalla Gheisas.

"Quanto è bravo a dissimulare" pensò Morag, mentre seguiva il Guerriero con lo sguardo, cercando solo di non rivelare le sue vere emozioni. 

In silenzio - il Gheisas pareva chiaramente intimorito dalla loro presenza - giunsero presto a destinazione e Morag varcò la soglia della piccola capanna di legno, costruita sopra a un ramo di modeste dimensioni, se considerate a confronto con quelle delle innaturalmente mastodontiche mangrovie. L'interno della capanna era angusto e spoglio: a terra, a un'estremità dell'unica stanza che componeva la costruzione, soltanto una pelle di animale, probabilmente il giaciglio di chi abitava lì, e una cassapanca. Nient'altro.

Come aveva spiegato il Gheisas, nessuno si aspettava il loro arrivo: dovevano aver colto la nemica, magari, in un momento privato, in cui non avrebbe voluto essere disturbata. La sorpresa poteva giocare a loro favore: quella non aveva premeditato nulla e non poteva aver pensato al fatto che loro non fossero davvero Mortinou.

I suoi compagni si erano già disposti a semicerchio, così che tutti potessero guardare negli occhi la loro interlocutrice, con al centro Zeno.

Si sistemò anche Morag, di lato per non dare troppo nell'occhio, e, per la prima volta da quando era entrato, volse lo sguardo verso il capo dell'altro clan: una folta e disordinata massa di capelli del colore delle fiamme sembrava quasi sproporzionata rispetto al piccolo corpo che sovrastava. Gracile e minuta era la Geisha, di statura esigua e di corporatura esile. Caratterizzato da due grandi occhi turchini, il viso era così grazioso e delicato, che mai nessuno avrebbe immaginato che quella potesse essere lo spietato capo di Tes Gheisas.

Questo, almeno, era ciò che si poteva dedurre, osservando l'unica parte del suo corpo che si poteva vedere: il collo e la testa. Il resto era coperto da un lungo mantello bianco che le cadeva morbido fino ai piedi e che teneva chiuso, senza rivelare il minimo strato di pelle.

Nulla in lei dava segno di forza fisica, anzi, assoggettarla pareva una semplice impresa. Ma dai suoi occhi cerulei scattavano scintille di ira che mettevano in guardia chi si trovava davanti. Uno sguardo simile Morag lo aveva riscontrato solo nella giovane Genew, e, in casi simili, era meglio non sottovalutare l'avversario solo per l'aspetto. Quegli occhi erano un chiaro avvertimento: sarebbe stata in grado di ammazzarli tutti dal primo all'ultimo senza molti sforzi, se solo avesse voluto.

Ma Morag non riusciva a distogliere l'attenzione dal mantello, che lo riportò, inevitabilmente, alla situazione perversa che opprimeva la Geisha e di cui, con suo rammarico, aveva sentito anche troppo.

~

«... dovremo sconcertarla e spaventarla il più possibile, così che arrivi a credere ciecamente a ciò che le diremo. Domande?» concluse Zeno, dopo aver spiegato nei dettagli il piano di azione. «Alla fine, quello che parlerà più di tutti sarò io: voi servite più che altro per rendere più realistica questa recita. Ricordatevi, quindi, di comportarvi come membri di quel clan».

«Zeno, ma cosa dovremmo fare esattamante?» gli chiese Morag, in quanto, nella sua meticolosa esposizione del piano, il Guerriero aveva dato per scontata forse l'informazione principale: come sembrare un Mortinou.

«È vero, non puoi saperlo». Zeno lo guardò, con un certo senso di compassione, vedendo che non conosceva ancora la parte peggiore dell'isola. «Estremamente violenti negli atti ed espliciti nel linguaggio, come dovresti aver sperimentato. Ma non è necessario che tu assuma del tutto quel comportamento: alla fine sarò io a parlare, per lo più, voi siete con me solo per darmi man forte. Basta inneggiare a Mortino, quasi osannandolo: è così che fanno loro, in continuazione, soprattutto mentre sgozzano membri di altri clan». Zeno si fermò per un istante: dalla smorfia che gli segnò per un momento il viso, Morag comprese tutto l'odio che provava verso quel clan. «Poi, usa solo delle esclamazioni rivolte a Zarkros: di tutti i daimona è quello da loro più adorato».

«E vorrei vedere!» esclamò a un tratto Milo, di fianco a Morag. «Con il legame che ha con Mortino...»
«Aspetta, Zarkros?!» esclamò Morag, incredulo e improvvisamente inquieto: aveva davvero sentito bene? «Intendi proprio il daimon che ci ha minacciati durante la sua cerimonia?» I peli sotto la nuca gli si rizzarono: tra tutti gli eventi, aveva totalmente dimenticato lo spirito del vento e l'ira che aveva giurato nei loro confronti. E se li stava guardando? E se stava solo aspettando il momento propizio per colpirli? «Ma se hanno un legame non potrebbe rivelare a Mortino che ci stiamo fingendo suoi compagni?»

«Ma che dici...» fece Zeno, infastidito dalla preoccupazione del neoteros. «I daimona non possono farlo, devono sottostare alle loro regole: non accanirsi sui mortali, a meno che non abbiano compiuto gravi onte nei loro confronti, e non privilegiarne altri, a meno che questi non abbiano mostrato nei confronti di tutti loro una devozione inimmaginabile».
«Regole che non rispettano quasi mai...» aggiunse Milo, roteando gli occhi.
«Ma per farlo devono portare delle scuse ai loro fratelli, e se riescono a trovarle per altre azioni, di certo non se fanno la spia» completò Zeno.

«Ne sei proprio sicuro?» si accertò meglio Morag.
«Negli anni Zarkros avrebbe potuto rivelare molte informazioni a Mortino, ma non l'ha mai fatto. Non vedo perché dovrebbe iniziare proprio oggi».
«Mh, va bene» sospirò Morag, che, per quanto non convinto, si impose di non dare troppo peso a quel presagio, e cambiò discorso. «E che genere di rapporto hanno?»

«Non ne ho idea. Forse Zarkros se ne è invaghito, come accade spesso, forse è successo qualcos'altro. Fatto sta che, più di mille anni fa, Mortino divenne immortale e, non avendo ottenuto la magia perché non è un neoteros, non trovo altra spiegazione se non che gliel'ha concessa Zarkros».
Morag era confuso. «Ma non hai detto che i daimona non possono privilegiare i mortali?»
«Non dovrebbero. Evidentemente Zarkros è stato in grado di convincere i suoi fratelli della legittimità delle sue azioni. E così, da quel momento, Mortino ha ottenuto fama, gloria, potere: il suo territorio occupa tutto il nord, dalle lande, dove sorge il villaggio principale, ai boschi, ai ghiacciai e a ogni altro luogo che si trova a nord delle umide foreste».
«E non solo...» biascicò Milo. «Zarkros non si è limitato a questo: Mortino non può essere ucciso».
«Il vento di Zarkros si abbatte sullo sventurato che tenta di farlo» chiarì Zeno, e subito la mente di Morag richiamò alla memoria il racconto di Paula.

«Come era accaduto alla precedente Genew» considerò, mentre un brivido lo percorreva tutto, al pensiero di come quella donna fosse stata letteralmente fatta a pezzi. Zarkros ne era capace, e avrebbe potuto farlo anche con loro...
Ma quei pensieri furono presto cancellati dai volti incerti di Zeno e Milo. Morag sorrise subito, notando come non comprendessero quella sua conoscienza. «Sarò anche un neoteros, ma non sono più così tanto nuovo!»

Anche i due uomini sogghignarono, con una certa soddisfazione, che contagiò anche Morag, che poté sentirsi più a suo agio, anche in compagnia del sovrintendente della sua squadra e di uno dei Guerrieri più forti del clan. Il giovane si affiancò a Zeno: il sassolino della curiosità era stato lanciato, e Morag sentiva il bisogno di raggiungerlo. Ancora un elemento non era chiaro.
«Zeno, però prima hai detto che i territori di Mortino non penetrano nelle foreste. Allora... con la Geisha? Che è successo?»

Zeno sospirò ancora una volta, mentre Milo assumeva un'aria accigliata che faticò a nascondere: probabilmente avrebbero preferito non toccare quell'argomento, ma il Guerriero parlò lo stesso. «Vedi, neotere, Mortino vorrebbe conquistare altro, oltre ai territori del nord, non vuole certo arrestarsi, ma la maggior parte delle foreste a sud non glielo permettono: per giungere alla giungla di Ton Paidon, dal confine, dovrebbe passare per cinque giorni di cammino attraverso paludi le cui sabbie catturano chi vi passa sopra; per giungere a Tou Gheneiou dovrebbe imparare a usare le liane, cosa che chiunque, anche i suoi alleati, si guardano bene dall'insegnargli. Così si è accontentato di Tes Gheisas, che, come vedrai, non è inespugnabile: gli alberi sono bassi, i rami poco intricati, le bestie non feroci. Con una sola spedizione, cinquecento anni fa, quando ancora si ostinava a muoversi contro il sud, Mortino assoggettò Tes Gheisas. Stava, come sua consuetudine, per sterminarne tutta la popolazione, con l'intento di tenere solo chi potesse essergli utile, ma la volontà di una donna, si dice, salvò il clan: strinse un'alleanza con Mortino, stabilendo che egli avrebbe potuto fare di lei ciò che avesse voluto e, in cambio, lui avrebbe placato la sua indole sanguinaria nei loro confronti. Quella donna si chiamava Geisha e da allora diventò il capo, e si comprese per la prima volta perché le maghe avessero attribuito il nome di Tes Gheisas al clan. Alla sua morte, perché Mortino potesse rispettare i patti, ne fu eletta una nuova, scegliendo la donna più forte e più bella di tutte, a cui venne apposto il titolo di Geisha, dal nome della prima. E così continua ancora: alla morte di una ne viene eletta un'altra, per saziare il desiderio di quel mostro».

«È davvero così... terribile?» era uscito spontaneamente dalla bocca di Morag: certo che immaginava che era una condizione tremenda, ma in quel momento, così sbalordito da quel racconto, non era riuscito neanche a pensare prima di parlare e le parole gli erano uscite di getto.

«È una schiava, nient'altro» rispose secco Milo. «Deve recarsi al clan "alleato" quando lui lo desidera e obbedire a ogni suo volere, sempre servile e sottomessa; se non lo fa, la pena è la morte. Non può avere relazioni con nessun altro al di fuori di Mortino, tanto che non può mostrare nemmeno il proprio corpo; se lo fa, la pena è la morte. Se concepisce dei figli, non ha la facoltà di tenerli con sé, ma li deve consegnare a Mortino; se non lo fa, la pena è la morte. Deve mantenere la sua bellezza, sempre; se non lo fa, indovina un po' qual è la pena?»

«E quando invecchia?» Ancora una volta Morag sapeva già la risposta ma una sorta di autolesionismo voleva sentirsela confermare.
«La uccide e se ne elegge un'altra» chiarificò Milo. «La più fortunata può vivere fino ai trent'anni» disse, aggiungendo poi, più cupo: «O più sfortunata, dipende dai punti di vista».

Che destino tremendo! Cosa poteva arrivare a fare qualcuno per il proprio clan! E che coraggio o forza di volontà doveva avere quella donna che tra poco sarebbero andati a incontrare! Morag, codardo com'era, sapeva che non avrebbe mai scelto una fine così atroce: sarebbe stato meglio morire. E per il resto del clan? Ci avrebbe pensato qualcun altro. Si vergognò di quei pensieri, notando come gli indigeni dell'isola avessero ragione: loro neoteroi non facevano altro che pensare a loro stessi, immersi in un turbine di individualismo dove tutto ciò che contava, dietro a mille maschere e belle parole, non era altro che il proprio io. Non sarebbe riuscito a guardare negli occhi una persona con una volontà così salda, tanto da rinunciare a tutto ciò che di bello si può avere nella vita solo per il bene comune.

«Ma chi mai vorrebbe un destino simile?!» esclamò, allora, per cercare di nascondere quei vili pensieri, che gli avevano attanagliato la mente poco prima e che sentiva avrebbero continuato a farlo ancora a lungo, a Zeno e Milo, che avevano iniziato a osservarlo, non avendo ricevuto più risposta.

Zeno si strinse nelle spalle. «Qualcuna deve farlo, altrimenti Mortino avrebbe la facoltà di invaderli e sterminarli» spiegò. «Le giovani più belle si propongono solo per un senso del dovere nei confronti del clan, ma capita che a volte qualcuna di queste abbia davvero il desiderio di diventare Geisha. Sono pazze... o disperate».

~

Morag rivolse di nuovo lo sguardo verso la bellissima giovane che si trovava davanti a lui, cercando di non incrociare i suoi occhi. Stava scrutando i nuovi arrivati, con un'espressione inintelligibile. Le vispe pupille guizzavano da un uomo all'altro, senza lasciar trapelare alcuna emozione, alcun sentimento: sembravano semplicemente analizzarli.

A un tratto Morag sentì che si puntarono su di lui ma sostenne lo sguardo per pochissimi secondi: temeva che dai suoi soli occhi quella potesse arrivare a leggere i suoi pensieri più reconditi e il suo animo così meschino e impuro. Abbassò appena la testa, per evitare quei due zaffiri, che indugiarono però ancora sulla sua figura, come se ne fosse interessata. Aveva capito tutto? Sapeva che non erano davvero Mortinou e che quella era solo una messinscena per non farle raggiungere i suoi obiettivi?

Preoccupazioni di questo tipo stavano incatenando la mente del giovane, finché la voce della giovane, ferma, dura ma così musicale, non giunse alle sue orecchie.

~

Ma buonasera (o buongiorno, dipende)!
Oggi entriamo nel vivo della faccenda e conosciamo la rancorosa Alycia, il passato a causa del quale prova un tanto significativo sentimento di vendetta e tutte le incombenze che le toccheranno in quanto Geisha. Che ne pensate di questo nuovo personaggio? Dall'altra parte finalmente scopriamo qualcosina su Mortino. O meglio, scopriamo ciò che i Gheneiou sanno su Mortino, che è pochissimo, e iniziamo a conoscere qualcuno dei suoi scempi: massacri (come potevamo immaginarci), violenze varie sui propri schiavi (non pensate che abbia solo la Geisha...) e chi più ne ha più ne metta. Ve lo aspettavate? Probabilmente sì, gli scorsi capitoli, anche se non veniva esplicitato nulla, servivano proprio perché voi poteste iniziare a forgiare nelle vostre testoline l'immagine del peggior individuo possibile. Scopriremo maggiori dettagli sul suo conto nel prossimo capitolo, per una conoscenza più approfondita invece dovrete aspettare... Torniamo invece alla Geisha e vediamo cosa le combineranno i finti Mortinou. Vi anticipo solo di non aspettarvi nulla di meraviglioso 😬😬😬. Non saranno molto simpatici.
Detto questo, ci si vede, carissimi ❤
~🐼🐢

N.d.t.

La geisha nel mondo giapponese, prima che questo si occidentalizzasse, era un'artista e intrattenitrice nelle feste e nelle private sale del protettore. Le sue abilità di solito si circoscrivevano nell'ambito della musica e della danza, ma spesso venivano richieste anche per prestazioni sessuali (in questo caso venivano chiamate più correttamente "oiran", ma non è totalmente sbagliato utilizzare con questa accezione il sostantivo "geisha", soprattutto perché il mondo occidentale, erroneamente, ha acquisito solo il significato prettamente erotico).

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro