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«Quindi?» chiese Raya fremendo, lasciando cadere per sbaglio una dose troppo consistente di lozione sopra alla carne viva dell'Avventuriero che stava medicando. «Che notizie ci sono?»
«Merda, che male!» esclamò l'uomo, stringendo la ferita pulsante a causa del bruciore. «Se vuoi delle informazioni, vedi di stare più attenta con quella!»

«Sì, scusami» mormorò, cercando di calmarsi: sapeva che la lozione, nonostante non danneggiasse mai il corpo di chi la riceveva, poteva provocare molto dolore, se non spalmata con attenzione a partire dai margini del taglio. Ma non riusciva a stare quieta: non lo era mai stata, ma, da quando Nekhen l'Avventuriero era giunto sotto l'oikarion della famiglia di Genew, terrorizzato e con un braccio completamente sporco di sangue, il panico si era impossessato di lei.

Avventurieri e Cacciatori avrebbero dovuto rimanere nascosti tra gli alberi a scagliare le frecce sui nemici, ma i Gheisas dovevano aver innescato un combattimento frontale anche con loro. Nekhen non riusciva a parlare, da lui non poteva ottenere informazioni, ma di queste ne aveva un bisogno urgente.

«Quindi, Pan?» lo esortò ancora, cercando di mostrarsi affabile: era arrivato poco dopo Nekhen, doveva sapere per forza qualcosa.
«Inizialmente andava tutto bene per noi: non si erano accorti della trappola e siamo riusciti a massacrare con le frecce avvelenate più di duecento dei loro» iniziò a raccontare, mentre Raya lo ascoltava con estrema attenzione, perché aggiungesse i dettagli che ancora non sapeva: aveva sentito parlare dell'inizio della battaglia già da almeno altri dieci feriti ma nessuno ancora le aveva spiegato come i nemici fossero giunti persino dalle posizioni degli Avventurieri e dei Cacciatori.

«La Geisha però non è scema: si è accorta dell'insidia che le avevamo teso ed è tornata indietro; poco dopo averla persa di vista, noi Cacciatori e Avventurieri più vicini alla schiera dei nemici ci siamo ritrovati attaccati da ogni parte».

«Ma come avete fatto?! Dovevate solo scagliare le-».
«Ma non preoccuparti» sminuì Pan. «Rigel aveva previsto tutto: ha fatto in modo che fossimo muniti anche noi di armi; ovviamente non poteva darci le spade dei Gheisas, però ci ha lasciato svariate lance, oltre alle fionde e agli archi con le frecce, che già servivano per tendere l'assalto ai nemici. Quelli rimasti là se la possono cavare, se non si trovano davanti dei bestioni il doppio di loro, come è successo a me».

Raya si sentì un po' sollevata da quella notizia: Kairos era un ottimo guerriero, lo dicevano tutti, e con le armi adeguate sarebbe riuscito certamente a sopravvivere. Ma non sapere nulla su di lui faceva in modo che la paura rimanesse ben radicata in lei; magari però Pan... Avendo quasi finito di spalmare la lozione, si sbrigò a porgli un'ultima domanda: «Per caso hai visto Kairos il Cacciatore, mio marito?»

«No, non l'ho visto» rispose quello, noncurante, demolendo la speranza della giovane. «So solo che era abbastanza indietro, rispetto a me; i Gheisas non dovrebbero essere arrivati fin là».

Con tutta probabilità Pan voleva tranquillizzare Raya, ma quella risposta non le fu d'aiuto: tra il tragitto non brevissimo dal campo di battaglia al loro oikarion e la medicazione, era trascorso diverso tempo da quando l'Avventuriero aveva abbandonato lo scontro. E se nel mentre fosse mutato qualcosa? E se i Gheisas avessero raggiunto persino Kairos?

«Ho... finito» disse, con un fil di voce, una volta che ebbe terminato di ricoprire di lozione l'ultima ferita. «Sei in grado di muovere le gambe, quindi vai all'Oikìa e...»
«Sì sì, so cosa devo fare» la interruppe, sbrigativo, l'uomo, già in piedi. «Andare giù insieme agli altri feriti, vedere se avrò dei miglioramenti, e nel caso tornare a combattere».

Detto ciò, biascicò un grazie, insieme a qualcos'altro che la giovane non ebbe la forza di ascoltare, e abbandonò in fretta, per quanto potesse, la piattaforma. Per la prima volta da ore, Raya non sentì la voce sofferente di un ferito. Non aveva più nulla da fare, almeno per quel momento. E adesso non poteva nemmeno distrarsi, curando i guerrieri che erano arrivati senza lasciarle un momento di sosta.

Kairos. La sua mente non pensava ad altro. La sua schiena cedette, e si accasciò in avanti, sconfortata, lo sguardo perso a fissare le mani ricoperte di lozione.

«E, Nekhen, ho finito!» La voce squillante di Rose ruppe il silenzio. Raya si voltò un poco, vedendo la sorella di Kairos, tutta soddisfatta, in piedi davanti al giovanissimo Avventuriero che si massaggiava il braccio ricoperto dalla benda.

«Guarda, sei come nuovo, adesso! Avanti, smettila di lagnarti: la tua ferita non era superficiale... di più!» continuò, con il suo solito modo di fare scherzoso, che non era per niente cambiato neanche con la guerra. «Potresti persino tornare a combattere, ma sono clemente e farò finta di nulla se rimarrai a rilassarti sotto l'Oikìa. Sappi però che ti rinfaccerò a vita questo tuo lato piagnucoloso, te lo giuro su tutti i daimona che mi parlano. Su su,» disse poi, battendo le mani come a incoraggiarlo e tirando il braccio sano per farlo alzare, «muovi le chiappe e portale gentilmente sulla piattaforma dell'Oikìa, ché qui dobbiamo lavorare, non perdere tempo con i gradassi come te, che alla fine si rivelano i più paurosi di tutti».

Riluttante e ancora scosso - probabilmente non aveva neanche capito le parole di Rose -, l'Avventuriero si alzò come un automa, anche se, una volta in piedi, riprese a muoversi in modo abbastanza normale, senza avere più lo sguardo perso nel vuoto, per quanto ancora schivo.
«E stammi bene, carissimo!» esclamò ancora Rose, una volta che il ragazzo si fu calato dalla liana, mettendo le mani attorno alla bocca perché la sua voce lo raggiungesse forte e chiaro. Mosse poi un passo e andò a sedersi accanto a Raya.

«Uh, finalmente posso riposarmi» sospirò, abbandonandosi sulla spalla dell'amica, senza che il suo atteggiamento burlone venisse meno. Raya in realtà vedeva bene che, come al solito, era soltanto il muro dietro cui si nascondeva per non mostrare le sue debolezze. Conosceva bene Rose e la sensibilità di cui si vergognava, sebbene non glielo avesse mai confidato. In realtà, poteva affermare con certezza che in quel momento Rose era preoccupata tanto quanto lei.

«Una volta che la guerra sarà finita, guai a chi mi farà alzare dal mio giaciglio prima che il sole sia alto nel cielo» continuò la ragazzina. «Dopo tutta la fatica che ho fatto a lavare bende, spargere lozione, lavare altre bende, avvolgerle attorno alle ferite e rincuorare i guerrieri manco fossi una madre, esigo un meritato riposo

Raya non disse niente. Forse avrebbe dovuto darle corda, così da staccarsi un po' dal pensiero fisso che martellava nella sua testa. Ma era troppo, non ce la faceva. Rannicchiò invece le ginocchia e vi appoggiò la testa, ignorando Rose.

Seguì qualche momento di silenzio. Forse la ragazzina aveva capito che il suo comportamento risultava inopportuno, per quanto quella non fosse di certo la sua intenzione. Ma la vocetta di Rose non tardò a tornare alla carica.
«Se conosco bene mio fratello, si arrabbierebbe parecchio a vederti così».

Raya alzò la testa e le rivolse subito un'occhiata interrogativa. Gli spiritosi occhi azzurri di Rose la stavano osservando dal profondo.
«Be', chi non lo farebbe, del resto...» proseguì. «Lo stai praticamente dando per morto, neanche fosse un povero vecchietto zoppo e malandato, lui che, se non fosse per la sua testa bacata, sarebbe già un Guerriero, per le sue capacità. Invece, per stare con te, che ama tanto, si accontenta di essere un Cacciatore. E tu dubiti di lui!»
«Ma no, Rose, io non-».

«E adesso non far finta di niente!» la interruppe subito, fingendosi arrabbiata ma tradendo un sorriso scherzoso. «Sai invece che c'è? Ti do un'altra prova per cui non dovresti preoccuparti. Una volta mi ha portato la zanna di una tigre» iniziò a raccontare, estraendo dalla tunica una collana di cuoio con attaccato un dente affilato e un poco ingiallito. Il tipico regalo che avrebbe potuto chiedere lei, che doveva sempre mostrare di desiderare cose non comuni.

«Così prima di partire gli ho detto che mi deve portare il dente di uno dei nemici. Guai a lui se non torna con quello che gli ho chiesto. Così io andrò in giro sventolando il mio trofeo e mostrando a tutti che mio fratello è il guerriero migliore di tutti senza nemmeno essere un Guerriero! Altro che te e gli inutili fiori che ti fai portare! Pensi davvero che tuo marito non sappia fare altro che rivolgerti quelle schifose smancerie? Bah! Donna di poca fede!» concluse, scuotendo la testa annoiata e Raya si lasciò sfuggire una lieve risata.

Gli occhi di Rose si illuminarono subito e la giovane confermò di averci visto giusto: stava solo cercando di farla sorridere di nuovo, a modo suo. Ecco che la sensibilità della ragazzina usciva dal guscio duro dove la teneva repressa. Raya si sentì colma di gratitudine e afferrò subito la mano dell'amica, che, per stare ancora al gioco, ritrasse immediatamente.

«Non ditemi che Rose si lamenta della sfera affettiva anche adesso». Em, che aveva appena ottenuto anche lei una meritata pausa, allontanandosi dalla Sentinella che aveva or ora curato, andò a sedersi accanto alle altre due.
«Sì, ma devo dire che è d'aiuto» sorrise Raya: ora che entrambe le amiche erano insieme a lei si sentiva un po' più sollevata.

«E cosa vi aspettavate da me?» fece Rose, allargando le braccia con un'espressione eloquente. «Guardate che mi basta solo mettermi d'impegno: se lo facessi davvero potrei diventare una Sentinella, una Guerriera, forse persino Genew. Sì sì, sarei così brava che le maghe mi cambierebbero persino il nome!» concluse, alzando il mento orgogliosa.

Raya ridacchiò ancora, mentre vedeva Em scuotere la testa, per poi rivolgere il suo sguardo su di lei, osservandola con attenzione; gli angoli della sua bocca si rivolsero verso l'alto, quando constatò che la giovane non era più abbattuta come prima.
«Brava, Raya, sorridi» disse, carezzandole una guancia. «Penso che il tuo sorriso sia l'unico desiderio di Kairos. Mantienilo, per quando tornerà» concluse, strizzandole un occhio. 

Raya avrebbe voluto rispondere loro qualcosa, almeno un grazie per il conforto che le stavano dando: allora più che mai comprendeva l'importanza di avere qualcuno di caro vicino, anche nei momenti più bui; se non ci fossero state le sue amiche a rincuorarla pazientemente, benché in modi diversi, non avrebbe smesso di essere dilaniata dal terrore di perdere Kairos.

«Avete bisogno di bende?» Raya scattò in piedi e, voltandosi, vide i tre fratelli minori di Kairos, incaricati di portare lozione, bende e acqua a tutte le piattaforme di cura, giunti da loro silenziosi come delle ombre; in realtà, il breve momento del conflitto li aveva resi tali in ogni loro aspetto: Hermit e Sofia si tenevano per mano per farsi coraggio a vicenda e i loro occhi erano scolpiti dalla paura e dalle immagini raccapriccianti che dovevano aver visto. Ma ancor più di loro era Iulius, ansioso com'era, a essere sconvolto: era stato lui a parlare e da ogni suo gesto - le mani che tremavano, gli occhi spalancati e attorniati dalle occhiaie, il respiro irregolare e affannoso - Raya si rendeva conto di quanto fosse a disagio, pur essendo il maggiore.

La brusca interruzione del momento di ristoro, riportò in fretta Raya alla realtà: erano ancora nel bel mezzo del conflitto.

«Ah, grazie» disse Rose, alzandosi anche lei, prendendo dalle mani di Sofia una decina di ritagli di stoffa e ammucchiandoli accanto a quelli che aveva steso. «Ne siamo quasi a corto: le ho lavate tutte e devo aspettare che si asciughino» concluse, tornando vicino a Raya ed Em.

«Avete delle novità?» chiese con la voce bassa e tremolante Sofia.
«Sofia, non c'è tempo» sbuffò Iulius, allargando le braccia e lasciandole cadere sui fianchi. «E poi hai già posto la stessa domanda pochi istanti fa, sotto l'oikarion di prima».

«No, Sofia, nulla di nuovo» rispose Raya, ignorando le parole del fratello: erano entrambi stravolti da quella situazione che mai si sarebbero aspettati e per questo era inutile rimproverare l'uno o l'altra per i loro comportamenti.
«Ne sei proprio sicura, Raya?» insisté la bambina.
La giovane scosse ancora la testa, evitando di parlare di quello che aveva appena appreso da Pan. Non voleva che iniziasse a impensierirsi per il fratello maggiore, come lei.

Intercorse qualche secondo e poi la piccola si slanciò verso il corpo di Raya, abbracciandolo e premendo il volto contro la tunica della cognata.
«È brutta la guerra» la si sentì mormorare. Raya, con le lacrime che stavano per scenderle, vedendo quella povera bambina così disperata, le passò una mano tra i riccioli. Subito Sofia si staccò, per guardarla negli occhi, serissima: «All'Oikìa c'era Memnon senza un braccio. Fa impressione! Non riesco a non pensarci: provava a muovere ancora ciò che è rimasto, però...» Non concluse la frase: era troppo. Si buttò di nuovo tra le braccia di Raya. «Oh, è bruttissimo!»

Raya, cercando di scacciare l'immagine raccapricciante descritta dalla bambina, lanciò un'occhiata alle altre due giovani accanto a lei, che osservavano la piccola Sofia, piene di compassione: probabilmente, si chiedevano perché una bambina della sua età dovesse assistere a episodi simili, provare simili emozioni. Vide Em piegarsi appena verso la piccina, ma Hermit era già al fianco della sorella, prendendola di nuovo per mano e standole vicino.

«Dai, Sofia» le sorrise, sebbene fosse chiaro lo sforzo che stava impiegando per cercare di darle forza. «Andrà tutto bene: il papà è fortissimo e anche Genew e anche Kairos e anche tutti gli altri!»
«Ma anche Memnon era forte, era appena diventato Guerriero. Se hanno ridotto così lui, Kairos...»
«Dubiti così del fratellone?!» esclamò Hermit. «È vero, Iulius, che Kairos è il più forte di tutti e ammazzerà tutti i nemici?»

«Sì, è così» mormorò il fratello, con poca convinzione. Aveva girato il busto e non stava nemmeno più volgendo il proprio sguardo sul gruppetto che si era riunito: gli occhi vacui fissavano le fronde oscure nel punto da cui tutti i feriti arrivavano, dove lo scontro continuava. Spostò subito la conversazione da quell'argomento. «Andate su dalla mamma, ora, e convincentela a venire giù» ordinò, sempre secco. «Deve riposarsi un po', tanto abbiamo visto che di lozione ce n'è abbastanza, su tutte le piattaforme».

I due bambini obbedirono e, con passi fiacchi e lenti, si avviarono sulla scala di corda e, pian piano, entrarono nell'oikarion. La botola sbatté.

«Ma che razza di fratello maggiore sono, se non riesco nemmeno a tranquillizzarli, anzi, sono più impanicato di loro!» Iulius teneva una mano nei capelli, con il palmo che andava a coprirgli la fronte e gli occhi; le sue dita si stringevano sempre di più attorno al cranio, mentre il volto si deformava, cercando di trattenere le lacrime.

In due passi Rose gli fu accanto e, senza dire una parola, lo abbracciò. Rimasero in quella posizione per diverso tempo e Raya guardò Em interrogativa: non era da Rose un atteggiamento simile. Dallo sguardo incerto dell'amica, nemmeno lei doveva aver compreso le intenzioni della ragazzina.

A un tratto allentò un po' la presa, e pose una mano sul torace del fratello, mettendosi in ascolto, per poi far spuntare sulla sua bocca un sorriso sereno.
«Se ti può consolare, non sei l'unico a non essere capace di rincuorare gli altri» sentenziò, picchiettando un dito sul petto del ragazzino. «Guarda che disastro che sono io adesso, con te: ce la sto davvero mettendo tutta, ma il tuo cuore continua a battere a mille. Non sei tu il problema, come non lo sono io, è la guerra a esserlo. Fidati, non vali meno come fratello maggiore se non sai consolare quelle due piccole pesti durante una guerra».

Iulius, con gli occhi lucidi, l'abbracciò di nuovo. «Strano» borbottò, provando a non interrompersi con alcuni singhiozzi. «Strano che tu stia dicendo qualcosa di così intelligente».
«Io l'ho detto che la guerra è un enorme problema» fece Rose, riuscendo ancora a far sorridere gli altri tre.

Iulius sembrava essersi calmato, almeno un poco. Staccatosi dalla sorella, guardò fugacemente verso l'alto e, constatato che i fratelli minori non fossero ancora in arrivo, cambiò argomento. «Ora che Hermit e Sofia non ci sono...» attaccò, il tono non lasciava presagire nulla di lieto.
«Non hai buone notizie, vero?» si accertò subito Em, cupa.
«Affatto» disse, piegando un po' la testa e lasciando passare qualche istante, come a prepararsi per comunicare qualcosa di estremamente grave. «Non ci sono più solo feriti».

«Chi?!» esclamarono all'unisono le tre, scambiandosi continui sguardi esterrefatti: fino ad allora la minaccia della morte non si era ancora concretizzata.
«Lykos la Sentinella, attaccato da dietro da un uomo enorme. Si è battuto valorosamente ma il Gheisas gli ha strappato le armi di mano e...»
«No no, niente particolari» lo bloccò Em. «Altri?»

«Zefiro, il Guerriero della Squadra di Ricerca».
«Zefiro?!» esclamò Raya, incredula.
«Ma è uno dei Guerrieri più forti, dopo i risaputi tre campioni!» obiettò Rose. «Insieme a sua sorella era il pupillo di Rigel, li sta addestrando da cinque anni per renderli inarrestabili. Ma... se è morto lui...»

«Non ho saputo i particolari» si affrettò a specificare il ragazzino. «Magari è stato solo colto alla sprovvista, oppure attaccato in massa».

«Vabbè, consideriamo il lato positivo» azzardò Em. «Da quello che ci hanno detto i feriti della prima linea, Genew, Rigel e Zeno li stanno massacrando e le frecce continuano a fare il loro dovere». Accennò a un sorriso, ma stavolta nessuno riuscì a ricambiarlo, nemmeno Rose. Non c'era più possibilità che certi guerrieri si salvassero più facilmente rispetto ad altri, considerando le capacità o la posizione in cui si trovavano: la sola fortuna avrebbe determinato il corso delle loro vite.

Raya vide Rose congiungere con discrezione le mani, tenendole a livello del grembo, e abbassare un poco il capo. Cercava di mettersi in contatto con i daimona? Forse. Per quanto non potessero nulla all'interno delle questioni dei mortali, doveva sentire il bisogno di aggrapparsi a qualcosa di più solido e meno sfuggente dell'ambigua fortuna. Quei volti eterei che le sorridevano, quando li chiamava, forse le davano un piccolo conforto. Raya non possedeva quel dono, ma conosceva a memoria le parole rituali che le danzatrici usavano per invocarli. Congiunse a sua volta le mani.

"Daímona kýria, daímona basileîs, daímona agathã, daímona màkara, parakalõ humãs hína..."

Un cigolio provenne dall'oikarion di sopra e Raya abbandonò subito la posizione raccolta, immediatamente seguita da Rose, più restia a uscire dal suo momento estatico. Dalla botola scesero piano Hermit e Sofia, senza precipitarsi giù come loro solito, senza il loro entusiasmo, e Anita, il volto una maschera di stanchezza: gli occhi arrossati, che riuscivano appena a stare aperti, erano segnati da due profondi segni violacei, la pelle smunta e macchiata da alcune chiazze rossastre sul viso e sulle mani, l'effetto collaterale che si manifestava sul suo corpo quando utilizzava troppo i poteri.

«Mamma, non stai affatto bene!» esclamò Iulius, preoccupato, correndo verso di lei e offrendole una mano, che la madre rifiutò.
«Be', effettivamente sono stata meglio» mormorò appena, alzando incurante le spalle. Dalle espressioni che albergavano sui volti di chi le stava davanti, doveva sembrare davvero un cadavere camminante - come in realtà si sentiva. Ma non voleva certo che si dessero pensiero per lei: se le loro menti erano intasate, come la sua, di angosce per i guerrieri, non poteva fare in modo che alle loro ansie si aggiungesse anche quella per la sua salute.

«Anita, devi riposarti: hai già fatto tantissimo» provò a dire Raya.
«No, no,» minimizzò Anita, con un gesto della mano, «avrò tempo di riposarmi da morta» sorrise poi, quasi divertita dalla sua battuta, ma non lasciando lo stesso effetto nei ragazzi, che anzi si guardavano sempre più allarmati. Ma cosa doveva fare perché non si preoccupassero per lei?

«Va bene» si arrese: dar loro un contentino era l'unico modo per riprendere al più presto il lavoro, da dove si era fermata. In realtà, era tutto ciò che desiderava: le erbe che decomponeva non erano pericolose, ma inalandole così tanto a lungo - prima d'allora non era mai successo - la sua mente poteva staccarsi un poco dal mondo circostante, fuggire, provare un appagante sollievo. Adesso invece le ansie per il marito e il figlio maggiore avevano ripreso ad assillarla. «Prendo una pausa di giusto pochi minuti, altrimenti continuerete a insistere. Poi lasciatemi tornare di sopra».

Vide Rose aprire la bocca, per ribattere ancora, ma, prima che potesse farlo, la donna si staccò un poco da quel gruppetto, iniziando a camminare sulla piattaforma: le ragazze dovevano averla già ripulita, non v'era una sola traccia di sangue. Avrebbe persino potuto credere che non fosse passato alcun ferito, ma i molteplici vasetti di lozione, vuoti e sparsi per tutta l'area, suggerivano il contrario.

Avevano fatto proprio un ottimo lavoro, quelle tre: ricordava ancora quel frammento di notte, quando le urla confuse, prodotte da otto voci diverse, le avevano lacerato i timpani, mentre instancabilmente produceva la sua lozione. Quello doveva essere stato l'apice, per loro, ma avevano gestito il tutto alla perfezione: a poco a poco, aveva sentito le grida affievolirsi, finché non avevano ripreso a farsi sporadiche, come all'inizio. E adesso nessun ferito occupava più la loro piattaforma.

Si voltò, con un sorriso, dirigendosi di nuovo da Rose, Raya ed Em: meritavano delle lodi e Anita cercava di farsi venire le parole più adatte con cui esprimere al meglio la sua ammirazione per loro.

Ma improvvisamente un rumore lontano la rese di ghiaccio.

Em sgranò gli occhi, terrorizzata. «Avete sentito anche voi?»
«Un urlo» confermò Rose, stranita.
Il grido continuava a propagarsi per la foresta, facendosi più forte a ogni istante che passava. Finalmente iniziarono a distinguere ciò che prima sembrava solo un unico verso indistinto; una sola parola, ripetuta allo sfinimento, con un ritmo intriso di angoscia e disperazione.

Aiuto.

Tutti si precipitarono a sporgersi dalla piattaforma, verso la direzione da cui proveniva, cercando di capire chi fosse a emetterlo. A un tratto, si palesò una figura scura, come totalmente imbrattata di un liquido, che si muoveva a una velocità incredibile sulle liane. Anita stringeva gli occhi, ma non riusciva a distinguerlo: vedeva soltanto che non era solo, ma stava trasportando un'altra persona, anch'essa bagnata della stessa sostanza, ma meno dell'uomo che lo aveva in spalla.

La donna inorridì: erano ancora piuttosto lontani, ma credeva già di aver riconosciuto quella figura. No, non era vero. Si era sbagliata. Era solo la sua mente, sfinita dal lavoro e ancora poco lucida per aver inalato le erbe, che le imponeva di intravedere dei riccioli neri sulla testa dell'uomo che veniva trasportato. Era notte, tutto era confuso, era chiaro che si era sbagliata. Si doveva essere sbagliata.

Ma i due erano ormai a una decina di metri da loro. La vista di Anita non l'aveva ingannata.

«Quello...»
«No, non è vero».
«Non può essere!»
Intorno a lei, tutti parlavano ma Anita non li percepiva più: i suoi sensi erano proiettati verso le due figure che erano ormai giunte da loro. Il suo più grande timore si stava realizzando.
«Sofia, Hermit, salite» riuscì a ordinare ai due fratellini, prima che vedessero troppo.
«Cos'è successo?» chiese incerta Sofia, che era rimasta indietro rispetto agli altri presenti e non era riuscita a vedere nulla di più.
«Vi ho detto di salire!» urlò, spazientita, prendendo per i polsi i due bambini e costringendoli a camminare fino alla scala di corda.

I due opponevano resistenza, volendo sicuramente delle risposte, ma Anita non li accontentava; siccome da soli non sarebbero saliti, prese Hermit da sotto le ascelle e lo attaccò a due gradini della scala. Ma non fece in tempo a metterli in salvo. La figura approdò sulla piattaforma, ansimando e piangendo, e Anita si dimenticò dei piccoli, accorrendo dal nuovo arrivato. Il corpo emanava un intenso odore di sangue, quasi ci avesse sguazzato in mezzo, e dietro alla consistente patina che imbrattava il suo volto riconobbe Germanico.

Ma a lui non fece caso. Abbandonato sulle sue braccia, giaceva il corpo di Genew, il busto completamente coperto di ferite, tra le quali spiccava una che riportava sul fianco destro, lacerato insieme alla pelle della tunica da un netto colpo di spada.

«L'ho... trovato così» provò a mormorare Germanico, tra un gemito e un altro, cospargendo il corpo del capo del clan con le sue lacrime.
«Mettilo giù!» sbraitò Anita con un grido isterico. Doveva intervenire alla svelta: dei figli si sarebbe occupato qualcun altro. «Fa' in fretta! Raya, passami la lozione. Rose, l'acqua. Iulius, le bende. Veloci!»

Appena Germanico lo posò sui tronchi, Anita squarciò la tunica che lo copriva, scoprendogli l'intero torace. Non perse tempo a esaminare le ferite e, prendendo tra le mani un po' della lozione che Raya le aveva celermente portato, iniziò a spargerla dappertutto, anche dove non era necessaria, in quantità spropositate, mossa soltanto dalla follia che quel tormento le procurava.

«Mamma, non puoi fare così!» esclamò Iulius, disperato, bloccandole il polso con una mano, che Anita allontanò subito, avventandosi di nuovo sul corpo del marito.
«Non mi distrarre!»

«Mamma, ascolta Iulius: se gliela metti così a caso, gli farai provare un dolore terribile» intervenne Rose, che intanto spalmava la lozione negli stessi punti su cui era già passata lei. Cosa aveva in mente?
«Cosa stai facendo?!» esclamò, ignorando le sue parole e togliendo le mani della figlia dal corpo del marito.
«Ma come cosa faccio? La faccio aderire meglio, sennò non funziona».
«Macché non funziona! Non vedi che è messo abbastanza male di suo? Non importa come gliela metti, basta farlo velocemente!»

«Mamma!» Dietro, i pianti sconsolati dei piccoli Hermit e Sofia, trattenuti da Raya perché non si avvicinassero troppo al corpo insanguinato del padre. «Mamma!» continuò a gridare Hermit, riuscendo a sfuggire alla presa della cognata e correndo da Anita. Gli mancò il respiro vedendo tutto quel sangue sul corpo del padre, che non era più in grado di muoversi. Le lacrime iniziarono a scorrere più veloci e la gola iniziò a dolergli. «È mort-».

«No! Non è morto!» urlò Anita, voltandosi verso di lui, una follia selvaggia negli occhi. «Vi avevo detto di andare su! Obbedite!»
«Mamma, ma respira?» continuò a urlare, sempre più inorridito, con le lacrime che non si fermavano.
«Sì, respira!» mentì Anita, più a se stessa che al figlioletto.

«Mamma!» Un altro grido provenne da dietro: Sofia, Rose... Chi era? Anita ormai non riusciva più a distinguere nulla.
«Sta' zitta!» continuò a gridare. «Tacete, tutti quan-» si interruppe a un tratto: la mano dentro al vaso della pomata curativa, pur cercando senza sosta, non trovava più nulla. «Dov'è finita la lozione?!»
«Mamma, te l'abbiamo detto che la stai usando senza parsimonia» disse Rose, provando ad asciugarsi gli occhi.
«Allora cosa fai ancora qui? Valla a prendere subito nell'oikarion! Veloce!»
«Ma non serve averne di più. Se non respira...»

«Non è vero!» ruggì Anita, sentendo quelle ultime parole. Non era così, quella stolta di sua figlia si sbagliava, di certo annebbiata dalla disperazione. Guardò di nuovo Genew: il colorito della pelle era quello di sempre e non sembrava avere un'espressione afflitta o dolorante. Era vivo. Certamente era vivo e Rose era solo una sciocca che non riusciva a contenere le emozioni.

Incurante di tutta la lozione che lo copriva, Anita appoggiò la testa sulla parte sinistra del petto di Genew, premendo bene l'orecchio sopra ad essa, tenendo stretto a sé il resto del corpo in un saldo abbraccio, così che non le sarebbe stato sottratto.

«Mamma!» esclamò Iulius, esterrefatto. «Cosa fai?! Non...»
Parlava ma Anita non lo sentiva più. Non sentiva più nulla: non sentiva Rose che piangeva, i bambini che urlavano, Raya ed Em che cercavano di consolarli, lacrimando anche loro silenziosamente, Iulius che la scuoteva per svegliarla da quel suo torpore. Cercava soltanto di ascoltare l'unica speranza che le era rimasta, aggrappandosi saldamente a essa: il battito del cuore di Genew. Aspettava con ansia che un minimo rumore provenisse dal torace; le bastava un solo colpo, anche debole. Avrebbe significato una speranza, ciò che a lei adesso stava venendo meno.

«Genew» iniziò a mormorare piano e  convulsamente tra i singhiozzi, mentre sfiorava il corpo del marito. «Genew, ti prego, ti prego, non andartene. Genew, ti prego, resta con me. Ti amo, Genew, non lasciarmi adesso. Ti prego».

Aspettava, invano.

~

...
A voi i commenti, noi non possiamo dire molto. Potrei parlare dell'improvvisa maturità che ha caratterizzato Rose, giunta tutta d'un colpo con le incombenze della guerra, dei cambiamenti radicali che hanno subito i tre fratelli minori, completamente diversi da come li abbiamo sempre visti, di Raya che, pur non essendo una danzatrice, cerca lo stesso di pregare le divinità per aggrapparsi a una vana speranza, e infine di Anita, accecata dalla follia, snaturata nel suo ruolo di madre, di moglie, di curatrice. Ma non dirò niente. E adesso, con la tristezza nel cuore, vi congediamo e vi aspettiamo al prossimo capitolo.
~ un panda e una tartaruga tristi 🥲

N.d.t.

Anche se non ve ne frega niente perché starete piangendo la morte di Genew, io vi lascio lo stesso qualche informazioncina sull'incipit della preghiera per i daimona recitata da Raya.
Una sua traduzione molto bruta può essere "daimona signori, daimona sovrani, daimona buoni, daimona beati, vi prego..." poi hína introdurrebbe le richieste.

Andiamo ad analizzare un po' meglio:
- kyrios: aggettivo che significa signore, padrone: i daimona sono a tutti gli effetti i padroni dell'isola e, di conseguenza, di chi ci vive
- basileus: è l'unico sostantivo, che significa re, sovrano. La differenza con kyrios è che il basileus ha una specifica funzione di governante e di giudice (tanto che, nell'Atene arcaica, erano definiti basileîs anche i giudici stessi). Aggiungiamo quindi un ulteriore tassello alla figura del daimon: è uno dei padroni dell'isola e deve governarla, assicurare che le sue leggi siano rispettate e punire chi non lo fa. Che lo facciano davvero... è un altro paio di maniche 😅😅😅
- agathós: è uno degli aggettivi più comuni (e, mannaggia a lui, più difficile da usare se si vuole fare una bella traduzione...) e può avere svariati significati; qua il senso è quello di "nobile, di nobile origine", dal momento che i daimona sono figli dell'Isola: in questo modo ricevono l'encomio dei mortali allo stesso tempo sia l'Isola madre che i daimona
- màkar: questo direi sia il più semplice: ha come unico significato beato, tanto che gli dei vengono anche definiti di per loro oi màkares. Direi esponga alla perfezione la condizione dei daimona.

Se avete notato, a parte basileùs che, siccome è un sostantivo maschile, per forza di cose non ho potuto scriverlo al neutro, gli altri, essendo aggettivi e avendo le uscite per tutti e tre i generi, sono invece neutri. Ricordo infatti che non è un errore, ma daimon/daimona è una sorta di neologismo da me inventato per gli dei dell'isola, che non sono esseri né maschili né femminili (per quanto assumano entrambe le forme) e che quindi, anche per allontanarli ulteriormente dalle figure umane, è meglio rendere al neutro.

Per quanto riguarda il verbo, ho preferito παρακαλέω (parakaléo, che contratto diventa parakalõ) a εύχομαι (euchomai): significano la stessa cosa, ma con una sfumatura leggermente diversa. Il secondo è una preghiera generica, mentre il primo non ha come significato base quello di pregare, ma quello di chiamare qualcuno presso di sé, quindi chiamare qualcuno in proprio soccorso: così la preghiera, a mio avviso, è molto più sentita e suggerisce quasi disperazione.

Tralasciando che le note linguistiche sono più lunghe del capitolo, adesso vi saluto davvero! Scusate se sono prolissa ,:D

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