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Digrignando i denti, la Geisha planava sulle liane, seguita da solo trenta dei suoi, i migliori che fossero rimasti. L'ira che fermentava in lei era sempre più potente, crescendo insieme alla volontà di ammazzare i nemici. Ma la mente non era vuota, come avrebbe dovuto essere, pronta solo a ottenere il suo obiettivo. A ripetizione, rivedeva davanti a lei le frecce avvelenate che nel mezzo della notte si erano abbattute sui suoi guerrieri più valorosi, risparmiando solo lei, che avrebbe conservato per sempre nella sua memoria quel campo di morte.

Non doveva andare così. Avrebbe dovuto essere una spedizione semplice e indolore, volta solo ad appagare il suo unico desiderio. Invece aveva mietuto più vittime di quante ne fossero toccate ai nemici, e prodotto almeno lo stesso numero di orfani.

La Geisha non sopportò ancora a lungo quel pensiero: approdò sul primo ramo che vide e, in un impeto di follia, tranciò le diramazioni che partivano da quella più grande.

«Signora!» Uno di quelli che la seguiva si precipitò al suo fianco, bloccandole il braccio che sorreggeva la spada.
«Quei bastardi!» gridò ancora la giovane, menando l'ultimo fendente, per poi frenarsi. Ansimava, pur di trattenere le lacrime, e teneva la testa abbassata: non sarebbe mai più riuscita a incrociare lo sguardo di un Gheisas.

«Non potevi saperlo» mormorò il guerriero, con una voce indulgente: chissà cosa stava pensando in realtà.
«Mi hanno teso un'insidia e io, ingenua, cretina, ci ho creduto». Non erano Mortinou quelli che erano venuti al suo clan pochi giorni prima, per quanto avessero finto bene. Voleva mangiarsi le mani, per quando li aveva lasciati entrare, per quando aveva conversato con loro, lasciando tutte le informazioni, per quando aveva consegnato le loro armi. I Gheisas sarebbero caduti a causa delle loro stesse armi. Che destino ingiusto!

«Oh,» sospirò, furiosa, «spero che gli arceri stiano patendo le pene peggiori, adesso!» Chissà il resto dei suoi guerrieri come se la stava cavando, lassù, sulle cime degli alberi, a stroncare le loro vite. Non dovevano riservare loro alcuna pietà, lo aveva sottolineato. Ma sarebbe accaduto davvero? Oppure quei demoni dei Gheneiou l'avrebbero sorpresa ancora una volta, mostrandosi pronti anche a quell'attacco? Altri morti, altri caduti, altro sangue. Non lo sopportava più.

«Signora, non ci pensare» provò ancora a dire il Gheisas al suo fianco. «Ormai hai raggiunto il tuo obiettivo».
Si stava dirigendo contro Genew, presto lo avrebbe ammazzato: tra i guerrieri che combattevano oltre alle postazioni degli arceri non lo aveva intravisto - non ne conosceva chiaramente l'aspetto, ma era certa si sarebbe distinto, come avevano fatto i tre loro combattenti più forti - quindi doveva essere per forza nelle retrovie, che era chiaro avesse piazzato perché nessuno entrasse nel villaggio. Evidentemente aveva paura di morire, il vecchio. Era lì che doveva dirigersi, ma i pensieri continuavano a tormentarla.

«Non era questo quello che doveva succedere! Ne sono morti duecento! Duecento! E al villaggio quanti bambini saranno rimasti orfani... Come farò a spiegare loro tutto questo, dimmelo, come?» esclamò, trovando finalmente il coraggio di guardare in faccia il compagno: si chiamava Dan, la giovane aveva visto suo figlio, che era corso alla carica al suo fianco, trafitto da una freccia avvelenata senza aver fatto in tempo a prolungare il grido di battaglia per più di trenta secondi. Abbassò di nuovo la testa.

«Sono la peggiore Geisha che sia mai esistita. Vi proteggo da Mortino, ma ho appena mandato a morire buona parte di voi, solo per una questione personale. Sventurati, vi è capitata una pazza egoista come capo. Non posso neanche chiedere il vostro perdono, perché-».

Dan alzò una mano e la giovane si interruppe: sul volto di lui leggeva solo una tristezza infinita.
«Alycia, ormai quel che è fatto è fatto» si limitò a dire. «Cerca almeno di non rendere le loro morti invane».

«Ucciderò Genew,» ringhiò Alycia, stringendo più forte la spada, «anche per tutti quei guerrieri valorosi che sono caduti nella sua trappola». Riafferrò la liana e tornò ad addentrarsi nella foresta. Il desiderio di uccidere Genew, ora, aveva superato ogni limite.

~

«E... ho finito!» esclamò stremata Rigel, estraendo la spada dal corpo morto dell'avversario, l'ultimo che aveva abbattuto. Con un calcio lo fece rotolare giù dal ramo, per non avere impicci tra i piedi, e rialzò la testa. Nessuno. La foresta davanti a lei era deserta, se non si consideravano i cadaveri che non erano caduti di sotto, sopra ai quali campeggiava la luna, alta nel cielo: la notte era ancora lunga, e forse lo era anche la battaglia.

Si sedette su un ramo e si tamponò con un lembo della tunica alcune gocce di sudore: doveva riorganizzare le idee, capire cosa fare adesso che i Gheisas erano scomparsi.

«Ma come? Sei già stanca?» Zeno era dietro di lei e sorrideva, tutto contento, con un'allegria che mascherava proprio bene il dolore che, come lei, doveva provare. Era trascorso un terzo di notte da quando avevano iniziato a scontrarsi e Rigel aveva perso il conto della gente che veniva portata al campo per essere medicata. Di sessanta che erano prima, ne vedeva, intorno a lei, meno di una quarantina.

«Parla quello con il fiatone» fece l'altra. Dopo aver saputo di Zefiro e averne parlato tra loro, avevano immediatamente capito che non si poteva andare avanti così, senza rimanere distrutti nel profondo e perdere tutto il vigore nello scontro. Avrebbero tributato gli onori dovuti ai loro compagni una volta che tutto fosse finito. Per quanto, oramai, quel gesto avesse valore. Finché la battaglia proseguiva, però, non dovevano distrarsi e pensare ai morti: la frivolezza che avevano assunto era essenziale. «E non penso tu sia riuscito a vincere la nostra sfida».

Zeno roteò gli occhi. «Sentiamo, quanti ne hai fatti fuori?»
«Non te lo dico finché non lo dici tu» si mordicchiò le labbra la giovane, con fare canzonatorio.
L'uomo sbuffò ancora, ma cedette subito. «Sedici, ma uno era un osso duro» affermò, gongolandosi un poco di quel numero.

Rigel aspettò qualche istante, prima di rivelare la sua cifra, ma assunse già un'aria vittoriosa. «Diciotto».
All'amico sembrò mancare il respiro per un attimo e il sorriso di Rigel si fece più grande, a vederlo con gli occhi sbarrati e pieni di invidia: «Te lo sarai inventato» disse, voltandosi dall'altra parte.
«Devi solo ammettere che sono più brava di te» continuò a sbeffeggiarlo Rigel, irrisoria, mentre sentiva Zeno borbottare qualcos'altro, tutto risentito.

Ma il tempo per il divertimento non c'era.
«È strano» iniziò a riflettere, accennando al campo davanti a lei.
«Molto strano» ripeté il compagno, tornando subito serio. «Facendo due conti, le frecce ne avranno abbattuti centocinquanta o duecento, e noi combattenti più di settanta. E gli altri dove sono?»
«Li avrà mandati contro gli Avventurieri e i Cacciatori» considerò Rigel. «Fortunatamente, li avevo muniti di armi».
«Dici che se la caveranno?»
«Sì, dovremmo aver eliminato tutti i più valorosi tra loro, quelli disposti nelle prime file. Nelle retroguardie non ci sono mai i migliori. Il problema è un altro: ho come la sensazione che lei non sia andata con loro». Zeno gliel'aveva raccontato: il suo unico obiettivo, quello per cui aveva intrapreso quella guerra senza senso, era soltanto Genew. Non poteva però sapere che fosse nelle retroguardie: ogni suo movimento era del tutto imprevedibile.

«Cosa ci fate seduti, voi due?!» Rigel vide Zeno sobbalzare, all'urlo inacidito di Genew, appena giunta sul loro ramo; la Guerriera non si scosse neanche, assumendo solo un'aria infastidita per la sua presenza. «Non dovreste-».
«Stiamo riflettendo, Genew» la interruppe bruscamente la giovane. «Hai rivisto la Geisha dopo la sua prima apparizione sotto le frecce?» le chiese, poi: la sua sola presenza la irritava, ma in quella circostanza le informazioni tecniche della guerra erano più importanti dei loro futili dissidi.

«No» mormorò appena contrariata Genew. «Si sarebbe notata, con quei capelli e quel mantello. È scomparsa nelle retrovie senza nemmeno prestare soccorso ai suoi compagni. Che codarda!»
«Non pensi davvero ad altro» non riuscì a trattenersi Rigel, voltandosi per guardarla negli occhi, sperando, puerilmente, di trovarvi lo stesso astio che provava lei. Ma l'aria dell'amica non era quella di sempre, anzi, ne aleggiava una che non le aveva mai visto addosso. Non sapeva come interpretarla.

«No, Genew» si affrettò a dire Zeno, indulgente, come a voler rimediare alla sua affermazione brusca. «Ho parlato direttamente con lei e se c'è qualcosa che posso affermarti è che non è una codarda. Avrà un piano».

Genew non aggiunse altro: scrutava ciò che le stava davanti, immobile. Sembrava stesse riflettendo. "Strano" pensò spontaneamente Rigel.
«Noi che siamo rimasti dovremmo ritirarci» disse infine la figlia del capo. «Punta a mio padre, questo è chiaro, quindi disponiamoci in modo che non lo raggiunga».
«Quindi andiamo dall'anax nelle retrovie?» chiese Zeno.
«No. Lei è brava, hai visto come ha evitato quelle centinaia di frecce che le sono capitate addosso? Se la lasciassimo giungere fino a mio padre, troverebbe di certo un modo per arrivare a combattere contro di lui anche con tutti gli altri guerrieri che lo proteggono. Dobbiamo fermarla prima».

Zeno annuì, Rigel rimase immobile, consapevole che ogni sua parola sarebbe stata una provocazione indigeribile da parte della sua così poco aperta e tollerante amica. Si stupiva persino di quello che le aveva appena sentito pronunciare: che discorso assennato e lineare! Allora Genew era capace anche di questo? Chi l'avrebbe mai detto... Ma si morse la lingua.

«Ho contato poco fa,» continuò la Guerriera, rivolta a entrambi i suoi compagni più fidati, «siamo rimasti in trentasette, noi della prima linea: una metà andrà da una parte e la restante dall'altra. Nominate un guerriero da entrambe le parti che funga da staffetta per avvertire l'altro gruppo nel caso il proprio incontri la Geisha. Da quale parte sia andata non possiamo saperlo, così la attenderemo da entrambe. Zeno, tu andrai a controllare tutto ciò che sta a destra con una metà dei guerrieri. Io e te, Rigel, staremo a sinistra. Divideteli alla svelta e partiamo». Genew riprese la propria liana e si diresse subito verso la parte che si era riservata, mentre ancora Rigel e Zeno la sentivano che proseguiva il proprio discorso. «La Geisha si starà muovendo veloce e rischiamo davvero che ottenga il suo obiettivo».

Rigel si avvicinò a Zeno. «Scegline diciotto e di' agli altri di seguirci» comandò sbrigativa, per poi partire anche lei, senza che l'altro avesse il tempo di ribattere. Per quanto fosse ancora adirata nei confronti di Genew, quel comportamento troppo insolito la preoccupava: era apatica, non le leggeva nessuna emozione addosso, a lei che da tutta la vita non desiderava altro che la guerra. Da un lato sperava che fosse effettivamente così, che quell'unica vera battaglia, ben diversa da uno dei soliti scontri sicuri dei Guerrieri della Squadra di Ricerca, l'avesse spaventata tanto da portarla a cambiare idea. Dall'altra parte non sopportava il pensiero di una tale incoerenza: avrebbe dovuto capirlo prima, non era un concetto difficile, anzi, era il più elementare che ci fosse.

"Ma che viaggi mi sto facendo". Scosse la testa, scacciando quella marea di pensieri e raggiungendo l'amica. Le avrebbe chiesto un breve chiarimento e l'avrebbe chiusa lì: dovevano rispettare il piano e circondare al più presto la zona che aveva al suo interno il capo del clan.

Si accertò che Zeno avesse fatto quel che doveva e, intravisto il gruppetto che la seguiva, aumentò la velocità e si inoltrò tra le foglie che Genew aveva poco prima attraversato.

E la rivide, poco più avanti di lei, inginocchiata su un ramo ampio e ritorto, che sembrava essere cresciuto apposta per ospitare un corpo morto, nell'attesa che fosse trasportato fino alle acque delle basse mangrovie per i riti funebri. Il ramo su cui giaceva Zefiro. Da come Genew puntava i suoi occhi contro le membra abbandonate, non doveva ancora saperne niente.

Dentro Rigel si mosse la stessa sensazione provata quando ve lo aveva trasportato sopra: un dolore alle viscere che andò pian piano espandendosi nel resto del corpo, fino a giungere, sempre più aspro, alla gola e al viso. Si voltò dall'altra parte, chiudendo gli occhi, cercando di pensare a qualsiasi altra cosa, pur di non concentrarsi di nuovo sul primo giovane che, insieme alla sorella, aveva preso sotto la sua ala come allievo. Forte, rispettoso, serio, tenace, così lo ricordava, ma soprattutto giovane. Diciotto anni. Lo avevano lodato il doppio, per essere entrato a un'età così precoce nella Squadra di Ricerca; lo avrebbero pianto il doppio, per essere morto con i medesimi anni.

«Genew, dobbiamo andare» disse, sforzandosi perché dalla sua ugola non uscisse un suono strozzato.
«Ma, Rigel...» la sentì mormorare, la voce un sussurro. Cos'aveva da ribattere?! Lei, per tutto quello che aveva sempre professato, se non altro, avrebbe almeno dovuto alzarsi subito e proseguire la marcia. Rigel si infiammò in un istante, approdò sul ramo e prese Genew per un lembo della tunica per farla alzare.
«Non c'è tempo, Genew!» esclamò, al massimo dell'insofferenza: il buonsenso, che tra tutte era la sua qualità più grande, l'aveva abbandonata. «Dobbiamo andare!»

«E lasciarlo così?» ribatté l'altra, indicando il giovane deceduto, gli occhi spalancati, come se stesse assistendo a qualcosa di assurdo. «Rigel, Zefiro fa parte della Squadra, è un nostro compagno, dormiamo nello stesso oikarion tutte le notti... Come puoi... come puoi lasciarlo così? Con quale freddezza, con quale insensibilità? Eri fredda già prima, pur avendo visto senza dubbio tutti quelli che sono stati feriti, ma adesso... davanti a un tuo amico...»

«È davvero il colmo, Genew!» sbottò Rigel, pronta a riversarle addosso la fiumana di parole che ribolliva in lei da quando le aveva visto compiere, nella sacra Oikìa, tutte le idiozie che riuscisse a immaginare. «Tu che parli a me di insensibilità. Tu. Tu che hai sempre voluto fare la guerra, tu che eri pronta a schierare tutti noi davanti a Tou Gheneiou, anzi, volevi che accadesse questo, così che tutti ottenessero l'onore, cadendo in battaglia. E adesso? Cosa c'è?» sibilò, stringendole più forte la tunica.

«Rigel,» mormorò l'altra, la testa piegata verso il basso, «io non sapevo fosse così...»
«Cosa pensavi allora? Che sarebbe morto sereno, perché ovviamente una lancia che trafigge il costato non provoca alcun dolore? Che avrebbe ottenuto nell'immediato la gloria e l'onore, che sono tutto ciò che ti importa? Che si sarebbe bloccato il combattimento per ricordarlo e piangerlo insieme, per trasportarlo su un'asse fin giù, all'acqua, e lasciarlo riposare nel silenzio e nella tranquillità delle profondità della laguna?» continuò a sputarle contro, mentre l'amica si accasciava sempre di più, davanti a lei, avendo almeno la decenza di non mettersi a piangere. «E invece è stato lasciato a marcire su un ramo, perché non abbiamo tempo, dimenticato da tutti, con ancora le membra scomposte».

Genew non diceva nulla. Rigel la scrutava con sufficienza: si era sfogata, ora non aveva bisogno di inveire ulteriormente. Potevano proseguire. Sollecitò la compagna, tirando sempre lo stesso lembo, ma quella ancora non si muoveva.
«Non è giusto» la sentì sussurrare, con gli occhi sgranati puntati ancora su Zefiro.
«È la guerra, Genew, la guerra non è giusta» sospirò a sua volta Rigel, mentre un'unica lacrima le solcava il viso. Non fece nulla per nasconderla. «Te ne serviva una vera, per capirlo?»
«Rigel, io... sono stata-» provò a dire Genew, ma subito interrotta.

«Non dire altro: hai già parlato abbastanza in vita tua, e sempre a sproposito. Tuo padre ha ragione. E ha ragione anche sul fatto che non possiamo cambiarti» considerò, prima di cambiare argomento. «Adesso però siamo in guerra: non è finita, non sappiamo nemmeno quanto durerà. Pensa a riprendere a muoverti e preparati a combattere di nuovo. Potremmo trovarceli davanti da un momento all'altro» concluse, prendendo una liana e saltando su un ramo appena più avanti. Anche Genew finalmente si mosse, sempre con lentezza e immensa afflizione.

Forse era stata troppo dura con lei: le sue parole erano state pesanti, taglienti. Forse aveva esagerato. No, invece era stato giusto così: trattarla con indulgenza, si era visto, non serviva a nulla. Aveva già iniziato a riflettere da sola, venendo a contatto con l'atrocità della guerra, le sue parole, così cariche di biasimo che di sicuro avevano instillato in lei un senso di colpa, anche minimo, l'avrebbero portata a ragionare anche sui suoi errori. Almeno, se lo augurava. Non la giudicava talmente stupida da non esserne capace: era soltanto ottusa, difficile da smuovere dalla propria, radicata, idea.

Ma non c'era tempo. Dovevano combattere e anche Genew, la futura anaxa e comandante di tutti i guerrieri, lo sapeva. Proprio allora sbucarono dalle fronde alcuni dei loro, quelli che Zeno doveva averle lasciato. Non avevano più scuse per rimanere ferme. Preso lo slancio, Rigel riprese a planare, veloce e leggera, tra i rami della foresta.

Genew la seguì subito, affiancandosi a lei, ma rimanendo sempre un poco indietro: non riusciva a raggiungerla, le pareva troppo veloce. Oppure era lei troppo pesante, per essere in grado di sostenere l'andatura che avrebbe voluto? Era il peso del rimorso a gravare su di lei: ormai non riusciva a pensare ad altro che ai discorsi che da sempre, spronata dagli Anziani, aveva tenuto, convintissima delle sue parole. Onore, onore, onore, onore. Ma non c'è nulla di onorevole nel morire! Persino sapendo che si sta morendo per salvare il proprio popolo, la morte violenta causata dalla guerra è penosa e rivoltante. E lei l'aveva sempre glorificata, parlandone come se fosse il destino, quello a cui tutti dovrebbero andare incontro per essere definiti uomini e donne di spessore, quello a cui tutti dovrebbero ambire.

Rigel aveva ragione a biasimarla, si biasimava da sola: che razza di capo era? Che razza di capo era, avendo desiderato ardentemente che tutto il suo popolo morisse per onore? Voleva che qualcuno glielo dicesse, voleva che Rigel le sputasse contro altre frasi piene di disprezzo, ma non aveva più il coraggio per aprire ancora bocca e chiederglielo.

Genew continuava a tormentarsi con quegli assilli, l'unica autopunizione che potesse mettere in atto, anche se sapeva di meritare molto peggio. Voleva espiare la propria colpa, che tra l'altro non si limitava solo alla sua idea sulla guerra, ma si estendeva al comportamento riprovevole che aveva tenuto per portarla avanti indisturbata e alla sua incapacità di accorgersi dell'errore in cui era rimasta per tutta la vita, ma non sapeva come fare. Avrebbe fatto qualsiasi cosa - qualsiasi! - se solo qualcuno glielo avesse ordinato.

«Genew! Genew!» Un grido affannoso arrestò la marcia della figlia del capo, che insieme a Rigel si voltò immediatamente scorgendo in lontananza che dal gruppetto che avevano distanziato stava giungendo un suo Guerriero, buttandosi di liana in liana per pervenire da loro al più presto.
«Artax?» esclamò Genew, sorpresa di vederlo in quello stato: poteva significare solo una cosa. «Cosa c'è?»
«L'ho vista» ansimò, non appena si fu accostato a lei. «Sta arrivando. Insieme a lei, altri trenta. Le mancano circa cento liane prima di raggiungere quelli più indietro del nostro gruppo, da cui sono arrivato».

"Ecco che si mostra" pensava Genew. Aveva fantasticato più volte sul momento del loro incontro: epico, lo aveva immaginato, come quelli che aveva sentito più volte relativi ai grandi guerrieri del passato. Lei che avanzava lentamente e la nemica che si avvicinava nello stesso modo; entrambe che si guardavano negli occhi, con due sguardi pieni di fuoco, e che iniziavano a combattere, come mai avevano fatto prima d'allora.

Eppure non provava assolutamente niente: lo scontro che aveva da sempre desiderato, nelle sue fantasie di bambina, quando sognava di essere una guerriera invincibile, non le sembrava più quella gran cosa. In testa risuonava solo il rimprovero di Rigel.

«Falli venire da me, tutti» disse, senza particolare enfasi nella sua voce. «Il vero scontro inizia ora» continuò, poco convinta, giusto per dire ciò che si sarebbero tutti aspettati da lei.

Artax corse di nuovo dagli altri, ad avvertirli degli ordini del capo, poi lo vide scomparire tra la vegetazione, mentre si dirigeva verso il gruppo di Zeno.
Un po' alla volta, arrivarono i restanti guerrieri.
«Fermatevi qui e disponetevi su due linee sfasate, tenendo una distanza di tre braccia tra i compagni della stessa linea». I guerrieri eseguirono all'istante e con precisione l'ordine spento della comandante, che si limitò ad annuire, vedendo il passaggio della foresta ostruito. «Bene così. La Geisha ha dieci uomini in più di noi, ma presto arriveranno Zeno e gli altri e saremo in netta superiorità».

Si mise in testa ai guerrieri, il capo di nuovo alto e fiero, più per infondere lo stesso stato d'animo ai compagni dietro di lei, che per quello che provava davvero.

E infine un piccolo manipolo iniziò a distinguersi in lontananza, ma gli occhi di Genew erano rivolti verso due soli colori brillanti anche nella notte, mentre sentiva una rabbia profonda provenire dal suo interno, che riusciva persino a superare l'apatia precedente.
Rosso e bianco. Non distingueva più altro se non i colori della nemica, che, man mano quella procedeva nella sua direzione, iniziavano a tramutarsi in folti capelli scarlatti e in un lungo mantello bianco.

Dietro di lei i rumori di eccitazione precedenti allo scontro: tutti si preparavano, sfoderando le armi e brandendole con forza e sicurezza davanti a sé. Gettò uno sguardo su Rigel, che estrasse la sua spada e la strinse con forza.

Genew la imitò alla svelta, ponendo davanti a sé l'arma di Mortino. Era più grande e pesante di quelle che avevano gli altri, ma tagliava anche il doppio: ci si feriva anche solo sfiorando la lama acuminata. Si soffermò solo un istante sulla sua parte preferita, l'elsa, anch'essa in bronzo e finemente decorata: prima di allora non aveva mai visto dei fregi e ne era rimasta meravigliata. I piccoli vortici, simbolo di Zarkros, contornavano la scena principale, una figura maschile che rivolgeva le mani al cielo in segno di preghiera. Doveva rappresentare Mortino, ma Genew preferiva pensare che fosse una raffigurazione di suo padre.

Sfiorò con due dita il soggetto, sentendosi più vicina al capo del clan. Toccò allo stesso modo poi, uno per uno, i simboli del daimon, rivolgendogli mentalmente alcune preghiere: "Potente Zarkros, ti prego, aiutami, fammi vincere". Non aveva avuto la benedizione di Rigel o di sua sorella Rose, e non poteva invocare gli dei dell'isola a suo piacere, ma sentirlo vicino a lei, in qualche modo, le infondeva forza.

La Geisha era ormai a una distanza trascurabile: Genew prese un piccolo slancio sulla liana e si avventò contro la nemica, immaginandosi già sopra di lei a dilaniare il suo corpo.

Ma non andò come previsto: si sarebbe almeno aspettata che la giovane dal mantello parasse il suo fendente e iniziassero a combattere.
E invece questa, neanche in un istante, si era come volatilizzata. Era impossibile! Non aveva alcun potere e non poteva scomparire! Eppure non era più davanti a lei.

~

La battaglia scoppiò, ben più violenta e impetuosa dello scontro precedente. Su Rigel si catapultarono all'unisono tre giovani guerrieri, uno più abile dell'altro. Dovevano averla individuata da prima e l'avevano subito accerchiata, senza perdere tempo. Due menarono la spada contro di lei in un fendente, per tenerla ferma, e il terzo cercò di penetrarla nel costato, ma Rigel spostò le armi di tutti e tre con un'unica mossa vigorosa. Gettò lo sguardo oltre, ma non vedeva più Genew. Uno di quelli le fu di nuovo addosso e fu costretta a proseguire lo scontro.

Maledizione! Il suo proposito di coprire le spalle all'amica era ormai andato in frantumi: quelli, con i loro attacchi combinati e precisi, la stavano facendo penare ben più dei Gheisas della prima ondata. Ma non poteva lasciare Genew da sola! L'ultima cosa che aveva visto, prima che i suoi avversari le bloccassero la visuale, era la compagna che si avventava contro la Geisha. E se non fosse riuscita a sostenere un combattimento contro quella? Doveva tornare al suo fianco, ma come fare per liberarsi di tutti quei guerrieri?

La promessa fatta al capo del clan bruciava nelle sue viscere.

«Rigel, ascoltami» le aveva detto Genew, mentre lei stava riprendendo conoscenza dopo l'invasamento dei riti propiziatori ai daimona, poco prima che lasciassero Tou Gheneiou, «bada a mia figlia, qualunque cosa succeda. È sempre così avventata e impulsiva e in guerra non so cosa potrà combinare. Tu invece riesci sempre a mantenere la testa sulle spalle, anche nelle condizioni più gravi. Stalle vicino, te ne prego, e fa' in modo che non compia qualche sciocchezza. So che sei più che mai arrabbiata con lei, ma non voglio che le accada qualcosa».

«Anax, nemmeno io potrei sopportare di perderla» aveva affermato lei, tenendo la testa bassa al pensiero della morte dell'amica: nonostante talvolta non la sopportasse, nonostante la irritasse per i suoi comportamenti infantili, nonostante i suoi mille difetti, era pur sempre la persona più importante nella sua vita.

Aveva sempre cercato di starle vicino, anche nel pieno degli scontri, e non l'aveva mai persa di vista una sola volta. Adesso che però era così occupata, come avrebbe fatto a proteggerla?

"Sta' buona, Genew, e non fare idiozie" pensò, bloccando la spada di uno dei tre avversari e tirando un calcio nel fianco di un altro, togliendoselo di dosso. "Aspettami che arrivo".

~

Genew si voltò: la Geisha, velocissima, l'aveva oltrepassata con un movimento che la giovane non aveva nemmeno percepito e ora si trovava dietro di lei, procedendo con la solita rapidità, mentre gli altri guerrieri occupavano i suoi. Uno di questi arrivò di fronte a Genew, cercando di colpirla.

Ardeva d'ira: quella codarda della Geisha aveva rifiutato di combattere con lei, aggirandola. Donna senza onore! Quanto voleva ammazzarla!

Senza neanche riflettere, piantò la sua spada nel corpo dell'avversario, che non aveva nemmeno fatto in tempo a battere un primo colpo. Si girò, poi, prendendo un grande slancio sulla liana e, con un unico balzo, raggiunse la Geisha, già lontana. Mirò con la spada alla schiena della nemica, intenta a penetrare il suo corpo con la punta, ma questa si voltò improvvisamente, parando il colpo.

Continuò a fuggire e Genew a inseguirla, andando sempre più veloce, prendendo sempre più slancio, finché non la superò e riuscì a bloccarle la strada: poco lontano ci sarebbe stato suo padre. Quella bastarda non lo avrebbe mai raggiunto! Sarebbe passata sul suo cadavere.

«Spostati, ragazzina» fece la Geisha, supponente.
"Ragazzina?!" Genew piombò con foga sulla nemica, che però fu ancora una volta troppo veloce e saltò all'indietro, sfuggendo all'attacco della giovane.
«Tu non mi interessi,» continuò, con un'espressione beffarda, che non faceva che rendere la giovane ancor più rabbiosa, «tutto quello che voglio è ammazzare Genew».

Sentendo quelle ultime due parole, la figlia del capo spalancò gli occhi, ormai dissennata. Sapeva già prima che l'intento della Geisha era quello di togliere la vita a suo padre, ma udirlo dalle sue labbra la mandò completamente fuori di testa. Un'ira disumana si impadronì della sua mente e iniziò a governarla come unica dominatrice. Ogni suo pensiero era rivolto a un solo obiettivo: uccidere quella donna.

«Tu, bastarda, non lo toccherai neanche, mio padre!» gridò, balzando su di lei e ritentando il colpo che prima non era riuscita a mandare a segno.

Questa volta la Geisha non fuggì nuovamente, ma bloccò la stoccata di Genew, deviandone la spada e facendola sbilanciare sulla sua liana.

«La figlia di Genew...» sussurrò quella, un ghigno bestiale, assetato di sangue si scolpì velocemente sulla sua bocca.

Genew non si era ancora ristabilizzata, ma la Geisha si era già avventata su di lei con un fendente che mirava direttamente al collo. Parò in tempo l'arma e iniziò a vibrare la sua in direzione della nemica, senza esclusione di colpi.

Con il solo utilizzo della spada però non era in grado di vincerla. Ogni colpo che cercava di infliggere veniva sempre respinto e invece era sempre più in difficoltà ogni volta che la Geisha la attaccava. Le sue mosse erano potenti, ben più di quelle della minuta nemica, ma non abbastanza veloci e precise. Rigel gliel'aveva sempre detto che mancava, in fatto di tecnica...

Il combattimento proseguiva comunque alla pari, bilanciandosi sulle carenze dell'una e dell'altra: nessuna delle due riusciva a prevalere. Intesa la tecnica della Geisha, la sua principale debolezza, essendo abbastanza prevedibile, Genew non faticava più come all'inizio a metterla in difficoltà; viceversa, la giovane dai capelli fulvi doveva aver capito il suo punto debole, di cui lei stessa era ben consapevole: la sua spada le prosciugava troppo velocemente le energie. Realizzata su misura per Mortino, un gigante con una forza sovrumana, non certo per una giovane donna, per quanto forte e volenterosa, ci sarebbe voluto un miracolo perché Genew proseguisse con lo stesso vigore ancora a lungo.

~

Rigel affondò finalmente la spada, dopo innumerevoli tentativi e qualche ferita, nel ventre di uno dei tre. Si tolse il sangue dalla fronte che aveva sbattuto contro un tronco e, con un movimento veloce, si arrampicò su un ramo dalla liana a cui era aggrappata, fuggendo quasi dai due avversari.

Non aveva tempo di combattere con loro: aveva visto che Genew stava inseguendo la Geisha ma non sarebbe mai stata in grado di raggiungerla. Il capo di quel clan aveva una velocità incredibile, tanto che Rigel non aveva mai osservato qualcuno così rapido.
E se anche la sua compagna fosse riuscita a fermarla, Rigel non era sicura che ne sarebbe uscita vincitrice. Doveva raggiungerla al più presto e proteggerla.

Si slanciò con la liana e si gettò verso la loro direzione. Già solo dopo due salti, fu in grado di sentire i rumori dei bronzi che si incrociavano tra loro. Quindi Genew era riuscita a seguirla, pensò, con ammirazione, ma lasciando che lo stupore se ne andasse dopo pochi attimi: la sua compagna era sempre stata forte fisicamente, ma mancava di tattica; lasciava che la rabbia si impadronisse di lei e perdeva tutta la sua lucidità mentale. Per questo non era mai riuscita a batterla e avrebbe avuto difficoltà anche con la Geisha. In due però sarebbero state sicuramente in grado di sconfiggerla, una buona volta.

Finalmente vide la testa rossa della Geisha e, subito davanti a lei, Genew. Stavano continuando a combattere, entrambe piene di foga e né l'una né l'altra era in grado di ferire l'avversaria. Sembrava quasi che la loro lotta fosse più una sfida tra contendenti che uno scontro tra nemiche. Dalla sua posizione, percepiva quasi una forte soddisfazione sui volti di entrambe, quasi si stessero divertendo. Scacciò quel pensiero dalla testa: era solo una sua impressione.

Si avviò verso di loro ma un fendente le sbarrò la strada: i due di prima, che avevano continuato a inseguirla, l'avevano raggiunta. Rigel sbuffò e respinse il primo, ma il secondo aveva già menato un altro colpo, che andò a conficcarsi nella coscia della guerriera.

Urlò, sofferente, ma senza perdere la lucidità: strinse più forte la liana per non cadere e con l'altro braccio fu abbastanza veloce da parare un ulteriore colpo, rivolto alla sua testa. Spostò velocemente la spada sul primo e, con un unico, vigoroso fendente, recise la mano che teneva ancora la spada. Il Gheisas mutilato non fu in grado di mantenersi in equilibrio sulla liana: cadde, andandosi a schiantare contro un ramo sottostante.

Rigel non se ne curò, attorcigliando invece la gamba ancora buona attorno alla liana che la sorreggeva, per poter avere entrambe le mani libere, quindi staccò la spada nemica dalla sua coscia e riprese ad attaccare l'ultimo guerriero con entrambe le armi.

A tratti però la vista le veniva meno, per pochi istanti vedeva tutto oscurato prima di riappropriarsi di nuovo delle facoltà visive. L'avversario ne approfittava e la colpiva nei punti scoperti, cercando di indebolirla. Rigel riusciva a evitare tutti i colpi, non permettendogli di scagliare quello letale e uscendone ogni volta solo con qualche graffio, ma comunque stava perdendo troppo sangue: tre segnetti sull'avambraccio destro, altri quattro su quello opposto, uno o due dietro la nuca. Iniziavano a diventare troppi.

Ma non poteva smettere di combattere: doveva andare in soccorso a Genew, così che, insieme, avrebbero mandato la Geisha all'aldilà. Non poteva permettere che le accadesse qualcosa. Doveva andare da lei. Sarebbe andata da lei. Sarebbe...
Ma l'arma dell'avversario continuava a colpirla.

~

Genew non riusciva a smettere di pensare al guadagno che stava ottenendo a battersi contro un'avversaria così valorosa: se all'inizio l'aveva giudicata una codarda perché era scappata di fronte a lei, ora era certa di starsi scontrando contro la donna più forte che avesse mai conosciuto, sia fisicamente che interiormente.

Sarebbe stato magnifico allenarsi con lei, magari anche insieme a Rigel e a Zeno, farsi rivelare alcuni suoi trucchi, capire come facesse a non stancarsi mai. L'ammirava e, benché fosse una nemica e volesse uccidere suo padre, non riusciva a non provare rispetto verso quella figura così strenuamente caparbia.

Se solo non fossero state nemiche... Ma il destino le aveva volute opposte, l'una all'altra, e così sarebbero rimaste, finché una delle due non fosse caduta.

Continuavano a combattere e intanto si spostavano: Genew cercava di portarla incontro ai suoi compagni, dove avrebbero potuto attaccarla insieme, allontanandola invece da dove si trovava suo padre, mentre la Geisha spingeva nell'opposta direzione. Era sempre più dura, a ogni secondo che passava, ma il taglio che le aveva inflitto sul braccio sinistro e che vedeva bene, quando le si avvicinava per assestarle un altro colpo, le infondeva un po' di coraggio: poteva riuscire a sconfiggerla. Quella invece le aveva solo squarciato la tunica, dal davanti, senza neanche lasciarle un segno. Sì, ci sarebbe riuscita!

A un tratto però gli occhi di Genew furono attratti da qualcosa che si stava avvicinando: erano due figure, un uomo e una donna, quest'ultima ormai priva di forze. Cercava di evitare i colpi dell'avversario ma era debole ed era ben visibile la grande quantità di sangue che stava perdendo dalle braccia e dalle gambe. I capelli chiari erano attaccati alla fronte tra sangue e sudore, il fisico asciutto e leggiadro piegato in avanti, privo ormai di qualsiasi energia, persino quella vitale. A Genew mancò il respiro e la concentrazione venne meno. Il corpo si rifiutava di compiere qualsiasi azione che non fosse straziarsi a guardare la vita di Rigel che se ne andava.

Alla base della sua testa si abbatté un oggetto metallico, che Genew neanche distinse, come non sentiva più la Geisha dietro di lei, che non aveva interrotto il combattimento. La giovane cadde, sentendo l'elsa della spada avversaria che si infrangeva contro la sua testa. Non era più in grado di controllarsi: stava precipitando, verso il basso, il corpo un macigno. Ma non poteva abbandonare proprio adesso! Non poteva abbandonare Rigel!

Si aggrappò prontamente a una liana, sentendo un forte dolore provenire dalle mani, per l'attrito con la pianta. Si fermò, ma non perse tempo a guardarsi intorno: la Geisha era in alto e si era girata, pensando ormai di aver vinto, già dimenticatasi di lei e voltasi contro il suo vero obiettivo.

Ancora ansimante e dolorante, Genew prese l'elsa della sua spada tra i denti e iniziò ad arrampicarsi come se stesse correndo, raggiungendo in un attimo l'altezza della Geisha.
«Dove scappi? Non ho finito!» urlò, riprendendo l'arma in mano e facendo girare l'avversaria, sul suo volto un improvviso e profondo stupore.

Genew prese il solito slancio per raggiungerla in una sola mossa, ma prima di staccarsi un pensiero la assalì. Dietro di lei Rigel era in difficoltà e, come la compagna, tanti altri guerrieri potevano essere nella sua condizione. L'immagine del giovanissimo Zefiro si ripresentò alle porte della sua mente.

"Io sono il capo, io devo proteggerli. Non posso permettere che altri se ne vadano". Ma cosa poteva fare? Non lo sapeva più. Cosa avrebbero fatto gli altri, al suo posto? Gli Anziani le avrebbero ordinato di rimanere lì dov'era e combattere fino a uccidere la Geisha: "È la guerra, è normale che i guerrieri muoiano per una causa più grande". Fino a poco prima l'avrebbe pensato anche lei, ma ora che aveva capito cosa significasse davvero morire in battaglia non ne era più in grado.

Doveva allora tornare indietro, a soccorrere Rigel e chiunque altro stesse soccombendo al nemico, come invece, probabilmente, avrebbe fatto suo padre? Ma non poteva lasciare la Geisha, che, se così avesse fatto, si sarebbe diretta una buona volta contro il genitore.

Quella volta gli altri non potevano suggerirle che strada prendere. Come poteva scegliere allora? Lei aveva sempre solo seguito gli Anziani e la via con cui potesse ottenere più onore possibile.

Ma a cosa contava adesso, l'onore? Rigel, la sua amica più cara, stava morendo: l'aveva vista sempre battersi con forza e vigore, l'aveva sempre ritenuta superiore a lei; probabilmente, grazie a tutte le vittime che aveva mietuto quell'unico giorno, avrebbe ottenuto la fama per anni a venire, persino per generazioni. Ma non sarebbe più stata al suo fianco, girando gli occhi in quel modo che solo lei possedeva e biasimandola, o al contrario sorridendole come solo lei sapeva fare. Non si sarebbero più allenate insieme, cercando di diventare sempre più forti, e non avrebbero più condiviso alcun momento della giornata e alcuno della vita. Lei sarebbe stata per sempre nel suo ricordo, ma non avrebbe più potuto averla accanto. E le ultime immagini che avrebbe conservato sarebbero state la sua morte e il loro ennesimo litigio.

Eppure lei non sapeva che ragionare se non attraverso l'onore. E proprio l'onore le mostrò che davanti a lei poteva esserci un terzo sentiero, quello che lei sapeva essere giunto, senza che nessun altro glielo indicasse.

«Geisha» disse a gran voce, attirando l'attenzione dell'avversaria, alzando il braccio senza spada come a chiedere un istante di pausa. «Da quello che mi hanno detto i compagni che hanno parlato con te, so che sei una donna saggia, a parte per questa tua follia di voler sterminare noi Gheneiou, che ancora non comprendo. Abbiamo combattuto insieme: sei una guerriera onesta e io ti rispetto. So per certo che non accetterai mai una tregua per il troppo odio che provi per noi e per non perdere l'onore. Tuttavia, siccome sei il capo del tuo clan, so che sopporti a fatica la vista del sangue dei tuoi guerrieri caduti. Ascolta, dunque, ciò che ti sto per proporre».

~

Ma stiamo davvero parlando di Genew? Della Genew impulsiva, rancorosa, che guarda il mondo con due paraocchi grandi come un oikarion???? Ebbene sì, è proprio a lei che improvvisamente le si sono aperti gli occhi. Che ne pensate di questo cambiamento? Troppo veloce, per come era prima? Spero non sembri tale, ma in tal caso... ho qui le mie precisazioni (tranquilli, non vi terrò molto). Le precisazioni sono infatti molto corte: Genew semplicemente non aveva mai pensato con la propria testa. Aveva preso per buoni tutti i precetti imposti dagli Anziani e non ci aveva riflettuto molto; del resto non aveva mai sperimentato in prima persona la guerra. Le basta però toccarla con mano per iniziare a pensare per davvero, per la prima volta, e le dure parole di Rigel non fanno che accelerare questo processo: il senso di colpa, adesso che è debole, senza lo schermo degli Anziani, attecchisce facilmente in lei. Questo cambiamento potrebbe poi allargarsi a tutto il suo carattere? Ora che ha compreso uno dei suoi errori, avrà l'umiltà di piegare la testa anche davanti agli altri? Chissà, intanto però deve concludersi la guerra... Cos'avrà in mente, adesso? Che strada è quella che, per la prima volta, ha individuato con le sue sole forze? Riuscirà a stupirci ancora, come ha fatto in questo capitolo? Prima di congedarvi ho solo un'ultima curiosità: con i presupposti di questo capitolo tu, lettore, darai una seconda possibilità alla futura anaxa di Tou Gheneiou? Attendendo con pazienza le vostre risposte adesso vi lascio davvero.

Un salutazzo a tutti da un panda e una tartaruga gasatissimeeeeeeee per questo capitolo (speriamo di aver reso decentemente il combattimento 😅😅😅) ⚔🐼⚔⚔🐢⚔

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