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«Genew».

Una voce tetra e grattante, in un sussurro, pronunciava il suo nome.

«Genew».

C'era buio. Non vedeva niente. Non sentiva nulla sotto i suoi piedi. Era come se fosse sospeso per aria. In realtà, non era nemmeno così. Non percepiva il suo corpo, dalle braccia alla punta delle mani, dalle gambe alle estremità dei piedi. Non sentiva più il suo corpo e nemmeno lo vedeva. Tutto era solo buio. Dove si trovava? E come era finito lì? Ma, soprattutto, poteva ancora affermare di essere, di esistere?

«Genew».

Come aveva fatto a ridursi in quello stato? Cos'era accaduto prima? Pur sforzandosi, non riusciva a rammentare nulla dei giorni precedenti. Provò a ripercorrere a ritroso il flusso degli eventi della sua vita, ma niente riusciva a tornargli alla memoria. Solo qualche viso sfocato, qualche suono ovattato, nulla che potesse ricondurlo a qualcosa di concreto.

Cercava di parlare, pensava alle parole che dovevano uscire dalla sua bocca, ma non si sentiva niente. Tutto ciò che udiva ancora - ma come faceva a udire se non era più un corpo? - era sempre quella medesima parola.

«Genew».

«Cosa c'è?!» urlò e tutta l'angoscia provocata da quel momento fuoriuscì da lui. Immediatamente si riappropriò di ogni senso, di ogni corporeità. Iniziò a precipitare e approdò carponi su un terreno secco. Si guardò subito le mani, sospirando di sollievo vedendole al loro posto; era ancora buio e le scorgeva appena, ma almeno poteva osservare la loro forma e il loro movimento.

Sollevò lo sguardo: continuava a non vedere nulla, a parte qualche debole bagliore provenire da chissà dove.

"Che sogno bizzarro" si ritrovò a pensare, massaggiandosi le tempie e scuotendo la testa: quella situazione non poteva essere altro che un sogno. "E chi mi stava chiamando prima? Mi sembrava una voce... familiare. Cosa significherà tutto questo?"

A un tratto due luci potenti apparvero da due estremi opposti. Genew si coprì gli occhi con entrambe le mani per evitare di restare accecato, rimanendo nella stessa posizione anche quando l'intensità iniziò a diminuire.

«Eccoti, Genew, sei giunto».
«Ti stavamo aspettando».

Le stesse voci che aveva sentito in precedenza, ora però chiare e distinte. Genew dischiuse gli occhi per confermare con la vista ciò che aveva potuto udire, e si ritrovò davanti due esseri antichi come il mondo, che tante volte aveva avuto modo di incontrare, ma mai in una simile situazione. Ieratiche e stanti, Arla e Silva erano immerse nel vuoto, solo il loro volto era appena visibile grazie a una luce che sembrava provenire da loro stesse. Fissi, i loro occhi scrutavano davanti a loro qualcosa che Genew non poteva arrivare a comprendere.

«Maghe!» esclamò, trovandosele davanti. «Mie signore, cosa sta accadendo? Perché sono qui, al vostro cospetto? Perché prima non ero più nulla e ora sono tornato a essere un corpo? Cosa significa tutto questo?»

«Stavi morendo, Genew».
«Ti abbiamo guarito».
«E restituito la vita».
«I tuoi occhi non hanno visto abbastanza volte calare e sorgere il sole».

«Be', io...» iniziò a balbettare Genew, sconvolto da quella rivelazione. Ora finalmente ricordava: lui e il suo clan erano in guerra con Tes Gheisas e quello era il giorno della battaglia. Anche lui vi aveva preso parte e aveva combattuto con tutte le sue forze, finché aveva potuto. Per quanto stupito, per quanto quella situazione fosse surreale e angosciante, ora non poteva che essere al massimo della felicità: avrebbe presto riabbracciato i figli che aveva creduto di abbandonare per sempre, in punto di morte.

«N-non so come ringraziarvi per la vostra clemenza» disse, lasciandosi sfuggire qualche lacrima di gioia e piegando la fronte fino a terra in segno di gratitudine verso quei due esseri misericordiosi. «Ma... ancora non capisco» aggiunse, poi, appena perplesso: non si era mai verificato nulla di simile. Per quanto fosse loro proibito, i daimona talvolta guarivano i loro mortali prediletti, ma le maghe erano sempre state figure imparziali. «Non era mai successo-».

Le due lo interruppero bruscamente, continuando il loro discorso, quasi recitato in forma poetica.
«Tyche Signora ha parlato».
«Ha scritto un tratto del destino».
«È opportuno che lo scorga tu stesso».
«Così noi non dovremo intervenire ancora».
«Bevi, Genew».
«Osserva attentamente ciò che vedrai».

Genew si impensierì: Tyche, l'entità superiore persino ai daimona e all'Isola, che poteva stabilire quando volesse lo scorrere degli eventi; da secoli, però, non interveniva che per questioni di poco conto, avendo deciso di lasciare che l'isola fosse governata dalla sola volontà dei suoi abitanti, mortali e immortali. Da come ne parlavano le maghe, invece, sembrava stesse portando a un grande cambiamento.

Vide all'improvviso comparire un piccolo vaso tra le sue mani. Al suo interno sembrava esserci un liquido viscoso dal colore indefinito. Riluttante, eseguì l'ordine delle maghe, portandolo alle labbra e deglutendo quella sostanza insapore. Il senso della vista fu di nuovo occultato e lo pervase un incredibile dolore alle cavità oculari, che, man mano scorreva il tempo, si appropriava poco alla volta dell'intero suo corpo: era come se nella sua testa si stesse formando una voragine gigantesca, al cui interno si era creato un nuovo organo visivo, che si sostituiva agli occhi.

Immagini tremende, completamente mute, scorrevano in un flusso continuo nella sua mente: sangue, corpi morti, terrore, persone che urlavano ma le cui grida non potevano essere udite da lui, che vedeva soltanto. Genew si dimenava, si premeva le mani sulla testa, provava in ogni modo a interrompere quel torrente di visioni. Ma continuava, inarrestabile, e, a ogni istante che passava, si faceva più macabro e tetro, più cruento e terrorizzante, fino a raggiungere l'apice...

Poi si fermò.

Genew riaprì gli occhi, ansimando ancor più di prima. Si portò le mani vicino alla faccia toccando le lacrime che erano scese durante quel momento di delirio. Rivolse lo sguardo in alto. Dov'erano le maghe? Tutto era tornato completamente buio.

«Signore! Maghe!» chiamò in un grido disperato, la sua mente ancora proiettata nella visione che aveva avuto poco prima.
«Parla, Genew».
«Ti ascoltiamo».

La loro luce non era tornata e le due non si erano palesate, ma Genew si rassicurò con il solo sentire le loro voci.
«Cosa vuol dire ciò che ho appena visto?» mormorò, pur avendone già la certezza.

«È ciò che accadrà. Ciò che ha disegnato Tyche, colei che traccia la linea indelebile del destino».
«È dunque... immutabile?» continuò Genew, ormai già rassegnato.
«Esatto».
«E se mi togliessi la vita prima?»
«Qualsiasi forza te lo impedirà, come è successo in questo giorno».

«Vi prego, fate qualcosa!» continuò disperato, quasi piangendo. «Non potete lasciare che accada davvero! Avete visto anche voi che scempio! Vi scongiuro, vi supplico! Intervenite! O ditemi un modo per cambiare la sorte».
«Lo sai, Genew: nemmeno un daimon può mutare il volere di Tyche. Nemmeno la grande e potente Isola, se si destasse dal suo sonno. Nemmeno Tyche stessa, una volta scritto il destino, può decidere di cambiarlo».

Genew lo sapeva, sapeva bene tutto questo, ma sperava, con tutta la sua volontà, di poter udire il contrario, che tutto ciò che aveva visto poteva essere mutato: gli bastava anche un'impresa impossibile, suicida, che non avrebbe mai portato a termine. Almeno la sua vita si sarebbe conclusa mentre lui cercava di pervenire al suo scopo.

«Tutto questo non è reale» iniziò a mormorare tra sé: dopotutto, quello era soltanto un sogno, e i sogni non sono reali. Era stato tutto un dannato sogno, da quando era stata trovata la spia di Tes Gheisas fino ad allora. Non era mai stato in pericolo di vita, nessuno l'aveva colpito a morte e, soprattutto, nessun essere era intervenuto per rimetterlo in sesto. Si sarebbe presto svegliato tra le braccia accoglienti di Anita, che lo avrebbe rassicurato sussurrandogli parole gentili. Sì, sarebbe andata così.

«È solo un sogno» disse, ormai volto all'autoconvinzione, accrescendo la sua voce, fino a urlare. «Un sogno orribile, ma è solo un sogno. Voi... voi non siete reali. Questo luogo non è reale. Nulla di ciò che ho udito è reale! È solo un sogno! Un sogno orrendo!»

«Non abbiamo altro tempo, Genew». La voce di una delle due lo ridestò: sembrava distante, come se le maghe si fossero già allontanate.
«No, aspettate!» gridò ancora l'uomo. «Non potete lasciarmi così! Almeno ditemi se qualcun altro conosce questa mesta sorte! Potremo soffrire in due».

«Nessuno a parte te e nessuno deve sapere».
«Se parlerai, faremo in modo che i daimona infliggano a te e al tuo popolo pene gravissime, fino a che non dovrà compiersi il destino».
«Ma intanto rallegrati, Genew».
«Il frutto del tuo seme ora combatte contro colei che si proclama la tua più grande nemica, e insieme, per le sorti dell'una e dell'altra, ottengono onore e gloria!»

«Cosa?» Non si aspettava quell'ultima rivelazione: che senso aveva? In che modo si collegava? Aveva altre domande, troppe, ma quelle se ne erano già andate.
«Aspettate!» provò a gridare un'ultima volta, ma l'oscurità in cui era immerso aveva già iniziato a dissolversi.

~

La luce fievole della luna baciò il suo viso. Ruvidi tronchi accoglievano il suo corpo intorpidito, tanto che faticava a muovere anche un solo dito. Ma non era nulla di questo ad attirare la sua attenzione: i suoi sensi davano la precedenza a una figura aggrappata al suo torace, che si muoveva febbrilmente, facendo scaturire uno dei molteplici pianti che riempivano l'aria di un'atmosfera colma di dolore.

I suoi occhi erano ancora chiusi ma solo ascoltando il lamento ormai affievolito di colei che singhiozzava sul suo petto sapeva di chi si trattava. Mosse lentamente le dita e, compiendo quello che gli pareva uno sforzo sovrumano, andò alla ricerca del tratto di corpo che più era vicino alla sua mano, fino a sfiorarlo con la stessa dolcezza che riservava a lei sola.

Un movimento. La donna si era irrigidita, ma lui non smise di toccarla, intensificando - stava man mano riacquistando il controllo di sé - la pressione su quello che ormai aveva capito essere il suo braccio. Continuava a percorrerlo a tentoni, con atti sempre meno deboli, per quanto ancora disconnessi tra loro, finché non sentì sotto le sue dita quelle dell'amata, che strinse infondendo in quel semplice gesto tutto ciò che ancora non poteva dirle: "Eccomi, sono qui, non piangere più. Stai tranquilla, mia meravigliosa Anita".

Il pianto s'arrestò, mentre il respiro e il battito del cuore iniziavano a scalpitare, quasi fosse una gara, la loro, per chi fosse più veloce e scattante. Un tocco dolce e leggero - il suo tocco - gli percorse le guance e non resisté più: sforzandosi il più possibile, disserrò le palpebre e nell'oscurità vide la sua luce. Anita. La bocca si piegò in un sorriso.

Le palpebre della donna si ricolmarono per una seconda volta di lacrime, ma accompagnate adesso dal riso che scaturiva dal suo cuore.
«Oh, Genew, oh, grazie al Cielo, grazie, grazie!» Anita si strinse forte a lui e, trascinandolo con sé, rotolò al suo fianco, per potersi intrecciare meglio con il suo corpo. «Non ti lascio, Genew, non ti lascio più».

E continuava a ridere e a piangere, e a piangere e a ridere, allagando con le sue lacrime la pelle dell'incavo del collo di lui, che riacquistando le forze cercava di ricambiare l'abbraccio.

Il calore della vita si riappropriò del corpo di Genew. Le tiepide membra di Anita tolsero anche le ultime sue parti dal dominio della morte. Anche la bocca riacquistò la sua funzione.
«Anita» mormorò, in un sussurro grave e incerto. «Sono... qui».
«Lo so, lo so!» esultò ancora lei. «E non sai quanto sia felice!»
Anita felice. Era tutto ciò che desiderava. Genew sorrise di più.

«Mamma...» Un altro lamento. Sembrava lontano. Genew tese meglio le orecchie finché anche quel suono non divenne più nitido. Adesso era Rose. «Ti prego, basta. Piangi in silenzio, non iniziare ancora con questa follia».
«Ma che dici, Rose!» esclamò Anita, alzandosi seduta, pur senza togliere le mani dal corpo del marito, e voltandosi verso la figlia. «Papà è vivo! Vieni! Venite!»
«Mamma, dai» continuò la ragazzina, sospirando e alzandosi in piedi: il rumore dei passi suggeriva che si stava spostando verso di loro. «È già abbastanza tremendo cos-».

Non finì la frase. Aveva visto che gli occhi di suo padre erano aperti.
«Pa-pà?» sillabò, sgomenta.
Genew annuì, muovendo appena la testa, ma fu abbastanza per darle la conferma che sua madre non era ancora diventata pazza. In meno di un istante, anche la ragazzina si buttò tra le sue braccia, ma staccandosi subito, come se avesse dimenticato qualcosa.
«Iulius, Hermit, Sofia!» gridò, al colmo della felicità. «La mamma ha ragione!» E poté reimmergersi nella stretta del padre.

Lo scalpitìo di tante altre gambette veloci raggiunse presto le orecchie di Genew, insieme a esclamazioni quanto mai stupite. Altri tre corpicini gli si gettarono addosso.
«Papà! Papà!»
«Non farlo più! Mai più!»
«Non sai che paura!»
«Papà, sei qui!»
«Che bello, papà!»

Genew si sentiva mancare il respiro, con tutte quelle braccia che lo stringevano e lo sballottavano un po' da una parte e un po' dall'altra, ma la felicità che provava a sentire la gioia che effluiva dalle bocche dei figli non gli dava il peso di alcun dolore fisico.
«Tranquilli, tranquilli» riuscì a dire, la voce più potente e sicura. «Sto bene». E sentendoli così contenti, stava bene davvero.

La stretta si fece ancor più poderosa, così come il loro strepito e quelle che ormai erano piene risate.
«Sta bene!»
«Sta bene!»
«Il papà è il più forte di tutti!»
«Il papà è vivo e sta bene!»

«Ragazzi!» I quattro scattarono in piedi al grido spazientito prodotto all'unisono da Raya ed Em. «Si è appena ripreso, cosa vi dice la testa per stargli così appiccicati!»
Genew riprese a respirare a pieni polmoni e una risata gioviale uscì anche dal suo petto martoriato. All'improvviso, sentiva che tutte le sue forze erano di nuovo in lui: che magico potere avevano avuto, i suoi ragazzi! Con un'unica spinta, si mise seduto.

Finalmente li vedeva tutti, per davvero: i figli con gli occhi ancora gonfi ma i sorrisi che percorrevano da orecchio a orecchio i loro volti, le due giovani donne che non riuscivano a rimproverarli perché anche loro troppo liete di quella notizia. E al suo fianco Anita, a cui ridevano persino le stupende iridi cerulee, avvicinatasi di nuovo per reclamare un altro abbraccio. Genew non poté che accontentarla, cingendola per un fianco e lasciandosi avvolgere, senza più alcun impeto.

Il suo cuore traboccò di felicità: la gioia era la sola emozione che coglieva sulla piattaforma. Non aveva bisogno di nient'altro, se non di ascoltare la vivacità delle voci dei figli, di sentire il calore emesso dal corpo di Anita. Era bellissimo, perfetto: qualsiasi bruttezza che affliggeva il mondo era lontana, apparteneva a una terra diversa da quella che ospitava lui.

Ma mentre si concentravano su Hermit che si staccava dalle braccia di Iulius per correre tra quelle di Rose, i suoi occhi caddero per caso su un corpo disteso per terra, talmente immobile da sembrare morto. E soprattutto imbrattato di sangue. Certo, il sangue: stava avvenendo la battaglia con Tes Gheisas. La felicità che stava provando era circoscritta alla sua sola piattaforma: fuori, chissà cosa stava succedendo. E soprattutto a quel solo momento! La visione! Poco importava, ormai, la guerra contro il clan confinante: quell'elemento futuro era ben più tremendo! Lui era il capo, doveva fare qualcosa.

"È ciò che accadrà. Ciò che ha disegnato Tyche, colei che traccia la linea indelebile del destino".

Ma non poteva fare niente.

«Non preoccuparti, tesoro». Il tocco di Anita, che gli sfiorò il mento perché la guardasse, e la dolcezza delle sue parole lo riscaldarono un poco. Troppo poco. «Quello che vedi là è Germanico ed è solo svenuto. È stato lui a riportarti qui, poveretto, deve aver fatto uno sforzo incredibile».

Genew annuì e sorrise: non poteva permettere che si preoccupasse, proprio ora che si era finalmente rasserenata. E intanto teneva a freno la lingua, che se fosse stata libera avrebbe raccontato subito alla moglie tutto l'incubo. Altresì non le avrebbe mai scaricato addosso quel peso tanto gravoso, che l'avrebbe portata alla disperazione proprio come stava facendo con lui, ma, proprio perché gli era stato proibito di farne parola con qualcuno, in quel momento ne sentiva un bisogno così forte...

«Genew». Anita spostò la mano sulla sua guancia destra e l'uomo subito si allarmò: aveva lasciato trapelare le sue insicurezze e sua moglie aveva già capito tutto. «Cosa c'è che non va?»

Anche i ragazzi, Raya ed Em avevano iniziato a lanciarsi sguardi confusi, continuando però a tacere. Genew non sapeva cosa dire: non gli sovveniva alcuna scusa plausibile e persistere nel silenzio li avrebbe fatti preoccupare ancora di più.

L'arrivo dell'ennesimo superstite giunse in tempo in suo aiuto. Tutti si voltarono: un guerriero era appena approdato pesantemente sulla piattaforma, sfinito. In braccio a lui, una giovane donna, quasi svenuta e piena di tagli che grondavano di sangue. Entrambi erano devastati ma un immenso sorriso campeggiava sui loro volti.
«Ottime notizie!» esclamò la donna, con le poche forze che le rimanevano e sputando un fiotto di sangue.

I ragazzi e le giovani accorsero subito dai due nuovi arrivati. Anche l'attenzione di Genew era stata attirata da queste incredibili notizie, ma la presa di Anita non lo lasciava muovere nemmeno di poco.

«Genew, cos'è successo, allora?» continuò, puntandogli contro i suoi grandi occhi, con fare indagatore.
«Niente» fece lui, sbrigativo, cercando di evitare lo sguardo della moglie.
«Non puoi rispondere così! Si vede da lontano che sei preoccupato. Lascia che ti aiuti».
«Non... non puoi farlo».
«Allora vedi che c'è qualcosa che ti affligge, Genew. Cos'è?»

Genew sospirò. Non era capace di mentirle: tutto ciò che poteva fare era rivelarle una mezza verità. «Anita, ho fatto un sogno terribile, il peggiore di tutta la mia vita. Non sai quanta paura abbia avuto. Ero terrorizzato. Però è soltanto un sogno. Non è reale e, quando avrà finito di tormentare il mio animo, sarò più tranquillo. Devo solo aspettare».

Le sorrise di nuovo, convincendosi che quello che aveva appena detto era vero. Ciò che aveva visto non era altro che un incubo e non gli avrebbe permesso di rovinargli le giornate da lì in avanti. Non avrebbe rovinato i momenti trascorsi con la sua famiglia e non avrebbe influito sulla sua efficienza come capo. Anita e i ragazzi vicino a lui avevano risollevato il suo morale e aveva ripreso a ragionare lucidamente. L'incubo che aveva avuto gli sembrava ormai lontano: era impossibile che quella situazione si verificasse davvero. Era troppo assurda.

Strinse Anita in un tenero abbraccio, rimanendovi immerso e ascoltando i battiti del cuore di lei, tornati finalmente alla normalità, come tutto il resto. Il presente era oscurato soltanto dalla guerra. Ma se i guerrieri giunti poco prima avevano rivelato che c'erano buone notizie... Dovevano ascoltarle, al più presto!
«Adesso possiamo andare a sentire cos'hanno da dire?» chiese Genew con fare scherzoso, perché la moglie lo lasciasse libero dalla sua stretta.
«Non mi hai convinta del tutto, ma te lo concedo» rispose lei, un po' restia, ma già di nuovo con un sorriso a fior di labbra. Si alzò in un attimo e gli tese una mano perché la raggiungesse.

Genew l'afferrò saldamente ma, non appena cercò di mettersi in piedi, la gamba destra cedette subito. Ritentò ancora, ma per la seconda volta si ritrovò di nuovo in ginocchio. Gettò un occhio sotto di lui: a differenza del resto del corpo, che non presentava più alcun segno, la zona presso il polpaccio era estremamente martoriata e sembrava un miracolo anche solo che fosse rimasta attaccata.

«Oh no, oh, no no no!» Anita si era nascosta la testa tra le mani, premendole contro al viso con forza. «E Iulius e Rose me l'avevano anche detto. "C'è abbastanza lozione sul petto, mettine anche sulle gambe". E io li ho ascoltati? Oh, come sono stata stupida!» Si inginocchiò di fianco al marito, prendendogli le mani e portandole alla sua fronte. «Genew, scusami, devi scusarmi così tanto, io...»

«Anita, ma di cosa ti scusi?» replicò, retorico, Genew, sollevandole subito la testa e carezzandole una guancia. Un'altra notizia avrebbe faticato a renderlo tanto felice: se fossero state davvero le maghe a curarlo, come avevano detto nel sogno, lo avrebbero guarito totalmente, e invece a medicarlo doveva essere stata proprio Anita, che nella fretta e nella disperazione aveva dimenticato di occuparsi della ferita alla gamba. Nella visione, poi, aveva notato anche il se stesso del futuro che si reggeva su entrambe le gambe; ma da quel momento non ne sarebbe più stato in grado, senza un supporto.

«Mi hai salvato la vita e ti preoccupi di una stupida gamba?» continuò, mentre il sorriso diventava sempre più grande. «Devo ringraziarti, infinitamente. Sei stata tu, proprio tu! I tuoi poteri devono essere diventati più forti. Anita» mormorò, appoggiando la fronte contro la sua. «La mia salvatrice».

«Genew!» esclamò lei, allontanandosi e avvampando. «Lo sai che le lodi non mi piacciono, soprattutto se non le merito!»
«Anita, ma le meriti eccome! Guardami, sono vivo!»
«Sì, ma la tua gamba...»
«Cosa vuoi che sia! Per la maggior parte del tempo mi muovo sulle liane, non ne ho mica bisogno. E non mi serve neanche per stare in piedi» ribadì, facendole poi segno di alzarsi di nuovo.

Anita obbedì e Genew, tenendosi saldamente attaccato a lei, una volta tornato sulle sue gambe, spostò tutto il peso sulla sinistra e, in un equilibrio piuttosto precario, sollevò di nuovo lo sguardo, vittorioso.
«Visto? Sto benissimo: questo è l'importante. E ancor più importante è che stiate bene tutti voi».
Cercando di non gravare sull'unica gamba buona, Anita lo abbracciò ancora. «Pensi sempre troppo poco a te stesso».
«Ho delle priorità. E nessuna di queste riguarda me».

«Mamma! Papà!» Hermit e Sofia stavano correndo verso di loro, mano nella mano, saltellando e gridando per la gioia: il loro entusiasmo si era impossessato di nuovo di loro.
«Mamma! Papà! Non sapete cos'è successo!»
«La guerra è finita!»
«È finita!»
«Niente più feriti!»
«Niente più morti!»
«È finita!»

Genew baciò Anita, inconsapevolmente, come se fosse la cosa più naturale che potesse fare: era l'unico modo che sentiva per riuscire davvero a esprimere la felicità che prorompeva per uscire da lui, e imprimerla anche in lei. Quando si staccarono, avevano di nuovo le lacrime agli occhi, mentre ridevano come due bambini.

«Tu sei vivo e la guerra è finita: non potrei essere più felice» disse Anita, tenendo il volto di lui tra le mani.
"Tu sei viva, i ragazzi anche, la guerra è stata breve e il sogno sembra ormai irrealizzabile: non potrei essere più felice" pensava invece Genew, limitandosi a sorridere ancora di più e ad appoggiare la sua fronte contro quella della moglie, per poi solleticare di nuovo le labbra amate con le sue.

«Mamma, papà! Non siete più dei ragazzini!» brontolò Rose: tutto era davvero tornato alla normalità.
«E taci una buona volta, guastafeste!» rimbrottò Iulius, mentre i genitori, un po' riluttanti, staccavano i loro volti per rivolgerli ai ragazzi. «Piuttosto,» cambiò subito tono, già pieno di euforia, «dovreste sapere come è successo: non ve lo immaginereste mai!»
«Poche premesse, Iulius» lo rimproverò a sua volta la sorella maggiore. «Dillo e basta».

Iulius la ignorò e iniziò subito a spiegare: «Genew - lo giuro, proprio la sorellona! - ha deciso di salvarci tutti, mettendo in gioco la sua vita. Ha invitato la Geisha a un agòn! Come nelle storie più antiche! Da quanto non si sentiva di un agòn

Negli occhi del padre passò una scintilla di orgoglio. Un agòn. Chi l'avrebbe mai pensato... Lui di certo no.
"Figlia mia, l'ho sempre saputo. Non ho mai dubitato di te" fece in tempo a pensare, sorridendo, prima che le voci della piattaforma lo sommergessero di nuovo.

«Ma proprio un agòn vero» sottolineò Hermit, estasiato.
«Esatto!» proseguì Iulius. «Hanno deciso che combatteranno loro due sole, in uno scontro all'ultimo sangue, finché una di loro non morirà, oppure si arrenderà. Allora l'altra deciderà cosa fare del popolo nemico».

«Pensate,» richiamò l'attenzione Sofia, battendo le manine, «in quel momento i Gheisas stavano massacrando gli Avventurieri e i Cacciatori sugli alberi, ma gli araldi sono arrivati in tempo per fermarli. Ci credete? Ci credete? Genew li ha salvati tutti!»

«Prima però deve vincere» obiettò, un po' dubbiosa, Anita.
«Ma sì, ma cosa vuoi che sia, ormai, mamma» minimizzò Iulius. «L'abbiamo vista tutti Genew mentre si allena con Rigel. Uno può rimanere incantato a guardarle da quanto sono incredibili! La sorellona una belva feroce, mentre l'altra una farfalla leggiadra e aggraziata ma più letale di un veleno! Schizzano scintille gialle quando le loro spade si scontrano!»

«La Geisha non dev'essere da meno se è diventata il capo del suo clan» riprese Rose. «Non avrei mai creduto di poterlo pensare ma sono un po' preoccupata per Genew. Lo sapete che potrebbe davvero...» Deglutì, visibilmente in ansia. «Insomma, Paula racconta sempre che negli agona del passato nessuno dei due contendeti riusciva a saltarci fuori e alla fine i due clan concludevano la guerra con una pace. Sta davvero... sta davvero dando la sua vita per il suo popolo». I suoi occhi sgranati per l'incredulità potevano specchiarsi in quelli di tutti coloro che ora attendevano solo altre notizie, lì sotto il loro oikarion: le parole che da sempre Genew ripeteva in modo pedissequo, tanto che ogni volta erano sembrate inconsistenti, andavano davvero a concretizzarsi. Il suo titolo, per la prima volta, acquistava il suo significato.

«Il rischio, è chiaro, c'è». Iulius abbassò il capo per qualche istante ma lo sollevò subito: i suoi occhi sprizzavano barlumi di speranza. «Però io confido in lei! Sono sicuro che vincerà! Tornerà vittoriosa e meriterà per davvero l'onore e la gloria a cui, da sempre, ambisce».

Onore e gloria.

La vista di Genew si annebbiò.

Il frutto del tuo seme ora combatte contro colei che si proclama la tua più grande nemica, e insieme, per le sorti dell'una e dell'altra, ottengono onore e gloria!

Queste erano state le parole delle maghe. Lo avevano detto apposta perché fosse spinto a considerare reale il sogno. Avevano previsto il futuro, cosa che la sua mente non era in grado di compiere, nemmeno in una dimensione onirica. Era costretto a credere che ciò che aveva osservato si sarebbe realizzato.

Eppure nulla quadrava ancora: era certo di essersi visto in piedi mentre brandiva una lancia e attaccava. Con la gamba ridotta nello stato in cui era, faticava anche solo a immaginarlo.

Quindi cos'era? Sogno o realtà? Forse era solo uno scherzo delle maghe per vedere la sua reazione. Forse era tutta una coincidenza. Forse era ancora immerso nel sonno. Forse... Non poteva saperlo. Non era una questione che poteva essere sciolta dalla sola mente umana. Il dubbio sarebbe perdurato. A lungo sarebbe rimasta nel suo cuore quell'angosciosa incertezza, fino a che non si fosse compiuto il destino, qualsiasi esso si fosse rivelato.

Guardò intorno a sé: tutti si abbracciavano e ridevano, contenti dell'imminente futuro. Ripensò alla scelta della figlia, che per la prima volta si comportava davvero come un capo, regalando la contentezza che ora aleggiava sulla piattaforma a tutto il suo popolo.

Come avrebbe voluto essere nella loro stessa condizione: felice per la fine della guerra ma preoccupato solo per l'imminente sorte della figlia maggiore! Come avrebbe voluto essere ignaro del futuro! Come avrebbe voluto credere che quella felicità si sarebbe protratta per sempre e non li avrebbe mai abbandonati. Ma l'ombra della visione, che pure non era certa, pendeva sulla sua testa, e il mondo gli si mostrava distorto.

Ma intanto Sofia si era appena avvicinata al suo fianco e lo stava abbracciando, mentre lo guardava dal basso con i suoi occhioni dolci e sorridenti, che reclamavano attenzioni.

"Che senso ha continuare ad angosciarmi?" Non avrebbe permesso che un solo momento della sua esistenza volasse via, solo perché lui non pensava ad altro che al futuro. Se anche tutto questo fosse durato poco, si sarebbe accontentato e avrebbe colto al massimo quell'attimo effimero che presto gli sarebbe scivolato dalle mani.

Sorrise teneramente alla bambina e, cercando di bilanciarsi sull'unica gamba buona, la prese in braccio, appoggiando le labbra sulla fronte della piccola, che iniziò a ridere, sentendo sulla pelle un leggero solletico provocato dalla barba dell'uomo. Quel suono cristallino si scolpì indelebile nella mente del padre; sul suo volto era già tornato il sorriso. Il futuro, che restasse dov'era. Solo il presente doveva importargli: dopotutto, del doman non v'è certezza.

~

Ebbene sì, avevamo bluffato, ma non succederà spesso perché detestiamo le risurrezioni improvvise nei libri/film/serie/altro (e vorremmo sottolineare che questa non lo è, anche se a prima vista potrebbe sembrare, e comunque non ce ne saranno altre). Ma speriamo di avervi risollevato un po' il morale con questo capitolo estremamente lieto, quello in cui, almeno in questo primo volume, vediamo maggiormente la coppia di Genew e Anita. Parere personalissimo, poi mi direte il vostro: è la migliore. Mi immaginerei e scriverei a ripetizione dei momenti tra loro due, li adoro davvero tantissimo! *-* Prima o poi scriverò anche delle loro (dis)avventure giovanili ma... non posso permettermi altre distrazioni! Già gli extra scemi lo sono abbastanza, scrivere la loro storia parallela mi ammazzerebbe 8). Ma torniamo seri... Purtroppo (eh già, sennò non stareste parlando con me se non ci fosse un "però" che rovina tutto) la situazione non è rosea come può sembrare. Certo, il presente è luminosissimo: ormai Tou Gheneiou è salvo al 99%, perché la probabilità che solo la Geisha esca vincitrice è davvero insignificante... Vale però la stessa cosa anche per Genew. Questo è l'unico problema che abbiamo. Troppo bello: infatti un oscuro futuro, che Genew conosce per sua sfortuna per intero, si staglia all'orizzonte. Cosa sarà mai?? Avanzate le ipotesi, prego prego! E intanto noi vi salutiamo.

Un abbraccione (insieme a un grazie commosso per chi è arrivato fin qui 🥺) da un panda e una tartaruga già emozionate per la super battaglia finale 🤩

P.s. Non so se sia inopportuna la citazione finale del celebre verso de "La canzone di Bacco e Arianna", dal momento che Genew, per forza di cose, non conosce nulla di poesia e non potrebbe mai venirgli in mente, ma stava talmente bene in questo contesto che non mi sono trattenuta *-* Poi mi direte cosa ne pensate voi :)

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