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Il lieve rumore delle onde che sbattevano contro la battigia, il cinguettio dei martin pescatore e il gracchiare dei gabbiani. La sabbia morbida e calda, qualche ciottolo liscio e levigato, l'acqua fresca del mare di mattina che cullava dolcemente con la sua risacca.

"Dove mi trovo?" era il pensiero principale di Beatrice in quel momento. Riusciva solo ad ascoltare ciò che era intorno a lei e percepire il suolo su cui era sdraiata.

Aprì lentamente gli occhi, ricoperti dalla sabbia come il resto del corpo. Davanti a lei una piccola baia dorata creata dalle dune, ricoperte da gigli marittimi che si potevano osservare più in lontananza. A seguire, una più fitta vegetazione, che pareva indistinta alla vista annebbiata della giovane.

Sempre adagio, cercò di mettersi seduta, ma un dolore lancinante alla testa la costrinse a sdraiarsi di nuovo. Si portò una mano sulla fronte e percepì una parte crostificata sulla tempia sinistra.
"Ma cos'è successo?"
Sicuramente non avrebbe trovato alcuna risposta rimanendo a terra, così, combattendo con tutte le sue forze il male, riuscì a sedersi.

La distesa del mare apparve finalmente ai suoi occhi, che rimasero a contemplarla per diversi istanti. Che visione magnifica! Mille diverse sfumature di un azzurro cristallino andavano gradualmente mutandosi in un profondo blu, mitigato solo dalle bianche crestine che spuntavano talvolta dalla tavola d'acqua. Ma non si fermava lì; spaziava ancora e ancora, oltre l'orizzonte, verso un confine che, dalla sua posizione, Beatrice non avrebbe saputo dire: poteva anche dirigersi verso l'infinito...

"Devo aver battuto la testa da qualche parte". La giovane scosse il capo, consapevole che non doveva distrarsi e iniziare a produrre pensieri inconsistenti: rivolse la sua attenzione verso l'interno. Pini marittimi che conferivano un'ombra piacevole sotto le loro fronde, bassi ginepri che diffondevano invece un buon profumo di macchia. E ancora, tante altre piante tipiche delle coste mediterranee, se non per l'eccezione di... una mangrovia?! Cosa ci faceva lì una pianta tropicale, innestata in un contesto totalmente diverso dal suo?

"Sarà solo frutto della mia immaginazione. Devo aver preso proprio una bella botta" si convinse la giovane: non era certo un'esperta di botanica ma quella pianta, con la sua pozza di acqua salmastra, circoscritta nella piccola zona in cui era presente, non aveva motivo di stare lì. Non poteva che essersela immaginata; oppure poteva aver immaginato tutto. Doveva essere così, un sogno strano che aveva prodotto la sua mente turbata da chissà cosa.

Chiarito questo, un po' sollevata, trovò la forza per tirarsi in piedi. I capelli prima morbidissimi erano diventati un ammasso informe incrostato di salsedine e sabbia. Tutto il corpo riportava ferite ormai crostificate, mentre del vestito che aveva indossato era stato perduto tutto il tessuto dalle ginocchia in giù e anche il restante era piuttosto rovinato, pieno di piccoli strappi qua e là. Le scarpe erano scomparse, come anche la pochette con il cellulare e gli altri strumenti, per ogni evenienza.

"Se fosse la realtà sarebbe un bel problema".
Lasciò decidere al suo corpo come impiegare quel tempo infruttuoso e, quasi involontariamente, iniziò a passeggiare sulla sabbia morbida della baia, dirigendosi oltre gli scogli e, soprattutto, allontanandosi dalla mangrovia; intanto la sua mente provava a mettere ordine agli eventi accaduti dalla sera precedente in avanti: tutto era ancora così confuso. Ogni tanto si proiettavano alcune immagini sfocate, in cui vedeva persone indistinte correre e urlare, terrorizzate. Ma cos'era successo?

"Datti un ordine!" si impose subito, per evitare che la sua mente iniziasse ad angosciarsi per qualcosa a cui avrebbe benissimo potuto dare un senso: una spiegazione logica c'è, per ogni cosa. Iniziò a ripensare a ciò di cui era più sicura: la sua missione. Si era imbarcata su una nave da crociera su cui era salito anche un pericoloso terrorista che aveva sottratto una somma incredibile al casinò di Monte Carlo. Aveva cominciato a indagare, conoscendo i passeggeri, e aveva anche già capito chi fosse questo misterioso criminale: doveva solo confermarlo leggendo la mail minatoria che era stata mandata al casinò. Così aveva dovuto parlare con il dirigente, anche lui presente sull'imbarcazione, e persuaderlo con tutti i suoi mezzi per poter controllare quella missiva.

Ma non ci era riuscita. Non aveva fatto in tempo, che era successo qualcosa di straordinario, e non perché fosse bello, ma perché un evento simile era così assurdo da essere faticoso persino da immaginare! Sforzò il più possibile il suo cervello per far riemergere i ricordi, ma con scarsi risultati. Ci provò più e più volte ma ciò che era successo proprio non si decideva a riaffiorare. O forse era lei stessa a non volerlo?

Aveva camminato per ore senza neanche accorgersene, superando la piccola baia in cui era approdata e passando attraverso altre spiagge e calette, senza mai far attenzione al paesaggio per evitare di imbattersi in un altro elemento strano. Ma a un tratto, mentre stava attraversando l'ennesima scogliera granitica, vide sulla sabbia una figura dalle parvenze umane, sdraiata a terra e probabilmente svenuta. Scese dagli scogli e si precipitò a controllare. Si trattava di un uomo biondo piuttosto alto, ricoperto da vestiti logori e pieni di strappi.

Beatrice riguardò se stessa, notando di nuovo come anche le condizioni dei suoi fossero pessime. Sembravano due naufraghi. Improvvisamente tutto le tornò alla memoria: se la sua mente aveva provato a non riportarle alcuni ricordi, certa che questi l'avrebbero riempita di agitazione, la consapevolezza davanti alla loro condizione la superò.

Un buco enorme era comparso dal nulla e la nave aveva iniziato ad affondare. L'equipaggio si era velocemente organizzato per far evacuare i passeggeri sulle scialuppe ma, una volta saliti sopra di esse, erano stati sorpresi da una terribile tempesta. La sua imbarcazione, ricordava, era rimasta intatta ancora a lungo, mentre aveva visto molte altre venire distrutte dalla potenza del mare. Ma alla fine nemmeno la sua aveva resistito: la corrente l'aveva mandata in una secca di scogli, contro cui si era infranta e sulle cui braccia erano stati accolti loro passeggeri. Da allora i ricordi mancavano del tutto: doveva essere svenuta.

La giovane iniziò ad ansimare per il terrore che solo quelle immagini ormai passate avevano instaurato di nuovo nel suo animo. Le nuvole talvolta si erano scostate lasciando lo spiraglio della luna, che illuminava lo scempio che si stava compiendo. Il mare si era tinto di vermiglio, gli scogli erano diventati mostri spaventosi che non avevano voluto dar loro alcuna tregua.

E adesso? Dove li aveva sospinti? Un'isola? Non poteva essere altro. Ma era senza senso, con una vegetazione senza senso. Tutta quella situazione mancava di senso! Ma non era possibile neanche questo: tutto, tutto, tutto deve avere un senso!

«Signorina?»

Beatrice sussultò e si riscosse dalla marea di pensieri che l'aveva assalita. Si era accasciata a terra e ritornò velocemente seduta, volgendo lo sguardo verso colui che aveva parlato: il naufrago che aveva trovato la stava ora guardando assiduamente, l'espressione preoccupata. Lo osservò a sua volta, riconoscendo quel tedesco logorroico con cui aveva parlato un po' il giorno precedente: Heinz Crümenerl le pareva si chiamasse.

«Cos'è successo? Dove ci troviamo? Perché siamo qui? Cos'è successo?» Il giovane uomo iniziò a tempestarla di domande, afferrandole i polsi e fissandola, sempre più terrorizzato, a ogni questione che le rivolgeva.
«Non si preoccupi, signore» lo tranquillizzò lei, fingendosi calma. «Non so nemmeno io effettivamente cosa sia successo o dove siamo. Ma troveremo presto il senso di tutto questo. Lei abbia pazienza». Così dicendo si tirò di nuovo in piedi, porgendo una mano al compagno di sventure. «Adesso direi...»

Avrebbe iniziato a proporgli di esplorare i dintorni, per provare a trovare qualcosa da mangiare: andare alla ricerca di una traccia di civilizzazione era da escludere, come anche provare a capire qualcosa subito. Le risposte sarebbero arrivate, o, almeno, questo era quello che si era detta per mantenersi tranquilla. Ma un grido di aiuto l'aveva presto interrotta.

Allora erano in tre! O forse anche di più. Corse nella direzione delle urla, fino a raggiungere un'altra scogliera, sopra cui era aggrappata una donna, come se potesse precipitare nel vuoto da un momento all'altro: la distanza che la separava da terra era in realtà di circa due metri.

«Morirò! Morirò! Sono sola, non c'è nessuno ad aiutarmi! Adesso cado, me lo sento! Ma sono così in alto! Una caduta così... Oh, Dio! Ho paura!»

Man mano si avvicinavano, le parole diventavano più nitide, pur rimanendo sconclusionate. Anche la voce non era più indistinta, ma Beatrice riconobbe quella della giovane snob della crociera, la signorina Alberti: di altezzosi ne aveva incontrati tanti, in tutta la sua vita, ma quella, solo dopo averle rivolto poche parole, aveva sicuramente raggiunto il podio. Sospirò e alzò gli occhi al cielo: se già la situazione era critica di per sé, quella non avrebbe fatto che aggravarla.

«Signorina, signorina, non si preoccupi. Adesso vengo io ad aiutarla a scendere!» gridò il tedesco, precipitandosi a soccorrere la giovane. La prese per i fianchi e la adagiò a terra.

«Oh, grazie al cielo!» gridò questa una volta sulla sabbia, per poi voltarsi a vedere chi fosse il suo salvatore. Non appena riconobbe quel tedesco medio-borghese la sua espressione di gratitudine scomparve subito, lasciando il posto a quella piena di alterigia che la caratterizzava.

Prima che potesse iniziare uno dei suoi discorsi, Beatrice prese la parola: «Bene, ora dobbiamo considerare la nostra situazione. Non abbiamo idea di dove siamo finiti e del perch-».
«Grazie. Davvero utile come informazione» biascicò la signorina Alberti. Beatrice respirò profondamente per mantenere la calma e continuò: «Per questo è bene iniziare a trovare qualcosa per sopravvivere».

L'aristocratica sbiancò immediatamente a quella parola: «Sopravvivere?! Come sarebbe a dire?!»
«Sa, se non vuole morire di fame, ha bisogno di mangiare» rispose l'altra con una punta di sarcasmo: la pazienza stava venendo meno.
«No no! Non intendevo quello! Sopravvivere è quello che fanno i poveracci. Io non posso di certo! Oh, no, nossignore, il mio status sociale è ben più elevato».

Beatrice sgranò gli occhi: come faceva a pensare al suo status sociale dopo essere naufragata chissà dove, con il rischio di morire per davvero? Avrebbe potuto capirla se fosse stata ancora terrorizzata da ciò che avevano passato, come il tedesco che, dopo averla fatta scendere, era tornato in uno stato catatonico. Avrebbe potuto comprendere che fosse spaventata dagli eventi assurdi che si stavano susseguendo. Ma preoccuparsi dell'etichetta?!

«Per questo» disse, non riuscendo a nascondere il fastidio che stava provando, «adesso dobbiamo arrangiarci e procurarci qualcosa». Sfoderò poi il suo lato pratico, per passare in rassegna la situazione: «La natura qua mi sembra piuttosto viva, quindi potremmo costruire con dei bastoni e delle pietre alcune lance, per provare a cacciar-».

«No!» Il tedesco si era improvvisamente risvegliato dal suo torpore. «Non possiamo uccidere degli animali innocenti!»
Beatrice sorrise involontariamente per la disperazione: non solo era successo tutto ciò che era successo, non solo si era ritrovata in una situazione di pericolo con quella spocchiosa dell'Alberti, ma le era capitato anche un vegetariano!

«Andremo a cercare dei frutti» concluse lei, inebetita, e così dicendo continuò a percorrere la strada che avevano intrapreso, volgendosi però verso la vegetazione. Gli altri la seguirono, uno tacendo, tornando a preoccuparsi per l'isola, e l'altra senza mai smettere di blaterare cose che ormai Beatrice ignorava.

La giovane era sollevata dal fatto che avesse smesso di incontrare sporadiche mangrovie, ma dall'altro lato non sapeva di cosa avrebbero potuto nutrirsi: nella macchia mediterranea non nascevano spontaneamente alberi da frutto e neanche bacche commestibili, da quanto sapeva. Ma subito vide un cespuglio diverso dai soliti ginepri ed elicrisi: era... una pianta di mirtilli?!

Si avvicinò e prese alcune bacche. Chiamò velocemente Crümenerl, che tra le tante lauree aveva anche quella in botanica, per averne la conferma: erano davvero dei mirtilli. Un lieve borbottio del suo ventre prevalse sull'angoscia per la mancanza di senso. Provò a massaggiarsi la pancia - magari la fame sarebbe passata - ma più vedeva quelle bacche succulente, più i suoi tentativi erano vani. Si maledisse per non aver mangiato nulla dalla mattina precedente e aver trascorso i pasti precedenti in chiacchiere.

La mente le imponeva di non staccare le bacche dal ramo, non fidandosi di quella natura insensata, ma il suo corpo non resistette più: ne raccolse un po', per poi sedersi e iniziare a mangiare avidamente. Subito gli altri due si misero di fianco a lei, dopo aver preso qualche bacca anche loro.

La signorina Alberti sembrava più disperata che mai: dov'era finita? Un'isola?! Ma non doveva andare così! Avrebbe dovuto passare la sua vacanza su quella fantastica crociera, in compagnia di quel bellissimo giapponese, non con quei due pezzenti che non smettevano di tirarle delle occhiatacce per le sue doverose preoccupazioni. Voleva tornare a casa, nella sua bellissima villa! E se non ci fosse riuscita? Come avrebbe potuto fare a vivere lì, senza alcuna comodità, senza il suo maggiordomo, senza niente?! E se nel mentre fosse morta?! Quel lugubre pensiero la assalì, turbandole profondamente l'animo e dai suoi occhi iniziarono a scendere lacrime copiose.

Beatrice lo notò e non riuscì a trattenersi ancora: prese un mirtillo e glielo spremette in faccia.
«Smettila di lamentarti, essere inutile che non sei altro!» le gridò dietro, abbandonando ogni genere di cortesia. «Non lo capisci che piangere non serve a niente?! Piangere per cosa, poi? Per il tuo vestito che si è rovinato? Perché hai i capelli sporchi di sabbia? Perché sei su un'isola deserta con gente di un basso rango sociale?! Ma finiscila con queste stronzate!»

Dagli occhi della signorina Alberti avevano iniziato a scaturire delle fiammelle: se prima poteva anche essersi preoccupata, ora non aveva attenzioni che per quella lì. Che ragazzina insolente! Come si permetteva?! Insultare lei, Maria Emanuela Adele Alberti, discendente dei Gonzaga, contessa di innumerevoli territori di Mantova, le cui radici derivavano anche da una delle più illustri case regnanti di Francia, quella dei Borbone?! Le avrebbe garantito una vita difficile, l'avrebbe pagata.
Ma, prima che potesse rimettere al suo posto quella piccola, insolente popolana, si inserì nella conversazione l'ennesima voce.

«Oh, ma che casino che c'è qua in mezzo. Dai, gente, dovremmo essere felici: siamo in vacanza. Ma... Oh!» Enrico Nocenti era al massimo della sua felicità: non avrebbe più dovuto pulire il ponte della nave! Inoltre, aveva trovato un ulteriore motivo di gioia: anche le due ragazze più belle che aveva incontrato in crociera erano nello stesso posto in cui era capitato lui!

Le due giovani abbandonarono l'ascia di guerra, inorridendo nello stesso istante vedendo che anche quel mozzo maniaco era sopravvissuto!
«No che non siamo in vacanza!» si aggiunse presto anche un altro uomo, il pilota di Formula Uno, Ferdinando Mora, con un'aria parecchio irritata: si comprese in fretta il perché di tutto quel fastidio. «Questa è la cosa peggiore che mi sia mai capitata! Tu sei la cosa peggiore che mi sia mai capitata! Non fai altro che urlarmi nelle orecchie da quando mi sono svegliato, per parlarmi della scorsa puntata di Dragon Ball. Ma lo capisci che non me ne frega niente?! E poi io avevo delle cose da fare! Invece chissà per quanto tempo dovrò rimanere qua, su questa... cosa!» concluse, tirando un calcio alla sabbia e alzando una nuvola di polvere.

Si buttò a terra di fianco alla signorina Alberti, che subito si spostò appena per non stare attaccata a quel giovane: lo aveva già visto bazzicare per la nave il giorno precedente, andando a importunare qualsiasi giovane donna abbastanza carina che gli capitasse a tiro; aveva parlato persino con lei e già aveva capito di che tipo poco interessante si trattasse. Non doveva essere un poveraccio, vista la sua effettiva fama nel mondo automobilistico, ma, da quanto sembrava, ciò che gli importava era solo divertirsi in feste piene ovviamente di donne e alcol. Disgustoso.

Beatrice sbatté più volte le palpebre: a ogni secondo che passava il destino sembrava essere sempre più avverso con lei, costringendola a stare con persone che neanche avevano idea del pericolo che stavano correndo. Ma cosa andava pensando?! Il destino non esiste. In ogni caso era tutto un sogno quella situazione, quindi non doveva preoccuparsi troppo. Eppure era tutto così nitido, così vivo: non poteva essere solo una visione onirica. E se non lo fosse stato questa non poteva che essere la realtà.

Scacciò quei pensieri e si rivolse agli altri naufraghi: era sicuramente l'unica che potesse garantire la sopravvivenza di tutti gli altri e doveva portare pazienza finché la situazione non si fosse evoluta in modo migliore di così. E doveva farlo: peggio non poteva andare!

«Ora ascoltatemi. Lamentarsi e basta è controproducente. L'unico modo che avremmo per andarcene da qui sarebbe chiamare qualcuno, ma penso che nessuno di noi abbia con sé il suo cellulare».

«Io ho il mio Nokia» disse Nocenti tutto contento, prendendo dalla tasca dei pantaloni un telefono talmente datato da avere il marchio della casa produttrice totalmente sbiadito.
«Un cellulare funzionante, magari» sottolineò l'Alberti, scuotendo la testa e squadrando quel mozzo ripugnante, che invece si emozionò subito alle parole della signorina. Si esibì in un sorriso inebetito che rivolse alla giovane, avvicinandosi a lei: «Mi stai parlando!»
«Guai a te se provi soltanto a sfiorarmi!» gridò l'altra in un urlo squillante, andando a nascondersi dietro la possente figura di Crümenerl.

«Per favore!» esclamò Beatrice, cercando di attirare l'attenzione, con scarsi risultati: l'Alberti continuava a urlare contro Nocenti, che invece aveva iniziato a cantare quella che doveva essere una serenata in suo onore. Intanto Crümenerl si era rannicchiato su se stesso, dicendo che gli era partito un attacco di ansia. Non poteva mancare Mora che continuava a imprecare contro l'isola e i suoi nuovi compagni.

«Signori, datevi un contegno!» All'urlo di Beatrice tutti ammutolirono e si girarono verso di lei. La giovane era dovuta ricorrere a tutta la sua voce per attirare l'attenzione di quelli, tanto che adesso stava ansimando: almeno aveva ottenuto ciò che voleva. «Non possiamo andarcene e dobbiamo rassegnarci a rimanere qui. Per sopravvivere dovremo collaborare: non possiamo vivere per sempre solo di mirtilli, non abbiamo ancora trovato una fonte d'acqua, abbiamo bisogno di un riparo e di un posto dove dormire. Non conosciamo il posto e siamo vulnerabili. Continuare a urlarci contro a vicenda è assolutamente inutile. Per quanto possa essere difficile, dobbiamo imparare a sopportarci».

Intorno a lei era calato il silenzio. Per qualche secondo si sentì soddisfatta, essendo riuscita a mostrarsi come leader di quella compagnia sgangherata. Ma la signorina Alberti tornò a parlare: «Concordo pienamente! Tu,» indicò Heinz, «va' a prendere della legna. Voi due,» apostrofò in seguito Mora e Nocenti, «andate a procacciare del cibo. Tu, infine,» disse, per ultimo, rivolta a Beatrice, «va' a cercare qualcosa con cui possa coprirmi, ché sto iniziando a sentire freddo».

Beatrice era semplicemente allibita: quella situazione era surreale, non solo per quell'isola ma per la compagnia con cui si era trovata. Non ce la faceva più, era stanca come non era mai stata e l'ennesimo litigio l'avrebbe distrutta ancora di più.

Gli altri quattro avevano ripreso a urlare, con l'Alberti che si lamentava, Mora che le ordinava di tacere e Crümenerl e Nocenti che cercavano di non farli scontrare. Ma Beatrice ormai non ci pensava più. Si accasciò nuovamente a terra, un po' scostata rispetto agli altri, ripetendosi che era tutto un dannatissimo sogno. Quel mantra la riconciliò al sonno vero: ora sì che entrava nel mondo di Morfeo. Solo pochi istanti prima, stava ancora vivendo nella realtà.

~

Un urlo di frustrazione squarciò l'aria.

Beatrice si alzò rapidamente: era notte fonda, il cielo nuvoloso senza stelle; si era alzato un vento freddo dall'interno, a cui la giovane non badò molto, allarmata piuttosto dal rumore che l'aveva destata. Intorno a lei tutti stavano dormendo, non avendo probabilmente udito il clamore. Forse se l'era immaginato.

«È andato perso tutto! Tutto quanto!» Una voce maschile che Beatrice aveva già sentito. No, il grido era reale, come l'uomo che lo stava emettendo. Era abbastanza lontano, ma il vento era capace di amplificare ogni suono.

Furtivamente si avvicinò al luogo da dove proveniva la voce, iniziando a percorrere la spiaggia in quella direzione. Lungo il suo cammino trovò una corda e alcuni pezzi di vetroresina, unico ricordo del loro naufragio. Si legò la corda in vita, sicura che sarebbe potuta tornare utile, e riprese a muoversi, inoltrandosi appena nella foresta per potersi appostare dietro gli alberi, non più pini marittimi, ma grandi querce: non ci fece caso. Si nascose dietro una di queste, tese l'orecchio per ascoltare l'uomo e si sporse appena per riuscire a vedere quella piccola figura che camminava inquieta avanti e indietro lungo la baia.

«Mi mancava tanto così - tanto così! - per diventare ancora più potente». I folti capelli neri accompagnavano i movimenti convulsi della testa, mentre l'uomo gridava. «Dovevo soltanto consegnare i cento milioni a quell'idiota del nipote del vecchio, così sarebbe stato in debito con me e mi avrebbe lasciato fare qualsiasi cosa. Ma adesso cento milioni, settecento, diecimila, a cosa mi servono se sono costretto su quest'isola?! Maledizione!»

Beatrice era entusiasta e dovette impiegare tutte le sue forze per non gridare di felicità: lo aveva sempre saputo! Era Kyosuke Matsuda il mittente della mail che aveva scombussolato Monte Carlo la settimana precedente. I suoi sospetti erano fondati, doveva soltanto registrare il discorso del giapponese per avere le prove e consegnarle alla giustizia. Le serviva il piccolo apparecchio, dentro alla busta impermeabile che aveva cucito nell'interno della gonna del vestito.

Ma certo! Come aveva fatto a non pensarci prima! Se ne era dimenticata per la stanchezza. Ma che razza di agente segreto era diventata? Con quella sarebbero stati tutti salvi: avrebbe inviato la registrazione al quartier generale e sarebbero venuti a riportarli alla civiltà.

Tastò la gonna del vestito, percependo un piccolo oggetto duro. Strappò la cucitura e tirò fuori il mezzo di comunicazione dalla busta dentro cui era avvolto. Matsuda stava ancora parlando; avrebbe registrato finché non avesse rivelato nuovamente il suo crimine, dopodiché sarebbe tornata all'accampamento senza farsi sentire e avrebbe mandato il messaggio di SOS, insieme alla registrazione.

«Maledizione! Maledizione! Maledetta nave da crociera! Maledetta isola! Maledetto tutto!» Tra le mille maledizioni, Beatrice sentì che l'uomo si stava avvicinando al suo nascondiglio. Ma non aveva ancora detto niente che provasse la sua colpevolezza. Non poteva andarsene senza averlo incastrato. Così però rischiava di perdere anche l'ultima possibilità di tornare indietro. Avrebbe dovuto lasciar Matsuda farla franca o condannare se stessa e le altre persone sull'isola per altri cinque secondi in cui avrebbe potuto sentire le fatali parole?

Decise di aspettare.

«Che possa fottersi quel deficiente a cui dovevo consegnare quei maledetti cento milioni di Monte Carlo!» esclamò a un tratto.

Perfetto! La sua parola confermava tutto. Presto sarebbe stata salva e Matsuda consegnato alla giustizia. Già immaginava i complimenti dei suoi colleghi; solo i loro, dal momento che, essendo una spia, nessuno avrebbe mai conosciuto l'identità di colei che aveva incastrato il terrorista giapponese. Ma non importava: anche tutti quelli che la ignoravano sarebbero stati salvi, protetti da quell'individuo pericoloso. Questo era il suo compito e ciò che la gratificava più di tutto. Però una cosa che desiderava di più c'era...

«Questo è meglio che lo prenda io». Il giapponese comparve alle spalle di Beatrice, strappandole di mano l'apparecchio.

Cosa stava succedendo? Da dov'era sbucato? Fino a quel momento nessuno l'aveva mai scoperta durante un appostamento. La giovane si riprese velocemente dalla sorpresa. Piantò un gomito nello stomaco di Matsuda e riprese in mano l'oggetto elettronico, correndo subito dopo lungo la spiaggia, tenendolo ben stretto. La sabbia le frenava i movimenti e non riusciva a essere rapida come al solito. L'uomo le fu subito alle calcagna e, quando le fu abbastanza vicino, le prese il braccio con cui teneva stretto il registratore.

Beatrice si liberò facilmente da quella presa: era stata addestrata a combattimenti corpo a corpo contro persone il doppio o il triplo di quanto fosse lei. Matsuda non era neanche tanto grande, ma i suoi movimenti erano veloci, precisi e non si limitava soltanto a usare la forza bruta; non era certo un semplice inesperto riottoso. Quello che più la stupiva però era che, in tutto ciò che faceva, non cercava di farle del male ma solo di rubarle di mano il registratore: avrebbe potuto benissimo cercare di colpirla e avrebbe impiegato molto meno tempo nel suo intento. A che gioco stava giocando?!

Tentò di strapparle l'oggetto ancora altre volte ma Beatrice lo scansava sempre prima che potesse prenderlo e all'ultimo tentativo riuscì anche a scappare di nuovo.

Matsuda a quel punto le afferrò la caviglia facendo cadere la giovane sulla sabbia.
«Scusi le maniere indelicate, signorina, ma sta tenendo in mano una registrazione che non vorrei fosse resa pubblica, come può immaginare. Le propongo, dunque, uno scambio: lei mi darà quell'oggetto, così potrò cancellare la registrazione e, in cambio, appena saranno venuti a riprenderci, le concederò tutto ciò che vorrà. Gioielli, soldi, posizioni di potere... Lei chieda, e le sarà dato».

Come diavolo aveva fatto quella a eludere la sua attenzione per tutto questo tempo, fintanto da riuscire a registrarlo? Non era il momento per pensarci: non voleva rimanere bloccato su un'isola deserta e la ricetrasmittente era l'unica speranza anche per lui. D'altra parte non poteva rubarglielo e usarlo da solo: sarebbe stato alquanto sospetto che il mezzo di comunicazione, segreto per di più, non fosse con la sua legittima proprietaria. Aveva bisogno di lei.

Beatrice non glielo avrebbe mai consegnato. Avrebbe preferito restare su quell'isola per sempre pur di non rimettere in libertà un essere così spregevole. Ma al momento doveva temporeggiare, così da poter strisciare più vicino a lui, assestargli un colpo abbastanza forte da lasciarlo interdetto e legarlo con la corda che aveva preso poco prima: «E se non lo facessi?» Aveva già iniziato a indietreggiare sui gomiti.

«Sarà peggio per lei, signorina. A un certo punto, poi, non posso certo obbligarla» rispose, sempre con tono pacato, Matsuda. «Vedo, però, che si sta muovendo un po' troppo».

Che osservatore terribilmente abile! Con lui la sua abilità di compiere piccoli movimenti quasi impercettibili, furtivi e silenziosi, non funzionava. Balzò in piedi: era meglio cambiare tattica. Prese un po' di slancio con la gamba e mirò verso l'inguine dell'avversario. Matsuda prese la gamba bloccandola con entrambe le mani e, portandola in alto, fece cadere di schiena Beatrice, che non sapeva più come attaccare nuovamente.

L'uomo si chinò sulla giovane, prendendole il polso e aprendo la mano che era stretta sull'apparecchio. Dopo avergliela sottratta, tornò dritto in piedi e premette il tasto di accensione: «Cancellerò ugualmente la registrazione».

Lo schermo si accese, illuminando il volto di Matsuda e facendogli brillare due occhi di una strana tinta marrone, che subito si colorarono di terrore.
«Inviato?!» esclamò. «Come sarebbe a dire?!»

Sulla bocca di Beatrice comparve un sorriso beffardo: «Ho approfittato di un tuo momento di distrazione per mandare la registrazione ai miei colleghi. Vedendo il messaggio, riusciranno anche a localizzarci. Noi saremo liberi, mentre tu sarai processato per furto e omicidio, spedito in un carcere di massima sicurezza e marcirai lì per il resto dei tuoi giorni. Una prospettiva allettante, non trovi?»

Matsuda cercò di scappare all'interno della foresta ma cadde a faccia a terra. Notò solo ora che la giovane gli aveva legato le caviglie con una fune - dove l'aveva trovata?! - e, adesso, mentre era sdraiato, stava annodando la stessa corda attorno ai polsi, dietro la schiena.
«Così sarò sicura che non scapperai».

Fece un ultimo nodo per sicurezza, dopodiché legò un ulteriore pezzo di corda a quello che bloccava le mani del giapponese, a mo' di guinzaglio. Lo avrebbe tenuto sotto controllo finché non fosse arrivato qualcuno di più competente. Adesso doveva tornare al luogo di prima, così, quando fossero giunti i soccorsi, sarebbero stati salvati tutti quanti.

Strattonò Matsuda perché la seguisse ma quello oppose resistenza.
«Se non se n'è accorta avrei i piedi legati, il che mi rende piuttosto arduo alzarmi e camminare» disse lui, commentando la situazione in modo sarcastico; tutta la frustrazione che stava provando per la sconfitta non l'avrebbe mai data a vedere: non le avrebbe lasciato anche questa soddisfazione.
«Non importa; striscerai, verme che sei, ti si addice molto di più».
«Ah, ci diamo del tu? Va bene, come vuoi. Te lo chiedo gentilmente: lasciami alzare; dopotutto, anche se fuggissi, dove potrei andare? Quest'isola sarà minuscola e i tuoi colleghi mi troveranno subito, no? E, in ogni caso, non scapperei».
«No». Quella negazione non ammetteva repliche. Iniziò a trascinarsi dietro Matsuda, che se non voleva cadere nuovamente con la faccia sulla sabbia doveva rassegnarsi a spostarsi all'indietro sulle ginocchia.

Finalmente arrivarono nel luogo di prima: si poteva riconoscere dal forte russare emesso da Nocenti. Matsuda era stremato ma le sofferenze per lui non erano ancora finite quella notte. Beatrice lo sbatté contro un pino marittimo e lo legò in modo saldo: da lì certo non si sarebbe mosso.

«Tratti con così tanta gentilezza tutti i tuoi prigionieri?» chiese Matsuda sempre sarcastico anche se dolorante: far ammattire quella giovane spia che prendeva così seriamente il suo lavoro sarebbe stato il suo principale divertimento su quella dannata isola. «Gli altri agenti segreti ti dovrebbero soprannomire Signorina magnanima. Potresti davvero tenerlo in considerazione come nome in codice. Senti, senti: Qui è la Signorina magnanima, mi sentite?» disse infine, imitando una vocina poco virile.

Beatrice continuò a ignorarlo: era l'unica soluzione. Si sarebbe presto stancato anche lui: bastava solo aspettare e se c'era una qualità che la giovane possedeva era proprio la pazienza. Era solo un caso che quel giorno l'avesse persa così facilmente. Colpa di quell'isola senza senso che le faceva perdere la testa: la mancanza di pazienza, la distrazione e il dimenticarsi il suo unico strumento di salvezza erano tutti dovuti a quella maledetta isola. "Soltanto pochi giorni" si ripeteva, "e sarai di nuovo in Inghilterra". Dopotutto, ormai, era salva.

«Ma chi è che parla a notte fonda?!»
Le inutili chiacchiere di Matsuda avrebbero anche non disturbato Beatrice, ma non tutto il resto della comitiva. Mora si era appena svegliato a causa di queste e già aveva ripreso a lamentarsi.

«Ecco! Ora sono sveglio e non riuscirò più a riaddormentarmi!» sbottò il pilota, girandosi dall'altro lato. «E questo qui chi è?! E perché è tutto legato?!» aggiunse poi, vedendo il nuovo arrivato.

«Spiegherò domani, così non dovrò ripeterlo altre dieci volte». Beatrice lanciò un'occhiataccia a Mora per intimarlo a tornare a dormire o, per lo meno, a tacere. Ma ormai il guaio era stato fatto.

«Avete forse idea di che ora sia?!» si era svegliata anche l'Alberti che, realizzata la situazione, iniziò a provare un turbine di emozioni contemporaneamente: pur essendo irritata per essere stata svegliata a tarda notte, aveva visto che era ricomparso il signor Matsuda. Era un miracolo! Da adesso tutto sarebbe andato per il verso giusto, grazie alla sua magnifica presenza. Ma perché era legato?

«Che succede?!»
«Che palle! Stavo facendo un bel sogno con le veline di Striscia!»

La situazione degenerò, ovviamente, in pochi istanti e in men che non si dica si ritrovarono in mezzo al baccano più totale. Matsuda vide la faccia esasperata della giovane spia e si rallegrò immediatamente: era lei quella che cercava di tenerli in riga, ma con scarsi risultati, così la vicenda risultava a dir poco esilarante. Sogghignò: finché non fossero venuti a prenderlo, avrebbe goduto di questa vista fino allo sfinimento, mentre avrebbe provato a uscire dal suo stato di prigionia.

Beatrice dopo aver imposto il silenzio, non avendo voglia di raccontare tutto, spiegò solo che sarebbero venuti i soccorsi e che li avrebbero portati via dall'isola. Urla di gioia partirono da tutti i suoi compagni, tranne Nocenti, indignato dal fatto che il suo bel sogno fosse terminato.

Al contempo erano piuttosto perplessi per il fatto che il giapponesse fosse comparso dal nulla, per di più legato a un albero; vedevano chiaramente, poi, l'astio con cui Beatrice lo stava guardando. Ma cosa significava tutto questo?
«Signorina, io però non ho ancora capito perché il signor Mazda sia legato a un albero» chiese Crümenerl.

Il giapponese si illuminò, affrettandosi a rispondere: quella poteva essere la sua occasione! «In primo luogo, è Matsuda; al tuo quesito invece non saprei rispondere. Non è ancora chiaro nemmeno a me» mentì il giapponese: se fosse entrato nelle grazie di quegli altri quattro disgraziati, che non sembravano brillare di intelligenza, fingendosi una vittima e portando la spia dalla parte del torto, avrebbe potuto organizzare un piano, una volta tornato in continente, per scagionarsi facilmente dalle accuse, utilizzando le false testimonianze che avrebbe fornito ai quattro. Le indagini in seguito sarebbero continuate, ma avrebbe assunto un'identità falsa, oppure si sarebbe fatto ricambiare il favore dei cento milioni, o, ancora, gli sarebbe venuta in mente qualche altra strategia e sarebbe tornato in libertà, cercando un altro modo per accrescere la sua influenza nei rapporti di potere.

Guardò di sottecchi Beatrice. "Povera illusa!" pensò tra sé. "È ancora così giovane - avrà appena vent'anni - e non ha ancora capito quanto marcio sia il mondo. Crede ancora che si possa fare qualcosa per migliorarlo, che la giustizia possa prevalere sull'ingiustizia. Ma i potenti non faranno mai niente per soddisfare il desiderio suo e di tanti altri giovani: dopotutto è conveniente così".

Matsuda avrebbe quasi voluto dirglielo, per evitare che si ritrovasse dopo qualche anno a realizzarlo da sola e a soffrire per questo. Lui stesso odiava il mondo per questi e mille altri motivi, ma, siccome era costretto a viverci, che almeno stesse dalla parte dei vincenti. Se la giovane avesse seguito il suo esempio, forse non avrebbe vissuto nella felicità, ma per lo meno non avrebbe dovuto sopportare la continua, estenuante frustrazione che prova il perdente. Ma a che pro tutto questo? Il giapponese scacciò in fretta quel pensiero: se anche gliel'avesse detto, lei non lo avrebbe mai ascoltato, continuando a raccontarsi la menzogna della giustizia.

«Ha sottratto a un casinò cento milioni di euro per certi suoi loschi affari e mandato una mail terroristica che minacciava una sparatoria nella quale sono state davvero coinvolte due persone. Non avete sentito tutte le notizie che ci sono state nel corso della settimana?!» La risposta secca di Beatrice risvegliò Matsuda dai suoi pensieri: si vedeva che non ne poteva più dei suoi compagni di sventura, pur non essendo trascorso neanche un giorno. Poteva essere utile per lui quella situazione così tesa.

«O non sa cosa sta dicendo o mi vuole incastrare» iniziò, sfoderando le sue ottime doti di attore. «Vi prego, datemi retta: sono completamente innocente, un naufrago proprio come voi. Vorrei provarvelo in qualche modo ma purtroppo mi è impossibile. La signorina qui a fianco è di gran lunga superiore a me per astuzia ed è riuscita a mettermi con le spalle al muro, senza che io possa avere qualche giustificazione da fornire. Poco fa, sulla spiaggia, puntandomi addosso un coltello, che in seguito mi ha nascosto nella camicia per farmi sembrare un individuo pericoloso, mi ha costretto a registrare un audio in cui mi autoincolpavo del crimine di cui mi accusa. Io che potevo fare? Non ho ancora compreso i motivi per cui mi stia facendo tutto questo ma saranno sicuramente legati al suo tornaconto. Datemi ascolto, sono innocente!»

Il discorso di Matsuda aveva fatto comparire sul volto di tutti i presenti un'ombra di incredulità e stupore. I tre naufraghi, escluso Nocenti, a cui la situazione non importava molto, si lanciavano occhiate a vicenda, convinti più da quell'affabile giapponese che dai comportamenti secchi e irritati di Beatrice.

Quest'ultima invece lo squadrò con un'aria truce, che il giapponese ricambiò con un sorriso amichevole. Lo detestava. Non c'era altro da dire: lo detestava con tutta se stessa.

«Quanti problemi vi fate!» Fu Nocenti alla fine a rompere il silenzio teso che si era creato. «Adesso ho sete, e non mi importa molto se siete assassini, ladri o altro. Sto morendo di sete!»

«È vero: è da ieri che non beviamo un goccio d'acqua» anche Heinz si aggiunse. «Non possiamo rimanere ancora a lungo senza, però! Moriremo disidratati prima dell'arrivo dei soccorsi».
«Come sarebbe a dire moriremo?!» La solita reazione eccessiva dell'Alberti non tardò ad arrivare e il panico prese, per l'ennesima volta, il sopravvento. Beatrice intanto sogghignava: "Vediamo il genio come se la cava a tenere buona questa massa di beoti".

«Signori, signori, calmatevi, per favore». Con il suo solito tono tra l'affabile e il sarcastico, Matsuda prese in mano la situazione riuscendo a far calare il silenzio al primo colpo. Beatrice lo guardò sbalordita, sentendosi sempre più sconfitta: quando doveva essere lei a placare questo genere di vicende era costretta a sgolarsi per almeno dieci minuti prima di essere ascoltata. Il giapponese non si era nemmeno scomposto e già tutti pendevano dalle sue labbra. «Ho già trovato una fonte d'acqua, non molto lontano da qui. Vi chiederei solo di slegarmi, così da poter mostrarvi il posto».

Mora, senza neanche pensarci, si precipitò su Matsuda e strappò la fune che lo teneva legato, liberandolo in pochi secondi.
«Ma cosa stai facendo?!» Beatrice era su tutte le furie e più la sua rabbia cresceva più aumentava il sorrisetto beffardo del giapponese. Non avrebbe dovuto arrabbiarsi, ma come poteva mantenere la calma con quattro individui simili?! «Questo tizio è pericoloso e per scappare non esiterebbe a uccidere uno di noi: ha detto lui stesso di avere un coltello! L'acqua potevamo trovarla anche senza di lui. La corda invece ci sarebbe potuta servire in altre occasioni, ma adesso è inutilizzabile!»

«Risparmia il fiato, mia cara». Matsuda intanto si era alzato in piedi e le aveva appoggiato una mano sulla spalla. «Ti verrà ancora più sete così».

Le strizzò l'occhio, tirandole un buffetto su una guancia, il cui colore aveva iniziato ad arrossarsi sempre di più. Doveva calmarsi, doveva calmarsi, continuava a ripetere dentro di sé. I soccorsi sarebbero arrivati al più presto e, in un modo o nell'altro, sarebbe riuscita a incastrare Matsuda: le bastava solo tornare nel mondo reale.

La signorina Alberti intanto guardava estasiata il giapponese che si sgranchiva la schiena, lasciando intravedere la muscolatura sotto la camicia: aveva sempre saputo che sarebbe venuto a salvarla. Adorava poi come riusciva a tenere in mano la situazione e a spiazzare quella giovane inglese arrogante: se lo meritava proprio. Quando fossero tornati, lo avrebbe invitato a passare un po' di tempo insieme a Villa Alberti; già fantasticava su cosa sarebbe accaduto.

Gli altri tre uomini si sentivano tranquillizzati dalla presenza di Matsuda: non era il tipo freddo che avevano pensato fosse quando erano sulla crociera, ma sembrava avere un carattere piuttosto disponibile. Inoltre, il suo discorso era lineare e schematico: non poteva davvero aver mentito!

Beatrice rivolse un altro sguardo al giapponese: era davanti al gruppo e tutti cercavano di fargli un complimento o ringraziarlo. E dire che anche lei aveva provato a sistemare la faccenda ma mai nessuno aveva nemmeno cercato di ascoltarla. Glielo avevano detto: era estremamente professionale come spia agendo da sola, ma non aveva la stoffa da leader. Riusciva a superarla in questo anche uno sporco criminale. Il suo morale era a terra, ma non si sarebbe lasciata sconfiggere così. Avrebbe visto Matsuda dietro le sbarre, a ogni costo.

La pozza si trovava vicino a dove Beatrice aveva incontrato Matsuda. Era un piccolo lago, circondato da querce, abeti e betulle: un ameno paesaggio di montagna. L'acqua cristallina risplendeva sotto la luce della luna che era appena comparsa da dietro le nuvole. Tutti quanti sprizzavano felicità, avendo trovato sia il cibo che l'acqua: non sarebbero morti e stavano per andarsene da quell'isola. Non poteva andare meglio!

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Spazio autrici:
Da qua inizia la storia vera e propria. Ci scusiamo per i capitoli chilometrici ma noi tendiamo a farli come se fosse un libro vero. Nel caso fossero troppo lunghi non sentitevi certo obbligati a leggerli tutti di un fiato (;. Ma arriviamo alla storia: che ne pensate di questi personaggi che stanno iniziando a essere delineati? Mmm forse delineati non è il termine giusto, ma tirare una psicologia di certuni (e sapete già a chi mi sto riferendo 😂) è un po' difficile. Scherzi a parte, l'Alberti, Nocenti, Mora e Crümenerl sono volutamente poco caratterizzati. Per ora vedeteli come un elemento divertente, poi si vedrà. Noi non spoileriamo nulla. E di Beatrice e di Matsuda invece che ci dite? Loro dovrebbero essere caratterizzati, ma questo sta a voi valutarlo: noi speriamo di aver fatto un lavoro decente alla seconda stesura 😂
Detto ciò non vi importuniamo oltre e vi aspectiamo al prossimo cap!
~🐼🐢

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