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Bellatrix aprì lentamente gli occhi ancora intorpiditi dal sonno notturno, per poi fissare con lo sguardo perso la parete della caverna. Rimase in quella posizione, sdraiata supina con le braccia aperte e rilassate per diverso tempo, senza compiere alcun movimento, solo concentrandosi sul suo respiro regolare. Infine sorrise: finalmente, da quando era giunta sull'isola, non sentiva più alcuna traccia di agitazione in lei.

Un po' riluttante ad alzarsi dal giaciglio di erbe secche, alla fine cedette e si pose seduta, senza fare molto caso allo spazio spoglio intorno a lei: l'altro ammasso di sterpaglie simile al suo le era davanti, i coltelli erano radunati al centro dell'ambiente e dal falò spento da ore non si librava neanche un fumo leggero e quasi invisibile. Nulla era cambiato dall'assetto che si era ritrovata intorno dieci giorni prima, quando si era svegliata dopo quella settimana infernale: non aveva motivo di essere inquieta.

Arricciò le dita dei piedi. "Menomale". Chissà se un giorno la paranoia che potessero a un tratto sparirle di nuovo e che dovessero ricrescere l'avrebbe abbandonata. Non avrebbe sopportato ancora tutto il male provato, da quando le erano stati tagliati fino alla loro completa ricrescita, processo forse più doloroso della recisione stessa.

E i problemi che ne erano derivati perduravano: erano trascorsi dieci giorni e non era ancora tornata in pieno possesso delle sue facoltà, e in particolare quella motoria. Gettò un'occhiata ai piedi, il cui candore e perfezione suggeriva come riuscissero appena a sostenerla e a permetterle di muoversi. Almeno, questo valeva fino al giorno precedente.

"Oggi la tua andatura era quasi normale: sono sicuro che domani sarà ancora meglio". Confidava solo che Mijime avesse ragione: non ne poteva più di stare tutto il giorno seduta, se non era aiutata dal compagno. Si mise in ginocchio e con cautela si appoggiò prima su un piede e poi su un altro, sempre rimanendo accucciata; infine, si alzò lentamente, tenendo le braccia aperte fino ad aver trovato una certa stabilità.

«Mijime! Ci sono riuscita!» esclamò involontariamente, all'apice della felicità, ricordandosi subito che Mijime non era lì, uscito probabilmente per andare a provvedere qualche provvista. Per tutte le volte in cui era di troppo, proprio allora doveva mancare? Bellatrix sbuffò, senza lasciarsi sopraffare a lungo dalla delusione per l'assenza dell'amico: una volta tornato, avrebbe visto con i suoi occhi la sua completa guarigione. Chissà che faccia avrebbe fatto. Non vedeva l'ora di scoprirlo!

Sogghignando tra sè, mentre meditava già a quale fosse il modo migliore per dare al compagno la grande notizia, sovrappensiero, iniziò a camminare verso l'uscita della grotta, da cui provenivano i raggi del sole, che l'attiravano come fa una lanterna con le lucciole. Senza che se ne accorgesse, dinanzi ai suoi occhi, volti all'insù nella sua espressione giocosa, comparve la limpida volta celeste, incastonato nella quale stava l'astro più luminoso del cielo. Alla giovane passò di mente Mijime, persino la condizione che aveva riacquisito: il sole era l'unico elemento che la interessava. Provò a tendere una mano verso la stella, quasi potesse racchiuderla al suo interno. L'istante successivo si ritrovò a ridere.

"Ma quanto sono ingenua! Finirò solo per accecarmi, continuando a guardare così il sole". Appoggiò la schiena alla parete esterna della grotta, distogliendo la sua attenzione dal cielo e volgendola più in basso: il sole illuminava un'estesa foresta, i cui orizzonti l'occhio si perdeva a rimirare, mentre sovveniva l'umana curiosità. E al di là? Cosa si nasconde? La giovane gettò un'occhiata svelta all'antro: ora che era guarita, la loro permanenza in quel luogo sereno ma troppo stretto non poteva protrarsi a lungo.

Colta da un'improvvisa frenesia, corse di nuovo nella grotta, ispezionandola per trovare qualcosa che facesse al caso suo. Se voleva convincere Mijime a ripartire, non le sarebbe bastato mostrargli che era tornata a muoversi da sola, ma avrebbe dovuto fargli capire che aveva davvero riacquisito le sue facoltà fisiche: adempiere a qualche mansione, che fino ad allora si era addossato il giovane perché lei rimanesse in uno stato di riposo assoluto, poteva essere la scelta giusta.

Individuata accanto al falò la frutta avanzata dal giorno precedente, andò a sedersi accanto alle pietre che circondavano il cumulo di rametti e iniziò a lavare e a tagliare le polpe succose, disponendone i cubetti su una corteccia di legno. Mijime si sarebbe ritrovato la colazione pronta, un piccolo passo per accingersi a saldare il debito che Bellatrix, per quanto dissimulasse, sentiva di avere nei confronti di quel giovane che non aveva mai smesso di starle vicino, di curarla, di esortarla a non lasciarsi sopraffare dallo sconforto. No, una colazione non sarebbe certo bastata per ringraziarlo.

Un rumore all'esterno di passi fece sorgere sul volto della giovane un grande sorriso. La colse l'impulso di correre da lui per mostrargli che si stava reggendo sulle sue gambe, ma si trattenne: sarebbe stato molto più divertente contemplare il suo volto stranito non appena l'avesse vista intenta a preparare la colazione.

E un certo stupore, per quanto come sempre contenuto dall'imperturbabilità del suo irritante amico, fu proprio la prima emozione che colse negli occhi di Mijime, che aveva appena solcato l'entrata con un paio di animaletti indistinti e il suo fidato coltello, del tutto insanguinato, tra le mani.

«Già sveglia?» chiese, cercando di mostrarsi disinteressato, mentre deponeva arma e prede.
«Cosa ti aspettavi?» disse lei di rimando, con un sorrisetto di sfida. «Ormai sono tornata completamente in forze e non ho intenzione di adagiarmi sugli allori».

«Finché ne hai la possibilità potresti coglierla...» sottolineò scherzosamente Mijime, facendo roteare gli occhi, per poi posarli sulla corteccia dove Bellatrix aveva posto la frutta tagliata. «Appunto...»

«Lo so, non è molto...» mormorò la giovane, imbarazzata per non essersi sforzata di pensare a qualcosa di meglio. «Però non sapevo cosa fare e tutto quello che mi è venuto in mente è stato questo».
«Non scusarti, hai fatto anche troppo» le sorrise l'altro, mentre le si sedeva di fronte. «Non lo disprezzo affatto: non ho ancora mangiato nulla oggi, quindi grazie».

Bellatrix aspettò che l'altro si servisse, per poi avventarsi sulla sua parte: doveva fare scorta di molte più energie se voleva sostenere il viaggio che avrebbero compiuto; dopotutto, non c'era dubbio che sarebbe riuscita a convincere il compagno sulla sua idea di abbandonare la loro ultima base.

Intanto, il tono di Mijime, che non aveva smesso di parlare, si era fatto interrogativo. Saranno state sicuramente le solite trecento domande con cui ogni mattina si accertava del suo stato di salute, verso cui aveva iniziato a covare un'attenzione quasi maniacale. La giovane non badò neanche ad ascoltarlo, limitandosi ad annuire o a rispondere con dei meccanici "sì".

«Bellatrix?»
La giovane sollevò il capo, notando nel compagno un'aria un po' infastidita.
«Uhm... sì?» fece, la bocca ancora piena, abbozzando un sorriso per ingraziarselo già, qualsiasi cosa avesse da dire.
«Mi stai ascoltando?»
«Sì».
Mijime chiuse gli occhi e prese un respiro. «Ti ho domandato se questa notte tu abbia avuto dei sintomi e tu hai risposto "sì". Quindi, se uno ti chiede quali siano stati questi sintomi, tu rispondi "sì"?»

Seguirono diversi istanti di silenzio, in cui Bellatrix realizzò lo sproposito. «Sì» rispose poi con un sorrisetto titubante, serrando più forte le labbra per non scoppiare a ridere.
Mijime scosse la testa, sconfortato. «Siamo in vena di scherzi?»
«Sì» ripeté, non riuscendo però a trattenersi ancora e piegandosi in due.

Il suo compagno però non sembrava toccato dalla stessa ilarità, e anzi la osservava scrupolosamente con un certo cipiglio, misto a sincera premura.

«Mijime, sto bene, non devi preoccuparti» ribadì Bellatrix, mentre già prendeva un respiro profondo per prepararsi alla proposta che le premeva. «A questo proposito, dovremmo ripartire il prima possibile». Vedendo l'espressione allibita del giovane, si affrettò subito ad aggiungere: «Con tutte le precauzioni del caso ma comunque il prima possibile».

«Mi fa piacere che tu abbia iniziato a riflettere». Una punta di irritazione segnava il suo tono. «Però finché non sarai totalmente...»

Bellatrix sbuffò, a sua volta infastidita, mettendosi in ginocchio e ripetendo la manovra per alzarsi, cercando di eseguirla velocemente.

«Cosa stai facendo?» esclamò il giovane, stranito, com'era da aspettarsi: soltanto la mattina precedente le era servito il suo aiuto per tirarsi in piedi.
«Ti mostro che ce la posso fare» affermò con forza Bellatrix, che era riuscita a sollevarsi quasi del tutto. «L'unico problema è ancora alzarsi ma quando sono in piedi... ecco» disse, poi, dopo aver trovato una posizione stabile, allargando le braccia con un sorrisetto soddisfatto. «Visto? Ce l'ho fatta, completamente da sola. E guarda ancora» richiamò l'attenzione del compagno, per poi iniziare a sfoggiare un'andatura normale. «Cammino alla perfezione. Non solo "quasi" come ieri».

Continuando a scorgere sul viso di Mijime un'ombra di perplessità, fece anche una piroetta su se stessa, concludendola con un saltino: nemmeno tutta l'energia che sentiva di avere riuscì a convincerlo. Bellatrix buttò la testa all'indietro, non sapendo cos'altro fare per dimostrargli che si era rimessa del tutto.
«Mijime, sono passati dieci giorni» gli fece notare, con la voce scoraggiata. «Non possiamo aspettare che trascorra un anno intero. Dobbiamo andare dal Vulcano, prendere i poteri, tornare dagli altri del clan e iniziare davvero a impegnarci per cercare il tesoro». Ma era certa che fosse solo questo a renderla tanto smaniosa di rimettersi in viaggio?

Il giovane continuava comunque a sembrare dubbioso.
«Ne sei proprio sicura?» chiese, giusto per essere certo. «Non sarebbe meglio partire tra una settimana, quando saremo davvero certi del tuo miglioramento? Ormai, con tutti gli imprevisti che abbiamo avuto, cosa cambia giungere dal Vulcano sette giorni prima o sette giorni dopo?»

Sul volto di Bellatrix però, per tutta risposta, si formò un sorrisetto insinuante: non avrebbe voluto sfoderare quell'arma, ma Mijime la stava costringendo a farlo. «Da quando tutta questa preoccupazione?»
«Da quando ho dovuto controllare che non morissi per tutto il tempo che siamo stati là sotto» rispose serio Mijime, rivolgendole un'occhiata di rimprovero, per poi aggiungere, tagliente: «Non vorrei che i miei sforzi risultassero vani».

«Sarà che è solo per questo...» continuò la giovane, sempre più provocatoria.
«Va bene, partiamo oggi pomeriggio» tagliò corto Mijime.
«Davvero?» esclamò la giovane, falsamente stupita: era sufficiente fare leva sulle eccessive premure che stava dimostrando nei suoi confronti perché i suoi piani riuscissero alla perfezione.

"E se ciò che insinuassi solo per dargli fastidio fosse vero?" Non poteva nascondere a se stessa che quel pensiero avesse iniziato un poco a stuzzicarla. Ma era inutile fantasticare troppo: le sue attenzioni erano dovute al fatto che le loro vite fossero legate, che, al mancare di una, ci sarebbero state più probabilità di venir meno anche per l'altra. E Bellatrix sapeva quanto Mijime tenesse alla sua vita. Era già tanto che fossero diventati amici: ormai infatti non sapeva più che altra definizione dare al loro rapporto, se non quella di una bella amicizia.

«Mi hai convinto... Fa' in modo che non cambi idea» continuò Mijime, evasivo, per poi illuminarsi in un attimo. «Comunque ci sono anche delle ottime notizie. Visto che ora hai le gambe buone, puoi osservarle tu stessa».

Si alzò in piedi, dirigendosi verso l'uscita, seguito celermente da Bellatrix, che non aveva idea di cosa volesse intendere l'amico con quella frase enigmatica. Appena fuori, invece che proseguire dritto, come faceva ogni giorno per recarsi a caccia o a prendere l'acqua, svoltò a destra, dove, poco più avanti, il passaggio era ostruito da una fittissima vegetazione: scostò la fronda di una delle piante più basse e fece in modo che la giovane potesse guardare ciò che si presentava dall'altra parte.

Bellatrix rimase incantata: la radura davanti a lei, che continuava ancora per un tratto, sovrastata dall'alta e imponente figura di Robero, solo, senza altre montagne intorno, che si ergeva dinanzi a loro, in una maestosità inimmaginabile.
«E me lo dici solo ora?!» esclamò, saltellando per la gioia che cresceva di più di momento in momento.

«Le emozioni forti avrebbero potuto nuocere al tuo stato di salute e-» iniziò a giustificarsi Mijime, ridacchiando per la sua reazione di stupore.
«Ma taci un po'» lo interruppe Bellatrix, saltandogli improvvisamente al collo e abbracciandolo.

Senza smettere di sogghignare, ricambiò anche lui la stretta, ma subito la giovane si scostò imbarazzata, accortasi dell'ultima azione eccessivamente eccentrica.
«Oh, scusa» mormorò, avvampando.
«Non mi scandalizzo per così poco» proferì Mijime, con un'occhiata beffarda, ma tornando presto serio. «Bene, se vuoi andare a riposare un po', hai ancora qualche ora. Dopo non ne avrai più l'occasione. Conto di arrivare stasera alle pendici di Robero».

~

«Siamo quasi arrivati!» esclamò euforica Bellatrix, guardando le dimensioni ormai raddoppiate del Vulcano, rispetto a quando erano partiti.
«No, è solo un'impressione» sentì replicare da dietro Mijime, annoiato, mentre stavano per addentrarsi di nuovo tra la vegetazione.

«Dai, potresti essere un po' positivo per una volta» lo spronò lei, quasi avessero invertito i ruoli. «Ma ci credi che stiamo davvero per ottenere i poteri! Dopo tutto quello che abbiamo passato, finalmente ci stiamo riuscendo!»

Mijime non ribatté. «A proposito, che genere di poteri pensi che otterremo?» continuò la giovane. Si era preparata una serie di domande in merito, curiosa di sapere l'opinione dell'amico. Lei, dal canto suo, era piuttosto emozionata per quello che stava per accadere.

«Non ho aspettative. Anzi, non penso nemmeno di riuscire a ottenerli» rispose lapidario Mijime, deludendo un po' la giovane: adesso che stava andando tutto così bene, perché non riusciva a essere felice?
«E perché?»
«Il mio nome non porta con sé un significato di buon augurio» mormorò, senza sbilanciarsi troppo ma lasciando comunque trapelare una nota malinconica.

Ancora il nome... Doveva essere davvero tremendo il senso di quella parola o il ricordo che vi stava dietro, se ancora non riusciva a distaccarsene. La curiosità di scoprire quel segreto cercava di spingere per uscire dall'animo di Bellatrix, ma la giovane la trattenne: non era il momento. Doveva piuttosto cercare di aiutarlo, per quanto poteva.

«Non dovresti concentrarti sul nome per tutto ciò che accade. Porterà anche un messaggio di malaugurio, ma non è certo quello che ti identifica: a farlo sono le tue scelte, i tuoi comportamenti, le tue idee» disse, il sorriso sulle labbra e le parole che uscivano spontanee. «Per questo posso dire che sei molto più di uno stupido nome».

Mijime non rispose di nuovo.
«Lo so, non dovrei parlare, io che sono stata chiamata come una stella» specificò subito. «Però quello che ho detto lo penso davvero».

Ancora nessuna risposta.
"Starà bene?" Forse era solo in una fase di riflessione e non voleva essere disturbato. Prima o poi, comunque, la sua voce si sarebbe fatta sentire di nuovo, magari per cambiare argomento e scherzare o provocarla, come sempre. Proseguì, mentre il desiderio di conoscere qualcosa in più, che prima era riuscita a reprimere, tornava alla carica, ben più battagliero di prima.

«Senti, sono troppo indiscreta se ti chiedo il suo significato? È da quando te lo hanno assegnato che ho questa curiosità: avevi cambiato immediatamente atteggiamento dopo che le fate lo avevano pronunciato...»

Non ricevendo ancora nessuna reazione, si spazientì. «Ma come sei permaloso! Potresti anche dirmi un semplice "non voglio rispondere", mica mi offendo...»
Si fermò per girarsi indietro, già pronta a rimproverargli quell'atteggiamento e rassicurarlo che, qualsiasi cosa le avesse detto, non lo avrebbe giudicato o biasimato. Ma non poté fare nulla di tutto ciò, non tanto perché le mancassero le parole o la voglia di cominciare un discorso, quanto un interlocutore.

Mijime era scomparso.

Bellatrix iniziò a guardarsi intorno, attonita, continuando a non trovare traccia del giovane. Non poteva essersi volatilizzato: fino a pochi istanti prima era stato dietro di lei, le aveva parlato, aveva sentito i suoi passi che la seguivano. Dov'era finito?

«Mijime?» lo chiamò, quasi d'istinto, pur consapevole che nessuna risposta sarebbe tornata indietro. Il silenzio che seguì la fece raggelare. Improvvisamente la foresta sembrava essere diventata molto più fitta e oscura, gli alberi più grandi, gli sporadici rumori della fauna più grotteschi. Il battito del suo cuore iniziava ad accelerare, attanagliato da un'ansia irrefrenabile.

Si sbatté una mano sulla fronte per cercare di riprendere il controllo di sé; non doveva lasciarsi prendere dalle emozioni per l'ennesima volta: da quando era sull'isola erano sempre state quelle a guidarla e lei si era sempre comportata da sciocca. Non poteva permetterlo ancora.

Respirò profondamente, provando a scacciare l'inquietudine: era completamente sola in un luogo che non conosceva e si stava verificando una situazione fuori da ogni logica; non aveva idea di cosa stesse succedendo e nemmeno poteva prevedere cosa sarebbe accaduto. Tuttavia, con lei aveva ancora alcuni coltelli per difendersi da eventuali attacchi; quello che le mancava per sopravvivere erano solo acqua e cibo, ma non avrebbe fatto fatica a procurarseli: poteva ancora tornare indietro, alla loro caverna. Con ogni probabilità anche Mijime si era ritrovato nella medesima circostanza e, ragionevolmente, avrebbe preso la stessa decisione. Si sarebbero ritrovati alla grotta: evidentemente non era destino arrivare al Vulcano quel giorno.

E se non l'avesse ritrovato? E se gli fosse successo qualcosa di grave? E se stesse aspettando il suo aiuto?

Se anche fosse successo quello che le sue emozioni le volevano far credere, lei non avrebbe potuto farci niente. Anzi, provando ad andare a salvarlo non avrebbe fatto altro che mettere in pericolo anche se stessa. Tutto ciò che doveva fare era, semplicemente, tornare alla caverna.

Mosse qualche passo nella direzione opposta rispetto a quella in cui si era voltata poco prima, senza ascoltare le mille paranoie insinuate dalla parte emotiva. Sotto i suoi piedi una lastra fredda e liscia. Fece un balzo per lo stupore e guardò subito sotto di sé: stava calpestando il terreno della foresta. Che scherzi le stava facendo la testa? Eppure le pareva davvero di aver sentito una sorta di pavimento...

Scacciò quei pensieri, conferiti soltanto dall'agitazione, e proseguì, cercando di non prestare attenzione alla selva, che, pian piano, diventava sempre più scura e buia. Al suo interno si sentiva così piccola e indifesa: sembrava che, tutto d'un tratto, il suo fisico si fosse rimpicciolito. Ma anche questa doveva essere solo una sua impressione.

Proseguendo, gli arbusti non diventavano solo più grandi e scuri, ma prendevano anche un colore diverso, introvabile in natura. E quella era l'unica sfumatura che le sembrava di cogliere, un grigio-verde così noto solo per averlo visto innumerevoli volte durante l'infanzia. La riportava a pensieri e momenti felici. Ma intanto l'opprimeva l'ansia di essere rimasta sola, di aver perso il suo unico compagno, di non avere più nessuno per davvero.

Il buio in cui era immersa continuava a sovrastarla, e portava con sé un incombente presagio di sventura. Il cuore di Bellatrix batteva sempre più forte: la razionalità, pur avendo resistito con tutte le sue forze, l'aveva totalmente abbandonata e la sua unica speranza risiedeva nel fatto che stesse solo sognando.

Una luce.

La giovane neanche ci pensò: corse alla sua volta a testa bassa, pregando di raggiungerla al più presto. Avrebbe fatto qualsiasi cosa, pur di sfuggire a quella soffocante oscurità.

La vegetazione continuava a mutare, ma Bellatrix non ci faceva più caso; ne percepiva soltanto il colore, che diventava sempre più simile al grigio-verde che le era parso di vedere poco prima. Non badava nemmeno alla consistenza fredda del pavimento su cui stava correndo: era totalmente impossibile e si era ormai convinta che fosse tutto frutto della sua immaginazione. Quando fosse uscita da quella foresta sarebbe riuscita a riappropriarsi dei suoi sensi.

Improvvisamente si fermò e tornò a guardarsi intorno: le mancò per un attimo il respiro, vedendo dove era capitata. La penombra permeava quel luogo e la giovane faticava a distinguere bene le cose intorno a lei, ma era stata lì talmente tante volte che lo avrebbe riconosciuto anche senza la minima presenza di luce. Un breve corridoio simmetrico, pitturato dell'inconfondibile grigio-verde, con due porte da una parte e due dall'altra; si apriva su un altro ambiente illuminato, che Bellatrix non vedeva ancora pienamente ma che già poteva immaginare.

Non poteva essere davvero lì. Fino a pochi istanti prima era su un'isola situata chissà dove: come aveva fatto ad arrivare in quel luogo? E come aveva fatto a tornare indietro nel tempo? Era impossibile che quell'ambiente fosse ancora così, a distanza di anni.

I vasi con le orchidee erano ancora al loro posto, tra le due porte a destra, e i fiori erano rigogliosi. Alcune foto tappezzavano la parete tra un uscio e un altro: tutte avevano come soggetto principale una bambina minuta e graziosa, sempre con un sorriso smagliante e una massa indomabile di ricci scuri. Una profonda nostalgia la assalì. Vi si avvicinò, limitandosi a osservare con cura quelle in basso: quelle di sopra erano troppo in alto per lei.

Nulla era cambiato dall'ultima volta in cui era stata lì, nemmeno la sua percezione dello spazio. Ma non era possibile, non era più una bambina. Giusto? Quasi per scaramanzia volse gli occhi verso il basso, restando a bocca aperta non appena vide lo stesso corpicino minuto della protagonista delle foto, coperto da una leggera camicia da notte, con stampati sopra due orsetti: era sempre stata la sua preferita. No, no, quell'indumento non poteva aver rimpiazzato il suo abito lacero e, soprattutto, lei non poteva essersi rimpicciolita! L'angoscia si impossessò di nuovo di lei e corse via, come se potesse sfuggirvi, verso l'unica fonte di luce visibile.

«Buongiorno, stellina. Hai dormito bene?»

Quella voce. L'incredulità di Bellatrix, ormai, non poteva raggiungere livelli superiori. Si voltò lentamente fino a trovarsi faccia a faccia con colei che aveva appena proferito parola. Al centro del piccolo ambiente pulito e luminoso, su una poltroncina un'anziana signora con i corti capelli bianchi la guardava dietro a un paio di occhiali piuttosto esili, con un sorriso gentile.

Bellatrix sbatté gli occhi più di una volta, per accertarsi che la persona di fronte a lei fosse effettivamente reale. Ma ancora una volta furono le emozioni a guidarla: senza nemmeno pensarci, si precipitò tra le braccia dell'anziana.

«Nonna...» mormorò, le lacrime agli occhi, non badando alla voce così acuta che uscì dalla sua bocca o al fatto che fosse ancora più piccola di come si ricordasse rispetto alla donna, tanto era forte l'emozione che provava riabbracciandola. La nonna che aveva tanto amato e da cui aveva ricevuto tanto amore, la nonna che aveva creduto perduta per sempre, era lì con lei, le sorrideva, le carezzava i ricci ribelli.

«Dai, piccola, non c'è bisogno di piangere» disse, passandole le dita sulle guance per toglierle le umide gocce che le avevano inondato il viso. «Cos'è successo? Hai fatto un brutto sogno?»

Bellatrix non sapeva cosa rispondere e rimase imbambolata a guardarla, soppesando le sue parole: un brutto sogno... Dove si trovava ora pareva un sogno: doveva essere tornata indietro di almeno dodici anni.

Eppure, tutto ciò che era intorno a lei era così vivido e realistico, non era una semplice ombra, o una sorta di visione. Ogni cosa era palpabile e non sfuggiva a nessuna delle sue percezioni: i suoi occhi scorgevano dettagli che un sogno avrebbe rimosso, e sentiva anche la consistenza ruvida delle mani della nonna sulle sue guance, i rumori della strada sottostante, l'inebriante profumo di torta di mele che proveniva dalla cucina. Se solo l'avesse assaggiata, anche il gusto avrebbe confermato che quel posto era reale.

Chiuse gli occhi: forse con l'occlusione della vista sarebbe scomparso tutto. Aspettò qualche istante ma quel buonissimo odore non smise di stimolarle le narici. Sorrise: nulla lì era sfuggevole ed evanescente, mentre i ricordi di ciò che aveva passato poco prima erano già lontani, semplici immagini dai contorni confusi.

«Sì, è stato un brutto sogno, spaventoso. Tutto è cominciato quando...» iniziò, persino il suo eloquio sembrava regredito, proprio come la sua statura. Salì sulle gambe della nonna e prese a raccontarle tutto, da quando sua madre aveva iniziato a interessarsi di lei, proseguendo con i duri addestramenti che era stata costretta a compiere già dall'età di nove anni, i primi incarichi che le erano stati assegnati e tutto ciò che ricordava ancora: nella sua memoria erano rimasti solo alcuni tratti del passato, delle visioni improvvise scollegate le une dalle altre e con in mezzo profonde lacune. Ovviamente: si trattava di un sogno.

«E poi, mi hanno mandata su una crociera per indagare sul caso di un attentato, ma proprio quel giorno la nave affonda e mi ritrovo su un'isola deserta, pensa con chi: con il criminale che aveva fatto l'attentato! E poi sono successe tante cose che non ricordo, però so che a un certo punto ero con il criminale - davvero un antipatico insopportabile - e siamo stati rapiti da un clan di bambini. Poi mi hanno tagliato i piedi ma in un qualche modo mi sono ricresciuti e io e il criminale siamo finiti in una caverna. La cosa più strana è che lui allora è iniziato a piacermi! Poi stavamo raggiungendo un vulcano ma a un certo punto lui è scomparso e mi sono ritrovata da sola, al buio. Avevo tanta paura. E poi sono spuntata di nuovo qui e ho capito solo ora che è stato tutto un sogno».

Finito il suo racconto si lasciò di nuovo avvolgere dal corpo della nonna. «Che fervida immaginazione!» esclamò, ridacchiando. «Che storia... In una sola notte, poi! Non finirai mai di sorprendermi».

Bellatrix sorrise a quelle parole. Certo, anche quell'elemento le confermava che era stato tutto un sogno: durante quell'unica, lunga notte, pareva avesse perso le qualità che più la caratterizzavano, prime tra tutte l'immaginazione e la curiosità. Era stata una donna razionale ed esente da ogni emozione, proprio come sua madre aveva sempre voluto: semplicemente impossibile.

Era davvero tornata a casa e non poteva essere più contenta. Non aveva mai voluto così tanto bene a una persona come alla nonna, capace di infonderle tanta tranquillità e offrirle tutta la sua infinita bontà e comprensione. Ricordava, adesso, quanto le fosse mancata durante il sogno, quanto avesse pianto mentre sua madre la strappava da lei e la inseriva nella nuova realtà che le aveva imposto, quante lacrime avesse versato scoprendo della sua morte. Ma quei pensieri erano ormai lontani: la nonna era lì, ora, la stava abbracciando e non poteva essere più reale. E vera era anche la totale felicità che riusciva a provare con lei: ne era tornata finalmente in pieno possesso.

Iniziò a giocherellare come suo solito con il braccialetto d'argento che l'anziana portava nel polso destro: era sottile e semplice e, come unica particolarità, aveva un piccolo cerchio su cui erano incastonati alcuni brillanti.

Non era solita portare gioielli, eppure aveva deciso di comprarne uno pochi giorni dopo la nascita della nipote.
Le aveva raccontato che, appena lo aveva visto, le era piaciuto talmente tanto che ne aveva presi due, uno per lei stessa e uno per la piccola, che, non appena fosse cresciuta un poco, avrebbe potuto iniziare a indossarlo. Era solo un ulteriore segno del loro profondo legame; a Bellatrix era sempre piaciuto far combaciare i due cerchietti che caratterizzavano i gioielli e, anche quella volta, voleva intrecciarli insieme quasi a intendere che avesse intenzione di legarsi per sempre con lei, di non lasciarla mai più.

Ma mancava il suo bracciale. La piccola si sfregò più volte il polso, incredula di non avere il gioiello addosso. Proprio perché indicava la vicinanza con sua nonna, dall'età di cinque anni aveva deciso che non l'avrebbe più tolto, se non quando iniziava a stringerle troppo e doveva essere allargato. Se avesse passato una notte normale, pur tormentata da incubi, avrebbe dovuto svegliarsi con quello ancora indosso.

Bellatrix si spostò dalle gambe della nonna, che subito piegò appena la testa di lato e le rivolse un'occhiata perplessa, confusa da quel repentino cambiamento d'umore.
Alla piccola si strinse il cuore vedendola così: forse l'aveva ferita. Poteva ancora tornare tra le sue braccia; quanto l'avrebbe voluto! Ma si trattenne.

«Questa...» iniziò, mentre la guardava intensamente, con occhi pieni di tristezza: aveva creduto di averla ritrovata, di essere tornata a quei momenti meravigliosi della sua infanzia trascorsi in sua compagnia. "È reale!" le gridava da dentro una voce, quella che non accettava di doversi separarsi di nuovo dalla nonna. «Questa non è la realtà» affermò, il tono sicuro e il cuore che piangeva a dirotto.

Serrò gli occhi, aspettando una risposta, un avvenimento, qualcosa, ma avendo paura di poterlo scorgere. Rimase a lungo così, finché, ormai certa che non potesse più accadere nulla, li riaprì.

L'ambiente intorno a lei era uguale a prima ma immobile, finto: persino la nonna era rimasta nella stessa posizione, ma non guardava più la nipote, la sua vista si perdeva nel vuoto. Un rumore sordo giunse alle orecchie di Bellatrix dall'alto: su una parete si formò una crepa, e poi un'altra, subito vicino, e un'altra ancora, dal lato opposto, e un'altra e un'altra, dapprima piccole e impercettibili, ma che iniziarono presto a crescere e a espandersi, fino a spingersi sul pavimento, sui mobili, su tutto. Anche sul viso raggrinzito dell'anziana comparve una crepa e Bellatrix le volse le spalle, terrorizzata.

Provò a scappare, ma anche alle sue spalle tutto si stava sgretolando e quella violenta distruzione la raggiunse presto, inglobandola al suo interno. Il pavimento sotto i suoi piedi frantumò e lei precipitò nel vuoto.

~

Bellatrix si svegliò di soprassalto e balzò in piedi, cadendo per la troppa fretta: le sue gambe non erano ancora in grado di compiere movimenti così repentini. Ritrovandosi in ginocchio, come prima cosa, guardò il suo corpo: aveva di nuovo indosso il suo vestito, sporco e mal ridotto, e le sue forme erano tornate quelle di una donna.

Ancora con il respiro affannoso per la paura, alzò gli occhi, rivedendo gli alberi della foresta.
"E così è stato un sogno. Ma sarà davvero la realtà quella che mi circonda ora? Se solo ci fosse qualcuno al mio fianco che me lo confermasse..." I suoi arti si irrigidirono in un istante a quel pensiero: Mijime! Doveva essere incappato nello stesso pericolo che aveva corso lei: rimanere intrappolato in una piacevole finzione, forse per sempre. Chi fosse stato a giocare loro quel tranello non poteva saperlo, ma forse sarebbe stata in grado di aiutare il compagno a togliersi dal problema al più presto.

Si alzò un po' a fatica, mentre notava che alla sua destra la selva iniziava a sfumare nei colori del bianco: certa che Mijime fosse lì, si avviò per quella direzione. Una musica leggera e soave raggiunse le sue orecchie. Il suono non era definito, i suoi contorni sfumavano nelle tinte più svariate, tanto che a Bellatrix pareva talvolta tetro talvolta distensivo. Il desiderio di conoscerla più a fondo l'invase e la velocità del suo passo crebbe.

La sentiva sempre più forte: doveva starsi avvicinando al luogo dov'era prodotta. Non credeva di aver mai udito qualcosa di più bello e per un momento si dimenticò di tutto, abbandonandosi a quella melodia struggente, che però lasciava comunque presagire una miglioria, una svolta che avrebbe potuto cambiare la situazione tormentosa. Ed ecco che a un tratto cambiò, divenendo serena e pacata: il momento di sollievo da quel lamento incessante era finalmente giunto. Le riempì il cuore ma, troppo presto, lo stesso tema si fece mesto e solenne. E poi? Non ci avrebbe creduto se glielo avessero raccontato: ora era uno scherzo, una voce bassa sembrava rimbrottare qualcosa e, con la sua replica talmente breve, quella acuta le rispondeva a mo' di derisione.

Senza che se ne fosse accorta, il luogo era totalmente cambiato. Era giunta in una stanza bianca, senza molti arredi se non un pianoforte a muro, da cui proveniva la stupenda melodia: non sembrava nemmeno un luogo reale, tanto era idealizzato. A suonare lo strumento era un bambino con folti capelli neri, che non poteva vedere in faccia poiché girato di spalle. Al suo fianco, da una parte un'affascinante donna dai lisci capelli corvini, assorta dalla musica del piccolo, e dall'altro lato un bell'uomo con una chioma del medesimo colore degli altri due.

"Mijime!" pensò d'istinto Bellatrix, ma poi osservò meglio i capelli dell'uomo, non così folti come quelli dell'amico, il naso, non altrettanto dritto e raffinato, e gli occhi ben più allungati. Di conseguenza, il suo compagno era il bambino al pianoforte. 

"Mijime, si tratta di una finzione, per quanto bella e piacevole. Dobbiamo andare" avrebbe voluto gridargli, prima che fosse troppo tardi, prima che una qualche forza li intrappolasse lì per sempre, come credeva potesse accadere. Ma quella musica era così incantevole, era appena tornato il tema principale, quello dell'inizio, anche se appena variato cosicché fosse ancor più travolgente; sarebbe stato un peccato interromperla così bruscamente.

Ma si interruppe da solo. Bellatrix non capiva: il brano non poteva terminare così. Era tutt'altro che esperta, ma quell'ultima nota era stata lasciata in sospeso, come se il pezzo non fosse stato finito. Eppure nessuno oltre a lei sembrò farci caso. Il bambino, che aveva tenuto la schiena un po' incurvata durante l'esecuzione, ora stava dritto, quasi si sentisse realizzato. Un po' timidamente, girò la testa, prima verso la donna, poi dalla parte opposta: Bellatrix dimenticò subito il finale deludente, concentrata piuttosto sui tratti del musicista, che finalmente scorgeva. Era davvero lui, con gli stessi lineamenti, seppur più infantili, con la stessa espressione furba e intelligente. Ma v'era anche un ulteriore elemento, che non le era mai capitato di osservare nel compagno: i suoi occhi brillavano di felicità.

«Sei stavo bravissimo, tesoro» disse la donna, toccandogli dolcemente una guancia e sorridendogli.
«Tua madre ha ragione: sei davvero eccezionale!» si aggiunse il padre, scompigliandogli i capelli e circondando il corpicino con un braccio.

Con il volto sempre più sorridente, Mijime si alzò dallo sgabello per abbracciare meglio i genitori. Sembrava non desiderasse stare in nessun altro posto: proprio come era successo a lei.

La giovane si sentiva in colpa a interrompere quella dolce scena familiare. Non era nemmeno la sua vita: come poteva permettersi di intervenire e distruggere il ricordo felice del suo compagno? Se lui voleva illudersi, chi era lei per poterglielo impedire? Magari però non si era nemmeno accorto di star vivendo una finzione. Forse, sapendo che era tale, non avrebbe più voluto rimanere al suo interno. Doveva almeno fargli intendere questo, così che la sua scelta diventasse davvero libera.

«Mijime» lo chiamò e subito il suo sguardo si incrociò con quello del bambino, l'unico del quadretto che l'aveva sentita. Si era accorto di lei. Ma allora perché non si era ancora staccato da quell'abbraccio?

«Mijime,» riprovò, «tutto quello che vedi è...»
«Finto» completò il bambino. «Lo so».
Si immerse ancora di più nell'abbraccio di suo padre, dando le spalle alla giovane, che non riusciva a capire il comportamento dell'amico.

«Con chi stai parlando?» chiese il genitore, carezzando la testa del piccolo.
Non rispose, stringendo soltanto di più il suo corpo. Lo avrebbe dovuto lasciare presto, troppo presto, ma doveva andare così: che almeno gli ultimi momenti potesse imprimerli bene nel suo cuore. Aveva bisogno di sentirsi dire ancora una cosa.

«Papà, mamma, mi volete bene?»
«Ma certo!» risposero i due genitori quasi all'unisono.
«Ditelo».
«Ti voglio bene, mio piccolo pianista» disse l'uomo, piegandosi fino ad arrivare alla stessa altezza del bambino, ponendogli di nuovo una mano sul capo.
«Ti voglio bene, più di ogni altra cosa al mondo» proferì anche la madre, stampandogli un bacio sulla fronte, senza smettere di sorridere.

«Anch'io» mormorò il piccolo, abbracciandoli per l'ultima volta. Si staccò con un sospiro e si diresse verso Bellatrix, mentre la sua altezza cresceva a ogni passo che compiva. Oltrepassò la compagna senza degnarla di uno sguardo quando ormai era tornato delle sue dimensioni adulte e, non lasciando trapelare un solo sentimento, proseguì nella direzione da cui era sbucata l'amica.

L'aveva sempre saputo, da quando quel sogno era iniziato, che nulla di ciò che aveva visto era vero. L'interno della stanza era irrealistico, i volti di quelli che aveva sempre immaginato essere i suoi genitori lo erano, persino il modo stereotipato in cui si comportavano. Però aveva ottenuto ciò che più desiderava, da sempre: sentirsi amato da qualcuno e apprezzato per qualcosa. Non credeva esistesse qualcosa di migliore.

Il notturno che aveva suonato, sentendosi in quel momento davvero talentuoso, risuonava dentro di sé, rimanendo in sospeso come nella sua esecuzione: la nota con cui aveva chiuso l'opera senza terminarla davvero rimbombava nel suo cuore. Lasciava presagire qualcosa, e quel qualcosa poteva essere allo stesso tempo positivo e nefasto; nessuno poteva dirlo. Se solo non avesse dimenticato quella parte conclusiva, un finale, positivo o negativo, lo avrebbe consolato, concedendogli un riposo. Ma quella nota restava così, impalpabile, senza pace.

Lui era quella nota: aveva sentito la felicità, l'aveva toccata, percependo tutta la sua bellezza, ma non era arrivato fino in fondo. E, senza una conclusione, nessun'opera può essere davvero gustata.

«Tu!» Una voce, all'improvviso, lasciò in sospeso le riflessioni del giovane. Sospirò, per quell'interruzione, ma, prima di voltarsi, sentì ancora quella vocetta irritante: «Tu, meschino mortale; tu, bastardo, dovresti essere morto!»

~

Buongiorno, popolo di Wattpad!
Ecco qui un capitolo piuttosto denso, per cui, anche se so che ora vi state chiedendo chi caspita abbia pronunciato l'ultima frase, andrò con ordine.

Punto uno: la sfera dell'infanzia legata alla figura di Bellatrix. Non soltanto durante il sogno/visione/esperienza nel passato, la nostra Bellatrix regredisce, ma già da prima dai suoi comportamenti con Muzan emerge un'indole fanciullesca. Perché mai, lei che prima era uno dei personaggi più razionali? Ho lasciato qualche indizio nel testo, vediamo se qualcuno è stato attento. Sempre riguardo a lei è l'elemento della luce, che in un qualche modo sembra attrarla sempre, sebbene, durante la sua prigionia, fosse stata proprio la luce a portarla quasi alla fine dei suoi giorni... Avevo anticipato nel capitolo 21 che questo fattore non era scontato, e in questo scorgiamo le prime motivazioni che la spingono a rifuggire le ombre. Avanzate pure qualche ipotesi anche in merito a questo (tanto tra uno, massimo due capitoli, su di lei tutto sarà chiarito ^_^)

Punto due: il solito, enigmatico, Mijime. Se nel suo sogno Bellatrix ci ha lasciato informazioni abbastanza chiare circa il suo passato, Mijime non si è scoperto troppo nemmeno questa volta, anche se i tasselli stanno pian piano ricostruendo il puzzle. Particolarmente importante per comprenderlo meglio è il brano che suona, di cui spero di aver dato una descrizione abbastanza esauriente per sottolineare il parallelismo che esiste tra questo e il nostro Mijime: ecco perché nel capitolo 11 avevo accennato alla passione di Mijime per la musica! Visto che tutto torna? Una descrizione però non sarà mai abbastanza, e l'unica informazione tecnica, cioè che sia un notturno, non è abbastanza specifica, quindi mi tocca rivelarvi questo pezzo: Notturno n.20 in Do diesis minore, Chopin. Eccolo qua, se volete ascoltarlo, nel caso non lo conosceste (è un pezzo davvero emozionante da ascoltare, e ancor di più da suonare, quindi ve lo consiglio con tutta me stessa *_*)

[Dovrebbe esserci un GIF o un video qui. Aggiorna l'app ora per scoprirlo.]

(Perdonate il suono metallico, ma già mi ci è voluta una vita per trovare la versione che mi soddisfacesse abbastanza...)
Come dice Mijime, però, non lo completa, fermandosi al minuto 3:46 di questo video, avendo dimenticato la parte finale. Bene, le altre riflessioni importanti le fa lui stesso, quindi non sto a ripetere e mi accingo all'ultimo punto.

Punto tre: bene, siamo arrivati alla domanda che tutti stavate aspettando. Chi diamine è l'ultimo personaggio dalla voce stridula?? Se volete azzardare una risposta, prego, altrimenti aspettate il prossimo capitolo ;D

E dopo avervi trattenuti anche per troppo, come al solito, vi salutiamo. Ave atque vale
~🐼🐢

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