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Iulius e Fanny sedevano vicini su un uno dei rami più alti della foresta; a sovrastarli, soltanto il firmamento, in tutta la sua vastità, in tutto il suo splendore.

«Che bella serata!» esclamò il ragazzino, ammirando la bellezza degli astri, fin quasi a dimenticare le varie incombenze che lo aspettavano al villaggio: la festa sarebbe iniziata da un momento all'altro – sentiva, non troppo lontana, una musica che aveva cominciato a diffondersi – ma loro due non erano là. Avrebbero potuto essere puniti o persino far adirare la divinità dell'acqua. Ma finché qualcuno non gliel'avesse ricordato, la sua mente sarebbe rimasta proiettata solo all'osservazione del meraviglioso spettacolo dell'etere. «Il cielo è così limpido che si vedono più stelle del solito».

«E tu non volevi venire...» borbottò Fanny, roteando le pupille.
«Siamo già in ritardo infatti».
«Iulius, rilassati» sbuffò lei, già pronta a placare uno dei soliti attacchi dell'amico. «Tieniti l'ansia per quando pioverà. Quando ci sono le stelle è più bello stare sereni».

«Se Calpurnia si dovesse arrabbiare...» Il suo corpo già si irrigidiva a quel pensiero, mentre spostava lo sguardo verso il centro del villaggio, quasi qualcuno stesse venendo a riprenderli. E se qualcuno fosse passato di lì proprio in quel momento e li avesse visti? E se fosse stato un Anziano? E se avesse stabilito qualche punizione per la loro negligenza?

La mano di Fanny cadde, stretta a pugno, sulla testa di Iulius.

«Ahia! Ma che ho detto?» si lamentò, massaggiandosi il cranio e squadrandola torvo.
«Me lo hai detto tu di farti male quando inizi a diventare insopportabile con le tue paranoie» ridacchiò lei, coprendosi la bocca con la mano.
«Simpatica...»
«Guarda le stelle, che è meglio» lo rimproverò infine, e si appoggiò al tronco.

Iulius rimase imbronciato ancora per un po', ma riprese presto a guardare verso l'alto: per quanto lui si lamentasse, Fanny lo stava aiutando davvero tanto a controllare e a reprimere quell'ansia che lo affliggeva in continuazione, anche quando non ce n'era davvero bisogno.

"Maledetta guerra! Mi hai fatto diventare così patetico". Già prima d'allora la sua sensibilità lo aveva sempre portato a preoccuparsi eccessivamente, quando un problema sembrava affacciarsi, ma da qualche luna quella caratteristica era divenuta fin invalidante.

«Sono sicura che ti fa stare meglio» proseguì Fanny, mentre nel corpo di Iulius si diffondeva una piacevole sensazione che solo lei era in grado di provocargli, mentre sorrideva e curava la sua stranezza. Solo in quegli istanti intravedeva uno spiraglio di miglioramento.

«Sì, dai». Nessuno si era mai impegnato così intensamente perché il male che lo logorava da dentro, invisibile, se ne andasse: Fanny lo portava nei suoi posti preferiti, organizzava attività che gli sarebbero di certo piaciute e gli ricordava tutte le volte di svuotare la mente. Gli faceva trasgredire alcune regole, quelle meno importanti, per cui, se anche fossero stati scoperti, non sarebbero andati incontro a punizioni gravi, così da esercitarsi a mantenere la calma.

Sorrise appena: chi l'avrebbe mai detto che i ruoli un giorno si sarebbero invertiti... Adesso era Iulius ad avere bisogno di lei, quella forte, risoluta, invincibile. Ma non era sempre stato così.

"Perché ho accettato questo incarico?". L'ansia che Iulius non aveva avvertito la sera precedente si era scaricata su di lui tutta in una volta non appena aveva afferrato una liana per dirigersi alla zona dove erano stati alloggiati i Gheisas nell'attesa che venissero costruite altre abitazioni. E, atterrato sulla piattaforma, non poté che accrescersi, complice anche la consapevolezza che aveva di chi avrebbe dovuto accogliere. Al timore di sbagliare qualcosa si miscelava un'inevitabile desolazione.

Tre bambini avvertirono l'arrivo di qualcuno sui tronchi e si espressero in volti al contempo infastiditi e curiosi: chi era quel ragazzo a cui nulla mancava e cosa ci faceva tra loro, che avevano perduto tutto? "Me lo chiedo anche io".

Nessun adulto si scorgeva tra la folta schiera. Qualcuno si ostinava a piangere e gridare "mamma" e "papà", altri, la maggior parte, si erano rassegnati all'idea di essere rimasti soli e stavano accanto ai più piccoli come meglio potevano, senza che lo sconforto scomparisse dai loro volti.

"Papà, perché mi hai mandato qui?" Impotente, ecco come si sentiva. Non aveva idea di cosa fare per aiutarli e, anzi, si sentiva sempre più importuno a ogni istante che trascorreva tra gli orfani di guerra, che lo scrutavano, ma distogliendo lo sguardo non appena Iulius se ne accorgeva.

Tutti tranne una. Enigmatica, puntava gli occhi appena arrossati nei suoi, insistendo, senza spostarli mai, mentre con le unghie tormentava un vecchio cencio. Come attratto, il ragazzino la raggiunse.

«Ciao, il mio nome è Iulius». Solare e accogliente, le tese una mano per aiutarla ad alzarsi. «Sono qui per mostrarti qualcosa del mio popolo: ci sono tantissimi posti che ti servirà conoscere, ci metterei una vita a dirteli tutti. Vieni, sai già muoverti sulle liane, vero?»

Ma lei si limitava a fissarlo, senza che lui riuscisse a comprendere le parole non dette tra un battito di ciglia e un altro. Non v'era astio e la sofferenza era camuffata fin troppo bene; non acconsentiva, ma non lo respingeva.

«Oh, ehm...» Cosa poteva fare? Se fosse stato per lui, se ne sarebbe andato di corsa, avrebbe lasciato perdere quell'atto di carità che non avrebbe portato a nulla nessuno di loro: non avrebbe risollevato l'animo di nessuno e quell'orfana che continuava a scrutarlo si sarebbe soltanto sentita derisa. Ma aveva promesso a suo padre che avrebbe svolto quel compito. Poteva solo continuare come aveva iniziato, a costo di farsi odiare dalla ragazza.

«Probabilmente sei molto stanca, quindi non ti va di spostarti. Non è un problema, possiamo stare qui» concluse, sedendosi in qualche mossa impacciata di fianco a lei, che, senza aprire bocca, aveva voltato la testa per continuare a fissarlo. Iulius provò a sorriderle ancora e ancora quella non mutò espressione.

«Ti do fastidio?» chiese, dopo qualche attimo di silenzio: se almeno gli avesse confidato questo, Iulius avrebbe capito che la sua presenza lì era inutile e si sarebbe tolto da quella situazione così pesante.

Ancora nulla.
Dispiaciuto, il ragazzino fece per alzarsi. «Scusami, forse non avrei dovuto...» Ma prima che riuscisse a distendere le gambe, la mano di lei aveva afferrato il suo polso. Il sorriso tornò veloce tra le guance di Iulius.
«Allora, benvenuta a Tou Gheneiou

Quel giorno erano iniziati i suoi lunghi monologhi, che erano rimasti tali per quasi una settimana, finché lei non gli aveva sussurrato all'orecchio il proprio nome: sentire la sua voce sottile e pacata era stato il suo primo grande traguardo. Poi erano venute frasi più articolate, intere conversazioni e infine, tenue ma spontaneo, un sorriso.

Questo era ciò che aveva sperato accadesse, quando lune prima aveva detto sì a suo padre, accettando di impegnarsi attivamente perché i Gheisas arrivassero a non sentirsi estranei al loro popolo. Ma questo per Fanny non gli bastava più: non era certo che l'amica vedesse Tou Gheneiou con i suoi stessi occhi, ma era sicuro che il suo aiuto non aveva cancellato i tormenti che le provocava il passato.

"Come posso aiutarti ancora?" si chiedeva spesso, e si chiedeva anche ora, mentre le gettava un'occhiata fugace: con il naso all'insù ammirava il cielo, senza che trasparisse alcuna insicurezza, alcun turbamento, che non poteva aver già dimenticato e si limitava così a nascondere, costantemente.

"Vorrei renderti davvero felice".

Proprio in quel momento sulla sua testa balenò una scia sfolgorante, che ottenne, per quei pochi istanti in cui fu visibile, il primato assoluto nella volta celeste.

«Uh, una stella cadente!» esclamò il ragazzino, indicando il cielo mentre scuoteva l'amica per un braccio. «Hai visto?»
«Eh? Una stella non può cadere» disse lei, disorientata, mentre scrutava il firmamento, alla ricerca di quel fenomeno che ormai era già scomparso.
«E io ti dico di sì!» continuò Iulius, sempre più concitato. «Prima ne è caduta una: è rimasta in cielo per pochissimo, lasciandosi dietro tutta la coda! Non le hai mai viste?»
«Mh, no».
«Quindi non sai neanche che bisogna esprimere un desiderio quando se ne vede una».

«Davvero?!» A quella frase anche Fanny si illuminò subito, iniziando a fissare meglio il cielo per poterne vedere una anche lei. «E tu cosa hai chiesto?»
«Non posso rivelarlo, altrimenti non si avvera».
«Almeno puoi dire cosa riguarda?»
«Ehm... no!» esclamò, il volto in fiamme, e si girò dall'altra parte perché l'amica non notasse il suo imbarazzo.
«Dai, Iulius» continuò a esortarlo Fanny, avvicinandosi e provando a incrociare il suo sguardo.
«No».
«Riguarda me?»

Iulius sentiva il volto bruciare da quanto si era arrossato, e non sapendo più cosa rispondere aveva serrato le labbra. Percepiva intanto con la coda dell'occhio Fanny, che lo guardava divertita con un sorrisetto, provando a chiamare ancora la sua attenzione con dei colpetti sulla spalla.

Una voce maschile giunse alle sue orecchie. I sensi del ragazzino si acuirono in un attimo: erano venuti a cercarli, li avrebbero riportati al villaggio e sarebbero stati puniti per non essersi recati alla cerimonia. Già sentiva un sudore freddo bagnargli la fronte. Oh no, sapeva che non avrebbe dovuto seguire l'amica.

«Allora?» Fanny continuava a chiamarlo, ma lui ormai era concentrato solo sulla voce: chi poteva essere? Se fosse stato un giovane avrebbe sicuramente chiuso un occhio, ma se sotto di loro ci fosse stato uno degli adulti del clan, magari una Sentinella o un Guerriero... Tese meglio l'orecchio: le parole erano indistinte, ma il timbro di voce non lo aveva mai sentito. Forse era peggio di quello che si aspettava. Certo che era peggio! Chi c'era sotto di loro?

«Iulius?» lo sollecitò ancora l'amica, che non doveva essersi accorta di nulla.
«Aspetta, fa' silenzio» disse d'un fiato Iulius, abbassando drasticamente il tono.
«Ecco, ci ho beccato!» esclamò l'altra, tutta esultante, ma Iulius si slanciò verso di lei per chiuderle la bocca.
«No, Fanny, davvero. Fa' silenzio! Ho sentito una voce...»
«Cosa vuoi che sia? Ci sarà qualcun altro che preferisce vedere le stelle invece che sorbirsi quella noia di cerimonia».

Ma le parole di Fanny non bastavano: erano nei guai seri ed era bene che anche lei lo capisse. Con una mossa repentina si abbassò sul tronco, per sentire meglio.

«Iulius, che hai?» chiedeva intanto lei, ora indulgente, avvicinandosi e passandogli una mano sulla schiena.
«Quelle voci... non le avevo mai sentite...» mormorò l'altro, prendendosi la testa e strofinandosi gli occhi.
«Ma va'» minimizzò lei. «Saranno state lontane e non le hai sentite bene».

Iulius la guardò disperato: credeva che fosse solo una sua paranoia, l'ennesima. Come poteva dimostrarle che si sbagliava?
«Te lo giuro! E parla piano, stanno passando sotto di noi».
«Iulius, ti devo tirare un altro pugno?»
«Fanny, non sto scherzando!»

«Va bene, vado a controllare» concluse, prendendo una liana e iniziando a calarsi.
«No!»
«Mi sporgo solo un pochino...» gli sorrise, comprensiva; non lo tranquillizzava affatto. «Se sono passati di qua come dici, dovrei vederli».

Iulius la seguì e, silenziosi come due felini, si nascosero in mezzo alle foglie di un ramo, che li coprivano completamente. Sotto di loro, uomini sconosciuti planavano nella foresta: alcuni parlottavano ma i discorsi si disperdevano nell'aria. Dalla cintola di ognuno di loro pendevano armi spaventose come non ne avevano mai viste.

Chi erano quelli?

Rimasero in silenzio, impietriti da quella visione, finché Fanny non sussultò. «Bortor? Ma che...» Con gli occhi sgranati indicava un uomo della moltitudine, un po' più rapido degli altri a muoversi sulle liane.
«Lo conosci?»

«Era un Gheisas. Uno di quelli che avevano dato per dispersi. Evidentemente non erano morti».
«Ma tu... avevi detto». Iulius deglutì a fatica. Aveva sentito di sfuggita dei discorsi secondo cui i guerrieri scomparsi si erano uniti a Mortino e si era confrontato con Fanny. Lei gli aveva consigliato di non crederci: le pareva impossibile che anche solo uno dei suoi compagni di clan, per quanto adirato con gli ex nemici Gheneiou, si fosse unito a quel mostro talmente sadico da tenere assoggettato un intero popolo nel terrore solo per puro divertimento.
«Li avevo giudicati troppo assennati».
«E gli altri?»
«Non lo so».

«Fanny...» Iulius afferrò una mano dell'amica, guardandola con gli occhi sgranati, mentre il panico ottenebrava sempre più la sua vista. «Cosa sta succedendo?»
«Non lo so. Ma tu vedi di stare calmo» aggiunse subito.

«Fanny, come faccio? Si stanno dirigendo dove ci sono tutti!» esclamò, sentendo salire le lacrime. Tutti si erano radunati all'Oikìa per la cerimonia... Tutti... E i nemici non potevano che dirigersi là, con la musica dei tamburi e dei flauti che si udiva fin sulle cime degli alberi, e le lanterne che illuminavano quell'unico tratto di foresta. «No, no, no...»

Si prese la testa tra le mani: stava per avvenire un massacro, se quelli stavano venendo con intenzioni minacciose. Come avrebbero potuto salvarsi? Non c'erano vie di fuga: sarebbe bastato circondare le tre piattaforme sotto il più grande degli oikaria e nessuno avrebbe avuto scampo. A meno che qualcuno non li avvertisse in tempo...

«Iulius...»
«Oh, per tutti i daimona...» sospirò il ragazzino, provando a far uscire tutte le sue inquietudini e radunando quel poco di determinazione che aveva. «Devo andare ad avvertire gli altri» disse con fermezza, guardando Fanny negli occhi, ma tremando ancora di paura.
«Cosa?! Sei pazzo?! Avresti intenzione di seguire quelli là?! Erano armati!»
«Appunto! Sono tutti in pericolo! Ci stanno attaccando! E se io non faccio niente... sarò come loro complice...»

Fanny annuì, comprensiva. «Va bene, vengo con te».
«No, tu resti qui, al sicuro».
«Non ti lascio da solo» ripeté, con un tono che non lasciava spazio a repliche. «E sbrighiamoci. Non erano molto veloci, possiamo ancora arrivare prima...»

~

«Guerrieri! All'attacco!»

Hermit levò il grido di battaglia, sovrastando la musica che si stava diffondendo nella foresta, subito seguito da tutti i suoi amici, che iniziarono a scontrarsi con lo "schieramento" avversario, capitanato dalla sorellina Sofia. Anche questa brandì la sua piccola spada di legno e, alzandola al cielo, diede a sua volta l'ordine di caricare.

Il capo del clan non era ancora arrivato e senza di lui la cerimonia non poteva cominciare; considerato il vistoso ritardo, davvero insolito da parte sua, tutti i bambini avevano iniziato a giocare, occupando interamente la piattaforma centrale, dove sarebbe stato eseguito il rito.

«Hermit, ma perché dovete sempre urlare?» sospirò esasperata Rose, tappandosi le orecchie al grido levato dal fratellino. Nella sua testa piuttosto si chiedeva perché sua madre fosse andata a raccogliere le erbe proprio il giorno della festa. Se solo fosse rimasta lei al clan, la ragazza non avrebbe dovuto sorvegliare i fratelli... E ovviamente quel compito toccava a lei! Kairos era già abbastanza impegnato con tutte le mansioni che gli venivano affidate non appena si staccava dagli altri Guerrieri e Iulius, che invece avrebbe benissimo potuto aiutarla, scompariva sempre con quella ragazzina.

«Hermit!» lo richiamò ancora, per evitare che le sue orecchie scoppiassero a furia di sentire quelle piccole pesti urlare: durante i giorni di festa i suoi fratellini diventavano ancor più scalmanati del solito e riuscivano sempre a coinvolgere tutti gli altri bambini. Gli unici che potevano tenerli a bada erano solo i Genew, che ovviamente in quel momento mancavano.

Intanto Raya ridacchiava, seduta dietro di lei. E, a migliorare il tutto, gli sguardi famelici di un gruppetto di giovani del clan erano puntati sul suo corpo, avvolto dal leggero abito bianco delle danzatrici e arricchito dalle orchidee che era solita portare Rigel, di cui quel giorno doveva prendere il ruolo. Tutti radunati sulla piattaforma di destra, si sporgevano a turno e bisbigliavano commenti che poteva facilmente immaginare. Se volevano essere discreti, non ce la stavano facendo.

Rose sbuffò. "Durante la prossima cerimonia mi fingerò malata, e tanti saluti, impegni, ragazzini urlanti e occhi fissati sul mio corpo". Sarebbe rimasta nell'oikarion finché non fosse stata sicura di essere sola, e poi sarebbe andata sulle piattaforme più alte a danzare con l'unica compagnia delle mangrovie, accompagnata dal vento leggero della sera. Solo il pensiero la faceva star meglio.

«Hermit!» gridò un'ultima volta, sovrastando il baccano prodotto dai bambini.
«Che c'è?» Finalmente il fratellino la notò e con lui si girarono anche tutti gli altri: si tornò a sentire la piacevole musica dei flauti.

Non lasciandosi intenerire dagli occhioni azzurri del piccolo, Rose lo guardò torva.
«Dovete per forza urlare così mentre giocate? E vi ricordo che usando quelle spade di legno finirete per farvi male. Lo sai chi è responsabile di voi due mentre la mamma e Kairos non ci sono!»

Hermit fece spallucce, impugnando di nuovo la sua arma. «È importante sembrare davvero dei guerrieri!» Volgendosi verso i suoi coetanei, lanciò un altro urlo di battaglia, e gli altri ripresero subito il combattimento.

Rose fu abbastanza veloce e lo acchiappò per i fianchi, prima che tornasse nella mischia. «Ma a te la guerra non aveva spaventato tanto».
«Sì, ma finché è per gioco è divertente!» disse lui, con un sorrisone, per poi guardarla con la testa appena storzata perché, impietosita, lo lasciasse andare.

«Va bene» borbottò tra sé, pronta e determinata a porre fine, una buona volta, a quel fracasso insopportabile. «Bambini, ascoltatemi tutti» li richiamò, stampandosi un sorriso gioviale in faccia. «Che ne dite di fare un gioco molto più bello di quello di Hermit?»

Quelli iniziarono a guardarsi borbottando tra loro; Sofia fu la prima a farsi avanti e la squadrò da cima a piedi, puntandole la spada contro: «E come fa a essere più bello?»
Rose a quella domanda sorrise, scaltra, sicura che il suo piano avrebbe funzionato alla perfezione: «Be', perché il vincitore otterrà un premio strepitoso».

I bambini corsero subito da lei, troppo curiosi per poter stare buoni, iniziando ad aggrapparsi alla sua gonna e chiedendo a ripetizione: «E cos'è? E cos'è?»
«Giocate per saperlo».
«Secondo me ci stai ingannando».
«No no. Assolutamente no. Parola mia». In realtà non aveva idea di cosa dar loro per premio, ma erano solo bambini... Se ne sarebbero dimenticati presto.
«Allora diccelo!»
«Se il premio deluderà le vostre aspettative, potrete obbligarmi a fare qualsiasi cosa» concluse, trepidante per una risposta: le bastava che acconsentissero alla sua proposta e il gioco sarebbe stato fatto.

Sofia continuava a guardarla sospettosa e radunò in fretta tutti i compagni vicino a lei. Si strinsero vicini vicini, cominciando a confabulare qualcosa che Rose non riusciva a sentire, pur sforzandosi. Alla fine la testa di Hermit sbucò di nuovo fuori.
«Ci siamo consultati e siamo tutti d'accordo».

«Favoloso!» esclamò la sorella maggiore, gli occhi che brillavano. «Bene, dovrete stare in silenzio» annunciò, tutta soddisfatta. «Quello che riesce a tenerlo per più tempo otterrà il mio bellissimo premio».
«Ma che gioco brutto!» sbuffò il figlio più grande di Zeno, buttando a terra la propria arma per la delusione.
«Nikìas è fuori» rese subito noto la ragazza, facendo ammutolire gli altri bambini.

Si mise a sedere, rilassando la schiena e ammiccando in direzione di Raya, che intanto spostava lo sguardo dai bambini seduti in silenzio a lei, che era riuscita in quella grande impresa. "E finché mio padre non arriva, me ne resterò tranquilla senza far niente!"

Ma non aveva fatto in tempo a chiudere gli occhi, che Hermit e Sofia avevano ripreso a giocare alla lotta sul bordo della piattaforma, pur nel silenzio più totale. Avrebbero finito con il farsi male e già sapeva su chi sarebbe ricaduta la colpa. Sbuffando, si alzò di nuovo, andando a dividere i suoi fratelli che si stavano tirando i capelli a vicenda.

Con la coda dell'occhio vide Raya che si era rimessa a ridere, abbracciata a Kairos, appena ricomparso. Invece che starsene là avrebbero anche potuto aiutarla! Seguendo l'esempio di Hermit e Sofia, tutti i bambini erano tornati a combattere, e lei non poteva far altro che correre loro dietro per evitare danni irreparabili.

«Ti tocca fare da balia?» chiese divertito il fratello maggiore, seguendo Rose con gli occhi.
«Eh...» sbuffò lei con un'occhiataccia.
Ma Kairos non perse l'occasione per infastidirla ancora. Si alzò e si diresse verso di lei, abbracciandola dolcemente.
«Su con il morale: sei bellissima stasera» disse, scoccandole un bacio sulla fronte.

«Bleah!» Rose si scostò subito da lui, strofinandosi una mano dove il fratello aveva posato le labbra. «Falle con Raya queste cose. Oggi va già abbastanza male».
«Ma no! Pensa che dopo potrai ballare» sogghignò lui, provocatorio.
«Lo sai che mi fa schifo».
«Certo... In realtà si sa che, sotto sotto, ti piace».

«Non è vero!» sbottò Rose, schiaffeggiandogli il primo tratto di pelle nuda che vide.
«Sì, invece» persisté lui, sempre più voglioso di istigarla. «E ho come l'impressione che stasera troverai anche l'amore della tua vita. Del resto, con quelli che erano i Gheisas non ti sei mai espressa più di tanto. Chissà, magari uno stasera ti nota, viene da te, inizia a parlarti, poi ti prende per mano...»

«Rose! Rose! Kairos!» Dovunque volesse andare a parare Kairos, fu presto interrotto da qualcuno che urlava disperato i loro nomi. Iulius, insieme alla sua amica, saltava giù da una liana e correva nella loro direzione. Eccolo... Bene, le avrebbe dato una mano a tenere a bada i bambini. Stava già per rifilargli tutto il lavoro, ma subito si accorse del malessere che vessava il ragazzino: correndo verso di loro inciampò spesso, forse per le numerose lacrime che non dovevano fargli vedere bene. "Uno dei suoi soliti attacchi di panico". Eppure non lo vedeva così turbato dalla guerra contro i Gheisas: quella non era l'ansia di sempre. Ma allora cos'era successo?

Si catapultò tra le braccia di Kairos e iniziò ad ansimare in modo sempre più convulso.
«Iulius, che ti prende?» Il fratello lo avvolse con un braccio.

Il più piccolo si staccò da lui, provando a parlare, ma senza che dalla sua bocca riuscissero a venir fuori le parole...
Fu Fanny a rispondere, anche lei piuttosto alterata, parlando rapidamente, come se non ci fosse più tempo: «Abbiamo visto degli uomini armati che venivano all'Oikìa. Non erano i nostri. È meglio spostarsi da qui».

I tre ragazzi si guardarono sospetti: stavano scherzando... Uomini armati? Contro di loro? E chi mai sarebbe riuscito a venire al loro clan, protetto dall'impenetrabile foresta di mangrovie? Mortino ci provava da quando il loro popolo si era nascosto lì e mai aveva capito come espugnare la loro roccaforte naturale. Però Iulius, serio e coscienzioso com'era, non sarebbe mai stato in grado di inventarsi una simile messinscena solo per spaventare a morte l'intero clan. E soprattutto non sarebbe riuscito a fingere uno dei suoi attacchi, per di più in modo così realistico. Guardandolo negli occhi era chiaro che non stava mentendo.

«Grazie dell'avvertimento, Fanny». Kairos annuì, turbato. «Facciamoli spostare tutti, il prima possibile» ragionò tra sé, mentre si muoveva verso i fratelli minori, che ancora si rotolavano per tutta la piattaforma. «Hermit, Sofi-».

Urla di battaglia si levarono dai bordi delle piattaforme più alte; non erano quelle lievi e musicali dei bambini che giocavano, ma roboanti versi, al limite tra l'umano e il ferino.

Urla di orrore seguirono e la musica dei flauti si interruppe di colpo.

Dei guerrieri approdarono sulle piattaforme, circondandone l'intero perimetro: dovevano essere lì da tempo, se erano riusciti ad accerchiarli in un lasso di tempo così breve. Avevano già organizzato tutto... Nessuno aveva la possibilità di scappare. Immediatamente Rose capì come si sentiva Iulius.

Gli uomini si slanciarono contro la gente, a spade sguaiate e con ghigni senza pietà. Due si diressero verso di loro, ma Rose, immersa ormai nella turba, non si rendeva più conto di ciò che stava succedendo. A risuonare nella sua testa solo una cacofonia continua, cupo preludio del massacro: era la fine di Tou Gheneiou.

~

A passo quasi furtivo entriamo in una delle parti peggiori di tutta la storia. Io continuo a rinnovare le mie scuse e a dire che mi serviva tutto questo per far proseguire la storia. Mi perdonerete, non lo farete, non posso saperlo, però tutto questo mi serve davvero. In ogni caso, il fatto che nella prima parte vediamo Iulius e Fanny può sembrarvi strano, dal momento che finora sono stati personaggi marginali (Fanny in particolare, prima d'adesso non l'avevamo mai vista!), ma nel prosieguo acquisteranno, a modo loro, un po' più di importanza. Era quindi bene introdurre anche loro e il loro rapporto prima di passare al massacro 😖
Bene, spero siate psicologicamente pronti all'escalation di crudeltà dei prossimi capitoli, e con questo vi saluto!
~🐼🐢

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