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[Può contenere scene violente]

Raya non ce la faceva più a muoversi. Era stremata, le forze le mancavano e sentiva dolore a tutto il corpo. Mai era stato così faticoso spostarsi sulle liane, e quella circostanza era capitata proprio nel momento peggiore. Si fermò un istante per riprendere fiato e si toccò il ventre. Doveva resistere ancora un po', per il piccolo che stava crescendo dentro di lei; era riuscita a sfuggire ai nemici, non poteva rassegnarsi proprio adesso! Con tutta la forza di volontà che aveva riprese una posizione salda sulla sua pianta e tornò a spingersi avanti per raggiungerne un'altra; prima o poi, una liana dopo l'altra, avrebbe raggiunto il posto sicuro. Fino ad allora non poteva stare tranquilla e riposarsi.

Davanti a lei, Iulius era in testa, con la sorellina ancorata alla sua schiena, subito seguito da Fanny, che portava in braccio Hermit e lanciava un occhio indietro per non perdere di vista la più grande tra loro.

A ogni rumore che sentivano, subito iniziavano a tremare di nuovo, e anche quando tutto era tranquillo non riuscivano a togliersi dalla mente che potesse accadere qualcosa da un momento all'altro, proprio come era successo prima all'Oikìa. Non c'era stato nessun segnale... Chi poteva assicurare che non fossero ancora in agguato, tra le piante? E se li avessero visti? E se li stessero seguendo? E se...

Con l'animo inquieto e il cuore che batteva all'impazzata, in un tempo che sembrò interminabile, raggiunsero l'oikarion di Kairos e Raya. Senza fiatare, sgattaiolarono tutti nel piccolo disimpegno adibito alla conservazione dei vasi della giovane. Una volta entrati, si sdraiarono a terra, esausti. Finalmente i loro respiri potevano tornare a essere quelli di sempre; ma non quello di Raya.

Anche dopo diversi istanti trascorsi sdraiata sul legno della capanna, continuava a sentire il dolore che l'aveva afflitta per tutto il tragitto e che anzi si intensificava. Non ne aveva mai fatto esperienza ma in quel momento non riusciva a pensare a nulla di più doloroso. E non poterlo esternare peggiorava il tutto. Come poteva, però? Iniziare a urlare davanti a quei poveri bambini che avevano già subìto abbastanza traumi, spaventarli ancora di più? Si sarebbe tenuta il male dentro. L'importante era che non fosse provocato da ciò che pensava. E allora cosa poteva essere?

«Raya, tutto bene?» chiese a un tratto Fanny, guardandola con occhi apprensivi. La giovane si osservò a sua volta, capendo la preoccupazione della ragazzina: sudava ancora, tantissimo, e il suo respiro continuava a essere pesante e affannoso. Per quanto provasse a nasconderlo, i sintomi del suo malessere prorompevano per uscire.

«Sì...» annuì, lasciandosi sfuggire proprio in quel momento un flebile gemito. Tutti e quattro accorsero allarmati al suo capezzale.
«Oh, no». Fanny scuoteva la testa, gli occhi che scattavano da quelli stanchi della giovane al suo ventre. «Ma come facciamo adesso a metterti in sesto?»

Prima che potessero andare tutti nel panico, Raya afferrò le mani dei più grandi e, provò a sorridere. «Davvero, devo solo riposare».
Si girò dall'altro lato, volgendo loro le spalle e iniziando a carezzarsi il grembo più febbrilmente, quasi potesse stabilire un maggiore contatto con il suo piccolo. "Ti prego, non adesso" ripeteva nella sua testa, impregnata ormai solo da quel pensiero: aveva persino dimenticato il pericolo in cui si trovava Kairos, troppo presa dal considerare che poteva nascere il suo bambino. Ma nel caso, sarebbe sopravvissuto?

Raya si immerse le dita tra i capelli. Cosa aveva fatto! Aveva compiuto uno sforzo troppo grande, lo sapeva, e adesso ne avrebbe pagato le conseguenze, e non da sola, ma insieme al suo piccolo, l'essere che avrebbe dovuto proteggere, curare, amare... Non aveva potuto scegliere un'alternativa, quando era ancora in tempo? Perché non era andata in un nascondiglio più vicino? Perché non aveva ragionato prima di agire? Non poteva rammaricarsi. Tutto ciò che poteva sperare era che il dolore scomparisse.

Gli altri, dopo la preoccupazione iniziale, si erano allontanati dalla giovane, disponendosi in cerchio davanti alla botola chiusa. Iulius spostava lo sguardo dal fermo dell'apertura alle espressioni dei suoi fratelli e di Fanny: i primi erano imbronciati e cercavano di evitarlo, mentre l'amica tentava di rimanere indifferente, anche se il ragazzino sapeva che il suo animo era in tempesta.

Provava a distrarsi, come la sua compagna gli diceva sempre, ma i pensieri tornavano a ricadere sempre sugli avvenimenti all'Oikìa. E su Kairos. Già lo vedeva brandire la spada, da solo, contro una schiera fitta di nemici. E adocchiava l'arma di uno di quelli, che in un fendente poderoso, feriva il corpo del fratello, che, distratto, non riusciva a intercettare e parare il colpo finale...

«Kairos...» mormorò a denti stretti, con gli occhi che non vedevano più nulla per le lacrime.
«Non ci pensare, Iulius» disse subito Fanny, non perdendo tempo e cercando di aiutare subito l'amico. Ci era già passata, lei, in una situazione simile. Aveva già perso una volta tutto ciò che aveva e sapeva che era quella l'unica soluzione per andare avanti, per quanto egoista, per quanto moralmente crudele. «È solo peggio. Cerca di non pensare, fidati».

«Non è vero!»
«Così non si può fare!»
Le voci di Hermit e Sofia proruppero inaspettatamente nella piccola stanza. Guardavano torvi la ragazzina, con le braccia conserte e gli occhi arrabbiati, come se avesse appena proferito qualcosa di sacrilego.
«Non pensare alle persone a cui vogliamo bene?»
«Tu sei davvero cattiva! Pensi solo a salvare te stessa!»

Fanny sospirò. Non aveva tempo di litigare con due bambini: doveva aiutare il suo amico a non andare troppo nel panico. Del resto, come poteva sperare che quell'evento non avesse turbato neanche un po' due piccoli come loro.
«Lo dico per lui» disse, calma. «Pensare a quello che sta succedendo credete che lo faccia stare bene?»

Ma provare a ragionare con loro non era possibile, come non lo era capire se quelli fossero davvero i loro pensieri o soltanto il frutto della marea di avvenimenti che si era abbattuta su di loro.
«E quindi tu vuoi far finta di niente, come se là fuori non stesse succedendo nulla?»
«Ma non è così! Stanno morendo, moriranno tutti!»
«A te però non interessa. Non sono tuoi amici, non sono il tuo clan».

«Hermit, Sofia, basta così» li rimproverò il fratello, senza troppa convinzione nella sua voce. Perché dovevano parlare così? Lo sapeva bene che si stava comportando da codardo, ma sentendo le parole dei due bambini quella sua debolezza gli pesava ancora di più. Era il maggiore dei tre, e come tale avrebbe dovuto comportarsi, magari mostrandosi valoroso come Kairos o anche soltanto un appoggio verso di loro.

«Le dai ragione?!» continuò Sofia, incredula, sbarrando gli occhi alla frase del fratello. «Non importa nulla nemmeno a te?!»
«Vi ho detto basta. Non urlate. Se dovessero sentire anche solo un rumore...»
«Sei un vigliacco, Iulius!» urlò sdegnato Hermit. «Noi adesso dovremmo aiutare gli altri, proprio come Kairos».
«Ma cosa stai dicendo, Hermit?! Siete due bambini, non potete fare nulla!» esclamò a sua volta Iulius, ma contenendo immediatamente la voce, per la preoccupazione che passasse qualcuno di sotto. «Nessuno di noi può fare qualcosa» aggiunse, il tono basso, rassegnato.

Anche intorno era sceso il silenzio, intaccato solo dai lugubri rumori che provenivano da lontano. Iulius guardò di sottecchi i fratellini, che sembravano essersi calmati, e Fanny, che gli rivolse uno sforzato sorriso di conforto: com'era preziosa, anche in quell'inferno. Forse avrebbero passato la notte senza troppi problemi.

«La mamma e il papà sono fuori» annunciò a un tratto Sofia, scuotendo la spalla di Hermit. «Dobbiamo andare ad avvertirli di non ritornare al villaggio».
«Sofia! Cosa ti dice la testa?!» sbraitò Iulius, che non riuscì a contenersi, sentendo quell'assurdità.
«Di essere forte come Kairos!»
«Non sei forte se vai incontro alla morte. Sei solo stupida!»
«Tu allora vuoi che la mamma e il papà muoiano!»

«Taci!» urlò infine, vicinissimo alla faccia della piccola, la pazienza dissolta del tutto. Vide i suoi occhi azzurri riempirsi di lacrime, che continuava a trattenere stringendo i denti, pur di non piangere. Hermit squadrò il fratello e prese per mano Sofia, voltando le spalle al maggiore, che già sentiva i rimorsi per aver gridato in quel modo addosso a sua sorella. Non avrebbe dovuto farlo, non in quella situazione, in cui avrebbero dovuto essere tutti uniti. Ma cosa gli era successo? Con loro aveva sempre mantenuto un atteggiamento così pacato, talvolta ancor più di Kairos.

«Sofia, Hermit, venite qui». Raya, con la voce roca, alterata da qualcosa che non voleva ammettere di avere, richiamò i due piccoli e li accolse tra le sue braccia. «Kairos voleva che noi riuscissimo a metterci in salvo. Volete rendere inutili le sue azioni?» chiese, con un lieve tono di rimprovero.
«No...» mormorarono i due all'unisono, abbassando lo sguardo.
La giovane sospirò, mentre una sua lacrima andava a bagnare i tronchi di legno sottostanti. «Anche io vorrei che fosse qui con me, ma chiederlo sarebbe una scelta egoista. Come è egoista il vostro pensiero di uscire di nuovo; per quanto vi sembra difficile, dovete accettare-».

Un grido femmineo interruppe il suo discorso. I cinque rimasero immobili e ammutoliti, mentre la tensione che avevano provato prima riprendeva a impregnare i loro corpi. Tesero l'orecchio e continuarono a sentire ansimare la donna che aveva emesso l'urlo, come se stesse scappando da qualcuno.

Fanny schioccò le dita e fece cenno a tutti di nascondersi dietro ai vasi e di restare zitti. Prese Iulius per una spalla e lo esortò a sdraiarsi nella parte più bassa della capanna. Si acquattò a sua volta, appoggiando la fronte al legno del pavimento, dove una piccola fessura le permetteva, disgraziatamente, di osservare ciò che stava accadendo di sotto.

Una donna, il volto sfigurato dal pianto, era approdata sulla piattaforma e già cercava un'altra liana per poter proseguire la sua fuga. Ma uno dei nemici la stava inseguendo e, non appena quella toccò il legno con un piede, la afferrò per la veste e la trascinò a sé.
«No, ti prego, lasciami!» gridò la donna, cercando di sottrarsi alla presa.

«Ma secondo te! Già rischio di essere punito per aver disobbedito agli ordini. Ma di là stavo iniziando ad annoiarmi, quindi una pena posso anche accettarla» concluse, circondandola con le braccia, mentre le sue mani andavano a cercare i bordi della veste per sfilargliela.

Fanny guardava inorridita la scena, senza riuscire a distogliere gli occhi, come incantata. Li chiudeva ogni volta che la toccava, voglioso, ma quando li riapriva quello era intento a infliggerle una pena ancora peggiore della precedente; e le sue orecchie le dolevano ascoltando le urla e i gemiti della donna, che si amplificavano man mano che lui continuava nel suo intento. Strinse la mano di Iulius, non appena vide che la fece sdraiare a terra, e sentì inumidirsi gli occhi e la gola bruciarle, quando si piegò sul suo corpo.

"E se ci fossi io al suo posto?" Quel pensiero la tormentava: se fosse salito di sopra, poteva accadere. Le sue forme erano poco più mature di quelle di una bambina, ma a un uomo così brutale non sarebbero dispiaciute. Dovevano restare in silenzio, fare come se non esistessero! Voleva solo che quel mostro finisse in fretta di sotto, così che lei non potesse più essere preoccupata. Era un pensiero così egoista: se solo avesse voluto, avrebbe potuto aiutare quella donna, lanciando addosso al suo carnefice uno dei vasi che tenevano lì sopra per intontirlo. Ma se qualcosa fosse andato storto... Non voleva subire il suo stesso destino.

Le urla dei due, di piacere dell'uno e di dolore e paura dell'altra, si incrociavano, formando un sottofondo continuo e agghiacciante. Finché un altro suono non li interruppe: il rumore di un vaso che si infrangeva.

L'uomo si staccò immediatamente, tappando la bocca della donna perché non lo disturbasse, e si mise in ascolto. In breve capì che era stato prodotto nella piccola capanna sopra di lui. Scomparve dal ristretto campo visivo di Fanny, che però continuò a sentire i suoi passi e, poi, i cigolii della scala di corda e della botola che si apriva.

~

«Mortino!»

Si era pensato fosse l'apparizione di un daimon avverso al loro operato, tanto era bella la giovane che continuava a sgolarsi per attirare l'attenzione dei guerrieri e del loro capo, che si muoveva irrequieta sulle liane, leggiadra e luminosa nel suo abito bianco. Mai avrebbero immaginato così il nuovo capo del clan.

Si guardavano increduli, spiazzati da quell'arrivo inaspettato, mentre i guerrieri Gheneiou ne approfittavano per salvare altri dei loro. Gli individui inginocchiati non guardavano più sconfortati verso il basso, ma miravano ai rami più alti, da dove talvolta si calavano giù i giovani combattenti o su cui si aggirava il loro capo; osservavano bene da giù cosa succedeva, con gli occhi intrisi di un'emozione che non doveva essere nemmeno contemplata: la speranza. Oh, se Mortino fosse sopraggiunto proprio allora, chissà di loro sottoposti cosa ne sarebbe stato...

«Quella è Genew?!»
«Impossibile. L'imbecille ci aveva detto che era fuori...»
«Anche gli altri guerrieri avrebbero dovuto esserlo, secondo lui».
Il meschino traditore si stava rivelando più dannoso che altro. Era stata scelta quella serata perché propizia, a detta sua: tutti i Guerrieri erano fuori e la gente si sarebbe radunata per la cerimonia di un daimon.

La gente insorgeva: tutti si alzavano in piedi, si armavano di qualsiasi cosa trovassero e si buttavano contro i nemici. I guerrieri erano impossibili da catturare, veloci com'erano, e il massimo che si riusciva a fare era ferirli; ma una volta tornati lassù avevano il tempo di rassettarsi e curarsi quanto bastasse per non morire dissanguati. Se solo avessero potuto salire anche loro... Ma non potevano abbandonare le postazioni.
«Il capo non la prenderà bene. Vi assicuro che non la prenderà bene» si sentiva ripetere, talvolta, quando qualcun altro abbandonava la piattaforma.

La situazione pareva in stallo, con i giovani Gheneiou che salivano e scendevano, Genew che sbraitava e i Mortinou che provavano di tutto per continuare a seguire gli ordini del loro capo. Finché un vento impetuoso non andò a riempire con la sua presenza quell'angolo di foresta.

«Oh, ha già finito...» mormorò qualcuno tra gli oppressori, tremando mentre vedeva avvicinarsi alla piattaforma l'ondeggiante chioma vermiglia come il sangue innocente di cui aveva inzuppato la terra.

~

Rose vide giungere un uomo enorme e capì all'istante di chi si trattava. Smise di urlare e approdò su un ramo mettendo fine al suo moto continuo. Lo guardò e si sentì addosso gli occhi di lui, il suo sguardo penetrante, pesante, opprimente. Ma non abbassò i suoi e continuò a puntarglieli contro, come a sfidarlo.

Quello proruppe in una risata. «Non restare lassù. Ho intenzione di parlare, ma non vorrei urlare troppo».
Rose si morse un labbro: scendere e obbedire significava già concedergli una vittoria; ma d'altra parte doveva trattare, non poteva pensare di vincere quella battaglia con una gara di sguardi.

Afferrò una liana e si calò giù, scrutando intanto intorno a lei: il tempo si era come fermato, tutti avevano smesso di agire per guardare quella scena.

Toccò la piattaforma con un piede e si ritrovò faccia a faccia con il nemico, che la scrutava attentamente, con uno sguardo che aveva sentito fin troppe volte puntato sul suo corpo. Rabbrividì: era già partita male. Voleva indietreggiare, ma sapeva che si sarebbe mostrata debole. E, per lo meno, doveva fare in modo che quello la considerasse una sua pari e non una supplice spaventata. Ma più il tempo scorreva e più si sentiva osservata, più la sicurezza che aveva avuto nell'elaborare il suo piano vacillava.

«Porre fine al mio clan» iniziò, la voce che cercava di essere ferma e sicura. «È questo il tuo scopo, vero?»
«Forse».
«E per farlo sai bene che basta uccidere il capo. Allora cosa esiti? Perché vuoi parlare? Uccidimi e vattene da qui».

Quello sogghignò, per poi fare un passo verso di lei e toccarle il lobo dell'orecchio. «Far tanta strada per così poco e, soprattutto, per privare la terra di una gemma così rara? Sarebbe un atto scellerato».
Rose scostò la mano di quello, cercando di non perdere la calma, e persistette nel suo discorso: «Se non ci sarò più io, Tou Gheneiou si estinguerà».
«Ma come sei desiderosa di morire... Perché mai?»
«Non cambiare discorso. Io sono il capo e voglio proteggere il mio popolo. Voglio che loro stiano bene, restino in vita, anche a costo di perdere la loro identità di Gheneiou».
«Quindi vorresti che diventassero miei schiavi?»
«Voglio che tu prenda me e lasci in pace loro: Tou Gheneiou non ci sarà più, ma loro staranno bene».

Mortino sembrò riflettere, quasi come se stesse considerando davvero le parole della giovane, ma subito scosse la testa, rivolgendole un sorrisetto di commiserazione. «Comprendo anche dai tuoi discorsi che sei giovanissima. Non mi hai convinto».

Era ovvio che sarebbe andata così! Come aveva anche solo potuto pensare che avrebbe accettato? Perché si era voluta immedesimare in un'eroina, quando mai una volta in vita sua lo era stata? Rose aveva paura, paura dello sguardo di quell'uomo, della fine del suo popolo, dell'imminente futuro, di quello più lontano.

«Qual è il tuo scopo?» urlò quasi, consapevole della sconfitta, e volendo almeno conoscere il motivo della sofferenza sua e della sua gente. Una profezia lo aveva spinto a compiere quell'atto, un dio glielo aveva imposto...
«Il motivo principale non lo capiresti, quindi posso dirti che volevo far divertire i miei uomini».

Rose rimase immobile a quella rivelazione. Non sapeva cosa fare. Ogni sua certezza si era dissolta nell'aria. Per tutta la vita aveva creduto che gli dei con cui parlava, che le sussurravano nella loro lingua, fossero lì con loro mortali perché li aiutassero a mantenere l'ordine nel cosmo, a fare in modo che la giustizia prevalesse. Ma ai daimona andava bene che per un motivo così stupido il suo popolo perisse! Non poteva essere, non poteva essere questa la realtà.

«Gli dei...» mormorò sull'orlo del pianto, «gli dei vogliono che i mortali siano rispettosi della giustizia. Fa' un patto con me, decidi tutto quello che vuoi e prometti di rispettarlo».
«Seguo già la giustizia: è giusto che il più forte abbatta il più debole».

La giovane continuava a soffocare l'impulso di piangere, mentre ancora cercava di ancorarsi alla credenza che i daimona fossero giusti. Altrimenti perché Calpurnia l'avrebbe avvertita? Per un istante si illuminò: Calpurnia. Iniziò a pregarla, interiormente, intessendo un monologo che potesse commuoverla quanto bastasse perché giungesse da lei a mostrare che il giusto vince sull'ingiusto.
«Ho... ho dalla mia parte l'appoggio di un daimon: ti punirà!» esclamò, fissando Mortino con uno sguardo pieno di ira.

Ma un'altra volta era destinata a essere delusa. Dietro alla testa del nemico comparve fioca e impalpabile una delle figure che spesso incontrava in sogno, che la stava fissando con la stessa aria beffarda dell'uomo davanti a lui.
«Davvero, giovane mortale?» disse nella sua lingua, mentre si appoggiava alla spalla del suo protetto. «Non mi sembra di sentire l'aura di uno dei miei fratelli aleggiarti intorno».

«Zarkros...» Rose sgranò gli occhi: aveva sentito leggende sul fatto che il daimon del vento tenesse in vita Mortino da centinaia di anni, ma pensava che il suo operato si limitasse a questo. Era possibile che le leggi degli dei, che sempre le ripetevano di dover rispettare, per quello spirito non contassero? Avrebbe persino potuto rivelare al suo favorito la vera identità della giovane, che conosceva bene... Allora non ci sarebbe davvero stata più alcuna speranza.

«Vedi, mia cara danzatrice, il fatto che un daimon ti riveli una mezza verità non significa che sia pronto a battersi contro uno dei suoi fratelli più potenti per un'umana che neanche considera. Questo» sorrise, ponendo una mano sulla testa di Mortino, «significa avere l'appoggio di un dio». Anche l'uomo ghignò e subito una forte turbolenza iniziò a percuotere la foresta. Un vento così potente che nessuno aveva mai sentito si abbatté sull'Oikìa, sulle robuste liane che ne componevano le pareti, che, una dopo l'altra, sconquassate dalla violenza dell'aria, volarono via, fino a che del simbolo di Tou Gheneiou non rimase più nulla.

Tutti osservavano quel portento divino terrorizzati, tranne Mortino che sorrideva tutto compiaciuto. Si girò all'istante, attirando l'attenzione dei compagni che tenevano ancora assoggettato il gruppo degli Anziani. Annuì lievemente e subito quelli, come se non stessero aspettando altro, gettarono brutalmente giù dalla piattaforma i vecchi Gheneiou. Soddisfatto, l'uomo schioccò le dita, attirando l'attenzione di tutti gli altri. «Iniziate pure la fase finale. Non voglio sentire parlare di un Gheneiou maschio sopravvissuto. Per femmine e ragazzini possiamo discuterne».

I Mortinou levarono un grido poderoso e subito iniziarono a correre per la piattaforma, con le spade sguainate, seguendo il precetto di due sole parole: morte e violenza. Il capo del clan chiuse gli occhi e piegò la bocca in un sorriso pacifico, quasi le urla della gente che moriva fossero per lui il dolce suono di una piacevole melodia.

Rose serrò le palpebre e cercò di tapparsi le orecchie con le sue mani. A poco contava: le grida giungevano a lei lo stesso. Le grida della sua gente. Li conosceva tutti. Erano quelle di adulti, con cui aveva scambiato discorsi per i più svariati motivi e delle sue coetanee, con cui aveva giocato da piccola e con cui si ritrovava talvolta a parlare; appartenevano ad altri giovani, persino quelli di cui sentiva sempre i commenti su di lei mentre si muoveva per il villaggio, o alle compagne danzatrici; provenivano dalle ugole cristalline dei bambini, quelli con cui prima stava innocentemente giocando. E insieme formavano il grido unanime di un popolo, un tempo felice, ma che doveva morire soffrendo.

«Allora, Genew, Genew la Giusta? Cosa hai intenzione di fare?» A un tratto la voce di Mortino la raggiunse di nuovo, irrisoria e tagliente: non era abbastanza il dolore che stava portando con i suoi atti?

Rose rimase interdetta per diversi istanti, la mente non più lucida. Ma si stupì presto di un elemento: Zarkros non gli aveva rivelato chi era davvero. Perché? Se era praticamente al servizio di quel malvagio, perché non gli aveva anche fornito quella piccola, ma essenziale informazione?

La giovane si guardò intorno, ma distolse di nuovo gli occhi: non riusciva a reggere la visione del sangue del suo popolo, che aumentava ogni attimo di più. Non era stata in grado di fare nulla: il suo operato non aveva posto fine all'inevitabile. Ma poteva sperare solo in un'ultima cosa, l'unica che fosse mai stata davvero realizzabile: che il suo popolo non si estinguesse del tutto.

«Una volta che avrai finito qui, te ne andrai. Non continuerai a intaccare le mie mangrovie con la tua orrida presenza». Tutto ciò che poteva ordinargli era di andarsene prima dell'arrivo dei Guerrieri e di Genew. Tutti loro al villaggio sarebbero morti, ma Tou Gheneiou no. Sarebbe rimasto ferito, colpito con un colpo quasi letale, ma sarebbe rinato dalle sue ceneri, grazie ai migliori di loro. E forse avrebbe vendicato la felicità che gli era stata sottratta.

«Non serviva certo un tuo ordine: ne avevo già l'intenzione».
Rose annuì, per poi indicare il bronzo di Mortino con la testa e con una mano il proprio cuore. «Allora sbrigati» lo esortò: voleva che finisse anche per lei; era stanca di soffrire.

Ma quello sogghignò, per l'ennesima volta, avvicinandosi a lei e percorrendo con la mano la linea dei suoi fianchi. «Penso che mi prenderò qualche istante di più».
«No! Uccidimi!» gridò l'altra, cercando di scostarsi, ma ormai intrappolata nella morsa di quello.
«Non penso proprio» disse l'uomo, avvicinandola a lui. «Ti ho già detto che non amo gli sprechi. E veder nascere un bambino con il nome di Genew è sempre stato un mio desiderio».

~

Silenzio. Questo era ciò che dovevano mantenere. Fino a non respirare più, fino a soffocare. Si sarebbero forse dati la morte da soli; sempre meglio che lasciarsi scoprire.

Le assi di legno scricchiolavano sotto il corpo pesante dell'uomo che si aggirava nella capanna piena di vasi.
Fanny lo sentiva, che si muoveva, che si spostava avanti e indietro. Nell'oscurità non riusciva a vedere cosa ci fosse dietro ai recipienti, ma ogni volta pensava che si avvicinasse solo un po' di più e... Prima o poi sarebbe accaduto: a furia di guardarsi intorno avrebbe notato qualcosa di strano, avrebbe percepito un rumorino minuscolo che li avrebbe traditi. Lei si faceva sempre più piccola dietro ai vasi, senza mai lasciare la mano di Iulius, l'unico conforto che aveva. Non voleva che la sua fine fosse analoga a quella della donna sotto di loro. Ancora sentiva le sue urla lacerarle le orecchie; sapeva che non se ne sarebbero andate presto, forse non lo avrebbero fatto mai. Erano ormai scolpite dentro di lei, proprio come le fredde, rudi parole che le avevano rivelato la morte dei suoi genitori. E cos'altro le sarebbe successo ancora? Cos'altro il destino voleva farle patire?

Voleva piangere: non ce la faceva più a sopportare tutto. Appena giunta a Tou Gheneiou si era imposta di non pensarci, e così aveva continuato a fare: Iulius l'aveva aiutata e il suo tormento man mano si era affievolito, pur non scomparendo mai. I fantasmi del passato tornavano sempre, ma rimanevano dentro di lei. Ora il presente non le permetteva di continuare a mostrarsi indifferente. Voleva solo piangere, forte, lasciare uscire tutto, mentre stava abbracciata a Iulius. Ma non poteva. Se solo si fosse lasciata scappare una lacrima, il suo nuovo incubo si sarebbe realizzato.

Un altro vaso si rompeva. Era stato lui? Fanny rabbrividì. Un altro, un altro e un altro. Era vicino a lei, lo sentiva: doveva liberarsi dei vasi, voleva arrivare da lei. Sempre, sempre, sempre meno spazio li separava...

Ma in quel momento un boato provenne da fuori. Che succedeva? Cos'era? Fanny non vedeva l'uomo, ma capì che si era fermato e alzato in piedi, come in ascolto. Il frastuono non si placava e continuava anzi impetuoso. Pareva il vento. Ma non poteva essere così forte...

La capanna sembrò sobbalzare al movimento improvviso dell'uomo e subito si sentì che qualcuno stava scendendo dalla scala. Se ne era andato? Senza arrivare a loro? Fanny non ci credeva ancora, e per molto tempo rimase immobile nella stessa posizione, stringendo la mano del suo amico. Ma il silenzio era tornato: non dovevano più temere. Nessun vaso che si spaccava, nessun passo; solo i rumori di sottofondo di urla lancinanti, che non potevano evitare, ma che erano lontane.

La ragazzina si alzò finalmente dalla sua postazione, cautamente e con circospezione. Era davvero scomparso. Andato chissà dove. Guardò dal forellino del pavimento e non lo vide nemmeno là sotto; si era dissolta anche la donna. Scosse Iulius per sentire un segnale di vita almeno da lui e questo, in risposta, prese le mani di lei tra le sue, per poi abbracciarla: il suo corpo perse la rigidità a sentire il calore di quello dell'amico. Adesso erano davvero salvi. Per un istante riuscirono quasi a piegare all'insù la bocca... Ma l'orrore provato era troppo e i loro sorrisi sparirono presto: le urla li penetravano ancora, come anche i gemiti di Raya, dall'altra parte della capanna, che aveva trattenuto a lungo mentre l'uomo era entrato, ma che ormai non riusciva più a non emettere.

Iulius e Fanny si alzarono: erano preoccupati che stesse per nascere il bambino, ma non avevano idea di cosa fare. Accorsero subito, vedendola in condizioni pietose: anche al buio il colore delle sue guance era di un estremo pallore e il suo corpo, ormai incapace di controllarsi, si contorceva in posizioni impensabili, con cui cercava di far passare il dolore ma che in realtà non facevano altro che aumentarlo.

Fanny si inginocchiò vicino alla sua testa, mentre Iulius raggiungeva gli altri fratellini, perché non assistessero all'ennesima scena penosa: ne avevano passate abbastanza, quei due piccoli, ed era giunto il momento che staccassero la testa dalle preoccupazioni. Prima si era comportato in modo meschino, ma non avrebbe ripetuto i suoi errori. Avrebbe agito da maggiore, si sarebbe fatto perdonare: l'ansia che lo affliggeva non avrebbe fatto sì che i suoi adorati fratellini lo detestassero. Si doveva mettere un freno, e così avrebbe fatto.

«Hermit, Sofia» chiamò, la voce indulgente e un mezzo sorriso. Si aspettava che da dietro i vasi comparissero le teste ricciolute dei due e subito sotto i grandi occhi azzurri che condividevano tutti loro fratelli. Ma non ricevette alcuna risposta.

Sospirò: dovevano ancora essere arrabbiati con lui. Non avevano tutti i torti... Iulius si fece strada tra i vasi, fino a raggiungere il posto in cui credeva si fossero nascosti. Nulla.

«Hermit, Sofia!» chiamò ancora, un po' più sollecito. Forse erano solo in un altro posto; era così, per forza. Iniziò a muoversi per la piccola capanna, ma la percorse tutta troppo in fretta. E non li aveva trovati. Forse aveva solo controllato male... Ripercorse due volte completamente tutta l'area, ma dei suoi fratelli non c'era più traccia.

«Oh, no» si disse, prendendosi la testa tra le mani: l'uomo li aveva rapiti? No, non poteva essere: avrebbero urlato o, per lo meno, si sarebbero sentiti altri rumori. Allora cos'era successo? Iulius fece un altro giro, quasi la sua mente volesse ammettere di essersi sbagliata, per quanto così non fosse. «Oh, no no no! Hermit! Sofia! No, no. Dove siete!»

«Iulius...» Fanny diceva qualcosa, ma il ragazzino non la stava più a sentire. Dov'erano andati i suoi fratelli? Solo quello gli importava. Non erano stati catturati, quindi? Prima parlavano di uscire, di andare ad avvertire la mamma e il papà. Non poteva...

«No, no» continuava a ripetere, torturandosi le mani. Kairos glieli aveva affidati e loro se ne erano andati. Era colpa sua. Lui era il maggiore, lui avrebbe dovuto badar loro. E invece erano scappati, pronti a fare gli eroi. Ma erano solo due bambini, sarebbero morti! Sarebbero morti. Quel pensiero colpì nel profondo Iulius, che cadde in ginocchio, con gli occhi che fissavano la botola. Era il maggiore, era il responsabile, Kairos gli aveva chiesto di tenerli d'occhio. Doveva andare anche lui. Ma là fuori non sarebbe sopravvissuto.

«Sono un codardo... Sono solo un codardo» mormorava, bagnandosi le mani con le ennesime lacrime. Non faceva altro che piangere! Non lo sopportava più, ma i suoi occhi continuavano a inumidirsi e le sue gambe a stare ferme.

Basta! Non avrebbe continuato ancora a essere così vile! Sbatté una mano per terra e si alzò in piedi. Con il passo ancora tentennante – il suo corpo non voleva ancora rispondere agli ordini scellerati del suo animo – si diresse verso la botola, ma una mano lo bloccò, tenendolo per una spalla.

«Iulius, non puoi fare niente per aiutarli. Puoi solo sperare che gli dei li proteggano». La voce di Fanny era calma e piatta, come rassegnata al destino che i suoi fratelli avevano scelto. Ma Iulius non poteva arrendersi; non per loro, non per l'ennesima volta!
«No, Fanny, devo andare» disse, cercando di non alzare la voce e scostando la ragazzina da sé.
«E morire inutilmente!» urlò l'altra, facendo uscire tutta la disperazione che aveva trattenuto, forse da sempre. In quel grido non v'era solo la preoccupazione per l'amico, ma vi erano condensate parole non dette, singhiozzi repressi, lacrime che di notte avrebbe voluto lasciar scorrere lungo le sue guance; in quel grido v'era tutta l'angoscia che una bambina non avrebbe mai dovuto sopportare.

Abbracciò Iulius, mentre le sue gambe iniziavano ad abbandonarla, si sbilanciò su di lui, ancorandosi al suo corpo.
«Non farlo. Ti prego». Dalla sua bocca uscirono, flebili e appena percettibili, queste poche parole, che furono abbastanza per mettere ancora più confusione nella mente dell'amico. E adesso cosa doveva fare? Andare o non andare? Raggiungere i suoi fratelli, consapevole che avrebbe rischiato di morire invano, o lasciar perdere, andando contro la sua moralità?

E si arrovellava, mentre mente e animo al suo interno si armavano per scontrarsi l'una contro l'altro, portando alti i vessilli la prima di razionalità e l'altra di etica, in una battaglia che, già si sapeva, sarebbe rimasta senza vincitori.

«Vuoi essere utile?» continuò Fanny, con gli occhi bassi per aver mostrato tutto il suo tormento interiore. «Aiutami con lei» disse, indicando Raya con un cenno degli occhi, che stava peggiorando sempre di più, non riuscendo quasi più a trattenere i gemiti di dolore. «Non abbandonarmi, almeno tu».

Lo scontro all'interno di Iulius persisteva e il suo corpo sembrava essersi svuotato di tutto: Fanny lo prese per mano, spostandolo dalla botola e dai suoi fratelli, mentre lui ancora non si rendeva conto delle sue azioni.

~

Salve, popolo di Wattpad.
Ebbene, stiamo giungendo all'acmé della drammaticità... Il prossimo capitolo - che non a caso ho soprannominato "tragedia" - sarà il più intenso di tutti (anche se per me il più triste continuerà a essere quello degli ultimi attimi di Genew 🥲). Detto ciò, anche questo capitolo non scherzava mica, ma lo abbiamo voluto incentrare di più sulla tensione che sulla drammaticità. E la questione effettivamente è più tesa che mai: Raya sta per partorire (in largo anticipo, oltretutto), Hermit e Sofia sono usciti dal loro rifugio, e al centro del villaggio... be', non potrebbe andare peggio. E tutto questo per colpa di un motivo davvero, davvero futile (ma sarà il solo?): il divertimento di un uomo scellerato. Cosa vi aspettate ancora da Mortino? Cosa ne pensate della questione della giustizia, citata nel dialogo praticamente unilaterale tra Rose e il gigante disumano? Poi, vi siete per caso posti il problema di Rose? Insomma, lei ora si sta spacciando per Genew f, ma qualora un mortale sia chiamato con un nome sbagliato non subisce una sorta di elettroshock? Almeno, a Em e a Dejanira (ve la ricordate?) era successo questo. Rose invece non si è quasi posta il problema (sicuramente se ne è dimenticata). Sapreste ipotizzare il perché di questa stranezza?

Cambiando invece fronte, cosa ne pensate della situazione che sta vivendo Iulius? Vi sareste comportati come lui o diversamente? E di Fanny invece? Vi ricordo che la maggior parte dei personaggi è stata sviluppata non perché fossero degli eroi, ma per indagare piuttosto vari tipi di comportamento (più o meno vili) e vederli sotto una luce diversa. Speriamo di non farveli odiare, sebbene non siano come ci si aspetterebbe. Soprattutto Iulius e Fanny, ma non solo, andando avanti, potrebbero farvi storcere il naso... ma ce ne occuperemo, appunto, più avanti :)

Non vi rubo altro tempi e... ai traumi del prossimo capitolo.
Bye 🥲
~🐼🐢

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