7 - È il momento di crescere

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Hilary

La giornata al lavoro è stata parecchio pesante.

Più pesante del solito.

Un po' perché non ho riposato molto la notte scorsa, un po' perché tutti sembrano impazziti.

A scuola ho avuto un sacco di occhi addosso di gente che parlava alle mie spalle, ragazze che mimavano il mio nome per i corridoi.

Una giornata davvero snervante.

Nonostante il furto della sera prima, il supermercato è sempre stato stracolmo di gente, di bambini urlanti e di mamme esasperate dai loro instancabili capricci.

Più di una volta mi è tornato in mente quel tizio che sembrava mi seguisse mentre venivo al lavoro, ma alla fine sono giunta alla conclusione che probabilmente era solo una mia impressione. Ero troppo su di giri per via dello shock della sera precedente. Vedevo pericolo ovunque, anche dove non ve ne era motivo.

Dopo essermi infilata il camice e la targhetta, ho guardato fuori dalle vetrate del negozio, ma di quel tipo che sembrava pedinarmi non c'è più nemmeno l'ombra.

Di certo allora non mi stava seguendo.
Sono la solita paranoica.

Credo di aver ricevuto una cosa come dieci telefonate di mio padre nell'arco di tutta la mattinata.
È chiaramente preoccupato per me, lo capisco, ma è snervante.
Più io provo a non pensare alla giornata precedente, più mi arriva un suo messaggio o una chiamata che mi ci fa ripensare.

Gli voglio bene, ma delle volte mi rende davvero nevrotica.

Nel tardo pomeriggio, Anthony è uscito trafelato dal suo ufficio come se avesse ricevuto la notizia del secolo, quella che stavamo tanto aspettando.

<<Hanno fermato un tipo poco fa, che credono possa essere riconducibile al furto di ieri>> mi dice il mio capo in preda agli spasmi.

Subito mi torna alla mente quel tizio che mi ha seguita praticamente fino all'ingresso del supermercato.
Non aveva il viso da ladro, piuttosto mi sembrava un po' un piantagrane, ma non un furfante. Un ragazzino un po' curioso.

<<Si aggirava attorno all'isolato, da solo e alla polizia è sembrato sospetto>> rincara Anthony <<così lo hanno fermato e portato in caserma per le generalità, ci sapranno dire!>>

Perfetto, adesso arrestano pure la gente a caso.
La paura fa brutti scherzi.

_________________________

Alla fine del mio turno, Anthony si propone per accompagnarmi di nuovo a casa, perché come dice lui non si sa mai.

Quando finalmente parcheggia sotto il mio condominio malmesso, ho come l'impressione che qualcuno mi stia fissando.
Scendo dall'auto e mi guardo un po' intorno nella speranza di capire qual'è l'origine del mio malessere, ma non vedo nulla.
Saluto Anthony con un cenno di mano e salgo di corsa le scale.

Appena apro la porta, mio padre appare sulla soglia pronto ad inondarmi di domande. Ha il terrore negli occhi, come avesse visto un fantasma.

Come al solito, penso tra me e me.

Alla televisione parlavano dei furti nel quartiere degli ultimi mesi, collegati ad episodi di violenza.
Mio padre ha acceso il suo personale campanello d'allarme proteggi figlia.

<<Non sarebbe il caso che cercassimo un altro appartamento? Qui non è più sicuro...>>ripete mio padre fissando la piccola televisione sul mobiletto. Non stacca gli occhi dal monitor anche mentre parla con me e Josh.

Certo che non è sicuro.
Per poco non mi sgozzano, ricordi?

Mio fratello fissa il monitor senza parlare a sua volta.
Non si capisce se sia spaventato o divertito da tutta quella faccenda. Oppure se addirittura non gliene importi un fico secco.

Fatto sta che per avere appena quattordici anni, sta veramente diventando un tipo pericoloso.
Anzi, odioso.
Non ha provato nessuna pietà per me, nemmeno quando mio padre gli ha detto che avrei benissimo potuto rischiare la vita.

È rimasto lì a ridere e fissarmi come se un coltello puntato alla giugulare fosse qualcosa che capita a tutti, tutti i giorni. Una banalità.

Dopo aver mangiato pochissimo e controvoglia, saluto mio padre per andare a dormire.
Poco prima che potessi lasciare la stanza, mio padre mi ferma per l'ennesima volta richiamando la mia attenzione.

<<Oggi io e tuo fratello abbiamo deciso una cosa>> mi dice mentre toglie i piatti vuoti dal tavolo, tutti tranne il mio che praticamente è immacolato.

<<Pensiamo che ormai sei una donna, anzi io lo penso, quindi anche se tuo fratello non è proprio soddisfatto, ti lasciamo la tua stanza..>>

Non sto capendo.
Ho sentito bene?
Mia... Stanza?

<<Nel senso che papà ha deciso che tu ti tieni la nostra camera e noi dormiamo insieme nella sua che è anche più grande. >> mi dice Josh mentre io resto a fissarli, incredula.

Una stanza tutta mia.
Cos'è, un miracolo?
Se sto sognando, svegliatemi.

<<Tuo fratello ha rotto un po' le scatole, ma alla fine ha capito. Ormai sei una ragazza e non più una bambina, hai bisogno del tuo spazio.>> mio padre sembra riflettere sulla sua ultima frase, come fosse dispiaciuto del fatto che sto crescendo troppo in fretta.

Poco dopo mi ritrovo a saltellare lungo il corridoio buio della mia piccola abitazione.
Questa cosa della stanza tutta per me un po' mi eccita, non lo posso negare.

Sono anni che aspetto questo momento, il momento della mia indipendenza domestica.
Mando subito un messaggio a Maggie per comunicarle la bella notizia, la prima dopo diversi giorni traumatici.

Quando entro nella stanza, ho l'impressione che sia diversa.
È più grande senza il letto di mio fratello. È senz'altro più spaziosa.
Non ci sono più i suoi orribili poster ai muri, la televisione è ancora lì ma la sua consolle è sparita insieme ai videogiochi. Niente più casino notturno, sparatutto, guerre online.
L'armadio è stato svuotato, ora ci sono solo le mie poche cose.
Non c'è più la sua roba sparsa sul pavimento.

È davvero la MIA stanza adesso.

Ritorno in cucina, mio padre sta ancora ripulendo le stoviglie mentre mio fratello guarda il football alla televisione.
Mi avvicino a Lui e d'istinto lo abbraccio. Glielo devo per una volta, un gesto d'affetto.

Io e mio padre non ci perdiamo spesso in tenerezze, per lo meno non dopo la morte di mia madre.

Sono stata obbligata a crescere velocemente e cavarmela da sola, per questo non ho avuto un padre come tutte le altre bambine.
Le coccole sono sempre state superflue tra noi, fin da piccina sono cresciuta con grandi responsabilità nei confronti della famiglia.

<<Grazie papà...>> gli dico io sottovoce, tenendolo stretto.

Lo sento rigido sotto il mio abbraccio, come non fosse mai stato abituato a riceverne da nessuno.

<<Figurati, era il momento adatto.>> lo vedo che è commosso, dopo tanto tempo.

E tutto questo mi è mancato molto.

___________________________

Alla mia famiglia piace bere sempre una tazza di cioccolata calda dopo cena in inverno.
Mio padre è un mago a prepararla, non gli fa nemmeno un grumo.
Ottimo intreccio tra polvere di cacao e latte, olio di gomito nel mescolare con cura. Se ne vanta sempre.

Finito di inzuppare l'ultimo biscotto mi sento esausta, così decido di andare a dormire.

Domani mi aspetta una nuova giornata, identica alla precedente.

La mia stanza, senza mio fratello, mi sembra quasi vuota. Ammetto che quasi mi manca il suo russare, il ronzio fastidioso del suo naso che si tappa, la luce della televisione accesa spesso fino al mattino.

Mi ci vorrà un po' per abituarmi.

Le coperte calde mi abbracciano e dopo poco il sonno si impadronisce di me, mi culla oltre la realtà. Sogno qualcosa di piacevole, mia madre e mio padre di nuovo insieme. È davvero solo un sogno, eppure bellissimo.

Vengo svegliata nel cuore della notte da quello che sembra essere un temporale o qualcosa che fa un rumore simile.
Apro gli occhi e di colpo e non riesco a trattenere un urlo.

Ne sono sicura.
Ho visto un uomo.
C'era qualcuno che mi stava guardando dalla finestra.
Non posso averlo solo sognato.

Mi alzo di corsa e corro nella stanza di mio padre, dove sia lui che mio fratello stanno dormendo come ghiri.

<<Papà...>>lo chiamo strattonandolo.
<<Papà! C'è un uomo che mi fissa dalla finestra!>>

Mio padre si gira nella mia direzione ancora assonnato e dopo aver percepito l'ansia nella mia voce, scatta in piedi prendendo dal cassetto del comodino la pistola personale.

In America quasi tutti possono averne una. Non condivido, ma in certi casi la situazione giustifica il mezzo.

Corriamo insieme nella mia stanza e accendo la luce. Socchiudo le palpebre, il neon in un primo momento mi infastidisce.

Alla finestra non c'è nessuno, solo delle gocce di pioggia che scivolano sui vetri e il rumore di un inconsueto temporale invernale.
Mio padre apre la finestra per guardare meglio che non ci sia qualcuno sulla scala di emergenza che da proprio sulla mia finestra.

<<Hilary, non c'è nessuno qui.
E se ci fosse qualcuno, nel breve tempo in cui sei venuta a chiamarmi lo avremmo visto. Lo avrai sognato!>>

Ero certa di averlo visto davvero.

Mio padre mi riaccompagna a letto e dopo avermi rimboccato le coperte mi dice di rilassarmi, che gli incubi delle volte possono giocare davvero brutti scherzi.

Quella notte non riesco proprio a chiudere occhio di nuovo, ho quella sensazione un altra volta, poi di nuovo l'impressione di essere spiata nel buio.

Rimango a fissare la finestra, in attesa di dare una risposta di senso ai miei dubbi.

Non potevo solo averlo sognato.
Io l'ho visto.

Nessuno è tornato alla mia finestra durante la notte. O almeno non mi è sembrato.

Eppure sono sicura, qui c'è stato qualcuno, non posso averlo solo immaginato.





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