Capitolo 1

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Mi rigiro la sigaretta tra le dita, il fumo che crea volute astratte verso di me fino a disgustarmi le narici. Il vento mi scompiglia i capelli e lo porta lontano, insieme alle foglie autunnali che, secche, abbandonano gli alberi per quest'anno. La confusione generatasi dopo il suono dell'ultima campanella è quasi del tutto svanita, restano solo sparuti gruppetti di studenti qua e là, nel parcheggio fuori scuola.

Non ho mai amato fumare, non quelle sabbiose e insipide sigarette che tiriamo fuori solo per svago. Non sono le mie preferite e tutti lo sanno, eppure mi porto comunque il filtro alle labbra, così, per passatempo, per stare insieme agli altri.

Inspiro ed espiro. Il fumo pare quasi liquido quando lascia le mie labbra e si disperde nel vento. Lo osservo finché non sparisce, mentre passo la sigaretta a Vladik.

«Non te piace proprio, eh.»

I miei amici ridacchiano mentre lui prende ciò che gli sto passando. Mi unisco al coro di risate facendo spallucce.

«Non mi dispiace, ma non capisco cosa ci trovi.»

«Leo c'ha il palato sensibile, lui vole solo roba bona» esordisce Gio dal suo posto sotto l'ombra dell'albero. Non l'ho mai visto al sole per più di cinque minuti consecutivi, e la sua pelle chiara ne è la prova concreta. «Tie', Fra', accendi 'sta miccia.»

Gli rivolgo un sorriso complice. Di solito è lui il detentore e fornitore di "roba bona", che comunque non ho provato spesso. Mi diverto insieme ai miei amici, ma solo finché non esageriamo.

Mentre mi allungo verso Gio, Vladik mi rivolge un'occhiata divertita da sotto la visiera del cappello Nike che gli copre i capelli chiari. Il sorriso bonario non gli abbandona mai i lineamenti, a meno che non lo si chiami Vlad. In quel caso va su tutte le furie e ti fa pentire di avergli dato un soprannome in buona fede. È successo a tutti almeno una volta.

Do vita a una fiammella con l'accendino e mi porto il nuovo filtro alle labbra. Inspiro, trattengo a stento il fumo nei polmoni, che brucia molto più della sigaretta di prima. La testa mi gira appena, prima che lo lasci andare con un sospiro rilassato. Molto meglio.

Sento i miei due amici dire qualcosa, ma lascio per un attimo vagare lo sguardo nel parcheggio soleggiato. Il varco della cancellata in ferro è ormai del tutto svuotato, i veicoli rimasti nello spiazzale sono pochi. Da lontano, scorgo mia sorella davanti alla macchina di una delle sue amiche tutte in tiro del quinto anno. Probabilmente se le è fatte amiche proprio per quello, per essere scarrozzata a destra e a manca da quelle snob riccone. Non che sarei mai tornato a casa con lei in ogni caso.

«Che volete fa' per la verifica de domani?»

Dopo il terzo tiro, torno alla realtà, e mentre attendo che Gio risponda alla domanda di Vladik, passo la canna a quest'ultimo.

«In che senso?»

Vladik guarda me e poi Gio, prima di parlare. «Non la posso salta' questa, Fra'. Mi madre m'ammazza.»

«Direi» rincaro, anche se dopotutto non me ne frega granché. Mi importa che i miei voti siano buoni, i miei amici fanno come pare a loro.

Gio si limita a ridere, spensierato come sempre. «Vabbè, dai, copiamo da Leo.»

Rido anche io e alzo gli occhi al cielo. «Non avevo dubbi che sarebbe finita così.»

Continuiamo a scherzare sui loro voti pessimi rimembrando occasioni in cui si sono salvati il culo per miracolo o per mera fortuna. Gio mi prende in giro dandomi del secchione, e come sempre non me la prendo. Non sono un secchione. Non ho nemmeno voti tanto alti, in realtà. In inglese e francese me la cavo a stento, nelle altre materie ho una media decente, mi salvo solo in letteratura perché mi piace.

«Secchione o no, sarò io domani a salvarvi il culo, quindi porta rispetto» scherzo, e lui alza le mani in segno di resa.

Non trascorre tanto tempo prima che decidiamo che sia ora di tornare a casa, e infine ci separiamo per prendere strade diverse. Mi infilo le cuffie nelle orecchie, ancora troppo rilassato per assumere un'andatura rapida, e mentre passo davanti a mia sorella la fisso forse troppo a lungo. È ancora con quelle tizie, indossa la stessa mini gonna che indossano loro e la stessa imbottitura del reggiseno che mi fa alzare gli occhi al cielo.

Lei mi nota e sorride. Ma non è un sorriso benevolo, riesco a capirlo anche se sono un po' fatto. È un sorriso che scopre a malapena i denti e non coinvolge gli occhi, un sorriso che mi lascia perplesso. Quasi mi stia dando dell'ingenuo.

***

Ci metto un po' a trovare le chiavi del cancello, ma alla fine riesco a tirarle fuori dalla tasca piccola dello zaino. I miei genitori a quest'ora non ci sono, e a quanto pare Giulia non è ancora intenzionata a tornare a casa. Giulia... mi ero quasi dimenticato dello sguardo freddo che mi ha rivolto mentre me ne andavo. Io e mia sorella non siamo molto uniti, ma neanche ci odiamo. Ripenso ai nostri ultimi litigi, domandandomi se potesse avercela con me per qualche motivo, ma è da un po' che viviamo un periodo pacifico.

La nostra idea di pace è perlopiù quella di ignorarci, lei non rompe le scatole a me e io non le rompo a lei, semplice. Non sono il tipo di fratello geloso e iperprotettivo, anche perché se fosse questo il caso con lei dovrei diventare matto.

Faccio spallucce e spingo il cancello per entrare nel cortile. Il giardino che mamma ama tanto curare mi accoglie con il suo verde smeraldo ai lati del vialetto in mattonato. Link mi corre incontro scodinzolante, come se non mi vedesse da una vita. Quasi mi assale con entusiasmo con i suoi trenta chili di labrador, e solo dopo la mia solita esclamazione di saluto si limita a trotterellarmi a fianco fino al portone d'ingresso. Mi si infila tra le gambe e rischio di inciampare.

«Diamine, Link, stai buono!»

Anziché darmi ascolto, trotterella ancor più entusiasta dopo avermi sentito. Sbuffo.

Mi levo le scarpe non appena ho messo piede dentro, abitudine che ho da sempre; odio fare anche un solo passo in casa con le scarpe ai piedi. Vladik mi prende in giro quando vado da lui, continua a dirmi: "Mica siamo giapponesi, solo ucraini", riferendosi alla sua famiglia.

Metto a posto scarpe e zaino e indosso qualcosa di più confortevole, prima di curiosare in cucina per sapere cosa ci ha lasciato mamma per pranzo. Non so quando Giulia tornerà, quindi mi prendo in solitaria una porzione di lasagne dal forno e me la scaldo in microonde.

Passo il primo pomeriggio a ripassare per il compito di storia di domani. So già tutto e non mi va di parlare da solo, quindi ci metto ben poco e mi faccio presto distrarre dai messaggi del gruppo dei miei amici. Stanno cercando di convincermi a farci qualche partita a Rocket League, anziché studiare.

Scuoto la testa e sorrido, ma inizio a digitare un "ok", che però viene interrotto sul nascere.

La porta della mia camera si spalanca di colpo, e mentre trasalisco per lo spavento il telefono mi vola di mano e fa un triplo salto mortale in aria, prima di atterrarmi su un piede.

Impreco a gran voce, sia per lo spavento che per il dolore, per nulla sollevato dal fatto che, perlomeno, al cellulare non è successo niente.

«Cazzo, Giulia! Ma vuoi bussare?!» sbraito non appena metto a fuoco la colpevole. Giustamente, non poteva essere nessun altro: è ancora presto perché mamma o papà siano tornati.

Mia sorella mi guarda imperturbabile, e di nuovo il sorrisetto di prima si fa strada sul suo volto ancora truccato.

Si fa largo nella mia stanza senza che l'abbia invitata e calpesta il tappeto concentrico blu che mia madre si ostina a mettere al centro perché fa da arredo. Come se dovesse vederlo qualcuno che non sia Vladik o Gio o occasionalmente qualche altro amico. Ma poi, ai miei amici che diavolo importa di un tappeto?

Mi alzo in piedi. La situazione è troppo sospetta per restare in una posizione di svantaggio. Giulia non ha detto ancora nulla, ma non me la racconta giusta.

«Sei tornato presto» osserva, senza fissare del tutto lo sguardo su di me. Si passa con calma le dita lungo una ciocca castana, liscia e lunga da far paura. Un comportamento forzatamente casuale.

«Sono tornato quando è finita scuola.» Faccio spallucce. «Tutta la fretta e l'urgenza che avevi era per dirmi questo?»

Non voglio risultare sgarbato, ma devo farla giungere al dunque. Solo io so quanto possa essere subdola e spietata mia sorella quando ne inventa qualcuna delle sue.

Lei mette in mostra due file di denti bianchissimi e perfettamente allineati.

«Non esattamente. Avevo intenzione di parlare co' mamma e papà stasera di una cosa importante. E siccome ti riguarda, volevo almeno metterti al corrente.»

Alzo un sopracciglio e la guardo confuso per indurla a continuare, ma lei si limita a battere le ciglia lunghe con un mezzo sorriso.

«Sputa il rospo, Giu'.»

«Ti ho visto oggi con Vladik e Gio. Non starai seguendo una brutta strada? Sono tua sorella minore, ma non per questo non posso preoccuparmi per te. Forse, invece, sta proprio a me il compito di dirlo a mamma e papà, in modo che possano impedirti di diventare un tossicodipendente.»

A quell'ultima parola trattiene a stento una risata. È ovvio che è sarcastica e che sta dicendo queste parole solo per... intimorirmi? Minacciarmi? Cosa vuole da me?

«Stai scherzando?» non posso fare a meno di chiedere. «Non di' stronzate, dai. Come se non mi avessi mai visto fumare prima.»

Sbatte di nuovo le ciglia con aria innocente. Sto per perdere la pazienza. «Qualcuno dovrà preoccuparsi per te, fratellino.» Sottolinea quella parola idiota con fin troppo miele nella voce. Mi ha stancato.

«Che cosa vuoi?»

Mia sorella soppesa un attimo la domanda, forse chiedendosi se continuare la farsa oppure sputare il rospo. Il naso alla francese punta verso l'alto mentre alza il viso a cuore, come in riflessione.

«D'accordo, se mi fai un piccolo favore posso chiudere un occhio per stavolta. In nome della nostra fratellanza.» Mi fa l'occhiolino, e non posso che sbuffare un'altra volta.

Mi gratto la nuca per prendere tempo, poi dico, annoiato: «Spara.»

«Devi promettermi però di non farlo più! Ci tengo al mio fratellone...»

«Giulia, non diciamo cazzate. Avanti, di' quello che vuoi e falla finita.»

Lei mi guarda dal basso, gli occhioni da cerbiatta ben aperti e il mento alzato. Alla fine, finalmente, si decide.

«Avrei bisogno che parlassi con una persona.»

Inarco le sopracciglia ancor di più a quella frase molto vaga, che potrebbe avere mille significati diversi e altrettanti trabocchetti.

«Una persona?»

Annuisce. «Un ragazzo. Della nostra scuola.»

Mi faccio per un attimo pensieroso e mi porto due dita al mento. Forse l'ho giudicata male. Forse sta cercando solo protezione e non sa come altro chiederla, perché io non gliel'ho mai fornita. Eppure, questo non coincide proprio con il suo carattere.

«Un ragazzo che ti dà fastidio?»

«Mi dà fastidio parlargli.»

Mi metto sul piede di guerra, non con lei ovviamente, ma con lo sconosciuto. Non sono geloso, ma se le dà fastidio o l'ha fatta soffrire è un altro conto. È pur sempre mia sorella, diamine!

«Gli devo fare un discorsetto?»

Giulia non reagisce come mi aspettavo. Porta avanti le dita dalle unghie smaltate e le muove avanti e indietro, come per suggerirmi di calmarmi.

«No, no! Niente di simile. Mi serve che ci parli tramite email.»

«Cosa...»

«Leo, devi far finta di essere me. Una me innamorata.»

«Cosa?!» ripeto, ma stavolta con un'esclamazione piuttosto rumorosa.

Lei alza gli occhi al cielo, come se la mia reazione fosse fuori luogo. Si sposta per la prima volta dallo stupido tappeto e raggiunge la piccola libreria in legno chiaro, dove si appoggia con la schiena contro gli scaffali e mi rivolge un'espressione furba.

«È un tizio coi soldi, mi ha promesso regali costosi. Ma è di una noia mortale! Non ce la posso fa'.» Si guarda le unghie mentre parla, laccate, quest'oggi, di fucsia. «Ci devi parlare facendo finta di essere me. Crede che stiamo insieme.» Si porta una mano alla bocca e ride.

Assottiglio ancor di più le palpebre. «E ti sembra giusto usarlo così?» In realtà non mi importa granché di quello sconosciuto, non è la prima volta che mia sorella usa qualcuno per scopi simili e non sarà neanche l'ultima. Sono loro a essere stupidi ad andarle dietro. È selezione naturale. Però, visto che non ho intenzione di farlo, provo almeno a premere sulla sua sensibilità. Che tuttavia è inesistente.

«Suvvia, qualche regalo per me non lo manderà fallito, con la famiglia ricca che ha.»

Evito di dire che non mi riferivo a quello, già so che è una battaglia persa in partenza.

«Ma non puoi farlo da sola?»

Sbuffa. «Non mi va, Leo, non c'ho pazienza. Allora, lo farai o no?»

Faccio per rifiutare, ma poi ricordo della sua minaccia. Esito. Quanto mi può costare, in fondo, inviare qualche messaggio?

«Per quanto tempo?» indago.

Lei sorride. «Per... un po' di tempo.»

«Un po' di tempo?!»

Giulia sbuffa ancora, come se la stessi tirando troppo per le lunghe e ciò fosse fuori luogo.

«Ma che ne so io. Finché non mi regala la borsa che voglio!»

«Ma chiedila a mamma e papà, no?»

La risata di mia sorella riempie l'aria. «Scherzi? Se chiedo trecento e passa euro di borsa mi mandano a lavorare in miniera.»

«Tre...» Non riesco a ripeterlo. «Ma la fanno con l'oro?»

Giulia sbuffa di nuovo. Si sta spazientendo. Lei.

«Senti, accetti o no?»

«Certo che no! Non voglio ritrovarmi a dover mandare messaggini amorosi fino a Natale!»

Mia sorella assottiglia gli occhi e mi guarda minacciosa.

«Non lo fare, e papà e mamma sapranno tutto.»

Stringo i pugni, inizio a sentirmi infastidito. Posso anche starci se mi chiede un favore in modo poco convenzionale, ma non le permetterò di minacciarmi.

«'Fanculo, Giu'. Fai quel che cazzo ti pare, non cedo alle minacce e lo sai.»

Lei mi guarda seria. Una parte di me spera stia bluffando, ma da quello sguardo posso capire che no, non lo sta facendo, e rischia di mettermi in un mare di merda. Posso solo sperare che la fratellanza che c'è tra noi le impedisca di farlo. C'è ancora qualche ora fino a stasera, le passerà di sicuro.

Lei invece mi sorprende. Tira fuori il cellulare dalla tasca e con aria disinteressata compone il numero di mia madre, che entrambi sappiamo a memoria. Resto a guardarla attonito per i due squilli successivi, finché la voce della donna che mi ha messo al mondo non mi riscuote.

«Mamma, sì, sono io. No, non è successo niente. Cioè, in realtà una cosa è successa. Riguarda Leo. È importante, altrimenti non ti avrei chiamata a quest'ora.»

Deglutisco il nulla, in attesa. Non lo farà, mi ripeto. Non lo farà, non lo farà, non lo farà.

E invece lo farà. Ne è capace e lo farà. Lo so.

«La verità è che ho visto Leo Far...»

«Lo farò!» urlo. «Hai vinto, ti aiuterò!»

Lei sorride vittoriosa. E la chiamata si conclude in modo pacifico, in una specie di finto scherzo.

Kokoa

Eccola qua, una storia nuova e senza troppi fronzoli. L'obiettivo è scriverla e pubblicarla così come mi esce in bozza o al massimo riletta una sola volta, perché ciò su cui vorrei focalizzarmi adesso è scrivere, non revisionare.

La pubblico qui perché sento che Leo e Jamie hanno bisogno di qualcuno che li legga sin da subito, e visto l'interesse di alcuni lettori ho deciso di darmi una mossa.

Non so se riuscirò a rispettare un aggiornamento a cadenza settimanale, ma visto il poco lavoro che c'è da fare previa pubblicazione direi di sì. Non me la sento tuttavia di prometterlo.

Dopo questa comparsa vorrei ringraziare tutto coloro che mi hanno aspettata e hanno dimostrato il loro entusiasmo per questo ritorno, non me l'aspettavo e ne sono stata super felice <3

Spero di condividere con voi un buon romanzo, a presto e un abbraccio a tutti.

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