Capitolo 2

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Spengo il rumore spaccatimpani della sveglia del cellulare che tutte le mattine rischia di farmi morire d'infarto e con lentezza mi stiracchio nello spazio ristretto del letto. Sono un po' troppo lungo per il letto che usavo da bambino ormai, e i piedi toccano la fine del materasso.

Sbuffo e allontano il pensiero allettante di dormire ancora un po', o farei tardi alla prima ora. Mi metto seduto nella speranza di scrollarmi un po' di sonno di dosso, e mentre mi tornano in mente gli avvenimenti della sera prima, la voce di Giulia mi risuona nella testa: "Devi dargli il buongiorno appena ti svegli."

Sbuffo un'altra volta, maledicendo prima lei, per il ricatto che mi ha fatto, e poi me stesso, per aver ceduto. Lì per lì il panico mi ha indotto a farlo, ma adesso non mi pare più che ne sia valsa la pena. Non dopo le informazioni aggiuntive che mia sorella mi ha dato ieri sera.

«Si chiama Jamie, è inglese o qualcosa del genere, vive qui in Italia da qualche anno perché la madre è italiana, mi pare. L'ho conosciuto a scuola.»

La prima cosa che mi è venuta da chiedere è stata: «Se viene a scuola con noi e lo vedrai tutti i giorni, che senso ha che per telefono ci parli io?»

Lei ha scosso la testa: «I genitori viaggiano molto, non restano mai a Roma per troppo tempo. Per un colpo di fortuna, Jamie è partito proprio il giorno dopo in cui l'ho baciato, credendo che staremo insieme a distanza.» Ha emesso una mezza risata denigrante. «Come se potessi fare una cosa del genere!»

Forse per un impeto di solidarietà maschile, non mi è piaciuto come ha parlato di lui, come se non avesse sentimenti, ma mi sono detto che non mi interessava, in fondo, e i pregiudizi verso il tizio con cui sarei stato obbligato a parlare hanno fatto il resto.

«Inoltre, hai toppato una cosa, fratellino.» Ho alzato gli occhi al cielo. Odio quando mi chiama così. «Non ci parlerai per telefono. Ho pensato a tutto: gli ho detto che i miei genitori sono molto severi e che mi lasciano usare il telefono solo quando sono fuori casa. Perciò gli ho dato una falsa email, ci parlerai da lì. Così non devo inventarmi scuse perché non lo chiamo.»

Ma come ha fatto a crederle?

Dopo quella chiacchierata, mi ha aiutato a scrivergli un messaggio di buonanotte di cui non ho guardato la risposta, e dopo essersi assicurata che fossi in grado di svolgere il compito, mi ha abbandonato a me stesso.

E ora cosa dovrei dirgli? Giulia mi ha detto di essere un po' sdolcinato perché è un tipo a cui non dispiace, ma mi viene da vomitare solo al pensiero.

Decido di rimandare il messaggio e mi alzo per lavarmi e vestirmi. Faccio arieggiare la stanza e mi rifaccio il letto, poi arriva per forza il momento di scrivere. Premo tasti e poi cancello ciò che ne è uscito, ripetutamente, finché esce qualcosa che può essere accettabile e non mi fa troppo vomitare.

Giulia:

Buongiorno, Jamie. Stanotte ti ho sognato, forse è perché mi manchi già. Sto per andare a scuola, ti invidio che per oggi salti. Fa sempre più freddo e vorrei non uscire proprio dal letto, ma il dovere mi chiama, sfortunatamente. Ti auguro un buon risveglio.

Tua, Giulia.

Soddisfatto, annuisco. La menzione del letto non è niente male, mi può far guadagnare un sacco di punti distraendolo dalla verità di sottofondo che non è veramente Giulia a scrivergli. Avevo paura che se ne accorgesse, ma sono fiducioso che non lo faccia.

Sto per scendere, quando la notifica di una nuova email compare sullo schermo. Wow, che rapidità.

Jamie:

Ciao Giulia! Fa freddo anche da me. Guardo il cielo grigio fuori e non può che mancarmi la limpidezza delle stelle che ho ammirato insieme a te. Custodisco il ricordo di quella serata nell'attesa che ci vediamo di nuovo. Adesso quando le vedo penso solo:

A che tante facelle?

che fa l'aria infinita, e quel profondo

infinito seren? Che vuol dir questa

solitudine immensa? Ed io che sono?

Leggo le ultime righe due volte prima di essere sicuro che sia una poesia. Una poesia che conosco bene.

Apro il libro dei canti di Leopardi e so esattamente a che pagina trovarla, per quante volte l'ho sfogliato. In silenzio, corro a leggere quei versi, e quasi senza accorgermene gli invio un altro pezzo.

Giulia:

Ma perché dare al sole,

perché reggere in vita

chi poi di quella consolar convenga?

Se la vita è sventura,

perché da noi si dura?

Intatta luna, tale

è lo stato mortale.

Non c'entrano nulla con i suoi, ma sono i miei preferiti, e sono della stessa poesia. Sono quasi curioso di sapere come reagirà, che ne pensa. Continuo a guardare il telefono, ma la risposta non arriva e devo prepararmi.

Stringo il dispositivo tra le dita e scendo di corsa di sotto. Mia madre, impegnata come tutti i giorni a sorseggiare caffè, strabuzza gli occhi quando mi vede tanto energico. Di solito arrivo a tavola con gli occhi ancora chiusi.

«Sono quasi in ritardo» mi giustifico, e subito mi domando perché mi senta in dovere di giustificarmi. Non è che abbia fatto qualcosa di sbagliato.

«Come se non lo fossi ogni giorno» mi rimbecca lei.

«Touché.»

Lei torna con disinteresse alla sua colazione, e io riempio la tazza di latte e cereali e li mangio a grandi cucchiaiate prima che si ammoscino; li detesto quando non sono croccanti.

Quando mi alzo mia sorella non è ancora scesa, e non me ne sorprendo. Se io ogni giorno sono "quasi" in ritardo, lei lo è per davvero.

Torno al bagno per lavarmi i denti e sistemarmi i capelli, poi agguanto lo zaino sin troppo leggero e scendo di nuovo. Forse mi manca qualche libro, non lo so, ma in caso me ne farò prestare uno da qualcuno.

Mentre attraverso il soggiorno, tiro fuori il cellulare dalla tasca e controllo le email. Ne trovo una nuova, dice soltanto:

Jamie:

Non sapevo ti piacesse Leopardi.

Rispondo in fretta.

Giulia:

È il mio poeta romantico preferito.

Tutti i suoi canti sono nella mia fedele libreria, piena fino a scoppiare di libri sul romanticismo. Forse sono un po' scontato, ma è il movimento culturale che più mi ha colpito nella storia, per via dell'intensità con cui vengono esaltate emozioni struggenti, del lato negativo che c'è dietro a ogni bellezza, dell'inquietudine e della tensione che lasciano percepire gli animi degli autori, più vicini di ogni altra cosa. Ma più di tutto amo il fatto che quando leggo poesie romantiche è come se facessi un viaggio dentro l'io più profondo di chi le ha scritte.

Mi accorgo di aver perso troppo tempo quando il telefono squilla di nuovo.

Jamie:

Non credevo proprio ti interessasse la poesia, in realtà. Non è da tutti amare la letteratura, quando lo dico in giro ricevo occhiate stralunate della serie "sei nato vecchio" e "date uno svago a questo secchione". Ma ovviamente non è così, voglio solo dire che trovo ammirevole che anche tu ritieni prezioso questo patrimonio che troppo spesso viene sottovalutato.

Non gli rispondo, non so che dirgli. L'ha presa troppo sul serio. Mi piace la poesia e forse è vero che è sottovalutata, ma non me ne frega un tubo di quello che piace agli altri. E poi non ha commentato i miei versi preferiti, cosa che mi ha infastidito. Avevo sperato in qualcosa di più.

Me ne vado a scuola con quel senso di fastidio, che tuttavia evapora non appena inizia la giornata scolastica.

La mattinata scorre liscia, Gio e Vladik si assicurano un buon compito di storia copiando da me e a ricreazione ci riuniamo al solito posto in giardino. L'aria è più fredda del solito, porta con sé un'anticipazione dell'inverno che deve ancora arrivare. Il cielo grigio mi fa ripensare all'email che stamattina il tizio mi ha inviato, e tra me e me sbuffo.

«Sei insofferente oggi, Leo. Che c'è, hai fatto sbaglia' le risposte del compito a tutti?»

Guardo Gio e sorrido. Prima che possa rispondere, però, veniamo interrotti.

«Leo!»

Mi volto e individuo la chioma platinata di Mary prima ancora che ne riconosca i tratti accentuati dal trucco. È insieme alla sua amica della quale non ricordo il nome, quella che le va sempre appresso e che in più di un'occasione ci ha impedito di giungere al dunque. Non che non l'abbiamo mai fatto, giungere al dunque. Ma la sono fatta in diverse occasioni e a lei non è dispiaciuto, visto come mi guarda. Ma non c'è stato mai niente di più tra noi, nessuno dei due lo voleva.

«C'è la festa di Rebecca sabato della prossima settimana. Ci vieni, no?»

Ecco come si chiama quella terza incomoda. Alzo un sopracciglio. Non ne sapevo nulla, non avevo idea che volesse fare una festa in grande: io non la conosco bene, quindi se sta invitando me, come minimo ha invitato mezza scuola prima.

«Possono venire anche i miei amici?» mi informo. Per quanto non mi repella l'idea di un'occasione per scoparmi Mary un'altra volta, non ho molta voglia di andare ad annoiarmi senza Vladik e Gio.

«Ma certo che possono! Non è vero, Becca?»

La ragazza minuta dai corti capelli castani mi guarda come se fosse la prima volta che mi vede, poi annuisce. Ho sempre avuto l'impressione di non starle molto simpatico, e ora questa intuizione è più forte che mai. Se sono invitato, deve essere solo opera di Mary.

«Ci saremo» si intromette Vladik.

Mary lo degna solo di uno sguardo di sufficienza, dopodiché mi rivolge un sorriso a trentadue denti che le cambia del tutto i lineamenti e tira per il braccio l'amica per andarsene.

«Oh, ma quanto scopi, frate'! Quella te la sta a servi' su un piatto d'argento!» esclama Gio, alzatosi dalla panchina sulla quale stava fumando con tranquillità.

«E falla finita!» dico ridendo, mentre Vladik si imbroncia.

«E condividi ogni tanto, coglione.»

Gli do una pacca sulla spalla. «Non è colpa mia se sono un metro e novanta di fascino!»

«Ma quale metro e novanta! L'artro giorno eri uno e ottantaquattro. Nun bara', secco.»

Terminiamo la ricreazione in una risata e mi scordo totalmente di controllare il cellulare.

Lo faccio solo una volta a casa, giustificandomi con me stesso che se gli scrivo durante l'orario scolastico poi non me ne libero nemmeno per quelle sei ore. Decido quindi che quelle saranno le mie ore di pace, magari con la scusa che a scuola non posso permettermi di scrivergli.

Apro le email e ne trovo una nuova, vecchia solo di una decina di minuti.

Jamie:

Anche io ho avuto un lungo periodo di negatività nella vita e la pensavo esattamente allo stesso modo, ecco perché proprio quei versi da te citati mi sono cari. Tutti prima o poi ci ritroviamo a chiederci "cosa viviamo a fare, se dobbiamo soffrire per forza?", "perché i nostri genitori, che professano di amarci, ci fanno un torto tanto grande?". Non vorrei addentrarmi in discorsi sulla filosofia leopardiana, giuro, quindi mi limito a dire che, crescendo, persone che mi vogliono bene mi hanno aperto gli occhi e mi hanno restituito quel poco di positività necessaria a mantenere un equilibrio. Non si soffre soltanto, è universalmente vero. Ma quei versi mi saranno per sempre dentro.

Una parte di me vorrebbe denigrarlo, quasi con qualcun altro, ridere di lui. Ma l'altra dice che è proprio ciò che volevo, ciò per cui ho sbuffato credendo non fosse accaduto: un commento ai miei versi preferiti.

Blocco per un attimo lo schermo e mi cambio, in bilico tra il volerlo prendere per il culo e la volontà sempre più grande di rispondergli.

Alla fine gli rispondo, ma senza dargli troppo il contentino. È il mio compito, no?

Giulia:

Beh, sai i miei versi preferiti di Leopardi ora. Che mi dici dei tuoi?

È una domanda che ho fatto tanto per non far cadere la conversazione e portarla su toni più confortevoli per me, eppure mi scopro in attesa di una risposta. Risposta che arriva ben presto, prima ancora che riesca a scendere per procacciarmi qualcosa per pranzo tra frigo e dispensa. Papà ieri si è finito tutte le lasagne, accidenti a lui!

Jamie:

Forse questi, de Il passero solitario:

Oimè, quanto somiglia

al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,

della novella età dolce famiglia,

e te, german di giovinezza, amore,

sospiro acerbo de' provetti giorni,

non curo, io non so come; anzi da loro

quasi fuggo lontano;

Oppure questi, da Le ricordanze:

Viene il vento recando il suon dell'ora

dalla torre del borgo. Era conforto

questo suon, mi rimembra, alle mie notti,

quando fanciullo, nella buia stanza,

per assidui terrori io vigilava,

sospirando il mattin.

Leggo e rileggo i versi, senza sapere cosa rispondere. Leggo Leopardi da anni, eppure proprio stavolta mi lasciano una certa inquietudine.

Giulia:

Sono belle poesie. Non ti chiederò perché proprio queste.

È la risposta che invio, eppure non ne sono così certo. So che sono stato io a insistere, ma ora vorrei cambiare argomento e non so come fare. Spero lo prenda come incentivo a farlo lui. Tuttavia, quando leggo la risposta, storco le labbra, nauseato.

Jamie:

Mai belle quanto te.

Mi sento tremendamente in imbarazzo per lui. Alzo gli occhi al cielo. Non posso farcela. Mi sorella è egocentrica, ma non bugiarda: mi ha detto che lo conosce da circa una settimana e che qualche sera fa si sono incontrati per caso a un club dove Giulia era con qualche amico. Lei già sapeva del suo stato economico – sa sempre tutto di tutti, non so come – e ha colto l'occasione al volo per parlarci da sola. Scoprire che sarebbe partito a breve le ha fornito l'occasione perfetta: lasciarlo credere che stessero insieme senza che ciò dovesse accadere davvero. Poco importa se il bacio a stampo che gli ha dato è arrivato pochissimo tempo dopo lo scambio dei nomi.

E ora ci rimetto io, a sorbirmi tante smancerie non motivate. La conosce appena, diamine.

Giulia:

Grazie, Jay. Detto da te vale molto per me.

Non so che altro scrivere, quindi invio così e mi sdraio sul letto mentre attendo la risposta. Sono un po' stanco, non ho voglia di fare nulla oggi. Gli occhi mi si chiudono, ma quando la nuova email arriva in tempo record li costringo aperti senza sapere nemmeno il perché.

Jamie:

Mi piace "Jay".

È un soprannome che mi è uscito senza pensarci, non credevo ci facesse tanto caso.

Giulia:

Piace anche a me, molto. Mi piace il tuo nome. Potrei ripeterlo tutto il giorno.

Forse sto esagerando, non lo so più. Ho perso il concetto di cosa è esagerato e cosa no. Le ragazze scrivono davvero qualcosa del genere?

Lui ci mette un po' a rispondere, e quando lo fa sembra impacciato.

Jamie:

Anche il tuo mi piace! Tantissimo! Penso mi piaccia più della cioccolata al caramello, che tra parentesi è la mia cosa preferita in assoluto!

E tu? Hai un dolce preferito?

Mi viene da ridere a leggere quelle parole, tanto infantili che non sembrano appartenere allo stesso tizio un po' audace e un po' imbarazzante di poco prima. Per la prima volta mi chiedo che tipo sia realmente.

Giulia:

Assolutamente sì! Chi non lo ha? Potrei morire di gelato al pistacchio, ma solo quello buono, non quello dal sapore dolciastro e artificiale verde menta. Il vero gelato al pistacchio! Ma non mi dispiace anche il salato, tipo una bella carbonara fumante. Che ne pensi?

Solo dopo aver inviato penso che forse non dovrei calarmi così tanto nel personale. Insomma, se Giulia lo vede come fa a sapere cosa gli ho detto che mi piace? Sono gusti miei, non suoi. Ma non posso neanche mettermi a segnarmi tutte le sue preferenze...

Jamie:

Allora la prossima volta che ci vediamo la prima cosa che farò sarà offrirti un bel gelato, di quelli buoni, si intende! È una promessa. A me piace alla fragola, è il mio preferito.

Non mangio spesso pasta, non mi dispiace ma non ci vado matto. Non mi dispiace l'hamburger, ma anche in questo caso deve essere buono e non secco.

Giulia:

Se non ti piace la pasta è perché non hai provato la mia!

Continuiamo a parlare di preferenze per un po', prima alimentari, poi generali, come il nostro colore preferito – il mio rosso, il suo arancio –, sport che ci piacciono, programmi tv, poi dei nostri hobby. Ovviamente non posso dirgli che passo il tempo libero tra computer e Nintendo Switch, e non so bene cosa piaccia fare a Giulia, a parte comprarsi vestiti e trucchi e farsi foto – ma non posso dirgli neanche questo. Allora resto sul vago:

Giulia:

Non mi dispiace studiare, cosa che di per sé mi prende tempo. Non me ne resta molto altro, di solito lo uso con le amiche.

È un'email molto fredda in confronto alle altre, scritte con sincerità, ma non mi esce di meglio.

Jamie:

Hai tanti amici, ho visto. La prossima volta se ti va me li presenti.

Ti chiedo scusa, ora, se non ti risponderò presto, mia madre mi ha appena chiamato per aiutarla con la cena. Mi ha fatto piacere parlare, questo pomeriggio! Torno da te appena possibile. Tuo, Jay.

Guardo l'ora e spalanco gli occhi. Non mi capacito di come possa essere trascorso l'intero pomeriggio senza che me ne accorgessi. I miei amici mi hanno scritto alcuni messaggi, ma non ho notato neanche quelli.

Rispondo al tizio con un rapido congedo condito di un po' di miele e mi alzo dal letto senza guardare le altre chat. Mi sento un po' scombussolato, non tanto per aver fissato per troppo tempo lo schermo del cellulare, più che altro per le ore che mi sono scivolate addosso rapidissime.

Mi stiracchio la schiena e scendo di sotto. È un po' presto per la cena, mio padre non è ancora tornato, al contrario di mia madre che se ne sta sul divano ad angolo a guardare una serie tv sulla malavita che probabilmente ha già visto quattro o cinque volte. Avrebbe voluto fare la criminologa, ha sempre detto. Ma alla fine ha preferito un dialogo con le persone ed è finita a fare la psicologa; cosa che le fa pensare che ha sempre la possibilità di capirci, mentre in realtà non è così. Non ci sono studi, e mai ci saranno, che avvicinano genitori e figli a tal punto da permettere loro di capirsi sempre.

Supero il muretto che separa il soggiorno dalla cucina. Se mi vedesse aprire il frigo, mia madre mi sgriderebbe proclamando che mi rovino l'appetito e tutte quelle stronzate lì, come se nei diciassette anni che vivo sotto il suo tetto avessi mai lasciato qualcosa nel piatto durante i pasti; ma lei è troppo impegnata a fremere per il momento clou dell'episodio cinque per notare che prendo un bicchiere di latte scremato e lo mando giù tutto in un sorso. È una cosa che solitamente faccio dopo cena, ma adesso non ho resistito.

L'orologio segna le sette e venti. Troppo presto perché Jamie abbia terminato di aiutare in cucina, anzi prestissimo. Faccio spallucce dicendomi che almeno ho un po' di tempo per riposarmi da questa storia, più impegnativa di quanto credessi. Prendo un secondo bicchiere di latte e lo sorseggio con più calma, la mente che vaga a fare un resoconto di questa strana giornata.

Per quanto abbia diffidato di lui inizialmente, sembra un tipo a posto: gli piace qualsiasi genere di musica purché non sia eccessivamente dark, la cioccolata e le fragole e i dolci in generale, l'equitazione e il nuoto, gli piace cantare e ballare ma solo se è da solo, altrimenti si imbarazza. Quando me lo ha rivelato ho riso della sua ingenuità, e anche adesso mi nasce un sorriso sulle labbra. Quando gli ho raccontato di Link, di come abbiamo scelto il suo nome da "The Legend of Zelda" anziché chiamarlo Cesare come voleva mio padre, lui mi ha rivelato di non aver mai desiderato tanto un animale domestico, ma che ha un bell'acquario che intende farmi vedere... far vedere a Giulia, quando tornerà.

Mi domando come andrà a finire questa storia. È inevitabile che prima o poi Jamie entrerà al corrente della verità – non posso certo travestirmi da mia sorella, e se anche potessi non lo farei neanche per tutto l'oro del mondo – ma cosa succederà poi? Forse è esagerato, ma mi sembra comunque molto preso da lei già da ora. Se questa storia prosegue troppo a lungo, Giulia finirà per spezzargli il cuore.

Alzo gli occhi al cielo, infelice di essermi trovato in mezzo a una situazione simile, e proprio mentre mando giù l'ultimo sorso di latte, mia sorella fa il suo ingresso dal portone di casa. È buio e la intravedo a malapena lasciare la giacca pelosa nell'armadio all'ingresso, per poi addentrarsi nel cono di luce proveniente dalle scale. Nemmeno la cucina è illuminata, così quando la saluto la vedo sobbalzare.

«Mi hai fatto prende un colpo, Leo!»

Rido, ma la mia risata non è convinta e non so nemmeno perché. Le parole che mi escono subito dopo ne sono un suggerimento, ma non le ho controllate io, sono state puro istinto.

«Ascolta, devo dirti una cosa.»

Lei mi guarda incuriosita. Non sono così formale di solito. Lascia perdere quello che stava facendo e accende la luce. I piedi scalzi calpestano le mattonelle in finto legno della cucina. Le scarpe le abbandoniamo sempre tutti all'ingresso.

«Tutto bene con Jamie?» si informa mentre raggiunge la credenza della cristalleria. Ovvio che sa che devo parlarle di questo, mica è scema.

«Sì, Giu, pure troppo.»

Alza un sopracciglio, un bicchiere stretto in mano. «Troppo?»

La guardo riempire il bicchiere di acqua corrente del rubinetto. Non le è mai piaciuta quella fredda di frigo. Temporeggio, senza sapere cosa dire, finché non trovo di nuovo parole che non ho pensato, che non avevo in programma di dire.

«Questo tizio sembra molto attaccato a te. Da quanto ho capito non c'ha molti amici, visto che ai genitori piace anda' in lungo e in largo pe' l'Italia un mese sì e uno no, e di sicuro non pare aver avuto mai una ragazza» rifletto.

Mia sorella mi segue assente, un po' annoiata.

«Non credi che si stia innamorando di te?» chiedo a bruciapelo.

Lei poggia il bicchiere ormai vuoto e ride. «Non sarebbe male come ipotesi, non credi?»

La fisso a lungo. Il suo sorriso è così amabile che pare impossibile pensare che abbia detto qualcosa di tanto crudele ed egoista. Non so se è perché l'ho un po' conosciuto o per solidarietà, ma le prossime parole che dico non mi sorprendono.

«Se così fosse, gli spezzeresti il cuore. Mi dispiace, ma non voglio prendere parte a questa cosa, non voglio esse' l'artefice – o comunque complice – della sua sofferenza. Non voglio, mi tiro fuori.»

Lei pare pensierosa, e per un attimo credo davvero che stia valutando le mie parole. Poi però parla e si rivela in tutta la sua superficialità.

«Abbiamo un patto, Leo. Se non lo rispetti, sai cosa accadrà.»

Scuoto la testa. Non dovrei essere così deluso. In fondo la conosco bene. Eppure, probabilmente la mia amarezza traspare anche troppo, perché lei cerca di redimersi.

«Mi serve un regalo, solo un regalo. Poi puoi pure smette'. Quello lo sa che borsa voglio, me la fa appena c'ha l'occasione. Poi ti prometto che non sentirai mai più parlare di tutta questa storia, eh? E sarà così presto che lui manco c'avrà tempo di affezionarsi troppo.»

Sospiro, non molto convinto. Se fossi al posto di quel tizio e venissi a sapere di uno stratagemma simile contro di me, scatenerei l'apocalisse. Lui non sembra il tipo da fare qualcosa di simile, ma non per questo lei deve approfittarsene.

«Qualcuno ha chiesto pizza per cena?»

L'arrivo di papà segna la fine del discorso, che si conclude con la mia insoddisfazione. Non ho molta scelta se non quella di tacere, e nemmeno scorgere i cartoni della pizza di Biagio, la mia preferita, mi risolleva l'umore. Accidenti a lei.

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