Prologo.

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La notte si distese come un mantello oscuro sulla casetta isolata nella foresta di Enigley. Il vento sussurrò tra gli alberi, portando con sé un'atmosfera di mistero e tensione, mentre la foresta stessa sembrava prendere vita.

Dentro la casa, precisamente in una delle sue oscure stanze, illuminato soltanto da un flebile bagliore, proveniente da una lampada tremolante posizionata in un angolo, era stato intrappolato Steven Stuart.

Giaceva al centro della stanza, legato saldamente con corde ispide a una sedia di legno grezzo, con mani e piedi immobilizzati dietro allo schienale, lasciandolo vulnerabile e impotente.

Una benda nera e ruvida inoltre gli copriva gli occhi, privandolo della capacità di vedere ciò che lo circondasse, come pareti scrostate e umide che emanavano un'aria di decrepitezza.

Tutto ciò che Steven poteva contemplare era il freddo tagliente e un fastidioso odore di muffa e legno marcio che impregnava le narici, mentre il suono del vento sibilava attraverso le fessure della finestra, contribuendo a creare un'atmosfera inquietante.

Improvvisamente, egli percepì uno strano respiro sul collo.

«Finalmente ti ho preso, Stuart. Ora non puoi liberarti, ex ladruncolo, mi devi aiutare a portare a termine un compito difficile, rischioso e impegnativo», sussurrò una voce, portando con sé un'ondata di gelo che raggiunse la spina dorsale di Steven.

«Chi sei?», il corvino avvertì un brivido di paura.

«Non importa adesso. La cosa che devi capire è questa: se vuoi sopravvivere, devi aiutarmi a macchinare il doppio gioco e uccidere tutti i membri collaboratori del signor Varuso. Vendicherò mio padre perché so che è stato ucciso non solo da Davanti».

Steven irrigidì i muscoli di tutto il corpo, «Io? Uccidere? Mai!».

La voce sinistra dietro la sua schiena emise un risolino freddo, penetrante come la punta della lama di un pugnale. Steven la sentì avvicinarsi al suo collo, e un secondo brivido di terrore lo attraversò, facendogli sudare freddo nonostante il freddo pungente della stanza.

«Non mi costa molto infilare questo pugnale e ucciderti, Stuart...», sibilò la voce.

Steven emise un urlo, ma il rapinatore gli coprì la bocca.

«Taci, non sprecare la voce», mormorò.

Il corvino allora cercò di trattenere il respiro, mentre il cuore martellava nel petto con violenza.

«Cosa vuoi da me?!», lamentò.

Il rapinatore poggiò le mani sulle sue spalle, navigò le dita attorno al suo collo, gli alzò il mento e poggiò la lama del pugnale di nuovo sopra la pelle, «Ti allenerò io, non ti preoccupare. Intanto voglio sapere di contare su di te prima che ti tagli la testa...», minacciò.

Steven sentì di nuovo la lama del pugnale premere leggermente sulla sua pelle, «No! Ti prego!», mormorò, cercando disperatamente di trovare le parole giuste per placare l'ira del rapinatore.

«Mi stai chiedendo una cosa impossibile, non sono capace!».

Il rapinatore lo fissò intensamente per un momento, scrutando il suo viso nel buio. Poi, con un'espressione dura e fredda, si ritirò leggermente, lasciando che il pugnale si allontanasse appena dalla sua pelle.

«Se non sei capace, diventerai capace», disse con voce bassa.

Subito dopo, egli girò intorno al corvino e gli rimosse la benda, permettendogli di vedere chi fosse, e quando Steven aprì gli occhi, essi si spalancarono più del dovuto, «Tu! Lo sapevo che eri tu! Sei davvero un pazzo! Sai, ti aiuterò, ma a costo che tornerai dalla ragazza che ami e dirai tutta la verità riguardo a questo dopo che avremo finito!».

«Contaci», disse l'altro, ridendo, «Ma per ora, non deve uscire fuori da queste pareti, intesi?».

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