1. La biblioteca dei disoccupati

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La Sala dei Maestri non gli era mai apparsa così piccola. Di tutta la Grande Biblioteca era la sua stanza preferita, dove venivano conservate le raccolte di miniature dei maestri amanuensi dell'Età Imperiale, opere d'arte dal valore inestimabile, che pochi avevano avuto l'onore di ammirare dal vivo. E lui era tra quei pochi. Spesso, quando ormai i cancelli erano chiusi e le ombre scivolate sulla città, prima di dare la buonanotte ai libri e uscire sul retro, si fermava a sfogliare uno dei lavori dei Maestri, e sognava attraverso le immagini tratteggiate dalle loro mani sicure, osservava il riflesso di mondi lontani e irraggiungibili per un semplice bibliotecario.

Ora, tutto questo sarebbe finito, tutte le avventure tra quelle pagine polverose sarebbero rimaste sepolte nel suo passato, mentre il futuro era diventato improvvisamente una pagina bianca. E lui provava orrore per le pagine bianche.

Come se non bastasse, Leodina ancora non usciva da quel maledetto ufficio.

Percorse ancora il perimetro della sala, a grandi falcate. Sarà stata ormai la centesima volta. Finalmente giunse un'eco di passi: sembravano guidati dall'ansia. Quando Leodina apparve sulla soglia non ebbe bisogno di altre conferme. Una furia primordiale lo colse e, ignorando le implorazioni della donna, si precipitò in Direzione. La porta sbatté come un tuono: «Che bisogno c'era di licenziare anche lei?»

L'uomo dietro la scrivania sospirò tensione, torturando il ciuffo di capelli stopposi che gli cresceva sopra le orecchie: «Ho licenziato anche Polidoro, ma lui non...»

«E davvero credi di riuscire a mandare avanti questo posto da solo con due ragazzine inesperte?»

Il direttore sentì la tensione di quei giorni pesargli sullo stomaco fino a incrinargli qualcosa dentro. Anche lui non riuscì più a trattenersi: «Mandare avanti cosa? Dimmelo, Terno, cosa? Quando movimentiamo dieci libri in una settimana facciamo salti di gioia!» vomitò con esasperazione. «Leggere non interessa più a nessuno... nessuno. Lo sai anche tu quanti tesserati abbiamo avuto quest'anno, con quei soldi non ci paghiamo neanche le candele.»

Terno sentì la rabbia sciogliersi in sconforto: «Ma questa è la più grande biblioteca d'Occidente, un luogo di cultura, d'arte, di memoria, non puoi...»

«Il Governo ci ha tagliato i fondi.»

Quelle parole attraversarono l'ufficio come una raffica di vento invernale.

«Di... di quanto?» balbettò Terno.

«Più della metà» rispose l'altro, incapace di guardarlo negli occhi. «Ho già chiesto a tutti quelli che conosco, non esistono possibilità che vengano ripristinati in futuro. Te l'ho detto, a nessuno interessa più leggere.»

Terno si era seduto, improvvisamente consapevole della stanchezza estrema che gravava sulle sue non più giovani spalle. Si passò una mano sul viso, mentre riflessioni egoistiche lo sconvolgevano: «Da quanti anni ci conosciamo, Mercanzio?»

«Quasi venti.»

«E dove ci siamo conosciuti?»

«Qui...»

«Io ci lavoravo già da cinque anni, Leodina da quattro. Anche noi due ci siamo incontrati qui. E sposati qui.»

«Ricordo, ero già arrivato.»

Terno cercò gli occhi del suo superiore e amico, ma questi sembravano non volersi alzare dal piano rugoso della scrivania. «Questo posto è tutta la nostra vita, non puoi mandarci via. Abbiamo bisogno di lui, e lui di noi. Gavina e Deliana sono brave ragazze ma non hanno l'esperienza per...»

«Non continuare oltre, Terno, ti prego» lo interruppe il direttore.

«Ho il diritto di sapere.»

L'uomo dietro la scrivania scosse la testa, vinto dalla frustrazione. «E va bene. Ho licenziato voi perché il vostro stipendio è troppo alto, non ce lo possiamo permettere. Quelle due ragazze prendono la metà di voi e sono l'unico motivo per cui qualcuno entra ancora qui. Sicuramente non l'avrai notato ma i nostri ospiti passano più tempo a guardare le tette di Deliana che le pagine dei libri. E chiedono sempre qualche copia dagli scaffali alti solo per sbirciare il culo di Gavina da sotto la gonna mentre lei sale la scala.»

Terno aprì la bocca, ma ingoiò le parole.

«Tu non puoi immaginare quanto mi dispiaccia, ma il mio compito è salvaguardare questo luogo, far sì che sopravviva a tutti noi, a qualunque costo.»

Il vecchio bibliotecario si alzò, evitando così al direttore lo sforzo di trovare altre frasi fatte utili alla situazione e, senza aggiungere altro, uscì.

Fuori lo accolse il viso tondo di sua moglie, che per la seconda volta in vita sua vedeva rigato di lacrime.

«Andiamo, amore» le disse prendendola a braccetto «Qui non c'è più bisogno di noi.»

Per l'ultima volta i loro passi echeggiarono all'unisono tra le colonne d'oro dell'atrio, trai i busti dei sommi poeti della Rinascita, tra gli alti scaffali della narrativa valdaziana. Nessuno venne a salutarli; Polidoro se n'era già andato sbattendo la porta, Deliana era corsa dal direttore per ricevere le nuove disposizioni, Gavina era in cima a una scala, alla ricerca di un libro con la copertina blu per un giovane assetato di cultura.

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