3. La locanda dei destini incrociati

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Gambalunga cominciò a scrollare la testa in segno d'insofferenza. Così avevano chiamato il ronzino acquistato insieme al carretto, un animale robusto per l'età che aveva, ma incapace di resistere senza bere e mangiare con regolarità. Del resto neppure loro ne erano capaci; quella era la prima volta che si allontanavano più di trenta leghe da casa, la prima volta che andavano oltre confine.

Ed era proprio davanti a loro, il confine: una vecchia torre diroccata, ricordo di una gloriosa fortificazione, era tutto ciò che restava a guardia del piccolo ponte che univa l'Olluria alla Valdazia. Un tempo era stato un punto nevralgico nelle strategie di guerra, ora lo presidiavano un paio di guardie annoiate.

Terno strinse la mano a Leodina: quello, per loro, era molto più di un confine geopolitico, quel fiume avrebbe delimitato le loro esistenze.

In quel mentre un soldato dall'aria svogliata uscì dalla torre e, riparandosi gli occhi dal sole di mezzodì, si fece loro incontro intimando un timido alt.

Terno fermò immediatamente Gambalunga.

«Qualcosa da dichiarare?» chiese la guardia, iniziando a circumnavigare il carro.

«Dipende» rispose Terno cordialmente. «Qui abbiamo tutte le nostre cose, ci stiamo trasferendo. A lei cosa interessa sapere?»

Il soldato finì il suo giro, squadrò nuovamente la coppia con occhi annoiati e infine li congedò: «Potete andare.»

Terno lo ringraziò con un cenno del capo, ma poi lo fermò: «Scusi messere, non avrebbe una locanda nei paraggi da consigliarci?»

Il milite si grattò la testa: «Poco più a sud c'è la Punta del Coltello, o qualcosa del genere, ma non è che proprio la consiglio.»

«Cos'ha che non va?, si mangia male?»

L'uomo sembrò cercare le parole dentro un limitato vocabolario: «Ecco, più che altro non è... elegante come quelle di città. Al vostro posto di sicuro preferisco resistere fino a cena e andare verso nord. A Hipaloma ci sono molte buone osterie.»

Quasi avesse capito, Gambalunga scrollò la testa. Terno ringraziò la guardia e incitò il cavallo, che imboccò lo stretto ponte. I due coniugi attraversarono mano nella mano il confine della loro nuova vita. Poi svoltarono a sud.

La strada, nulla più di due solchi di terra battuta, qui era evidentemente più trafficata poiché le ruote del carro non affondavano nella terra, che era secca e dura come pietra: era una via di collegamento, ideale per costruire una locanda, vista anche la vicinanza al confine.

Infatti il basso edificio apparve dopo poche decine di metri, dietro una piccola ansa del fiume. Era all'apparenza una costruzione solida, come quelle di una volta, eretta con grosse pietre bianche ormai soffocate da muschi e rampicanti. Già a distanze si poteva notare l'insegna, una targa di legno che sporgeva sulla strada, sulla cui superficie era incisa una lama che ricordava più un pugnale di un coltello da cucina.

Fuori, era legata una decina di cavalli, e Terno andò sicuro a parcheggiare anche il loro carro. Lanciò una moneta all'uomo che sonnecchiava accanto alle mangiatoie: «Gli dia una razione abbondante» disse riferendosi a Gambalunga. «Abbiamo ancora molta strada da fare.»

L'uomo non mosse un muscolo più del necessario, ma la rapidità con cui afferrò al volo la moneta gli lasciò intendere che avesse compreso la richiesta.

I due coniugi si fermarono davanti alla porta della locanda: un'energia sfrigolante bruciava sotto la loro pelle, potente come forse neppure da giovani avevano mai percepito. Era l'ignoto che si espandeva nel loro futuro, nella loro vita, ora materializzato in quell'osteria di confine: tutto era talmente nuovo che persino un normale pasto pareva una grande avventura.

Ma solo quando spinsero la porta e misero piede all'interno compresero il vero significato di quelle sensazioni.

Fu l'odore a colpirli per primo, un tanfo di strutto fritto e rifritto, impastato al fumo di legno bruciato contro padelle incrostate di grasso, le quali emanavano un inqualificabile aroma di cibo. Era un odore denso, se ne potevano sentire le particelle penetrare nel naso, lo si poteva quasi toccare con la mano, ma che, tuttavia, lasciava spazio alla puzza di sudore stantio che ristagnava sui corpi degli avventori.

E proprio questi ultimi erano l'elemento che subito dopo pretendeva attenzione. Occhi infossati in orbite rabbiose, barbe incolte tranciate da orride cicatrici, capelli rasati coperti da croste nere, sopracciglia bruciate, orecchie mozzate, denti affilati come lame. E lame vere, lunghe, corte, tozze, ricurve, strette, appuntite, lucide, arrugginite, lame di tutti i tipi infilate nelle cintole, negli stivali, nelle tasche. Ma anche strette in mano e puntate verso gole tese.

Due commensali, ad esempio, erano intenti in un'accesa discussione, di sicuro non per decidere chi dovesse pagare il conto, e uno dei due stava facendo valere le proprie ragioni contro la carotide del compare.

Vicino al camino tre uomini erano impegnati in un gioco di carte piuttosto originale che prevedeva l'uso di diverse monete d'oro e lunghi coltelli conficcati sulla tavola.

Seduto al bancone, poi, stava un giovane solitario, intento ad affilare la punta a molte frecce, che teneva ordinate davanti a sé, senza però perdere d'occhio l'ingresso del locale.

Fu quando lo sguardo di Terno incontrò quello dello sconosciuto arciere, e vi lesse una totale assenza di umanità, che in cuor suo maturò la decisione di guadagnare immediatamente l'uscita.

Ma proprio in quel momento si materializzò davanti alla coppia un ometto dalla fronte untuosa e dai piccoli occhietti da piccione che, asciugandosi le mani sul grembiule lercio, disse: «Benvenuti, signori, c'è un tavolo libero per voi» e indicò un'accozzaglia di assi irregolari, tenute assieme in una vaga forma quadrata e coperte da uno spesso strato bruno di grasso solidificato.

Leodina sussultò e, nell'unico momento di totale silenzio che la locanda avesse mai vissuto, esclamò: «Non vorrai mangiare in questo porcile, vero?»

Quando gli occhi di tutti i dodici farabutti, che in quel porcile ci stavano come a casa, si volsero verso di loro, Terno ne ebbe la certezza: le sue preoccupazioni per il futuro sarebbero presto volte al termine. 

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