Capitolo 7. Hacking all'italiana (2)

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Sandy premette il tasto metallico del citofono e attese, osservando con la coda dell'occhio il povero Eugene che si sforzava di non sbirciare di nuovo il negozio di gelati a soli pochi metri da lui.

Dopo una manciata di secondi, qualcuno rispose dall'altoparlante:

«Sì?»

Il marcato accento che traspariva già da quella breve parola lasciava ben pochi dubbi sull'identità all'altro capo del citofono.

«Buongiorno Ettore,» salutò Sandy, con tono impostato. «Siamo Sandy e Eugene.»

«Ciao, ragazzi!» esclamò l'esuberante voce dell'italiano.

Uno scatto elettrico annunciò lo sblocco del portone e i due gemelli Maverick varcarono la soglia, ritrovandosi in uno spazioso atrio. Era passato poco meno di un anno dalla loro ultima visita nell'appartamento di Ettore Crespi, ma il luogo risultò abbastanza familiare a entrambi; il piccolo ascensore si apriva in un ampio corridoio del sesto piano sul quale affacciavano soltanto quattro portoni d'accesso. Uno di essi era spalancato e la corpulenta sagoma del sorridente italiano si stagliava nello stipite, riempiendo quasi del tutto lo spazio vuoto.

«Da quanto tempo!» esclamò l'uomo, facendo qualche passo all'esterno e sorprendendo Sandy con un caloroso abbraccio. Neanche avesse visto una cugina dopo tantissimo tempo.

Quando Ettore liberò Sandy, si voltò verso il fratello e Eugene non agì abbastanza rapido per sottrarsi a un secondo forte abbraccio.

«Sono contentissimo che siate venuti a trovarmi,» disse Ettore, allontanandosi da un imbarazzato Eugene e indicando la porta a mo' d'invito.

L'ingresso conduceva a un ampio open space, per la maggior parte occupato da una spaziosa area soggiorno contenente un divano angolare, delle librerie e una grossa tv appesa alla parete; su un muro che dava sull'esterno si apriva una luminosa vetrata che portava a un balconcino affacciato sulla via che Sandy e Eugene avevano percorso da poco. Un corridoio, chiuso da una porta a libro laccata di bianco, conduceva alle due camere da letto e al bagno, mentre l'angolo opposto all'ingresso era occupato da una cucina, accessoriata e moderna, dalle tinte chiare, che conferiva luminosità all'ambiente. Quella casa rispecchiava alla perfezione il proprietario: luminosa e gioiosa nella parte riservata agli estranei, ma buia e misteriosa nella sua zona privata.

«Fate come se foste a casa vostra,» invitò l'italiano, chiudendo l'uscio e indicando il grosso divano. «Mi avete aiutato a sistemarla, in parte è vostra davvero!»

«Esagerato, come sempre!» proruppe Eugene, ma non riuscì a non trattenere una calorosa risata.

Si fecero strada nel soggiorno e si accomodarono sul divano, mentre il trafelato italiano armeggiava intorno ai pensili della cucina. Era un uomo a dir poco curioso, tanto negli atteggiamenti quanto nell'aspetto: era sovrappeso, sì, ma tutta la sua stazza, a partire dalle spalle, lasciava presagire che, da giovane, fosse stato in grado di esibire un fisico non da ridere. Gli occhi color acqua e i lineamenti morbidi del viso, solo appena nascosti dalle prime imperfezioni dell'età, completavano un quadro ancora affascinante, che l'inesorabile scorrere del tempo faticava a uccidere. Certo che, se si fosse fatto la barba con più frequenza, il tono generale ne avrebbe giovato molto, ma doveva essere uno di quegli uomini che credeva che la barba sfatta fosse affascinante; molti ne saranno stupiti, ma no: la barba sfatta non è altro che sintomo di incuria e di scarsa eleganza.

«Cosa vi posso offrire?» chiese Ettore, estraendo un paio di bicchieri di vetro colorato da un ripiano.

«Acqua per me,» rispose Sandy, indugiando con lo sguardo sullo schermo spento di un laptop posto su un mobile in un angolo; alcune luci verdi lampeggiavano sul bordo della tastiera, evidente segno che la macchina fosse in funzione.

«Due dita di Macallan, grazie,» fece Eugene, con un evidente sorrisetto sardonico disegnato in volto.

In tutta risposta, l'italiano esplose in una fragorosa risata.

«Temo, milord, che dovrà accontentarsi di estratto di caramello, vaniglia e caffeina,» disse, appoggiando tre bicchieri, una caraffa d'acqua e una bottiglia di Coca-Cola su un basso tavolino bianco da soggiorno. «Niente alcolici in questa casa. Mai.»

Prese una sedia dalla penisola che delimitava la cucina dal soggiorno e la piazzò davanti al divano, per sistemarsi proprio dirimpetto ai suoi ospiti. Da seduto era impossibile non notare quanto la pancia spingesse contro il tessuto della maglietta blu che indossava.

«Come sta vostro padre? Non lo sento da una vita,» chiese, dopo aver riempito i bicchieri.

«Non benissimo,» rispose Sandy, accavallando le gambe e premurandosi di coprirsi le calze leggere con la gonna, forse fin troppo corta. «Purtroppo Martha è venuta a mancare due giorni fa.»

«Oh Signore, ma è terribile!» esclamò Ettore, spalancando i grandi occhi. «Mi dispiace tantissimo! Vi prego: portategli le mie condoglianze.»

«Assolutamente,» disse Eugene, dopo aver ingoiato mezzo bicchiere di Coca-Cola.

«Diciamo che siamo qui anche per questo,» disse Sandy; non le sarebbe dispiaciuto perdersi a chiacchierare con il simpatico italiano, ma il tempo stringeva e Justin poteva essere dovunque.

Ettore corrugò la fronte e si appoggiò allo schienale.

«Cosa posso fare per voi? Fino a qualche tempo fa ero un investigatore privato, ma non credo che siate qui per farmi indagare su qualcosa.»

Ironico che un ex detective avesse preso casa proprio a Baker Street. Ironico, ma maledettamente calzante, e Sandy lo invidiava ancora di più dopo quella rivelazione.

«In effetti no,» rispose la ragazza, togliendosi gli occhiali e pulendosi una macchia con il bordo della camicetta candida. «Vorremmo che tu rintracciassi una persona.»

Le sembrò di scorgere un guizzo d'eccitazione in quelle iridi asciutte, ma il volto dell'uomo rimase immoto. L'italiano si passò una mano nei corti capelli ingrigiti e sospirò.

«Martha non è deceduta per cause naturali, suppongo,» disse. Fu impossibile non notare il timbro della voce che si era fatto più basso; si percepiva una nota grave e roca in fondo alla gola, come se le corde vocali avessero strisciato contro qualcosa di duro e ispido mentre vibravano.

«Già,» gli rispose Eugene, appoggiandosi il bicchiere su una coscia. «La persona che cerchiamo potrebbe essere coinvolta.»

«Capisco.» Fece un altro sospiro e socchiuse le palpebre. «Sono sicuro, però, che la polizia potrebbe aiutarvi molto più di un detective italiano in pensione a Londra.»

«No, non per quello che dobbiamo fare,» disse Sandy, poi prese la borsa che aveva appoggiato ai piedi del divano ed estrasse l'etichetta che Eugene aveva rimosso dalla scatole dello smartphone che avevano trovato nella stanza di Justin. «Dovresti rintracciare il telefono di questa persona, abbiamo il codice di serie.»

Lui osservò il pezzo di carta per qualche attimo, dubbioso.

«Ci hai fatto vedere di essere un incredibile hacker, per te dovrebbe essere semplice!» incalzò Eugene, con un sorriso.

«E lo è, infatti,» rispose subito l'italiano. «Ma non sono sicuro di voler aiutare qualcuno intento a inseguire una vendetta personale; posso assicurarvi di persona che il rancore non porta a nulla di buono.»

«Non è per vendetta,» replicò Sandy, scuotendo il capo. «Stiamo parlando di equità, qui. Se lui ha ammazzato Martha, dovrà rispondere delle sue azioni.»

Era stata un'ottima mossa far virare la discussione sullo spirito di giustizia che poteva ancora muovere un ex investigatore. Da quel poco che aveva appreso di lui, Sandy pensava che Ettore fosse quel tipo di persona che si sforzava con tutta l'anima di non far mai del male ad altri esseri viventi; le ricordava tanto un tenero orsacchiotto, o un innocuo gattone d'appartamento sovrappeso. Non avrebbero mai ottenuto l'aiuto di Ettore se lui avesse saputo la reale motivazione che li aveva spinti a percorrere quella tortuosa strada.

Lui non rispose e sembrò riflettere su qualcosa. Il silenzio durò per lunghissimi secondi, smorzato soltanto dal ronzio del condizionatore che buttava aria fresca nel salotto per combattere l'umidità della stagione.

«D'accordo,» disse, alla fine, quando ormai quell'assenza di suoni stava per portare Sandy all'esasperazione.

L'italiano tese la mano e Sandy gli porse l'etichetta dello smartphone con un sorriso smagliante.

«Datemi un minuto.»

Si alzò, prese la sedia e la spostò davanti al laptop. Dopo averlo sbloccato, iniziò a battere sulla tastiera e a muovere il mouse in modo lento e incerto, come Sandy aveva visto fare a molte persone attempate alle prese con gli ultimi ritrovati tecnologici. A vederlo maneggiare così un pc, nessuno avrebbe mai creduto che fosse un abile hacker. La ragazza si allungò in avanti per provare a guardare lo schermo del computer, ma l'italiano la notò e spostò la sua grossa mole per nasconderle ciò su cui stava lavorando.

«Ah ah,» fece, con tono irrisorio. «Non si sbircia! Un mago non rivela mai i suoi segreti, lo dovreste sapere bene.»

Il flusso sanguigno le parve fermarsi e Sandy riuscì solo a voltare lentamente la testa verso il gemello, che fissava a occhi sgranati la schiena dell'italiano. Come faceva a saperlo? Era un amico di papà, ovvio, ma Ettore non aveva mai dato segni di conoscere la natura della loro famiglia, né David aveva mai avvisato i gemelli del fatto che l'italiano sapesse il loro segreto. Dopo aver rimuginato su quella frase, decise di rimanere zitta, e Eugene fece lo stesso: poteva essere una battuta, o una frase detta così per dire, forse addirittura uno sbaglio linguistico dovuto alla padronanza non magistrale dell'inglese da parte di Ettore. Sì, doveva essere così, non c'erano dubbi.

«Ecco fatto!» proruppe all'improvviso l'italiano, facendo sobbalzare Sandy sul divano. «Venite a vedere!»

«Sei... stato rapidissimo,» disse Eugene, stranito.

I gemelli si alzarono e si accostarono alla postazione di lavoro di Ettore che scostò la sedia di qualche centimetro per fare loro spazio; lo schermo era aperto su una mappa, un sito di geo-localizzazione, e una freccia rossa doveva indicare la posizione del telefono di Justin. Avida di sapere dove fosse quello stronzo omicida, Sandy si aggiustò gli occhiali e si chinò ancora di più sul pc, per identificare il luogo indicato.

«Cazzo!» fece il gemello, anticipandola e dando voce ai suoi pensieri.

Sandy strinse lo schienale della sedia di Ettore e si mordicchiò il labbro inferiore per non esternare epiteti ben peggiori che sarebbero stati poco consoni in quel momento.

La posizione di Justin era inconfondibile: l'aeroporto di Gatwick.

«La posizione non è aggiornata: credo che il telefono sia ancora non raggiungibile, forse il vostro uomo è ancora in volo,» spiegò Ettore, lanciando uno sguardo di sbieco ai due gemelli.

«A quanto tempo fa risale?» chiese Eugene, di nuovo anticipando di un attimo la domanda della gemella.

«Ieri sera, intorno alle 21,» disse l'italiano, cliccando sul dettaglio della posizione.

«Non abbiamo idea di dove possa essere andato,» mormorò Eugene. Sembrava abbattuto, come se si sentisse sconfitto già in partenza.

Eppure, per quanto quella situazione non fosse risolutiva come avrebbe sperato, un moto d'eccitazione percorse tutto il corpo di Sandy, mentre gli ingranaggi della mente le si mettevano in moto a velocità incredibile. Era qualcosa, qualcosa che nessuno degli altri parenti in gara poteva dire di avere.

«Va benissimo, invece,» disse, sorridendo. «Basterà aspettare che Justin arrivi alla sua destinazione e, appena il telefono tornerà visibile, anche solo per un istante, noi sapremo dove si trova.»

«Sì, tecnicamente è corretto,» rispose Ettore. «Se è in fuga potrebbe pensare di tenere il telefono sempre spento, ma penso che dovrà usarlo almeno una volta, anche solo per trovare un luogo dove comprare un altro telefono. È stato stupido a non sbarazzarsi subito di questo, forse non pensava che avreste potuto rintracciarlo con metodi... classici.»

Anche questa volta Sandy decise d'ignorare quella che era un'ancor più palese stoccata alla loro natura. Per un istante venne colta dalla voglia di sondare con la magia il cervello del misterioso italiano per scoprire ciò che sapeva, ma quel tipo d'incantesimi non le era mai riuscito troppo bene e aveva paura di rovinare tutto ciò che avevano ottenuto. Si limitò quindi a sorridere, mentre il gemello fissava corrucciato il loro misterioso hacker, probabilmente anche lui perso a domandarsi come sarebbe stato meglio interpretare quelle criptiche frecciatine.

«Ettore, io ti ringrazio, ma devo chiederti un ulteriore favore,» esordì Sandy, fissandolo e assumendo quell'espressione che Joseph aveva rinominato "della brava gattina".

«Non dire altro,» rispose l'italiano, sorridendo e annuendo con veemenza. «Casa mia è casa vostra. Aspetteremo insieme che il vostro uomo si palesi.»

Sandy avrebbe tanto voluto lasciarsi andare a una bellissima risata. Il resto dei suoi parenti stava impazzendo per il paese, sondando ogni strada e città con la magia, lanciando incantesimi d'individuazione e divinazione per scorgere la posizione del loro biondino ricercato senza però ottenere nulla di fatto. Lei e Eugene, invece, senza ricorrere neanche a un singolo incantesimo, erano già sul percorso corretto. Poteva quasi pregustare il momento in cui avrebbero riportato Justin a casa e lei si sarebbe presa la sua ricompensa per quello sforzo: la vita che aveva sempre desiderato era a un passo, a un volo d'aereo di distanza da loro.

«Quanta pizza puoi farci portare? Dobbiamo festeggiare!» esclamò Sandy, battendo una pacca sulla spalla di Ettore.

«Allora io esco un attimo!» disse Eugene, con gli occhi brillanti e un ghigno stampato in volto.

«Perché? Dove vai?» chiese la sorella, perplessa.

Lui le tirò una schicchera sull'orecchio mentre le passava accanto, ridendo.

«Beh, Little-Dy, una promessa è una promessa. E che festa sarebbe senza un po' di gelato?»

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