Capitolo 2 "Cantilena"

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Mi hanno ferito, mi hanno umiliato, ma io una notte mi son vendicato.
Non potranno più ferirmi, non potranno più umiliarmi.
Le loro urla le ho sentite, sono state le più belle udite.

Questa era una canzoncina macabra che riecheggiava in un'altro castello, situato nella città Oscura.
La cosa più strana era che per quanto la canzone fosse intrisa di oscurità la voce che la cantava toccava tonalità delicate, quasi celestiali.
È come gustare qualcosa di dolce con un tocco di aspro.

Città Oscura.

In un'altro castello vivevano quattro demoni, quattro fratelli orfani, i loro genitori erano scomparsi, nessuno sapeva il motivo, erano spariti nel nulla, c'è chi sapeva ma se ne stava zitto, fingeva di essere all'oscuro di quello che era veramente accaduto.

Il più grande era Jin, lui era un demone classico, malvagio, non eccessivamente.
Dopo di lui c'era Nam, lui era il più scaltro, quello che si soffermava a soppesare ogni minima cosa, rancoroso.
Il penultimo era Hobi, quello più schizzato, quello più instabile, il suo umore variava molto velocemente.
Il più piccolo era quello difettoso, Jimin, lui non rispecchiava il demone classico, aveva diverse caratteristiche che non potevano essere classificate normali nella sua specie.
Tutti i demoni possedevano gli occhi neri come la pece, profondi e oscuri, lui ne aveva solo uno così, l'altro era di un grigio chiaro, era una cosa rarissima, succedeva ogni mille anni.
Non era una cosa ben vista, la consideravano una maledizione, chi aveva posseduto quella colorazione era sempre stato circondato da morte.
Loro erano crudeli ma non volevano avvicinarsi a qualcuno che potesse ucciderli per chissà quale oscuro motivo.
Non sapevano cosa ci stava dietro, loro si basavano solo su ciò che gli era stato raccontato fin da piccoli, una bugia tramandata negli anni, nei secoli.

Aveva anche altro di particolare Jimin, ma nessuno ne era a conoscenza, era un segreto che custodivano gelosamente lui e i suoi fratelli.
Tra di loro c'era vero affetto, sostegno e fiducia, tutto intriso di segreti che non erano andati al di là di quelle mura.

Dal castello potevi solo udire quella canzoncina, cantata più e più volte, una cantilena che ipnotizzava e creava inquietudine.
Nessuno sapeva chi la cantava, nessuno osava chiedere chi fosse, nessuno si avvicinava troppo alla struttura.
Quei fratelli erano evitati come la peste, loro non erano considerati il male, loro erano visti come un errore del sistema, qualcosa di anomalo.
Un giorno quella cantilena venne cantata esternamente, ai piedi di un grande albero, quello che era radicato vicino al confine.
Il demone la canticchiava con il ghignò sulle labbra, il ricordo legato ad essa era felice.
La sua voce si espanse, si insinuò nell'orecchio fino di un angelo, dell'angelo rotto.
Udì ogni singola melodia, rimase senza fiato ascoltando quella voce, ciò che racchiudeva non era importante per Jungkook.
Lui aveva già perso la ragione per quel timbro di voce mai udito, sembrava lo stesse richiamando.
Quella voce smise di cantare, sciogliendo Jungkook dall'incantesimo che aveva creato attorno a lui.
Si affacciò alla finestra, si sporse, guardò in giro, verso la direzione dove aveva udito la voce provenire, ma non c'era nessuno.
Jungkook pensò di essersela sognata, magari il desiderio di avere qualcuno era così grande da farlo fantasticare troppo.

Ma quella voce, quella voce, lui avrebbe pregato per risentirla.

Jungkook amava la musica, amava ancora di più la voce, era il suo punto debole, una bella voce poteva farlo impazzire.
Quel tratto per lui speciale si infiltrava in profondità, avvelenava il cuore, lo stregava.

Quando ti innamori di un tratto distintivo, ti innamori per la vita.
Il fisico muta nel tempo, una voce rimane, perdi la testa per qualcosa che rimarrà invariata per l'eternità.

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