Capitolo 9

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Dopo quello che mi sembrò un'eternità recuperai coscienza e possesso del mio corpo, ero vicina a una enorme finestra, seduta sul davanzale e mi abbracciavo le gambe, ero nel mondo dei sogni nuovamente, capirlo mi aiutava sempre a rilassarmi, e a prepararmi a quello che sarebbe successo. Come sempre avvertivo delle sensazioni contrastanti, non mie, non in quel momento almeno. Con lo sguardo tentavo di scorgere qualcosa nel giardino ma era tutto buio, si distinguevano solo le sagome degli alberi e la luna, mi rispecchiavo tanto in lei, aveva un lato occulto, scuro. La brezza leggera alleggeriva il peso della mia anima. Sul vetro della finestra comparve il riflesso di una donna con dei lunghissimi capelli biondi, quasi argentei, alta e snella quasi quanto me, sembrava sulla quarantina, aveva un sorriso gentile ma che non raggiungeva i suoi occhi, mi girai come a rallentatore, ogni secondo che perdevo era un secondo che mi allontanava dalla mia condanna.

‹‹Sei tu la nostra scelta, ma questo lo sapevi già, è per questo che sei scomparsa senza lasciare tracce per giorni.›› mi guardava accondiscendente come una madre guarda sua figlia ‹‹Non ti abbiamo cercata per lasciarti il tuo tempo, anche se ci hai fatto impazzire, Ross l'ho dovuta trattenere perché non andasse a cercarti.››

‹‹Perché io?››

‹‹Tu hai un dono piccola mia, la divinazione, è difficile da accettare nessuno lo sa più di me, di doni difficili ne hai avuti tanti, la natura non è stata clemente con te, sapere quello che sta per accadere a volte può sembrare una punizione.››

‹‹Anche tu possiedi questo dono.›› asserii convinta, sentivo che questa parte di me non si era arresa al suo destino, che al momento a me era celato, stava ancora lottando con le unghie e con i denti.

‹‹No, il mio dono come quello di Ross è limitato, non possiamo controllarlo sono più che altro delle visioni, tu lo puoi usare a tuo piacimento, non tanto al momento, ma siamo certi che otterrai un livello di controllo perfetto, hai come un libro in mano, potresti sfogliarlo se solo lo volessi.››

‹‹Non è così che funziona.››

‹‹Ma lo sarà, per ora hai il passato che puoi consultare, devi solo capire cosa vuoi vedere, penso sia opera della natura, così vedendo puoi prendere consapevolezza del tuo ruolo, puoi anche vedere il presente, viaggiare con la mente senza spostarti fisicamente, il futuro ti è ancora celato perché è soggetto a cambiamenti che non sai gestire›› fece una pausa che aveva tanto il sapore di una sentenza ‹‹so che accetterai per questo non lo chiedo, non saresti tornata altrimenti, posso solo aiutarti a capire quello che ti aspetta.››

‹‹Cosa succederà?›› guardai oltre il buio del paesaggio.

‹‹Diventerai la parte contrapposta della bilancia, invulnerabile, immortale, avrai tutto di noi, e parte di loro.››

‹‹E le conseguenze?›› lei sorrise, era da me essere prudente, anche troppo.

‹‹Ci sono sempre no? Ma nessuno dovrà mai sapere le conseguenze di questa scelta o sarà stato tutto vano, non posso risponderti ci è stato vietato di metterti al corrente, le altre anziane non ritengono sia necessario.››

‹‹Necessario, le altre anziane?›› domandai con la collera che montava ‹‹Ma sanno quello che mi stanno chiedendo di diventare, se pensano che starò al loro volere allora hanno scelto la persona sbagliata, io devo sapere tutto, dovrò stare a capo del consiglio e quindi sarò superiore anche a loro, non sarò una pedina, non ci saranno giochi di potere, se è quello in cui sperano rimarranno deluse.››

‹‹Ecco, anche questo è il motivo, ecco perché sei la scelta giusta, sei imparziale e non hai paura di fare il giusto ma per ora dovrai attenerti al loro volere, non posso dirti nulla ma se per caso tu trovassi o potessi consultare con il tuo dono un'antica pergamena io non potrei impedirti di leggerla.›› sentivo che mi stava consigliando di fare qualcosa, c'era un modo per sviare questo divieto, furba. Petra mi stava dicendo di usare la padronanza che avevo capito avere sul passato, forse c'era qualcosa che minava la mia incolumità.

‹‹Tu possiedi anche altri miei doni.›› mi ritrovai a insistere.

‹‹Non utili›› replicò con tranquillità sapeva che ero più calma ormai ‹‹possiedo la divinazione e le nostre arti, erboristeria, guarigione, ma tu ne possiedi molte altre, sei diversa da tutti noi perché sei da sempre destinata a questo.›› mi baciò sul capo e lo scenario sparì, ebbi la sensazione di cadere nel vuoto e pensai per un secondo di stare per svegliarmi ma evidentemente non era tutto finito.

Oh no, un'altra volta nel bosco! Ero scalza e addossata al tronco di un albero enorme, sembrava una quercia, che doveva essere alta almeno 40 metri, tanti rami che si aprivano, alcuni che toccavano il terreno e si perdevano nel buio della notte, da questi pendevano lunghi fili di muschio che ondeggiavano rendendo il paesaggio spettrale. Non riuscivo a vedere molto e sentivo freddo, ma non capivo se era la temperatura esterna o il gelo proveniva da dentro me, ero terrorizzata, il mio stato d'animo corrispondeva con quello del sogno. Che diamine ci facevo in questo posto?

‹‹Accendinum liet*.›› sentii pronunciare da una voce di donna e tutto attorno al perimetro dell'albero si accesero delle fiaccole impalate al terreno, a formare un cerchio che avevano tracciato con una linea bianca e al centro c'ero io che non potevo fare un passo, in realtà il mio corpo non voleva muoversi era lì di spontanea volontà, sentivo rassegnazione, mi ero arresa a un destino non scelto da me, la cosa migliore era essere uno spettatore silenzioso.

Dietro a ogni fiaccola c'era una donna con una veste rossa lunga fino a terra e un velo dello stesso colore sulla testa, uno scenario macabro quanto sacro, non distinguevo il volto di nessuna. Io avevo una veste bianca trasparente, e sotto non indossavo niente e non avevo un velo ma un'intricata acconciatura che ricadeva su una spalla, decorata con delle perle di diverse misure. Sembravo una sposa ma mi sentivo più una vittima sacrificale.

All'unisono alzarono le braccia all'aria e le loro voci si librarono dando vita a un canto rituale ‹‹Mater ego te, nos custodem te, eter sanguis mei*.››e continuarono così per un tempo che a me sembrò un'eternità, finché una a una si tagliarono il palmo della mano sinistra e versarono del sangue a terra all'interno del cerchio. Un'altra donna con una veste nera si fece avanti aveva un calice di vetro in mano e raccolse una goccia di sangue da ognuna di loro. Facendo un passo avanti entrarono nella mia visuale altre persone o "cose" che finora erano rimaste celate dalle ombre della notte, tra queste riconobbi l'uomo dall'incarnato cadaverico che aveva ucciso la ragazzina "Ross"nel mio sogno e questa cosa m'inquietò parecchio, ma il mio "io" nel sogno era ignaro del pericolo; capii che era come un racconto spezzettato quello che stavo vivendo ma senza né capo né coda, dovevo dargli io un ordine. Individuai anche un uomo con la pelle onice e lucida sembrava di pietra lavica e questa sua caratteristica gli faceva spiccare gli occhi celesti come un faro nella notte. A qualche metro una donna bellissima dai capelli color rubino dello stesso colore dei suoi occhi mi trafiggeva con lo sguardo come se volesse comunicarmi qualcosa, forse temeva che qualunque cosa stessero per fare potesse farmi diventare una minaccia, a quanto avevo capito quello che stavano facendo mi avrebbe reso alquanto potente. Continuai con la mia ispezione c'erano molti altri, chi con lo sguardo diffidente, chi sorpreso, e tra di loro c'era lui, riconobbi all'istante i suoi occhi ambrati che emanavano luce nella notte e la sua figura possente, bello come solo il peccato poteva esserlo, aveva una postura fiera, mi guardava con un misto di compassione e sorpresa, forse era questa la prima volta alla quale si riferiva quando mi consegnò la collana. Mi sentivo in vantaggio, lo avevo già incontrato, avevamo parlato, lo avevo baciato e questo ricordo, o forse altro, fece distogliere lo sguardo alla me del sogno che non poté più sostenere l'intensità dei suoi occhi e tornò a concentrarsi sui presenti. Li vidi tagliarsi e versare anche loro qualche goccia di sangue. La donna con il calice si fermò accanto a lui e vidi come questo prese il pugnale, disse qualche parola che non riuscii a sentire e poi si tagliò il palmo dal quale fuoriuscì un liquido ambrato dello stesso colore dei suoi occhi, denso come quello che c'era all'interno della collana. Rimasi sorpresa non solo nel vedere la diversità del suo sangue ma anche dal sentirmi pronunciare parole che lo fecero guarire all'istante, una frase che non capivo come, ma sapevo significare "dal mio respiro trae la forza", lui mi guardò con crescente interesse ma ora riscontrai anche rispetto, abbassai la testa come se mi vergognassi della mia debolezza o per qualcosa che al momento mi sfuggiva.

Arrivato all'ultimo dei presenti la cantilena si alzo un'altra volta ma questa volta le loro voci erano in crescendo e le parole erano diverse, parlavano di accettare un dono fatto con il sangue. Capivo le parole, ma non le distinguevo tutte, ero troppo scioccata per capire tutta quella situazione. La donna mise il calice nelle mie mani, immerse due dita nel liquido nero e mi disegnò un cerchio sulla fronte, non lo vedevo ma ne ero certa, un cerchio con diverse uscite, poi si diresse verso il tronco dell'albero e ne disegnò un altro con diverse entrate. Guardai in alto e vidi un fascio di luce che illuminava proprio il contenuto del calice, quindi pronunciai la formula dovuta:

‹‹Acceptum mater ek imòtèl eni sanguis*.›› (accolgo te madre immortale nel sangue) e lo portai alle labbra bevendo fino all'ultima goccia, non aveva un sapore disgustoso come avevo immaginato, sapeva solo di fresco, di erbe e di miele, era ghiacciato. Mi accasciai stravolta dal dolore, era iniziato qualunque cosa fosse, l'ultima cosa che vidi fu lui, che mi prendeva in braccio e mi supplicava di resistere, c'era della disperazione in quella voce melodiosa e forte, mi rifiutavo di farlo sentire così, volevo stesse bene, fu il mio ultimo pensiero prima di scivolare nell'oblio...

Accendinum liet: accendo lume (lingua superiore).

Mater ego te, nos custodem te, eter sanguis mei: amo te madre, noi ti custodiamo unendo il nostro sangue (lingua superiore)

Acceptum mater ek imòtèl eni sanguis: accolgo te madre immortale nel sangue (lingua superiore)

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