Capitolo aggiuntivo

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Angelique

Da quando era andata a letto ero dietro la sua porta, aspettando il momento giusto per intervenire e pregando di non doverlo fare. Era da un po’ di tempo che la vedevo stanca, con le occhiaie, e avevo iniziato a sospettare che qualcosa non andasse quando anche il suo carattere aveva iniziato a risentirne. A tratti non sembrava nemmeno lei; era sempre stata una bambina dolce, affettuosa, e un’adolescente matura e pacata, ma ultimamente aveva delle reazioni spropositate per le quali poi chiedeva scusa, non sapendo nemmeno lei come giustificarle. Avevo un’idea di cosa stesse succedendo, mi avevano preparato a questo momento, ma speravo comunque che non arrivasse mai. Lei era mia figlia a tutti gli effetti, l’avevo cresciuta e amata come se a partorirla fossi stata io, e volevo proteggerla e allontanarla da quel maledetto mondo, era la cosa giusta da fare. Quando sentii dei rumori provenire dall’altro lato della porta, girai la maniglia ed entrai, facendo meno rumore possibile. Trattenni il respiro, con il timore che i miei sospetti fossero reali.
Era alla scrivania, china su un foglio, ma la postura non era quella della ragazza quattordicenne che amavo più della mia stessa vita. Sembrava più adulta, più rigida.
«Ani!», la chiamai, pregando di sbagliarmi. «Anima, amore mio!»
Nessuna risposta, era proprio come temevo. Presi un grande respiro e riprovai a chiamarla, ma questa volta con quello che sapevo essere il suo vero nome.
«Alana!»
Lei girò il volto dalla mia parte al rallentatore, un movimento innaturale che mi mise i brividi.
«Non farlo, non portarti via la mia bambina. Te ne prego, mia signora».
«Tramite il tuo amore verso di lei ho conosciuto l’amore di una madre. Mi dispiace, devo farlo, o tutto sarà stato vano», rispose lei con la voce carica di malinconia.
«Non deve per forza andare in questo modo».
«È il momento che lei sappia».
Era sempre dolce, ma sembrava più adulta.
«Non posso permetterlo, non deve soffrire per qualcosa che nemmeno conosce».
«Non sta a te decidere, sappi solo che sarà sempre lei. Saremo noi, finalmente…»
Non riuscii ad ascoltare più niente, non ragionavo con lucidità. Ero spinta dalla disperazione e mi sarei pentita di tanta avventatezza.  Mi lanciai nella sua direzione, mettendo una mano sulla sua fronte e l’altra sulla nuca, assorbendo l’energia della strega che permeava il corpo della mia bambina e ne prendeva possesso. Sapevo che le sue intenzioni erano le migliori e molto nobili, che voleva proteggerla e proteggersi, ma io ero di un’altra idea; avrei provato a salvarla in un altro modo, tenendola all’oscuro di tutto. Dovevo debilitare l’altra sua metà, quella che lottava per uscire, che aspettava che lei dormisse per prendere possesso del suo corpo e mettersi in contatto con lei. Avevo messo a punto un piano per sottrarla al suo destino il più a lungo possibile.
Si accasciò sulla sua scrivania e con tanto sforzo riuscii a portarla verso il letto. A guardarla in quel frangente, nessuno avrebbe visto la creatura potente che pochi secondi prima mi parlava, ma una bambina troppo piccola per il suo fardello.
Sulla scrivania faceva bella mostra di sé un foglio bianco. Lo presi tra le mani e capii... Alana si era resa conto che non ero in grado di portare a termine la mia missione, cioè quella di prepararla al futuro che l’attendeva; avrei dovuto indirizzarla verso il nostro mondo, avvicinarla alla magia facendo in modo che, una volta arrivato il momento, lei potesse svolgere il suo dovere. Alana, quindi, aveva trovato il modo di raccontare la sua storia e quella che legava la sua anima alla mia piccola. La stava preparando, aveva capito che era pronta.
Piegai il foglio e mi misi alla ricerca di altre lettere, avevo capito che quella scena si ripeteva da un po’. Ne trovai quattro dentro un cassetto; Alana si aspettava che le trovasse e sicuramente sarebbe successo, ma non ancora. Le portai nella mia stanza e le nascosi, avrei lasciato ad Anima il tempo di vivere. Mi misi a letto con un nuovo peso nel cuore, una condanna. Quello che avevo appena fatto era condannabile, secondo le leggi del nostro mondo; era un tradimento, ma ero certa ne sarebbe valsa la pena.

***

Ne era valsa la pena, aveva una cera migliore ed era tornata a essere spensierata e gioviale. Aveva iniziato a prendere le tisane di passiflora e melissa, o almeno era quello che le dicevo; in realtà era un insieme di erbe molto potenti, usate dalla mia stirpe per curare la possessione di demoni di basso grado. Stava dando i suoi frutti, Anima aveva provato a scrivere altre due volte e poi niente, eravamo tornate alla normalità. Le dissi che soffriva d’insonnia e la facevo andare in terapia dallo psicologo, il Dott. Stewart, mio amico e confidente.
Mi affrettai a nascondere le erbe secche che stavo maciullando, Anima sarebbe arrivata di lì a poco e non aveva idea che a preparare le tisane fossi io. Il campanello suonò; meno male che non aveva preso le chiavi, o non avrei saputo come spiegare la scena. Mi lavai le mani e aprii le finestre, c’era un intenso odore di erbe. Nel frattempo, il campanello suonò nuovamente e andai ad aprire. Non vidi la persona che mi aspettavo, ma mi trovai di fronte la nostra vicina, Fanny.
«Qual buon vento ti porta qui?»
Avevo paura di scoprirlo.
«Non avresti dovuto farlo, Angelique».
Tremai alle sue parole, sapevo perfettamente a cosa si riferisse.
«Cosa avrei fatto? Non so di cosa parli».
«Ho avuto un’interessante chiacchierata con la ragazza. Fanciulla interessante, non trovi? Sarà un capo stupendo».
Sapevo qual era il suo dovere, controllare come io portavo a termine il mio compito. Era una consigliera.
«Cosa vuoi?»
Il mio tono cambiò drasticamente, ora ero in allerta.
«Non c’è bisogno che mi confermi i sospetti, sento l’odore di ortica e biancospino. Ho informato il Consiglio e sono venuta solo per comunicarti il verdetto».
«Verdetto?»
Avevo quasi perso l’uso della parola.
«Ti sei macchiata di un grave crimine, il tradimento, e sarai privata della tua magia».
Mi si spezzò il fiato, per una strega era il peggiore dei supplizi.
«Sottomettiti di tua spontanea volontà», disse. Doveva far rispettare le nostre leggi.
«Non ci sarà un processo?», chiesi io, nel panico.
«Non è necessario!»
Odiavo la sua voce, lei e la nostra razza con le sue assurde leggi, ma non ero pentita dei miei atti.
Mi si avvicinò e io indietreggiai istintivamente.
«Non farlo», mi intimò lei. «Fa’ che sia veloce e nessun altro soffrirà. Lei sta per arrivare, vorresti che vedesse?»
Mi mise una mano sulla fronte e l’altra sulla nuca, proprio come avevo fatto io con Alana quella notte, e assorbì tutta l’energia che era la fonte che alimentava i miei poteri. Chiusi gli occhi, mentre una parte fondamentale di me scivolava via dal mio corpo.
«È fatta».
Fanny si voltò senza mostrare neanche il minimo rimorso e se ne andò. Chiusi la porta e mi accasciai a terra, piangendo disperata. Per una strega, perdere i propri poteri era una condanna a morte; vivevamo molti anni perché il nostro corpo si alimentava di quell’energia, e alla mia età sarei appassita in poco tempo senza di essa.
Il campanello suonò e mi alzai, asciugandomi gli occhi. Era Ani.
«Tutto bene, mamma? Cos’è successo?», chiese allarmata, vedendo il mio stato.
Come spiegare quello che avevo fatto? Semplicemente, non potevo. I miei sforzi non sarebbero stati vani: per ora lei era al sicuro, la magia nel suo corpo era quasi sparita e avrebbe impiegato parecchio per rigenerarsi.
«Vieni con me, sediamoci sul divano».
«Mi stai spaventando!», disse, agitata.
«Non preoccuparti, anima mia». Le accarezzai i capelli e mi sedetti accanto a lei. «Sono appena tornata dall’ospedale».
«Ma oggi non lavoravi, perché ci sei andata?», mi interruppe lei.
«Anima, non sto bene. Sono malata e non so quanto tempo mi resta».
Sganciai la bomba, tanto più di così non avrei potuto addolcirla. Sarebbe stato meglio se avesse creduto a una malattia che mi consumava, piuttosto che vedermi morire all’improvviso senza sapere cosa fosse successo.
In un primo momento non disse niente; mi guardava, ma in realtà non mi vedeva. Era in trance, ma all’improvviso scoppiò a piangere e si rifugiò tra le mie braccia, stringendomi forte. Avrei sofferto tanto e lei si sarebbe disperata, ma ne sarebbe valsa la pena, se ero riuscita ad allontanarla dal suo destino infame.

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