Capitolo 37

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Anima

Ahi, che male!
Ancora prima di aprire gli occhi, mi lamentai del dolore. Fitte fortissime mi massacravano la testa. Provai a toccarmi la nuca ma non potevo muovere le mani, erano dietro la schiena e non potevo quasi separarle dal corpo. Il panico mi attanagliò le viscere, che stava succedendo?
Provai ad alzarmi in piedi, ma non ottenni nessun risultato; non riuscivo a muovermi, ero legata e stesa a terra su un pavimento bagnato e sentivo freddo. Il mio cervello si attivò cercando di dare una spiegazione a quella situazione e i miei ultimi ricordi vennero a galla: il dolore alla nuca prima di svenire e poi quella voce, ciò che mi aveva detto. Forse ero ancora confusa, ma d’improvviso mi ricordai di David steso a terra e mi agitai. Dovevo capire cosa stesse succedendo, cosa fosse capitato al mio amico, chi avrebbe voluto farci del male. Ero disperata, e come tale mi comportai. Cominciai a dimenarmi come un’ossessa e urlai finché non mi resi conto che sarebbe stato inutile; mi bruciava la gola e mi facevano male i polsi, ero sicura che stessero sanguinando.
Com’ero arrivata lì? Ero stata rapita? Non vedevo niente, come sarei uscita da quel posto? William aveva ragione a chiedermi di restare a casa, quanto ero stata stupida; dovevo ascoltarlo, invece mi ero cacciata in quel guaio per un dubbio, e avevo anche trascinato David con me.
Il freddo mi faceva battere i denti, dovevo capire dov’ero. Mi concentrai per pensare a cosa fare ma non mi venne in mente niente. Sentii delle voci avvicinarsi e mi misi in ascolto, dovevo capire qualcosa della situazione. Erano in due, riuscivo a sentire la loro energia.
«E dovrebbe essere lei? A me è sembrata soltanto una ragazzina impaurita e fragile come tutti gli umani». Si riferivano a me e il tono di quello che parlava era pieno di sdegno. «Adesso vedremo di che pasta è fatta… diventerà la cena del capo».
Aveva una voce roca e impregnata di cattiveria, e il compiacimento dopo le sue parole mi fece infuriare.
La porta si aprì di poco e un alone di luce entrò nella stanza. Riuscii a guardarmi meglio attorno e mi si fermò il cuore quando distinsi un’altra figura dall’altra parte della stanza, buttata anch’essa a terra. Provai nuovamente a capire in che razza di posto fossi, ma non si vedeva un granché, oltre a quattro mura senza vernice e una piccolissima finestra vicina al tetto che, di sicuro, era coperta, giacché non entrava nessuna luce. Mi guardai e vidi che indossavo una sottoveste che forse, prima di finire dentro la pozzanghera nella quale mi trovavo, era stata bianca.
Una consapevolezza mi fulminò, oddio! Era quello che avevo sognato, era veramente una premonizione. Senza volerlo, avevo detto a Tom una buona parte della verità e avevo una fottuta paura di capire chi fosse il responsabile del mio rapimento. Di sicuro erano esseri soprannaturali, se parlavano di me in quel modo, e ciò non fece altro che peggiorare le cose, perché il loro obiettivo era senz’altro uccidermi. Ma perché non farlo subito?
Sapevo, però, che più restavo prigioniera, più tempo davo a Will e agli altri per trovarmi, sperando che fossero ancora interessati a tenermi in vita; io non avrei difeso una che si comportava da incosciente come me.
La porta si aprì del tutto e la stanza si illuminò, facendomi notare quanto fosse lugubre e sporca. Poi vidi qualcosa che nel sogno mi era stato chiaro fin da subito ma che avevo dimenticato, presa dal momento: il sangue, il mio vestito bianco era sporco di sangue, ma ero sicura che non fosse mio. Sì, ero stanca e sentivo dolore alla schiena e ai polsi, ma non sanguinavo; usciva, invece, dal corpo nell’angolo e, anche se era poco, si era mescolato con l’acqua per terra creando una serie di tentacoli che erano arrivati fino a me. Rabbrividii, non avevo mai sopportato la vista del sangue e in quel momento avevo addosso quello di un’altra persona, che non sapevo nemmeno se fosse viva.
Entrarono nella stanza due energumeni, che forse mi sembravano così grandi perché ero stesa a terra. Erano armadi altissimi con le spalle larghe, avevo l’impressione che se solo mi avessero toccata mi avrebbero spezzata. Si avvicinarono a me, privandomi della poca luce che entrava, ma non riuscivo a vederli in faccia. Uno dei due parlò con una voce che sembrava provenire dall’oltretomba, sembrava più ringhiare che parlare.
«Prendila in braccio e non toglierle le catene». Si abbassò e mi scostò i capelli dal viso. «Ricorda sempre chi è, anche se non lo sembra per niente». Non era lo stesso che aveva parlato fuori dalla porta.
«E perché mai dovrei prenderla in braccio?», rispose l’altro, che si era spostato dietro di me. «Abbiamo l’ordine di portarla da loro, non hanno specificato come».
Quella era la voce che avevo sentito prima, dura e carica d’odio, e mi mise in allarme. Sentii il rumore delle catene che si staccavano da dove erano state fissate e, come aveva promesso, il mio aguzzino non mi prese in braccio ma mi fece alzare con uno strattone secco della catena che avevo attorno al collo. Mi sentii mancare l’aria e cominciai a tossire, mentre lui proruppe in una risata psicopatica, godeva nell’infliggermi dolore.
«Mike, non è necessario», tuonò il gigante numero uno. Il suo tono era dispiaciuto e aveva una nota di rimprovero per quello che stava facendo il sadico.
«Che c’è, ti sei preso una cotta? Questa maledetta troia ci ha costretto alla fame e quasi all’estinzione», disse lui, come se fosse giustificato quello che mi stava facendo, come se lo meritassi.
L’altro scosse il capo, non era d’accordo con le parole di Mike, ma preferì voltare le spalle e la mia flebile speranza di aver trovato qualcuno con un po’ di buon senso svanì. Le mie gambe erano pesanti, come se fossero fatte di piombo, mi tremavano le ginocchia e avevo una stabilità precaria. Il mio carceriere si spostò davanti a me e mi tirò a sé. Ora ero attaccata al suo petto, e sentire il suo corpo così vicino al mio mi fece venire la nausea.
«Avrai quello che meriti e poi ci divertiremo, io e te», disse, toccandomi il sedere da sopra la veste. Io provai a divincolarmi ma la sua presa era troppo forte. «Selvaggia, ancora meglio!»
Il suo tono era compiaciuto nel vedermi combattiva e terrorizzata allo stesso tempo. Cominciò a trascinarmi come fossi un cane al guinzaglio, si fermò prima di uscire dalla porta e chiamò l’altro energumeno, che nel frattempo era rimasto fermo al centro della stanza.
«Tristan, di questo cosa ne facciamo?»
«Abbiamo ordine di tenerlo in vita…», rispose serio, «per ora», aggiunse, ma sembrava stesse parlando più a se stesso.
«L’insetto sarà la cena».
Guardai meglio la figura a terra e l’orrore mi si dipinse sul viso. Ora che c’era un po’ di luce, vedevo chiaramente che si trattava di David, ancora svenuto e accasciato in quell’angolo sudicio.
«David!!!», urlai, provando a sfuggire al bestione per raggiungere il mio amico, ma fu un’impresa impossibile. Quello mi strattonò facendomi sbattere la schiena contro il suo petto e mi annusò come se fossi una prelibatezza. Ebbi un conato di vomito.
«Mmm, chissà se il tuo sangue è dolce quanto il tuo odore».
Appartenevano decisamente al mondo soprannaturale e avevo quasi la certezza che fossero dei vampiri, almeno quello che mi annusava come se fossi una bistecca. Una nuova paura si insinuò nella mia mente: intuii che a tenermi prigioniera era un essere che nella mia corrente esistenza non avevo mai incontrato ma, da quello che ricordavo del passato, mi faceva accapponare la pelle.
Guardai un’ultima volta il mio amico sperando che fosse vivo, non avrei sopportato l’idea di vivere senza la sua presenza; in più, ero sicura che se gli fosse capitato qualcosa a causa mia non me lo sarei mai perdonato. Ero molto agitata e non riuscivo a concentrarmi sulle capacità che avevo scoperto di posseder. In quel momento mi sentivo impotente, ordinaria… umana come non mai.
Chiamai nuovamente David, ma non ottenni risposta. L’essere alle mie spalle era eccitato dalla mia disperazione; passò la lingua sulla mia nuca e poi sentii i suoi denti aguzzi graffiarmi il collo. Una lacrima mi sfuggì, era troppo, non riuscivo a controllare il mio stato d’animo.
«Mike, sei una bestia. Dobbiamo portarla da loro, smettila di fare lo stronzo».
Tristan non aveva l’aria di essere un santo, ma almeno non sembrava un animale senza scrupoli.
«Stronzo guastafeste», rispose Mike, e poi mi sussurrò all’orecchio: «Non ho finito con te».
Senza molti convenevoli, mi tirò per la catena e mi trascinò fuori.
Attraversammo un passaggio angusto e salimmo delle scale, che ci condussero in un lungo corridoio. Questo era finemente decorato, vi erano tappeti dall’aria costosa e quadri che non feci in tempo a guardare, ed era anche molto illuminato, a differenza della prigione dov’ero prima. Dovetti socchiudere gli occhi per abituarmi alla luce. Arrivati davanti a una porta, quello più “umano” tra i due, Tristan, ci passò davanti e aprì i battenti, mentre l’altro mi spingeva all’interno di una stanza enorme. In un’altra situazione mi sarei ribellata al fatto di essere trattata come un cane, ma in quella attuale non ne sarei uscita illesa.
Alzai lo sguardo e mi pietrificai. C’erano diverse persone, la maggior parte in piedi, di guardia vicino all’enorme vetrata che lasciava intravedere un giardino che, in altre circostanze, avrei anche apprezzato. Avevano tutti lo sguardo famelico puntato su di me, ma quello che mi lasciò a corto di ossigeno furono le due figure sedute all’enorme tavolo di legno in stile Luigi XV vicino alla vetrata. Non avrei mai voluto incontrarle, non nella mia nuova esistenza.
Modriam, l’uomo che avevo visto nei miei sogni e che mi aveva terrorizzato con le sue telefonate da stalker, aveva sempre la stessa aria distinta, elegante e una bellezza inumana e crudele, ma questa volta le sue labbra erano rosa e non di quel viola inquietante. Il suo sguardo di fuoco mi scandagliava e sembrava compiaciuto di quello che vedeva; il mio aspetto sconvolto e trasandato gli provocava una gioia che non riusciva a nascondere, ma le sue parole dissero tutto il contrario.
«Mia cara, mi dispiace per l’accoglienza, avevo chiesto di farti avere dei vestiti puliti. Quello che indossi l’ho scelto personalmente, ma forse il bianco non era adatto all’alloggio che la mia carissima amica ha scelto».
Ed eccola lì, l’altra persona al tavolo, la vera traditrice della mia sventurata storia.
«Cara, dovresti essere più cordiale con gli ospiti», continuò Modriam, e questa schioccò la lingua come se il tema non fosse di suo interesse.
Petra, colei che Alana aveva considerato come una vera madre! Attraverso i suoi ricordi avevo sentito tutto il suo affetto per quella donna, che ora mi stava guardando come se la reietta fossi io e non lei, che aveva tradito me, la sua razza, tutto quello in cui credevano e quello che era suo dovere custodire, la natura. C’era disprezzo nel suo sguardo, ma anche un lampo di soddisfazione nel vedermi sporca, bagnata e infreddolita. Provai a controllare i tremori e la paura, che senza rendermi conto era salita a livelli altissimi. Non volevo che godessero delle mie sventure un secondo di più.
«Vieni qui, mia cara, fammi vedere quanto sei bella anche in quest’esistenza», disse Modriam con falso tono gentile.
«È sempre la stessa: scialba era e così rimarrà, per sempre».
L’arpia al suo fianco non aveva potuto fare a meno di sputarmi addosso il suo veleno.
«Sempre, che parola tremenda, mi fa rabbrividire ogni volta che la sento. Le donne hanno la mania di usarla, e per di più è un termine senza senso», affermò Modriam, prendendola un po’ in giro con le parole di Oscar Wilde. Dette da lui, sembravano tutt’altro che poetiche.
L’energumeno Mike tirò la catena facendomi avanzare, e quando ci trovammo al centro della stanza mi spinse giù, facendomi cadere in ginocchio. Io mi accomodai come potevo, provando a mantenere un po’ di dignità.
Petra non resistette oltre; la vidi avanzare e in poco tempo mi ritrovai i suoi vertiginosi tacchi a un palmo dal viso. Con le esili dita mi prese il mento con forza soprannaturale, e mi vennero dei dubbi: lei non avrebbe dovuto essere cenere? William aveva accennato al fatto che le streghe non fossero immortali ma, contro ogni logica, lei era lì davanti a me, ed era esattamente come la ricordavo e come l’avevo vista nei miei sogni. A quanto pareva, nemmeno i suoi gusti erano cambiati: aveva sempre lo stesso stile e indossava un abito lungo color grigio perla. La guardai nei suoi occhi pieni di odio, mi disprezzava con tutto il suo putrido essere; mi aveva sempre guardata così? Ogni minuto che passavo di fronte a lei mi rendeva più consapevole del vuoto nero che era la sua anima.
«Ciao!», mi schernì.
Il suo sorriso finto non mi tranquillizzava per niente, dire che era inquietante era veramente un eufemismo.
«Eccoci nella posizione giusta, finalmente: tu a terra, come l’essere insignificante che sei, strisciante ai miei piedi, e io che ti guardo dall’alto in basso. Non mi provochi altro che lo stesso disprezzo di sempre. A dire il vero, pensavo che mi avrebbe dato più soddisfazione».
Come aveva potuto fingere così bene per tanti anni? Ecco la persona a me cara che mi aveva tradito, ecco la persona di cui parlavano le lettere misteriose, ma perché non dirmi il nome? Mi avrebbero risparmiato tutto questo. Petra, la mia mentore in quel passato che non ero riuscita a ricordare del tutto, la confidente di quella metà di me che stava scalpitando per uscire, mi aveva appena pugnalato alla schiena; anzi no, mi aveva pugnalato alla schiena molto tempo prima e ora aveva solo rigirato il coltello nella piaga. Avrei dato tutto quello che non avevo per sapere il motivo del suo tradimento, per conoscere il suo piano. Mi strinse ancora di più il mento, mi stava facendo male e con immenso piacere.
«Tutto quel tempo per preparare il piano perfetto e tu lo hai rovinato».
La sua voce era calma e non poteva che peggiorare le cose. Era a suo agio in quella assurda situazione, si sentiva bene a fare del male.
«Tu e il tuo angelo…»
Mi accarezzò la guancia e non prometteva niente di buono, infatti, dopo la carezza, arrivò il dolore. Mi graffiò lentamente, lacerandomi la carne del viso; il dolore era insopportabile e le lacrime lottavano per non uscire.
«…ma me la pagherete entrambi, non dubitarne».
«Mia cara, devi scusarla, l’immortalità rende acidi». 
Il vampiro la strattonò all’indietro e mi posò un dito sulla guancia, un dito freddo come il ghiaccio; lo passò sulla ferita e raccolse una goccia del mio sangue. Adesso capivo cosa c’era di diverso in lui: si stava trasfigurando come quando lo avevo visto nel mio sogno, la sua pelle stava diventando più pallida e ancora più fredda e i suoi occhi, che spiccavano sul suo incarnato, erano diventati rosso fuoco. Avrei giurato di scorgere le fiamme dell’inferno al loro interno, a quanto pareva la sua fame aveva svegliato la sua natura. Si portò il dito alla bocca, succhiando e assaporando il liquido scarlatto.
«Mmm, coniglietta, sei sempre dolcissima».
La sua voce era roca e ora non avevo più dubbi: era lui a seguirmi, mi aveva braccato come un animale e mi aveva fatto cadere in trappola. Ero la sua preda, tremai di paura.
«Fai bene ad avere paura», disse, accovacciandosi davanti a me per guardarmi dritto negli occhi, «perché finirò quello che ho iniziato tanto tempo fa, e questa volta niente potrà salvarti».
Si alzò a una velocità tale da essere invisibile agli occhi umani e lo vidi nuovamente seduto al tavolo, ma non ebbi il tempo di concentrarmi su quello che stava facendo perché, pochi secondi dopo, mi arrivò uno schiaffo così forte che mi fece cadere a terra, stordita e con la vista annebbiata.
«Sei proprio sadica, Petra!», disse Modriam, come se fosse disgustato da quello che faceva la sua partner, ma io non ci cascai nemmeno per un secondo.
«Grazie!», rispose lei, compiaciuta dal bellissimo complimento, e poi, guardando me a terra, continuò: «Quando recupererò tutta la mia forza, questo ti sembrerà niente; volevo solo darti un assaggio di quello che ti farò».
«Deve vivere fino al rito, cara, poi ce ne occuperemo insieme», ribatté il vampiro, provando a ricordarle che avevano dei piani.
Ma di quale rito parlava? Ecco perché non mi uccidevano, avevano bisogno di me.
«Lo so, Modriam, non sono stupida, ma dobbiamo capire a che punto è la sua trasformazione, non dobbiamo farci cogliere impreparati».
Avevo capito bene? Lei mi stava maltrattando per capire quanto rimaneva di mortale in me? Si sarebbe sorpresa di sapere quanto fossi umana, avevo una fifa del diavolo. Tutto quello che stava facendo la strega era calcolato. Ero così confusa; ricordavo che William mi aveva detto che un giorno sarei diventata immortale, quando la mia anima fosse completa, che dovevo ricordare e accettare il mio passato, ma loro parlavano di un rito.
«Allora dovevi dirlo prima…»
Modriam fece un segno a Mike, che mi colpì ancora. Avrei tanto voluto svenire, ero stanca e molto dolorante.
«Ora vediamo in quanto tempo guarisce, portatela nella sua camera».
«David…»
Provai a chiedere del mio amico. Avevo poche forze ma volevo impiegarle al meglio, e lui era una priorità.
«Oh, coniglietta, parli! Vuoi sapere del tuo amico? Lui era solo una pedina. Ero sicura che saresti andata da lui, ti affezioni sempre a questi esseri inutili quanto te, ma non ti preoccupare, non soffrirà per molto, tanto non mi serve più. Lo darò in pasto a questi signori», disse Petra, indicando gli altri presenti nella stanza. «Guardati, Alana» – mi chiamò con il mio nome di allora, non era una buona cosa che non riuscisse a vedere “me”, a quanto pareva avrei pagato per quello che aveva fatto Alana – «sei patetica come sempre. Tutto quel potere dato a un essere così debole… che spreco, doveva essere mio».
Cominciavo a intuire quello che avrebbe voluto Petra. Lei si avvicinò al mio orecchio e mi sussurrò qualcosa che mi fece tremare:
«Saluta David per l’ultima volta, mi incaricherò personalmente di farlo a pezzi davanti a te». Poi si rivolse a Mike: «Portala via».
A quelle parole non ci vidi più. Poteva fare quello che voleva con me, ma lui era fuori da quel mondo e così doveva rimanere; avrei fatto qualunque cosa per salvarlo, era mio dovere, si trovava in quel casino per causa mia. Sentii crescere una forza dentro di me e desiderai di poterla gestire per sbattere al muro quella perfida stronza. Immaginai di farlo e, contro ogni logica, successe; la vidi volare e schiantarsi contro la parete, per poi cadere con poca grazia.
I miei poteri avevano deciso di fare la loro ricomparsa proprio in quel momento e ne fui felice, un po’ meno quando vidi la faccia dell’energumeno che avevo di fronte, decisamente arrabbiato e pronto a mettermi fuori gioco. Provai a passare in rassegna quello che avevo letto negli anni sui vampiri e quello che li uccideva; mi venne in mente il fuoco, era qualcosa che avevano in comune tutti i libri e i film, così mi concentrai su tutta la rabbia che avevo in corpo e provai a scaricarla su Mike. Iniziai a distinguere con chiarezza tutte le cose nelle vicinanze, l’aria diventò elettrica e sentii l’energia che impregnava l’ambiente concentrarsi attorno a me, per poi scagliarsi contro di lui sotto forma di fiamme. Aveva funzionato, come aveva funzionato con la candela a casa mia. I pensieri e le emozioni erano la chiave di tutto e presi nota mentalmente che se fossi uscita viva da quell’inferno avrei dovuto farmi fare un resoconto di tutto quello che ero in grado di fare.
Petra, dopo un primo momento di stordimento per la forza del colpo, e anche perché non se lo sarebbe mai aspettato, si alzò fulminea e dicendo poche parole spense il fuoco dal vampiro. A me venne la nausea quando vidi il risultato del mio operato: non era morto ma era gravemente ustionato, il tanfo di carne bruciata era orrendo e i suoi occhi erano pozzi senza fine di odio e rabbia nei miei confronti. Mike mi corse incontro e io mi rimproverai per aver fatto l’ennesima cosa sbagliata; non avrei dovuto lasciarmi sopraffare dalle emozioni, per non riflettere veramente su ciò che stavo facendo avevo rivelato al mio nemico le mie abilità. e io chiusi gli occhi preparandomi all’impatto, ma non arrivò. Quando li riaprii, vidi Tristan frapporsi tra me e l’altro vampiro.
«Ora sappiamo quello che dovevamo sapere», disse Modriam.
Era stato lui a dare l’ordine al vampiro di impedire all’altro di farmi a pezzi. Era come avevo pensato, gli avevo fornito l’informazione che loro volevano sapere.
Petra mi guardava, se possibile con ancora più disprezzo di prima. I lineamenti delicati che avevo visto nei miei sogni e che la mia antenata conosceva così bene erano distorti da tutta la rabbia e l’odio verso la sottoscritta. Ancora non sapevo se antenata fosse il termine giusto per quello che Alana rappresentava per me; non ero una sua discendente ma la reincarnazione della sua anima, quindi ero lei e me al tempo stesso.
«Ci hai preso di sorpresa, non provarci più o uccido quell’ammasso di carne che giace nello scantinato».
Era veramente fuori di sé.
«Via di qui», ordinò Modriam, e mentre mi portavano via lo sentii ridacchiare e parlare a Petra.
«Mia cara Petra, anche una bambina riesce a metterti ko».
In risposta alla sua provocazione, ottenne solo un ringhio che mi diede un’enorme soddisfazione, che venne subito sostituita dal terrore quando vidi la pelle del vampiro rigenerarsi a una velocità incredibile.
«Ti toglierò dalla faccia quell’espressione soddisfatta», disse Petra avvicinandosi, ma Modriam si materializzò al suo fianco per fermarla. Lei gli mise una mano sulla testa e questi s’immobilizzò; i suoi occhi divennero bianchi e i tendini del collo si tesero allo stremo. Non capivo cosa stesse succedendo finché non mise l’altra mano sulla mia testa e la mia vista si oscurò.
Feci resistenza provando a farla uscire dalla mia mente, ma poi vidi William. Era il ricordo che avevo visto la notte prima. C’era quel maledetto bosco, ma aveva qualcosa di diverso; non erano i miei ricordi ma quelli di Modriam. Lui arrivò alla radura dove c’ero “io”, Alana, con William, e mi vidi dimenarmi tra le sue braccia e scappare via.
«Alana, attenzione!», urlò Will, ma era troppo tardi. Scattai in avanti e Modriam mi prese alle spalle.
Insieme a lui c’erano altri vampiri, anch'essi trasfigurati e pieni di sangue. C’era un uomo diverso, sembrava spaesato ma manteneva anche lui un’espressione crudele.
«È il tuo momento, Maximo, questa è la chiave per ottenere la tua immortalità», disse Modriam.
Io mi agitavo tra le sue braccia. Maximo si avvicinò e mi pugnalò al fianco.
«È ferita, finiscila!»
Modriam urlava ordini in maniera sbrigativa, ma William si lanciò su di noi e fece qualcosa che non avrei mai creduto possibile e che mi spezzò completamente. Mi trapassò il cuore con la spada prendendo anche Modriam, che si accasciò a terra, lasciando andare il mio corpo esanime.
L’immagine svanì, sostituita dall’espressione compiaciuta di Petra, che aveva sferrato il suo ultimo affondo. Mi sentivo morire.
«Ecco il tuo amato William, sono certa che morivi dalla voglia di conoscere la verità». Fece una pausa, pregustando la sua vittoria «Ti ha uccisa lui!»
Ero morta per mano sua.

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