2 - Una vita da nerd

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«Io vado.»

Leo si voltò verso il giovane agente immobiliare, notando che si era rivestito, ma continuò a sorseggiare il suo scotch nella penombra della stanza, illuminata appena dalla luna piena che si rifletteva sul laghetto al centro di Villa Ada, quasi del tutto visibile dalla finestra di casa sua.

Comprare quell'appartamento nella zona più esclusiva dei Parioli era stato il migliore affare degli ultimi anni. Il suo avvocato trovava delle vere perle alle aste giudiziarie e lui riusciva spesso ad agganciare l'affare, acquistando a prezzi bassi per poi rivendere sul mercato immobiliare al loro reale valore, in modo da guadagnare somme considerevoli con il minimo sforzo. Ma quell'appartamento lo aveva voluto tenere per sé. Forse proprio per la finestra con il suo ampio balcone, da cui poteva ammirare una buona parte di Villa Ada e il suo placido laghetto. Senza considerare il piacevole silenzio di quella zona non molto trafficata.

«Bene» rispose, tornando a guardare il parco con una mano nella tasca dei jeans, unico indumento che indossava in quel momento, mentre l'altra accompagnava alle labbra il bicchiere con il suo liquido ambrato.

«Capisco. Ci sentiamo quando avrò un acquirente per la casa.»

Leo non rispose e continuò a bere il suo drink, ascoltando i rumori di passi che si allontanavano e la porta d'ingresso che veniva aperta e richiusa. In genere non era così freddo subito dopo aver fatto sesso con qualcuno, ma il rosso, Riccardo, aveva quello sguardo incerto ed era sicuro volesse chiedergli di vedersi ancora. Lui questo non lo voleva, perché non aveva più nulla da dare, se non la sabbia di un arido deserto che aveva preso il posto del suo cuore da anni. Meglio un freddo silenzio, di un falso "ci sentiamo, ti chiamo io" che avrebbe solo alimentato inutili speranze.

«Alla prossima.»

Però quelle due parole sussurrate appena da Marco, quelle sì che erano attraenti. Quel ragazzo lo avrebbe rivisto volentieri, quelle labbra, carnose e invitanti, le avrebbe assaggiate con gusto. Ma era un suo dipendente e lui evitava sempre di mischiare lavoro e divertimento. Per non parlare del fatto che era un tipo piuttosto problematico.

Leo finì lo scotch e posò il bicchiere sporco sul grande tavolo di legno rettangolare che occupava buona parte del soggiorno. Si passò una mano sulla barba e, scrollando la testa, scacciò via quei pensieri. Niente complicazioni e quel Marco, ne era sicuro, poteva essere solo una fonte inesauribile di problemi.


Il suono delle dita sulla tastiera gli provocava sempre una sensazione di gioia. Non erano molte le cose che gli davano piacere, perché Marco, nel suo mondo solitario, era costretto a combattere ogni minuto della sua vita contro le paure e le ossessioni, che gli impedivano di avere un'esistenza normale.

Per fortuna, viveva nel 2019 e non nel medioevo, non quello reale, ma quello digitale, quando non esistevano internet, le webcam, gli smartphone, i forum, i social in genere. Sì, perché nel moderno mondo digitale, dove i social diventavano motivo di isolamento per una persona normale, per lui invece erano una valvola di sfogo incredibile, e lo facevano sentire meno solo.

Come in quel momento, in cui stava parlando da ore nella chat di nerd che frequentava da mesi. Aveva degli amici, alcuni dei quali vivevano sempre in casa come lui, anche se non per gli stessi motivi. Federico, ad esempio, con cui stava parlando in una sessione privata da una mezz'ora, era un hacker bravissimo che non usciva di casa se non per comprare da mangiare. A dire il vero non era poi del tutto normale neanche lui. Non era affetto da agorafobia, ma di certo odiava stare tra la gente e preferiva passare il tempo al pc, tra il lavoro legale di consulente informatico e quello del tutto illegale di hacker, alla ricerca di multinazionali cattive da punire in qualche modo. Prima o poi lo avrebbero arrestato, lo sapevano entrambi, ma fino ad allora Marco si divertiva a parlare con lui ed era diventato il suo miglior amico e confidente.

«Insomma, Marco. Quello che è successo oggi è stato un evento da segnare negli annali delle novità della tua vita di nerd sfigato.»

«Non prendermi in giro, Fede. Ho vissuto un momento terribile con quell'uomo. Mi ha spaventato a morte!»

«Intanto si scrive "teribbile"! Semo a Roma! Parla come magni!»

«Odio il romanesco, lo sai. Non mi sta bene in bocca, me lo diceva sempre mamma quando ero piccolo.»

«A te starebbe bene altro in bocca... a proposito, com'era sto Leo?»

«Deficiente! Ti prego non farmi pensare a certe cose che ho un attacco di panico solo a immaginarlo! Ti rendi conto di quanti germi potrei prendermi con un rapporto orale?»

«Pompino! Si chiama pompino! Sei un caso senza speranza... già sei vergine, almeno usa le parole giuste e l'immaginazione! Comunque non mi hai risposto... com'era?»

Marco guardò quelle parole sullo schermo del suo portatile, che sembravano un epitaffio sulla lapide della sua non-vita. Perché tra le altre belle ossessioni che aveva, c'era anche quella del passaggio di germi se qualcuno lo toccava. Alla sua età non aveva mai neanche baciato nessuno, figuriamoci il resto. Al solo pensiero gli veniva voglia di correre a farsi una doccia, utilizzando la spugna dura che sulla sua pelle bianca e delicata era come carta vetrata.

Non era stato sempre così, non era nato in quel modo. Da piccolo adorava il contatto fisico, soprattutto con sua madre, e ancora oggi ricordava con piacere la sensazione delle sue braccia che lo stringevano, il profumo dolce della sua pelle, quei baci delicati che lei aveva l'abitudine di lasciargli sulla fronte. Era un bambino molto affettuoso e molto socievole, lo ricordava bene. Ma questo era prima, prima di quel terribile giorno, prima dell'incidente, prima che la sua mente traumatizzata si convincesse che il contatto con altre persone era un male. Se solo quel giorno in auto non si fosse allungato dal sedile posteriore per abbracciarla, se solo suo padre, alla guida, non si fosse distratto ridendo, mentre lui tempestava di baci il volto di sua madre, se solo quel maledetto camionista non fosse passato con il rosso, centrando in pieno la loro auto dalla quale solo lui uscì vivo, forse ora non si ritroverebbe senza famiglia, e con il peso sul cuore e sull'anima di essere stato il responsabile della loro morte. Il suo psichiatra continuava a dirgli che non era colpa sua, e lui aveva anche iniziato a capirlo, ma il suo inconscio malato e fragile non faceva altro che ripetergli quanto la sua salvezza fosse una dannazione, più che un miracolo.

«Bello, credo. Non lo so! Insomma, ero troppo agitato per pensare a com'era... comunque, deve avere almeno una quarantina d'anni, a giudicare dai capelli e dalla barbetta brizzolata. Ma se li porta proprio bene, deve essere uno di quelli che fa palestra regolarmente.»

«E menomale che non lo sai! N'artro poco gli facevi na radiografia!»

«Ma smettila. Tanto non lo rivedrò più e anche se lo rivedessi non cambierebbe nulla.»

«Puoi sempre chiedergli di farsi una sega in cam... quello ti piace!»

«Deficiente! Lo sai che non le faccio ste cose!»

Marco ridacchiò scrivendo l'ultima risposta, ma si morse anche un labbro al pensiero di quello che Federico gli aveva detto, perché era vero che lui non usava la webcam in quel modo, ma allo stesso tempo frequentava siti porno, cercando però solo video di uomini che si masturbavano perché, anche se eccitanti, vedere due uomini che facevano sesso gli provocava spesso un attacco d'ansia. Era inevitabile infatti in quei momenti immaginare di essere al posto di uno dei due, e il panico da contatto fisico finiva per prevalere sull'eccitazione.

Per un attimo immaginò Leo mentre si toccava, pensò a come doveva essere il suo fisico e la reazione fu immediata. Abbassò gli occhi verso il suo inguine e, con un sospiro di rassegnato sconforto, osservò l'erezione che già premeva dentro la sua tuta. Almeno in questo era un normalissimo ragazzo e gli bastava un attimo per eccitarsi.

«Marco, ti devo lasciare. Ho un lavoro importante da portare a termine e non posso più distrarmi. Buonanotte.»

«Notte, Fede. Vado a farmi una doccia e poi torno a lavorare sull'ultimo disegno.»

Marco ridacchiò ancora, vedendo le emoticon di disgusto di Federico che, al contrario suo che si buttava sotto l'acqua almeno cinque volte al giorno, si faceva al massimo una doccia a settimana, quando gli girava bene.

«Una bella doccia fredda e gelida, ecco quello che ti ci vuole» si disse, chiudendo il portatile e osservando ancora la sua erezione che non sembrava volesse passargli. Scacciò quindi di nuovo quelle immagini e andò di corsa verso il bagno, intenzionato a rimanerci minimo un'ora, a costo di far diventare la pelle rossa e avvizzita.

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