Appuntamento sotto al vecchio lampione

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Alberto osservava il cortile dall'alto del quarto piano.

Il quartiere, composto da enormi palazzi anonimi, era rumoroso e pieno di tante famiglie distratte che allevavano figli con troppa fretta.

Lui non era mai stato un solitario, la vita che lo aveva messo da parte.

Da quando aveva perso il lavoro, passava il suo tempo a osservare le persone dietro alla finestra. Quell'andirivieni di esistenze, alcune buone e altre no, lo avevano convinto che Dio avesse un buon motivo per tenerle in vita.

Quello stesso Dio che non gli aveva risparmiato nulla e gli aveva tolto in un sol giorno la moglie Silvia e Andrea il suo unico figlio.

Sospirò allontanandosi dalla finestra, guardò con tristezza la foto sopra alla mensola che li ritraeva tutti e tre felici.

"Fatti coraggio Alberto, non lasciarti andare. Loro vorrebbero vederti sereno."

Si arrabbiava pensando a quelle stupide frasi dette per compassione perché loro avrebbero voluto essere vivi accanto a lui, non straziati in un incidente ferroviario mentre tornavano da una gita scolastica.

Silvia si era offerta come accompagnatrice della piccola classe elementare e aveva perso la vita insieme a loro. Lei e Andrea erano vicini quando li avevano ritrovati e questo, almeno in parte, lo aveva consolato.

Gli anni passarono e la voglia di vivere divenne una solitaria monotonia, chiuso nel suo appartamento incapace di allacciare i fili della sua esistenza, aspettava qualcosa d'indefinito.

Era ancora un uomo piacevole, magro ma in forze, i capelli corvini che stavano ingrigendo e qualche ruga prendeva sempre più spazio sulla sua fronte.

Il lavoro lo aveva aiutato a mantenere una parvenza di vita sociale ma alla fine ci furono dei ridimensionamenti e rimase sempre più solo.

La solitudine divenne la sua compagna, perse la voglia di parlare, di confrontarsi con gli altri.

Smise di uscire: la spesa gliela portavano a casa, la prendeva e ringraziava senza alzare lo sguardo.

Nessuno lo cercò più, nessuno sentiva la sua lontananza.

Ma c'era una cosa che gli mancava: respirare dell'aria pulita. Così iniziò a uscire quando la sera calava e si concedeva due passi. Raggiungeva un viottolo incastrato tra due siepi di alloro incolte e un prato pieno di erbacce. Passeggiava, con le mani allacciate dietro alla schiena, nel buio illuminato solo da pochi lampioni.

I ragazzini avevano rotto la maggior parte delle lampade delle alte lucerne, le prendevano di mira con le fionde, ma ce n'era una che aveva resistito e gettava una fioca luce sulla panchina sottostante che si era salvata dai graffiti e dall'incuria della gente.

Lui si sedeva, respirava e passava del tempo a guardare le stelle e la luna, gli piaceva osservarla quando era piena e luminosa.

E lei si concedeva al suo sguardo, come una donna che si lasciava ammirare maliziosa.

Non temeva il buio, stava bene nell'oscurità. Tutti si muovevano di giorno, invece lui trovava la notte piena di magia, la sua solitudine forzata si scioglieva.

Fu in una di quelle sere che sentì un incedere di passi e un ticchettio regolare che urtava la ghiaia del sentiero.

Non si voltò, non era curioso, abbassò il capo e attese.

Un signore distinto, con un vestito nero da cui spuntava una camicia candida, gli si parò davanti, appoggiò il peso dell'esile corpo al bastone di legno intarsiato.

"Le dispiace se mi siedo?" chiese con garbo, Alberto non alzò la testa.

"No di certo, prego si accomodi." Sorrise, ma più a sé stesso che allo sconosciuto.

"Una bella serata." esordì quello, le mani magre aggrappate al sostegno di legno erano decisamente pallide.

"Già, bella e piena di mistero." rispose lui con cortesia.

"La notte è come uno scrigno, inghiotte tutto quello che la luce ha portato." Aveva una voce suadente, per certi versi rassicurante.

Alberto annuì, ancora non voleva guardarlo in volto, ma alzò la testa e fissò la luna che disegnava strisce luminose sul viottolo.

Ci fu un breve silenzio.

"Mi aspettavi, vero?" gli chiese l'uomo elegante rompendo la quiete della notte, rigirava l'elsa del suo bastone senza tregua.

"Sì, non ho ragione di mentire, lo sapevo che saresti arrivato e ti ho preceduto."

"Venivi qui per questo? Per vedermi?" Lo sentì ridacchiare mentre affermava. "Nessuno lo fa!"

"Sì, ero curioso." Fu allora che Alberto si voltò a osservare quello strano compagno notturno.

Il suo volto era pallido, le labbra sottili rosee e delicate, il naso appuntito e gli occhi così chiari da confonderlo, aveva dei capelli neri corti ma un ciuffo ingrigito gli ricadeva disordinato sulla fronte.

Alberto, con la mano irrigidita, si massaggiò la poca ispida barba che gli stava ricrescendo. "Hai un aspetto piacevole per essere la morte." C'era una punta di sarcasmo nella sua voce roca.

L'altro alzò le sopracciglia, era lusingato dalla sua osservazione.

"Tutti mi dipingono con il mantello nero, la falce e una faccia scheletrica, in realtà lo vedi che non sono propriamente così." affermò divertito.

"Hai ragione, sei diverso da come pensavo." Si appoggiò con la schiena alla panchina, era uscito senza la giacca e sentiva il freddo infiltrarsi dentro alle ossa.

L'uomo increspò le labbra sottili. "Non è stata una bella idea uscire svestito con questo gelo. Non sei più tanto giovane." Lo stava rimproverando e questo lo sorprese.

"Non volevo indugiare a lungo su questa vecchia panchina, ma poi sei arrivato tu." rispose stringendo le braccia attorno al busto e iniziando a tremare.

"Non è un bel modo per lasciare la vita." Ribadì l'uomo mentre valutava i brividi del suo vicino. "Avevi ancora tempo, mi farai lavorare anche se stasera non voglio."

"Non vuoi?" Quella frase inattesa lo spiazzò. "Non credevo fosse un lavoro estenuante prendere le anime e portarle via, non ti facevo così straziato da farti degli scrupoli."

Lui rigirò il vecchio bastone fra le mani, inclinò la testa di lato.

"Le cose non sono come le avete immaginate per secoli. Anch'io ho avuto un'anima." Ridacchiò divertito aggiustandosi i polsini del vestito nero.

"Hai avuto un'anima? Quindi hai un nome?" gli chiese incuriosito osservando il suo corpo magro.

"Tanti a dire la verità, molti e innominabili, altri cattivi e brutali ma ci sono abituato. In fondo, come hai detto tu, è solo lavoro."

Alberto, infilò le mani nelle tasche sempre più infreddolito, sbottò tristemente.

"Anch'io avevo un lavoro, ma l'ho perso." Si voltò con gli occhi lucidi. "Sai, il tuo Dio, quello che servi con tanta dedizione, mi ha portato via le persone che amavo."

L'uomo scosse la testa. "Non dipende da me, io eseguo gli ordini, accompagno le anime prima di lasciarle da lui."

"Sei stato tu a prendere Silvia e Andrea? Come hai potuto farlo?" Non riuscì a trattenere un moto di rabbia.

L'uomo sospirò. "Io non possiedo quelli che voi chiamate sentimenti, lo faccio e basta."

Alberto abbassò il capo, socchiuse gli occhi. "Non te li ricordi nemmeno, vero?"

"Potrei se volessi, ma non è il mio compito. Li rivedrai se è questo che vuoi sapere." Batté la mano esangue sul bastone. "Ti ho concesso anche troppe risposte."

Alberto si portò le mani alle tempie e strinse forte, iniziava a sentirsi stanco. L'uomo con il vestito scuro ispirò aria con forza.

"Potresti provare a vivere, se solo lo volessi. Sei una brava persona. Perché stai sprecando la tua vita in questo modo?" disse con veemenza.

Lui sogghignò beffardo. "Perché sono solo e non ho voglia di continuare a esserlo, ma tu che ne sai? Sei la morte o sbaglio? Hai appena detto di non avere sentimenti."

L'uomo si risentì per quella frase. Provava qualcosa che per secoli aveva bandito. "Mi stai provocando Alberto, mi fai sentire il tuo dolore... lo avevo cancellato da tempo."

Lui rise divertito. "Cosa? La morte che prova dolore? Risparmiami questa beffa."

"Non chiamarmi morte, non mi è mai piaciuto." protestò con la voce incrinata.

"E come ti devo chiamare di grazia." C'era qualcosa in quell'essere che lo attirava, qualsiasi cosa fosse, lo impietosiva. Aspettò che parlasse senza costringerlo.

"Mi chiamo Gabriele, ero un eletto, un angelo al servizio di quello che molti di voi chiamano Dio o con altri nomi, lui aveva bisogno di un traghettatore e ripose la sua fiducia in me."

"E ne fosti contento? Perché mi sembri immensamente triste Gabriele!" Lo incalzò sarcastico.

"Lo servo con amore, lui è misericordioso, anche se a volte mi sento solo, un po' come te." La sua risposta fu pacata e sicura.

Alberto sbottò arrabbiato. "Se è così misericordioso perché ha ucciso i miei cari? Tu non sai cos'è perdere la famiglia." sentenziò mordendosi le labbra.

"Non è lui che reclama le anime, è Destino che chiede le vite." Soffiò Gabriele stringendo il bastone.

"Destino? Sembra che tu stia parlando di un essere pensante!"

"E lo è, lui rimane seduto sullo scranno a girare la ruota della vita, punta il suo dito e quando si ferma mi chiede il tributo di anime, ma ti sto dicendo cose che non dovresti sapere." Gabriele scosse la testa, sembrava impassibile eppure Alberto sentiva vacillare il suo corpo e ne ebbe pietà.

"Non avere timore, essere con te mi fa già morto, il tuo segreto è salvo." Sogghignò, stava morendo e aveva pietà per la morte. Rassegnato aggiunse.

"È da molto che non parlavo con qualcuno, è buffo conversare con te proprio adesso che mi devi prendere."

Gabriele appoggiò con lentezza il bastone alla panchina.

"Nemmeno io chiacchiero molto, tutti si spaventano quando mi sentono arrivare. Nessuno parla con me. Mentre tu mi stai addirittura consolando." Allungò la mano magra e gliela appoggiò sul ginocchio.

"Puoi toccarmi? Sento il tuo calore." Alberto si sorprese a quel gesto.

"Perché non dovresti? Sono stato umano come te, molto tempo fa."

Attraverso quel contatto sentiva passare uno strano benessere. "Cosa mi stai facendo Gabriele?" chiese esplorando i suoi occhi chiari.

"Mi prendo parte delle tue pene, è un regalo che voglio farti."

"Un regalo della Morte? Non ci posso credere." Alberto allibito, lo lasciò fare.

"Non chiamarmi così per piacere." Tratteneva la mano sulla sua gamba e vide il volto di Gabriele addolorarsi, le rughe sulla sua fronte farsi nette, gli occhi scurirsi.

Alberto allontanò il suo braccio, fu gentile quando gli parlò.

"Non voglio che tu soffra per me, non ricordi cosa sono le emozioni, non devi sentire il mio dolore, nessuno lo deve fare."

Gabriele aprì la bocca per replicare ma si fermò, aveva capito quello che voleva dire.

"Sei un brav'uomo." disse convinto. Si fece serio. "Perché mi aspettavi? Venivi tutte le sere, ma ti proteggevi dal freddo. Sei proprio sicuro di voler venire via con me? I tuoi cari hanno l'eternità, ma il tuo passaggio terreno è solamente un soffio."

"Te l'ho detto, sono stanco di essere solo."

"Ma non lo sei, non ora." Gabriele scosse la testa.

"Ma che dici? Hai visto come sono le mie giornate? Non essere ridicolo." lo zittì lui agitando la mano.

"Alberto, ci stiamo parlando... ora hai me... posso essere tuo amico, se lo vorrai."

Lo guardò incuriosito. "Mi vuoi come amico?"

"Perché no?  Sono solo anch'io e sono stanco che tutti abbiano paura di me."

"Gabriele, non sono una grande compagnia." brontolò convinto.

"Invece lo sei, verrò ogni sera, mi piacerà sentirti, allevierò le tue colpe e i tuoi rimpianti. E quando vorrai ti porterò con me, ma non adesso."

"Perché passeresti il tuo tempo ascoltandomi." gli chiese Alberto incapace di capire quella strana proposta.

"Posso aggiustare la tua esistenza per riparare al danno che ti ha fatto destino. Se vuoi rivedere i tuoi cari devi lottare. Devi riscattarti."

"Cosa stai dicendo, quale riscatto?" grugnì lui, fissando lo strano compagno.

"Se sprechi la tua vita, questo avrà un peso, ho la possibilità di darti del tempo, devi fare qualcosa di utile per gli altri, credere in quell'amore che senti dentro e che ti è stato strappato."

"E cosa otterrò?" chiese intorpidito dall'aria gelida.

"Di stare con loro per sempre dopo il tuo cammino terreno."

"Perché lo faresti?" chiese incredulo, "mi daresti altro tempo?"

"Sì, destino è stato crudele con te." Gabriele sorrideva deciso.

"Ti aspetterò sotto a questo lampione tutte le sere che vorrai e converseremo. Ora va' a casa, sei ghiacciato." Lui tremò, mentre Gabriele, nel suo completo scuro come la notte, si alzò.

"Sei l'unico che mi ha parlato, verrai con me solo quando sarò sicuro che hai ottenuto l'eternità con Silvia e Andrea. Grazie per essermi amico." Si allontanò ticchettando con il bastone nella ghiaia.

Alberto, frastornato, tornò a casa intirizzito, ma con una voglia di vivere che non sentiva da molto, Gabriele, la morte, lo aveva cambiato.

La mattina dopo si cercò un lavoro, accettò qualsiasi cosa lo rendesse utile.

Prese l'abitudine di aiutare gli anziani che vivevano da soli negli appartamenti degli anonimi palazzi del quartiere, aiutò le famiglie con i bambini rumorosi che prima lo infastidivano. Cominciò a sorridere a tutti.

Ma alla sera, che fosse freddo o piovesse, indossava una giacca calda e andava sotto al lampione, dove un signore, vestito con eleganza e con uno strano bastone intarsiato, lo aspettava e conversavano come due vecchi amici.

Gli raccontava come aveva trascorso la giornata, Gabriele lo ascoltava, sorrideva e approvava.

Non parlava molto di lui, ma Alberto posava la mano sopra alla sua e condivideva il dolore che vedeva nel suo volto pallido e smorzava le emozioni che non riusciva a gestire.

E Gabriele era grato per la sua premura.

Passarono gli anni, Alberto non li contò, finché non si sentì pronto.

Una sera lo raggiunse incespicando insicuro fino al posto del loro solito incontro.

"Ciao amico mio, vedo che stasera hai deciso."

"Sì Gabriele, ho fatto quello che dovevo, ma sono sempre più stanco e lo sai che sono ammalato."

"Lo so amico mio, avrai la tua ricompensa, rivedrai Silvia e Andrea e starai bene."

Alberto era sereno, ma lo guardò preoccupato.

"E tu Gabriele? Rimarrai da solo, con chi parlerai adesso." La voce gli tremava.

"Non hai più bisogno di me, ma forse mi sarà concesso di vederti di tanto in tanto, sei stato un amico sincero." Gli prese la mano e la sentì calda. Gabriele le aveva sempre avute fredde. Capì che era arrivato il momento.

"Hai paura di venire con me?"

Lui scosse la testa e sorrise. "No, anzi mi rendi questo momento molto più facile."

"Rimarrò al tuo fianco fino a quando non ti assopirai. Ti voglio bene Alberto, ho imparato molto da te."

Ridacchiò. "La morte non ha sentimenti me lo dicesti anni fa, sei amorevole Gabriele." Cercò di stringergli la mano, ma la forza era poca.

"Sei la morte più dolce che potessi aspettarmi. Grazie amico mio."

Nel quartiere pieno di alti condomini, una mattina di febbraio particolarmente fredda, sotto al lampione del viottolo incastrato tra due siepi di alloro incolte e un prato pieno di erbacce secche, una coppia di fidanzati, trovò un uomo addormentato sulla vecchia panchina.

Tutto il caseggiato pianse per il vecchio Alberto, era stato un brav'uomo negli ultimi tempi, gentile con tutti.

Gli furono intorno, mentre l'ambulanza portava via il suo corpo invecchiato.

Nessuno si accorse di un signore distinto vestito di scuro, alto e magro, che si allontanava nel viale, appoggiandosi a un bastone intarsiato.

Aveva un sorriso delicato sulle labbra. Conversava e teneva la mano pallida appoggiata sulla spalla di un uomo che camminava dritto e appagato al suo fianco.



Prima clasificata nel gruppo:   il canto del cigno - Contest di Halloween (in collaborazione con @ac_books_) novembre 2022



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