Il primo fu Michele.

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Gabriele, giaceva in una delle stanze del castello scavata nella pietra bruna.

Il suo vestito nero sgualcito, il suo bastone finemente intarsiato e il suo cappello scuro, abbandonati sul pavimento. Lui, la Morte, soffriva come tutti gli umani che aveva osservato per secoli.

Il vento marino si incuneava attraverso le fessure, avvolgendo il suo esile corpo.

Il freddo, duro come lame affilate, lo penetrava fino alle ossa. Il male fisico era una sensazione che aveva perduto, che gli era stata preclusa da tempo.

Avvertì lo strazio della fame e della sete.

Destino era stato crudele, lo aveva costretto a provare il dolore per aver infranto le regole.

Il Signore Oscuro non conosceva il perdono.

Il suo compito di traghettatore di anime era sospeso, l'ultimo respiro degli uomini veniva soffiato via senza alcun conforto.

Era sua la colpa di non poter consolare il loro trapasso.

Provò la desolazione e la tristezza per la perdita del suo compito, e si torturò in un'angoscia che gli saliva dalle viscere, fino a invadergli la mente.

Scosse la testa nera e l'unico ciuffo di capelli bianchi, si appiccicò nella pallida fronte, l'appoggiò sulla fredda pietra per rallentare il tormento.

L'unica consolazione era il ricordo del piccolo Marcello a cui aveva donato più tempo da trascorrere con suo padre, rinunciando a prendere l'anima dell'uomo.

Sussultò e gridò quando il vento gelido lo sferzò con più forza. Si raggomitolò su sé stesso tremando, implorò che finisse, ma non sapeva a chi rivolgere la sua pena.

Fu in quella sofferenza imposta, che si ricordò di come tutto fosse iniziato: il primo fu Michele...

Se Gabriele era alto e piacevole d'aspetto, Michele era basso e contorto su sé stesso. Arrancava alle spalle di Morte, senza proferire parola, appariva come un' ombra priva di contorni definiti, scura e opaca.

Gabriele era indifferente nell'averlo d'attorno, non si poneva troppe domande. Non riusciva a ricordarsi da quanto lo conoscesse. Ma alla fine, nel suo lavoro, ciò non era importante.

Se lui era Morte, il suo compito di traghettatore era di consolazione. Prelevava le anime, senza infliggere loro sofferenza, e questo lo rendeva accorto sulle sue scelte. Così, non si era mai chiesto cosa rappresentasse quell'ombra scura che lo seguiva.

Mentre Gabriele camminava con eleganza nel suo completo nero, accompagnandosi con il bastone intarsiato, Michele strisciava al suo fianco.

Morte prendeva la parte migliore delle anime, invece quell'ombra scura raccoglieva la disperazione e il dolore dei trapassi improvvisi. Prendeva quello che restava delle anime umane mentre queste guardavano i loro i corpi devastai e contorti. Attoniti e sperduti, non trovavano né consolazione, né pace.

Nonostante tutto, quell'essere indefinito, non si lamentava, seguiva Morte e svolgeva il suo lavoro.

Gabriele lo ignorava, non voleva sapere nulla di lui, concentrato nel suo ruolo di traghettatore.

Una sola volta tentò di incrociare lo sguardo di quell'ombra incappucciata, ma non avendo un aspetto definito, scorse solo due punti azzurri in mezzo al buio completo.

E lui, conscio del suo sguardo e della suo giudizio, si era ingobbito sempre di più, mentre continuava a seguirlo senza sosta.

Morte, con il suo incedere elegante, con i suoi modi sicuri, attraeva Michele, che avrebbe desiderato conversare o scambiare un gesto d'intesa.

Sapeva che Gabriele, la Morte, era un anima eletta, che non voleva nessuna connessione o amicizia. Non sentiva il bisogno di legarsi ad altri. Oppure, semplicemente, non sentiva il richiamo.

Così mentre lui iniziava a sentire il tormento del suo ruolo. Morte era saldo nelle sue convinzioni.

Finché accadde...

Durante un prelievo di anime, Michele tentennò davanti a quella di un uomo che, dilaniato da un incidente, non esalava l'ultimo respiro e urlava così tanto che si pietrificò e non lo prese. Rimase immobile davanti a quel corpo devastato, e protrasse la sua fine.

Gabriele, che era vicino intervenne, lo spinse da parte infastidito e colpì la terra intrisa di sangue con il suo bastone, prelevando quell'anima in pena.

"Che fai? Senti pietà? Non è possibile questo!" gli urlò contro.

"Scusami Morte, ma ho provato qualcosa..." biasciò colpevole di aver fallito il suo compito.

"Cosa ha stretto in una morsa il tuo intelletto di traghettatore? Cosa ti ha bloccato nel fare il tuo lavoro." lo assalì in modo brutale.

Lui abbassò la testa, nascosta dallo spesso cappuccio.

"Mi scuso, Morte." gorgogliò inchinandosi, avvolto in fumo che si fece più denso e scuro.

Gabriele non indagò oltre, ma da quel giorno il suo atteggiamento cambiò.

Aveva sentito una fitta dentro di sé.

I sentimenti erano umani, quindi non gli appartenevano. Né a lui né tanto meno a Michele.

Senza rendersene conto quello fu l'inizio che lo portò, tempo dopo, all'amicizia con Alberto, al rifiuto di prendere la sua anima prolungandogli la vita, così come fece con il padre del piccolo Marcello infrangendo le regole del Signore Oscuro.

Perché fu Michele, la causa del suo richiamo.

Si accorse che, quell'ombra che lo accompagnava da secoli, alternava periodi in cui faticava a prendere le anime e doveva intervenire per aiutarlo. Era avvolto dal richiamo ed era divorato dal dubbio.

Presto si rese conto che non reggeva il suo compito, ormai lo seguiva senza forza e si rattrappiva sempre di più.

Gabriele non si era mai interrogato su suo lavoro di traghettatore, non provava sentimenti o emozioni, ma quell'ombra scura allontanava le sue certezze.

Non aveva mai considerato come sarebbe stata la loro fine, perché credeva semplicemente che non ce ne sarebbe mai stata una.

Perciò si sorprese, quando tornati nel castello a picco sul mare, nella sua stanza di pietra grigia, Michele gli si parò davanti tra le sferzate del vento gelido.

Era diventato più indefinito, e molto più cupo. Arrancò fino a lui che stava seduto sulla pietra grezza con il bastone stretto fra le mani.

"Morte, ho una richiesta," disse gracchiando. La voce era ovattata, troppo bassa.

"Cosa vuoi? Non so se posso accontentarti, ma è da tempo che ti vedo barcollare nel tuo lavoro!" socchiuse gli occhi, cercando di metterlo a fuoco. Michele si appoggiò alla parete fredda. "Sono stanco..." esordì con il fiato corto.

"E allora?" rispose allarmato, mentre cercava di individuare il suo volto sotto la coltre d'ombra che lo avvolgeva.

"Ti chiedo di lasciarmi andare. Morte, sono stato al tuo fianco, ma il mio essere è consumato dal sentimento."

Gabriel alzò la mano seccato.

"I sentimenti non ci appartengono, non siamo umani!" roteò l'impugnatura con forza eccessiva,

"Forse lo siamo stati, forse io ricordo." Mormorò lui.

"Ma che dici? Non può essere il Richiamo! Ne siamo immuni.!" Urlò Morte.

"Forse no, ma non sappiamo nulla di questo mondo né da dove veniamo."

Lui si alzò camminò per la stanza. C'era qualcosa di vero perché prova un sensazione di fastidio verso Michele che non sapeva definire.

"Tu mi stai traviando, dimmi cosa vuoi e fallo in fretta." Si voltò pieno di velato sarcasmo, appoggiando tutto il peso sul bastone.

"Gabriele prendi la mia anima o ciò che ne resta. Sono stanco voglio dormire."

Il bastone intarsiato gli cadde a terra, il vento gelido soffiò più forte.

"Non posso disobbedire al Signore Oscuro." Balbettò sconvolto per quelle parole.

Sentiva qualcosa che lo percorreva dentro, era come un sottile dolore qualcosa che non riusciva a capire.

"Puoi se vuoi, dammi la pace Gabriele. Ti chiamano l'eletto."

L'ombra si fece più bassa, sembrava svanire in fretta.

"Non lasciarmi andare così, dammi conforto. Dallo a me, che sono stato punito per non poterlo dare alle anime morenti. Che porto dentro le loro urla devastate dal tormento. Dammi la pace Gabriele."

Lo implorò, cadendo in un posizione che sembrava inginocchiata.

Morte non aveva mai capito né sentito cosa fosse il dolore, ma quello di Michele, lo avvertì tutto e con lui tutte le anime dannate che si portava dentro.

Vacillò, percorso da un brivido. Era rimpianto? O forse pietà? Cos'era quello che sentiva? Era il richiamo?

La sua mente si aprì, le sue certezze crollarono sotto quella figura implorante. Michele meritava la pietà, meritava il conforto, che fosse umano o di chi avesse creato quel mondo privo di luce.

Infranse le regole, tremando si inchinò e lo abbracciò.

Strinse la forma scura, ma quando lo fece sentì un corpo sotto quell'ombra e provò una sensazione di perdita, di dolorosa mancanza.

Michele era stato sempre al suo fianco e non lo aveva mai compreso.

Lo tenne tra le sue braccia, più di quanto si aspettasse.

"Grazie." Mormorò pacificato mentre si abbandonava e si elevava in un sottile fumo che da nero divenne bianco e trasparente mentre, in un danza, si dissolveva.

Gabriele si ritrovò a stringere il nulla, sussultò sentendo gli occhi bagnarsi.

Avvicinò la mano e toccò la goccia acquosa che scendeva sulla sua guancia. La osservò posata sul suo dito magro.

Gli uomini ne avevano molte nei loro occhi, quando prendeva le loro vite.

Le chiamavano lacrime.

Avvertì la sensazione di solitudine, il profondo senso di mancanza di Michele.

Ma saperlo in pace, attenuava la sua malinconia.

Qualsiasi cosa fosse stata quell'ombra che se ne era andata, qualsiasi cosa fosse quel mondo dove si trovava, aveva fatto la cosa giusta, abbracciando la scelta del libero arbitrio.

Michele spalancò quella porta sconosciuta che lo portò a dubitare.

Il richiamo era in lui e in quel mondo di cui non sapeva nulla. 

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