26 - Fire Stealer

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Era già trascorsa un'ora tra analisi e spiegazione dei contenuti del Frankenstein di Mary Shelley da parte del professor Walker dinnanzi a un'aula gremita. Gravitava attorno alla cattedra come un vecchio avvoltoio, austero nel suo blazer di lana grigio, in mano una copia lisa del capolavoro del gotico inglese; gli occhi vigili dietro alle piccole lenti tonde saettavano dalle pagine giallognole al giovane pubblico, in parte chino sugli appunti, in parte assopito dal suo eloquio monocorde.

Jem lo seguiva con sguardo fisso e apatico, gomito sul banco e palmo a reggere il viso smunto. Aveva già letto l'opera e studiato la bibliografia in programma, e si stava annoiando a morte.

Con la coda dell'occhio spiò Dan, a fianco, segnare i passi citati da Walker sul suo libro e prendere appunti. Indossava un pullover in cotone verde militare e, con quelle spalle e braccia che si ritrovava, lo si sarebbe potuto scambiare per un soldato pronto a partire in missione. Ma la sua missione, quel giorno, era non perdere una parola della spiegazione di Walker – forse per recuperare le ultime, ingiustificate, assenze a lezione. Era così concentrato che non notò la serie di notifiche che animò lo schermo dello smartphone sul banco.

Un messaggio. Due messaggi. Tre. Quattro...

«Someone for you» bisbigliò Jem, accennando al telefono. Dan si voltò, tra l'interrogativo e l'irritato. «Maybe it's important» si giustificò il moro. Il biondo mollò carta e penna e afferrò lo smartphone; la sua espressione corrucciata si tramutò in un ghigno malizioso non appena lesse i messaggi.

«So?» lo incalzò Jem sottovoce, curioso di saperne di più sul misterioso mittente pur di tirarsi fuori da quel mortorio. «An admirer?»

Dan scosse il capo e gli rifilò un sorrisetto allusivo. «A group

«Oh» Jem esitò un paio di secondi, durante i quali s'impose di non pensare male. «And what do they want?» proseguì, pentendosi della sfrontatezza di quella domanda nello stesso istante in cui la formulava.

Il biondo inarcò un sopracciglio, poi sorrise sornione. «You don't wanna know, believe me» se ne uscì secco, picchiettando i pollici sulla tastiera digitale. Stava rispondendo nella chat di gruppo, troncando la conversazione e lasciandolo a bocca asciutta.

Jem si agitò sulla sedia, indispettito. «Certo, non potrei capire» grugnì sarcastico. «Dopotutto, sono solo un etero basico con una visione binaria e limitata del mondo.»

Dan staccò gli occhi dallo schermo e li puntò sui suoi.

«Non lo sei?» rilanciò provocatorio.

«Non credo di essere chi pensi io sia.»

«Cazzo, Jem, sei più contorto di Amleto!» si accigliò Dan. Quando s'incaponiva era insopportabile. Decise di raccogliere la sfida. «Vuoi sapere che faccio con queste persone? Semplice: ci esco e ci passo la serata insieme.»

Jem aggrottò la fronte.

«Insieme in che senso?! Che fate, le orge?»

Dan fece una pausa a effetto prima di rispondere.

«E anche se fosse? Almeno mi godo la vita...» insinuò, con quella sospensione sul finale che lo punse sul vivo.

«Ah!» scattò Jem. «E questo lo chiami godersi la vita?»

«Faccio quello che mi fa stare bene, senza paure né rimpianti.»

Jem si morse la lingua per non dire la sua e si limitò a un'eloquente smorfia di disappunto.

«Che c'è? Perché mi guardi così?» volle sapere Dan. «Devo forse chiederti il permesso?»

«No, ma... cioè, stai dicendo che passare da un corpo all'altro quando ti pare e piace ti fa stare bene? Sul serio?» Jem storse il naso, scettico. «Secondo me, rigetti a priori l'idea di legarti a qualcuno per colpa della delusione subita. Ti concedi solo rapporti effimeri perché hai paura di soffrire di nuovo.»

Dan lo scrutò incredulo.

«Non dovrei?»

«Non dovresti rovinarti il presente per colpa del passato.»

«Beh, se è per questo, neanche tu dovresti» contrattaccò il biondo, lasciandolo di stucco. «Vedi che non avevo torto a non volerti dire certe cose?» proseguì imperterrito. «Che t'importa sapere come scelgo di svagarmi se poi non fai altro che scandalizzarti e criticare?»

«C-come, che m'importa?!» ripeté Jem oltraggiato. «M'importa perché siamo amici! O, almeno, così credevo... Credevo potessimo parlare liberamente e condividere i nostri punti di vista, seppur discordanti. Scusa se volevo farti notare che, secondo me, stai un po' esagerando con questa tua vita sregolata – che suppongo c'entri con la tua frequenza scostante a lezione. Lo dico per il tuo bene, eh, ma se ti dà fastidio non aggiungerò altro. Fa' come ti pare.»

Dan poggiò il gomito sul banco e gli lanciò un'occhiata pungente.

«Mi stai ammonendo perché vuoi salvare la mia anima dalla perdizione o perché sei geloso?»

«Geloso io?!» saltò su Jem. «Perché mai dovrei essere...»

«Mr Casiraghi!» tuonò a sorpresa Walker, facendogli rizzare i peli sulla nuca. «Well well, what's the matter? Are we in a chatty mood today?»

Gli occhi spenti degli studenti si rianimarono e i corpi indolenziti dalla lunga stasi ruotarono in direzione dell'interpellato.

«Mi scusi, professore» si affrettò a rispondere Jem, tramortito da quel plateale richiamo, mentre il compagno seppelliva la sua faccia tosta tra le pagine del libro. «Stavamo giusto discutendo di... ehm...» Dan gli fece gli scivolare i suoi appunti sotto al naso. «Di colpa e punizione in Frankenstein» lesse al volo Jem.

«Brilliant! Allora non le dispiacerà condividere con i presenti le sue acute riflessioni in merito» insinuò tagliente Walker.

Un concitato brusio si levò dalle file di colleghi che già tremavano per lui. Privo di scappatoie e con centinaia di occhi puntati addosso, Jem guardò Dan di sottecchi, il quale si strinse nelle spalle e gli fece cenno di dire qualcosa.

Meglio portare avanti la messinscena a questo punto.

Prese un profondo respiro, insieme alla sua copia del Frankenstein bordata di linguette colorate, e si alzò.

«I temi in questione riguardano tutti i protagonisti del romanzo, seppur in diversa misura» esordì schiarendosi la voce e facendosi serio davanti a un Walker che lo guardava in cagnesco. «Il dottor Frankenstein, nella sua incontenibile hybris viene paragonato a Prometeo – da qui il sottotitolo dell'opera. Il titano del mito greco, infatti, trasgredendo all'ordine divino, donò il fuoco e, dunque, la conoscenza agli uomini che allora brancolavano nel buio dell'ignoranza; per questo gli dèi lo punirono, incatenandolo sul monte Caucaso e facendo sì che ogni giorno il suo fegato venisse divorato da un'aquila e ricrescesse ogni notte. Una punizione atroce, che si perpetuò per decenni prima che gli dèi ritenessero che ne avesse avuto abbastanza.»

Jem s'interruppe per sfogliare alcune pagine, poi riprese con enfasi.

«Come Prometeo, anche Frankenstein subirà un destino crudele per colpa della sua faustiana sete di conoscenza e volontà di spingersi oltre il limite imposto dalle leggi naturali. Creando da pezzi di cadaveri un mostro a cui diede la vita, lo scienziato infrange le norme della creazione, nonché il codice etico dell'epoca, dando corpo a impulsi repressi e smanie di onnipotenza. Il prodotto di una tale perversione non può che essere orrendo e lontano dai suoi piani. Frankenstein sconterà a caro prezzo la sua trasgressione: la volontà di distruggere quell'orribile prodotto di laboratorio a cui non sa dare neanche un nome non sarà sufficiente a risparmiargli dolore, rimorso, angoscia e una sanguinosa serie di morti che potrà concludersi solo con la sua.

«Frankenstein è vittima e carnefice di se stesso. Per quanto si sforzi di rimediare, resta l'autore del male, e il male non può restare impunito. Come Adamo dopo aver commesso il peccato originale, neanche lui può sottrarsi al castigo che spetta a chi osa sfidare l'ordine costituito.»

Non udendo alcun suono attorno a sé, Jem sollevò gli occhi per scoprire che la classe lo fissava in silenzio. Un silenzio denso, attento.

Continuerò finché non m'interromperà, s'impose mentalmente, certo che Walker l'avrebbe odiato.

«Nonostante si macchi di atroci delitti, il mostro non è altro che una proiezione del suo creatore, l'incarnazione dei suoi istinti primordiali, il lato oscuro della sua coscienza. Per quanto possa apparire crudele e indegno di esistere, esso nasce buono. L'odio che prova per gli uomini è la reazione al disprezzo e all'emarginazione che gli riservano in quanto "diverso" e, pertanto, socialmente irriconoscibile e inaccettabile. La sua colpa è quella di essere nato diverso: una diversità di cui non è responsabile, ma per cui viene punito con l'isolamento affettivo e sociale.

«L'unico vero responsabile è suo padre, il suo creatore, che ha sfruttato la conoscenza scientifica in modo scellerato, per poi ripudiarne il suo frutto. Per gran parte della storia, Frankenstein continuerà a dare la caccia al mostro che aveva costruito e che gli aveva rovinato la vita, senza rendersi conto che il vero mostro...» Jem sentì la voce venir meno «... era lui.»

A interromperlo fu la campanella di fine lezione.



«Shit, man, that was amaaazing!» Dan affiancò uno sfuggente Jem fuori dall'aula al termine della lezione. «Qualcuno ha avuto il suo momento di gloria, eh?» ammiccò nella sua direzione.

«Non è che avessi molta scelta» obiettò Jem con lo sguardo basso, impaziente di allontanarsi dalle occhiate curiose dei colleghi e dalle loro chiacchiere che gli ronzavano fastidiose nelle orecchie. «Avrei fatto volentieri a meno di questa farsa.»

«Scherzi? Sei stato incredibile! Hai rubato il fuoco a Walker: l'hai messo a tacere davanti a tutta la classe. D'ora in poi, quello spaventapasseri ci penserà due volte prima di darti la parola. Fossi in lui, temerei per il mio posto...»

«Se è per quello, può stare tranquillo: non ho tutta questa voglia di insegnare.»

«Potresti benissimo farlo. Pendevano tutti dalle tue labbra!»

«Ah, sì?» 

Jem si sistemò lo zaino in spalla e gettò uno sguardo al cielo fosco. Sentì quell'ammasso di nubi appesantirgli il cuore. Si ritrovò catapultato quattro anni addietro, quando gli argomenti del giorno erano quali poesie recitare e che esibizioni inventarsi per catturare l'interesse del pubblico.

Pendevano tutti dalle tue labbra, aveva detto Sara, allora. E non si stava riferendo a lui.

Non era lui l'incantatore di folle. Lui era solo un ragazzino scorbutico e altezzoso con una predilezione per la musica e le materie umanistiche. Nient'altro.

«Scusa, ma non m'importa. Non cerco lodi, né adulatori.»

«Come vuoi» Dan scrollò le spalle e recuperò le sigarette dalla tasca del giubbotto. «Che fai di bello stasera?» gli domandò a bruciapelo mentre portava il filtro alle labbra e faceva scattare l'accendino. «Cenetta a lume di candela?»

Il moro piegò gli angoli della bocca verso il basso, poi scosse il capo. «Mi piacerebbe, ma no. Mi vedo con i colleghi di lavoro.»

«Oh! Intendi i tuoi amichetti nerd?»

A Jem non sfuggì la sua espressione beffarda. «Esatto: mi vedo con i miei amichetti nerd per fare cose da nerd» rimarcò tagliente. «E tu? Uscita di gruppo

«Che stronzo che sei» sibilò Dan fingendosi indignato e scrollando il capo. «Comunque no, niente uscite di gruppo stasera. Ho un appuntamento one to one

«Aaah» Jem sfoggiò un sorrisetto sardonico, affatto sorpreso. «Quindi sei tu quello che passerà una serata romantica.»

«Romantica?! Bah, non direi» Dan soffiò via una nuvoletta di fumo che si disperse nell'aria fredda di fine marzo. «Il romanticismo non è da tutti, né per tutti, Jem. Dovresti saperlo» fece rivolgendogli un'occhiata penetrante. «Quanto a me, te l'ho detto: voglio solo svagarmi e pensare il meno possibile a questo schifo di mondo» buttò lì con disincanto. Controllò l'orario sul cellulare. «Meglio che vada, o farò tardi. Devo spostarmi dall'altra parte della città.»

«Allora sbrigati! Dio non voglia che le tue conquiste aspettino. Potrebbero pensare che te la tiri e indisporsi» lo punzecchiò Jem.

«In tal caso, peggio per loro» Dan fece spallucce e gettò il mozzicone. «Allora buona serata, God of nerds.»

«Buona serata, God of hearts

«Non sono io quello che ha trafitto cuori, oggi» dichiarò Dan con un sorrisino allusivo. «Dovevi vedere le facce di certe colleghe mentre parlavi...»

Jem lo guardò interrogativo. «Che facce?»

«Facce stregate da quella tua parlantina saccente! Chi avrebbe detto che la mitologia greca facesse quest'effetto?»

«Pff, per favore!» Jem lasciò trasparire una nota di stizza nella voce. «Ho solo cercato di tirarmi fuori dall'imbarazzo.»

«Sì, come no! Perché la prossima volta non la fai direttamente tu la lezione? Scommetto che in molti gradirebbero...»

Jem stirò le labbra sottili e gli lanciò un'occhiata serpentina.

«Ti conviene filare al tuo appuntamento, prima che ti racconti un mito in cui uno dei due muore sul più bello.»

«Mi mancava il tuo dark humour» rivelò Dan, increspando la fronte e ficcandosi le mani in tasca. «Ci si vede, genio incompreso» lo salutò con un frettoloso cenno del capo.

«Ehi, Dan!» gli urlò dietro Jem. «Divertiti, mi raccomando!»

Per tutta risposta, Dan gli mostrò il dito medio senza voltarsi.

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