4 - Checkmate

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«Allora, che intendi fare con quel cavallo?»

Andrew teneva i grossi pugni chiusi contro le guance e fissava circospetto i pezzi neri che attorniavano la sua pericolante difesa. Jem celò un sorriso perfido dietro alle dita congiunte; buona parte del suo esercito era minacciosamente proteso oltre la metà del campo di battaglia.

«Lo scoprirai presto.»

Erano seduti l'uno di fronte all'altro al tavolo made in Ikea di Lucas, dopo averlo sgomberato da cartoni macchiati di pomodoro e bottiglie vuote di birra e Coca Cola. A Jem non dispiacevano quelle serate a base di pizza e videogiochi in compagnia di quei balordi dei suoi colleghi. Erano un gruppo affiatato, fondato sul diritto al libero cazzeggio e, naturalmente, sul culto per quelle che nell'immaginario collettivo erano definite "cose da nerd" di cui andavano estremamente fieri. Una volta epurate dai miscredenti, le loro case venivano a turno messe a disposizione e predisposte ad affrontare lunghe ed estenuanti sessioni di gaming.

«Ti vedo nervoso stasera, Andy Dandy» notò Jem facendo avanzare il proprio cavallo nero fra due pedoni bianchi. «Crisi da astinenza?»

«Damn it, man! Si nota così tanto?» imprecò Andrew accasciandosi sulla sedia e massaggiandosi le palpebre. «Questo lavoro mi uccide! Stando chiuso entro quelle quattro mura tutto il giorno, le mie chance di fare nuove conoscenze sono ai minimi storici» gemette, spingendo avanti un pedone con poca convinzione.

«Colpa tua che ti prendi troppi appalti. Te l'avevo detto. Inoltre ti avviso che, se continui a saltare le lezioni, ti perderai "il meglio" dell'offerta formativa» gli segnalò Jem allusivo. Andrew sgranò gli occhi.

«Dimmi, ci sono ragazze carine in classe quest'anno?»

Jem sfoggiò un sorriso da stregatto.

«Vieni e lo scoprirai. E poi, non puoi sempre affidarti ai miei appunti per prepararti agli esami.»

«Perché no? Finora hanno funzionato alla grande. Senza quegli appunti non avrei mai superato l'esame su Shakespeare. Te ne sarò eternamente grato.»

«A proposito, dovresti restituirmi gli appunti di letteratura rinascimentale. Mi servono. E aspetta a ringraziarmi: da quest'anno li metto in vendita.»

«Ah ah, spiritoso!» Andrew si stiracchiò ed emise un sonoro grugnito. «Comunque hai ragione, vecchio mio: se continuo così rischio di scoppiare. Devo ammettere che mi sento un po' fuori forma. Da quanto tempo non vado a una festa? Quant'è che non mi faccio una bella bevuta? Merda, neanche mi ricordo! Non va bene.»

«Scusa, qual è il problema? Ci sono feste ogni santo giorno: puoi rimediare quando vuoi» lo rassicurò Jem soffermandosi a studiare la scacchiera.

«A proposito di ragazze,» riprese Andrew lisciandosi la folta barba «l'altro giorno riflettevo sul fatto che in azienda non ci sia tutta questa... ehm... gender equality, vero? Ci sono solo un paio di donne... dove? All'ufficio del personale?»

«Vero» confermò Jem muovendo una torre. «Il mondo dei videogiochi ha ancora una matrice e un target prevalentemente maschile. Ma le cose cambieranno anche lì, vedrai. Ne abbiamo fatta di strada dalle colonne sonore a otto bit degli anni Ottanta...»

«Ben detto! Dobbiamo avere fede nel progresso» declamò Andrew facendo la sua mossa. «Confesso che non mi dispiacerebbe frequentare, tra un caffè e l'altro, qualche bella donzella.»

«Ci sono sempre i tuoi compagni di squadra, male che vada» suggerì Jem con un sorrisetto, mangiando un alfiere bianco col suo cavallo.

«Fuck off, JJ!» esclamò Andrew tirandogli addosso un pedone fuori gioco e facendolo ridere di gusto. «Parli facile tu: sei l'unico, oltre ad Alex, ad avere la ragazza.»

Jem alzò le mani e lo guardò con aria innocente. «Dovrei sentirmi in colpa?»

Lo scozzese scrollò le spalle e sbuffò. «Ok, lo ammetto: ti invidio, JJ! Sei ironico, geniale, prendi il massimo dei voti con il minimo sforzo e hai una ragazza da sballo!»

«Attento ad invidiarmi, dude» lo ammonì Jem. «Tenere alti gli standard è impegnativo» aggiunse con un ghigno malefico.

«Oooh, immagino! Chissà che gran fatica tenere a bada quel bel bocconcino, eh?» fu l'ennesima stoccata di Andrew. Jem incrociò le braccia e lo fissò serio per alcuni secondi, poi si protese in avanti.

«Andrew.»

«Eh?»

«Gioca.»

Andrew sbuffò e tornò a studiare il terreno di gioco.

«Toglimi una curiosità: ma sono tutte così... hottie le ragazze italiane?»

«E io che ne so?» replicò Jem increspando la fronte.

«Come, che ne sai? Non eri tu quello che sapeva tutto?!»

Jem fece schioccare la lingua e allungò le dita sulla regina nera.

«Sei mai stato in Italia, Andrew?»

«No.»

«Ok. Allora vacci e poi mi fai sapere.»

«Aaah, quanto mi piacerebbe, porca puttana! I miei cugini sono stati a Roma di recente e dicono che si mangia da Dio! Non fanno che lodarne la bellezza, in tutte le sue... forme» sospirò Andrew con aria sognante.

«Bene, allora facciamo così: informami quando andrai e prometto che ti farò da cicerone» concluse Jem, facendo scorrere diagonalmente la sua regina lungo una serie di caselle vuote fino a raggiungere il re avversario.

«Checkmate!»

Andrew fissò la scacchiera a bocca aperta.

«Noooo! Ma dài, non... non è possibile! Ero stato attento stavolta.»

«Non abbastanza, a quanto pare.»

«No, ma come... si può sapere come hai fatto?»

Jem si strinse nelle spalle e gli disse con voce calma: «Scoprendo i punti deboli del mio avversario e sfruttandoli a mio favore».

Andrew allargò le braccia e scosse il capo contrariato. «Jeeez, man, you're so sly! Playing with you is impossible...»

«Ehi, Andy, hai un accendino?»

Lucas irruppe in cucina come un tornado, la chioma selvaggia trattenuta dietro l'orecchio da una sigaretta artigianale; indossava una t-shirt dei Led Zeppelin sopra a un paio di jeans larghi e sbrindellati.

«Sì» grugnì Andrew scostando la sedia dal tavolo. «Aspetta, ti faccio compagnia» aggiunse alzandosi e prelevando accendino e sigarette dalla tasca dei pantaloni. «Ho bisogno di rilassarmi.»

«Che c'è, hai perso di nuovo?» tirò a indovinare Lucas facendo scorrere lo sguardo dalla scacchiera all'espressione trionfante di Jem.

«Per favore, Lux, non ti ci mettere pure tu!» gemette Andrew alzando gli occhi. «Quel figlio di buona madre mi ha fatto deconcentrare, non vale» precisò puntando l'accendino contro Jem che alzò le braccia e sogghignò deliziato.

«Non è colpa mia se appena senti la parola "ragazze" ti si annebbia il cervello.»

Lucas scoppiò a ridere e batté una mano sulla spalla di Jem. «Sei un grande, JJ!»

«Sì, a pugnalare gli amici alle spalle» completò Andrew indispettito. «Ma non finisce qui, eh! Pretendo la rivincita» decretò mentre Lucas gli sfilava l'accendino di mano e sgattaiolava via. Andrew emise un gemito di protesta e si rivolse a Jem.

«Ti unisci a noi poveri mortali, campione?»

«Uhmm, no, non penso. Vai pure» disse Jem salutandolo con la mano.

«Ai suoi ordini, Maestà» dichiarò Andrew lasciando la cucina con un inchino irriverente.



Dopo aver rimesso a posto tutti i pezzi, Jem raggiunse gli altri in salotto. In quel piccolo ma accogliente spazio, Lucas aveva dato il meglio di sé: ogni anfratto era tapezzato di poster e disegni, gli scaffali traboccavano di modellini e oggetti provenienti dai fandom più disparati. Sulla cassettiera affiancata alla porta d'ingresso, una katana foderata di seta nera e oro faceva bella mostra sul suo espositore in legno, sormontato da poster di personaggi di manga vestiti da samurai. Tra le cianfrusaglie accumulate in ogni angolo spiccavano scatoloni traboccanti di guide e riviste hi-tech e strumenti musicali, tra cui un bongo e un ukulele. Pile di manga e videogiochi affollavano le scaffalature attorno alla tv che proiettava il menu principale di Call of Duty: Modern Warfare.

Alex si era alzato per andare a fumare in terrazza insieme ad Andrew e Lucas, liberando la sua postazione gioco sul divano bitorzoluto coperto da un orribile tessuto a righe colorate. Jem lo superò e si lasciò cadere sulla poltrona a fianco, poggiò la gamba destra sul bracciolo e si guardandò pigramente attorno. La sua attenzione venne catturata dal cubo di Rubik sul tavolino in legno posto fra divano e poltrona: lo afferrò e prese a studiarlo da diverse angolature.

«Partita noiosa?» domandò Wang nella sua direzione.

«Oh no, tutt'altro: è stata fin troppo divertente» disse Jem facendo ciondolare la gamba mentre i quadratini colorati ruotavano tra le sue dita. «E voi invece? Come procede sul campo?»

«E come deve procedere? L'imperatore regna» lo informò Benji grattandosi sconsolato il capo.

«Avevi dubbi?» intervenne Wang gonfio d'orgoglio rivolgendosi a Jem.

«In effetti, no.»

«Allora, giochi o no?» lo spronò Benji allungandogli il controller abbandonato sul divano da Alex.

«Mmm, no. Per stasera passo.»

«Non avrai paura di perdere» lo provocò Wang.

«Io l'avrei, dammi retta: sono dieci partite consecutive che vince. Vuole battere il suo record personale» commentò Benji, la voce ancora elettrizzata dall'esito dell'ultima partita.

«Appunto. Non vorrei interrompere questa fortunata serie di vittorie.»

«Fortunata, dici?» esplose Wang agitando il suo controller. «Vieni che ti distruggo!»

Jem lanciò un'occhiata al menu principale, poi ai due amici in attesa; infine tornò al suo cubo, sprofondando ancora di più nella poltrona. «Magari un'altra volta. Sono stanco.»

«Stanco di vincere?» lo punzecchiò Benji. «Prova a battere il nostro imperatore!»

«Te l'ho detto, non mi va» sbuffò Jem atono, voltandosi poi verso il biondo. «Perché non giochi tu? Faccio il tifo per te» dichiarò posando il cubo riordinato sul tavolino.

«Insomma, avete deciso chi dei due devo annientare?» si lamentò Wang battendo impaziente i piedi.

«Oook» Benji accettò la sfida e fece partire una nuova partita.

Mentre i due si sfidavano, sparandosi colpi e improperi in un codice noto solo a loro, il resto del gruppo rientrò e seguì il gioco da dietro le quinte. Con la coda dell'occhio, Jem colse Lucas spifferare qualcosa ai compagni e dileguarsi in corridoio; fece finta di niente e tornò a fissare lo schermo e a incitare i giocatori. Una manciata di secondi dopo, Lucas era riapparso: avanzò di soppiatto, il volto coperto da una maschera di Yoda e fece loro cenno di reggergli il gioco. Jem lo sentì muoversi alle sue spalle e scivolare furtivo dietro al divano. Impugnava la katana che ora oscillava sulla testa dell'ignaro Benji. Jem dovette fare un notevole sforzo per non scoppiare a ridere, così come gli altri. Doveva continuare a tenerlo concentrato sul gioco.

«Forza, B! Colpiscilo ora che è scoperto!»

«Ci sto provando, porca...»

«THE FOOORCE!!! FEEL THE FORCE!!!» tuonò Lucas artigliando con una mano la spalla di Benji e puntandogli la katana alla gola con l'altra.

«AAAAARGH!!!»

Il poveretto balzò in aria per lo spavento e cacciò un urlo da far tremare le pareti, mentre gli altri attorno a lui si sganasciavano dalle risate.

«What the f...» ansimò Benji con voce strozzata e la mano sul petto, prima di inveire contro Lucas. «Youuuu, son of a bitch! Are you fucking mad?!»

«No» fece lui serio, rimuovendo la maschera e scuotendo teatralmente la folta chioma. «I'm your fucking father!» esclamò solenne, allargando le braccia per accogliere il "figlio" tra le risate e gli applausi del pubblico.

«Questa me la paghi, Lux! Mi hai fatto perdere dieci anni di vita, cazzo!»

Jem non ricordava l'ultima volta in cui aveva riso talmente tanto da avere il mal di pancia e le lacrime agli occhi. D'altronde, era uno degli effetti collaterali del frequentare quella banda di squilibrati. Questo era ciò che gli piaceva di quel gruppo: dove finiva la follia di uno, cominciava quella dell'altro. Fossi anche la persona più stramba del pianeta, saresti stato il benvenuto lì. Con loro non eri mai fuori luogo: non dovevi giustificarti per quel che eri, per le tue ossessioni e i tuoi difetti.

In quel piccolo universo parallelo fatto di giochi e fantasia tutti potevano sentirsi speciali, almeno per una volta.

Tutti potevano essere eroi.

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