7 - Party Animal

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«Heeey, JJ, what's up?»

La voce squillante e concitata di Benji raggiunse l'orecchio di Jem dal suo smartphone, bloccato tra guancia e spalla, mentre apriva cassetti e passava in rassegna i capi all'interno dell'armadio. «Benji! Che tempismo» rispose Jem con una nota di sarcasmo, lanciando un'occhiata perplessa in direzione del guardaroba. Gli pareva di non avere nulla di adatto alla serata. C'era un dress code non scritto per gli inviti ai party inglesi casalinghi?

«Che vuoi dire, JJ? Oh! Ho interrotto qualcosa? Non stavi amoreggiando con la tua ragazza, vero?»

«Sfortunatamente no.»

«Aaah, meno male!» fece Benji sollevato. «Senti, sto per annunciarti una cosa che ti farà molto piacere.»

«Mi regali le action figures di Assassin's Creed?»

«Col cavolo!» inveì Benji, perforandogli il timpano. Collezionare modellini di supereroi e personaggi dei videogiochi era la sua passione. Li custodiva gelosamente in teche di vetro, alla stregua di preziosi manufatti, e qualche volta ci parlava anche.

«No, volevo informarti che sto per lanciare una nuova campagna a D&D! Eeeh, lo so che non vedevi l'ora» gongolò compiaciuto. «Ho già invitato alcuni amici e ordinato le pizze. Quanto ci metti a prepararti?»

«Più di quanto vorrei, credimi.»

«...»

«Sorry, mate! I can't, tonight» sbuffò Jem scartando una felpa degli Slayer; quello scenario infernale non gli avrebbe dato un tocco molto friendly. Non gli andava neanche di indossare capi eleganti che avrebbe senza dubbio finito col cestinare a fine serata. Meglio optare per qualcosa di casual.

«Come non puoi? Hai ricevuto proposte migliori?» scattò Benji, la cui voce passò da delusa a diffidente in un attimo.

«Non proprio.»

«E allora? Dài, non farti pregare! So che vuoi rifarti dopo la disfatta del tuo stregone: quello scontro col gigante gli aveva dato il colpo di grazia. Ma, d'altronde, con quei pochi punti ferita che si ritrovava...»

«Non posso, B.»

«Ti faccio fare il master!»

«Non posso, ti ho detto» ripeté Jem deciso. «Siamo stati invitati alla festa di un'amica di Sara. Non ho potuto rifiutare.»

Un boato di stupore si levò dall'altra parte.

«Are you serious?! Shit, man, are you leaving me this way? Stai rinunciando a una seratona a D&D per un party universitario?»

«Sai che ne farei volentieri a meno» confessò Jem continuando ad accatastare vestiti sul letto. «Ma stasera mi tocca. È una vita che non vado a una festa con Sara, glielo devo. E poi... beh, bisogna mescolarsi ai comuni mortali ogni tanto» concluse, optando per una t-shirt basica dell'Hard Rock Cafè Londra e un paio di jeans scuri.

«Hell, man, you're fucking right! But don't get too used to it, ok?»

«Tranquillo: le nostre serate sono le migliori.»

«Ovvio!» la voce di Benji sembrò riprendere vigore. «Oh, se dovessi ripensarci, fammi uno squillo: non penso staccheremo prima dell'alba.»

«Grazie Benji, le tue premure mi commuovono» disse Jem recuperando da sotto il letto le sue Vans nere. «Ma penso di poter sopravvivere a una notte di insana baldoria.»

«Oh, well... Good luck with that!»

«Sai che ci sarà anche Andrew? Pare conosca la padrona di casa.»

«Chissà perché non mi sorprende. Quel marpione! Le conosce tutte lui le occasioni per rimorchiare.»

«Dici che lo vedrò rimorchiare?»

«Buon Dio, spero per te di no!»

Un secco toc toc alla porta interruppe l'amabile conversazione tra i due.

«Jem, allora? Guarda che io sono pronta!»



«Heeeey, guys! Welcome, welcome! Please, come in!»

Vicky e le sue ciglia finte li accolsero sulla soglia di una villetta a schiera dalla facciata in mattoni. I capelli erano raccolti in un alto chignon che scopriva un choker nero al collo e cerchioni argentei alle orecchie. Indossava un crop top rosso e le lunghe gambe rivestite di latex nero culminavano in tacchi vertiginosi. Li scortò con disinvoltura nella hall, tra un fitto via vai di gente e musica commerciale sparata ad alto volume che provocò in Jem una reazione simile all'orticaria.

E quella sarebbe una festa intima?

La padrona di casa gli fece un resoconto degli ambienti già intasati di ospiti vocianti. A sinistra c'era la cucina con il suo assortimento di beveraggio. Il bagno era la prima porta a destra, mentre in fondo al corridoio che affiancava la scala interna c'era la sala da ballo – alias, l'anticamera dell'inferno: in un martellante battito elettro-house che faceva vibrare le pareti, giovani euforici urlavano e si dibattevano come ossessi, i corpi illuminati a sprazzi dalle luci stroboscopiche. Mani blu, teste gialle, facce rosse, gole nere.

La pioggia di sangue cantata da Tom Araya non doveva essere poi così tremenda, a ben pensarci.

Jem dovette resistere all'impulso di fare dietrofront.

«Sono così contenta che siate venuti!» esclamò Vicky trionfante, invitandoli a seguirla in cucina. Dietro al tavolo, Andrew si stava intrattenendo con Rose ed Emily, il cui vestito giallo spiccava sulla sua pelle scura; drink alla mano, gesticolavano animatamente e ridevano di gusto.

Eccolo, il marpione all'opera! Ma è già ubriaco?

Jem si avvicinò all'amico e gli punzecchiò il fianco con un dito.

«Vedo che hai già aperto le danze.»

«Ahaaa! Eccovi finalmente» esplose gioviale Andrew in direzione della coppia, la camicia a quadri per metà fuori dai pantaloni e le gote rosse e lucide come pomodori.

«Aspetta un attimo,» fece in tono sorpreso Vicky mettendosi in mezzo «vi conoscete?»

«Purtroppo sì» sospirò Jem con aria rassegnata. «Ci lavoro insieme.»

«Razza di ingrato!» tuonò Andrew gonfiandosi d'indignazione. «Chi devi ringraziare per il lavoro?»

«E tu chi devi ringraziare per non essere ancora al primo anno?»

«Oh, cazzo... c'hai ragione» farfugliò lo scozzese grattandosi la barba incolta e calandogli una manona sulla spalla. «Cadi sempre in piedi tu, eh, genio del male!» lo schernì affettuosamente.

Jem roteò gli occhi.

È già ubriaco.

Poi si rivolse a Vicky.

«E voi due dove vi siete conosciuti?»

«Ma alla Beer Pong Society, naturalmente!» dichiarò la ragazza come fosse la cosa più ovvia del mondo. «Andrew è il nostro presidente.»

Jem guardò l'uno e l'altra a bocca aperta, chiedendosi se stessero scherzando.

«Beer Pong Society?!»

«Beer Pong Society» confermò Andrew sollevando il bicchiere come un trofeo e dandosi un'aria importante.

«No, ma siete seri? Esiste davvero un club del genere?!»

«Certo che esiste, ed è anche molto gettonato» s'intromise Sara, contribuendo ad aumentare il suo stupore. «A proposito: avete organizzato una sfida per stasera, mi auguro.»

«Ovvio» la rassicurò Vicky. «Quale migliore occasione per sponsorizzarci? Andrew è stato fenomenale: mi ha aiutato a preparare tutto. Non è un tesoro?» cinguettò, accostandosi al suo alticcio presidente e schioccandogli un bacio melenso sulla guancia.

Mentre Jem ringraziava di aver consumato un pasto leggero, Sara aveva espresso con fervore il suo desiderio di entrare a far parte della Beer Pong Society. Vicky aveva poi preso in disparte lei, Emily e Rose per metterle a parte dei suoi piani.

«Beer Pong Society, eh?» Jem squadrò il collega a metà tra l'incredulo e il divertito. «Questa mi mancava. Cosa non faresti pur di farti notare.»

«Eh eh, a ciascuno i suoi trucchi» ridacchiò Andrew riempiendosi l'ennesimo bicchiere di birra e ammirando le ragazze scambiarsi apprezzamenti sui rispettivi outfit.

Quella sera, Sara indossava una minigonna nera e un top blu elettrico smanicato legato al collo; la sua fulgida chioma incorniciava l'ovale del viso, scendeva a cascata sulle spalle e ondeggiava a ogni movimento del seno procace. Sorrideva e urlava la sua voglia di scatenarsi con le amiche. Era vivace e irruenta come una bambina. Era irresistibile.

Jem notò Andrew sorridere come un ebete mentre lei e Vicky si scambiavano informazioni criptiche su trucco e parrucco.

«Ahi ahi, Andy Dandy!» gli soffiò Jem all'orecchio. «Mi farai sapere che ti hanno detto alla riunione di oggi quando avrai finito di fissare le tette della mia ragazza?»

«Oh? Eh? Oh! Ehm ehm... s-scusa, scusa» tossicchiò impacciato lo scozzese raccattando un tovagliolo per tamponarsi la fronte. Jem non gli staccò gli occhi di dosso.

«Allora?»

«Allora Mark e Stan hanno analizzato lo studio di fattibilità tecnica, e...»

«E?»

Il viso paonazzo di Andrew si allargò in un sorriso complice.

«E il programma è stato approvato! È fatta!»

«Ma è grandioso!» esultò Jem di fronte alla prima bella notizia della serata.

«Finalmente posso dirlo, cazzo,» Andrew sollevò il bicchiere trionfante «si va in produzioneee!» annunciò tracannando birra e ingabbiando Jem in un abbraccio fin troppo caloroso.

Dalla hall, una tipa in abiti succinti sventolò il braccio nella loro direzione.

«Ohooo! Gnocca a ore dodici» la intercettò subito Andrew, l'occhio di falco puntato oltre la spalla di Jem. «Non ti voltare!» lo ammonì, costringendolo a restare immobile e a trattenersi dal ridergli in faccia.

«Scusate, torno subito» comunicò loro Vicky. «Voi bevete, eh» li esortò, scortata fuori dalla cucina da Andrew, il quale colse la palla al balzo per andare a rispondere al richiamo della "gnocca".

Dopo un paio di minuti, Vicky tornò in cucina seguita da due ragazzi. Uno di loro era Dan. Il sorriso sfolgorante, la t-shirt scura e i jeans che aderivano al suo fisico imponente e scolpito facevano sfigurare i presenti come un mucchio di galline starnazzanti attorno a un pavone. Forse era proprio la sua presenza scenica a rendere lo sconosciuto al suo fianco ancora più anonimo e sciatto di quanto in realtà non fosse.

Era un tipo smilzo e ricurvo, con un look da rapper consumato. I capelli chiari dalle punte tinte di nero erano spettinati e un paio di catene pesanti gli pendevano dal collo; l'espressione imbronciata e le mani sepolte nelle tasche di una tuta larga lasciavano intuire che non fosse un campione di socievolezza. A riprova di ciò, quando Dan glielo presentò come il suo amico Noah, questi non si prese neanche la briga di stringergli la mano; si limitò a lanciargli un'occhiata ostile e, dopo un rapido scambio di battute con Dan, si allontanò con la padrona di casa senza rivolgergli la parola.

«Simpatico» constatò Jem in tono marcatamente sarcastico.

«Ah, Noah» Dan scosse il capo con aria sconsolata. «Non è molto loquace, in effetti. Però sa essere un buon amico quando vuole.»

Jem annuì, poco convinto, e si fece da parte in favore della sua ragazza.

«Dan, ti presento Sara.»

«Molto piacere» disse Sara, la mano calamitata verso quella del biondo.

«Piacere mio» replicò lui con un rapido baciamano. «Finalmente ci conosciamo! Jem mi ha raccontato solo cose belle di te.»

A quelle parole, Sara si sciolse in un sorriso lusingato. «Ah, sì?» miagolò lisciandosi i lunghi capelli. Dan passò a studiare il campionario di alcolici sul tavolo.

«Allora, diamo inizio alla festa?» chiese sfregandosi le mani.

«Direi proprio di sì» approvò Sara elettrizzata.

«Cosa beviamo?»

«Ehm, io passo» disse risoluto Jem.

Era stato molto chiaro con se stesso e con gli altri su questo punto. Niente alcol, niente danni, niente figuracce.

«Come vuoi» fece Dan con un'alzata di spalle.

«Uff, che rompipalle che sei, Jeremy!» sbuffò Sara rivolgendosi poi a Dan in tono condiscendente. «Ignoralo: odia la gente che si diverte. Cosa ti va?»

«Uhm... cominciamo con una birra?»

«Ok.»

«Jem, tu cosa prendi? Non guardarmi così, un brindisi dovrai pur farlo! Pure con l'acqua, non m'interessa» s'impuntò Dan.

«Ci fosse, l'acqua» commentò scettico Jem guardandosi attorno. «E va bene, prenderò una coca» concesse, dopo che anche Sara lo fissava torvo. Dan versò da bere in rossi bicchieroni di plastica e li distribuì.

«Cheers!» brindarono all'unisono.

«Ok, ragazzi, io vado a salutare un po' di gente se non vi dispiace» disse Dan dopo aver fatto fuori la sua birra. «Divertitevi, mi raccomando!»

«Ci proveremo. Anche se per qualcuno sarà una gran fatica» fece Sara alludendo alla misantropia cronica di Jem, il quale assunse un'aria indispettita.

«Ah no, Jem! Va bene che non vuoi bere ma almeno goditi la serata. Ti ricordo che hai un'incantevole dama da intrattenere» se ne uscì ammiccando a Sara e ricevendo in risposta languidi battiti di ciglia.

«Farò del mio meglio» promise Jem con un cenno del capo.

«Great!» approvò Dan battendogli una mano sulla spalla, aggiungendo subito dopo: «Bella, io ce l'ho di Dublino!».

Jem aveva appena fatto in tempo ad abbassare lo sguardo sulla sua maglietta e a risollevarlo che il suo interlocutore si era già dileguato. Si rivolse quindi a una Sara mezza imbambolata.

«Ecco, ora che l'hai conosciuto che mi dici?»

«Dico che è un figo da paura!» disse con gli occhi a cuoricino. «Il compagno di studi che tutte vorrebbero. Quasi quasi t'invidio.»

«Esagerata! Comunque è un bene che non sia un tuo collega: ti distrarrebbe.»

«Può darsi» concesse Sara, allungando il collo in direzione del corridoio. Nella calca si intravedevano Dan e Noah chiacchierare con delle ragazze. Il gruppo si era poi spostato, uscendo dal loro campo visivo.

«Ora che ci penso, non avevo visto poi così male: qualcosa di Will ce l'ha, non credi? Mi riferisco ai gesti, al modo di approcciarsi. Quel suo fare subito colpo non ti ricorda...»

«Jem, per favore!» lo supplicò Sara a denti stretti. «Non qui

«Perdonami. Non dovevo» replicò lui secco. Sara emise uno sbuffo spazientito, raccolse i capelli in una coda e passò in rassegna le bottiglie. «Senti, siamo qui per divertirci, no? E allora divertiamoci, porca miseria!»

«Ma...»

«Di' quel che vuoi ma, ti prego, lascia fuori Will.»

A quell'ammonizione, Jem allargò le braccia esasperato.

«Oh, già, dimenticavo: "Non nominare il nome di Will invano".»

Sara batté le mani sul tavolo.

«Jem, ma ti senti?! Se sei venuto qui con l'intenzione di sabotare la serata...»

«Ah! Chi è che fa i drammi, adesso?»

«Non sono stata io a cominciare.»

«Scusa se volevo condividere un pensiero con te.»

«Non è questo, è che a volte...»

«Cosa? Dovrei tenere la bocca chiusa?» rilanciò in tono di sfida.

Sara s'irrigidì. Strinse i pugni e si morse nervosamente le labbra. «Non sarebbe male.»

Jem sgranò gli occhi e serrò la mascella.

«Ah. Così è questo che vuoi? Benissimo! Ti garantisco che da ora in poi la tua serata non verrà più compromessa dal mio essere, come sempre, inopportuno» decretò, voltandosi giusto in tempo per vedere Vicky agitare le braccia dal salotto.

«Guarda, ti stanno cercando. Su, che aspetti? Va' a spassartela con i tuoi amici!»

Sara lo fissò sbigottita; scrollò le spalle, si riempì il bicchiere, abbozzò un brindisi e raggiunse gli altri non prima di averlo incenerito con lo sguardo.

E così Jem si ritrovò a rimuginare su quel battibecco, schiacciato tra alcolisti anonimi da un lato e un bruciante senso di colpa dall'altro.

Era stato troppo duro con lei?

Dopotutto, era naturale che non volesse sentir nominare Will e che avrebbe fatto qualunque cosa per evitarlo. Perfino prendere le distanze da lui, se necessario. Imprecò tra sé. Sapeva che quell'allusione al passato non avrebbe portato a niente di buono. Come aveva potuto parlare con tanta leggerezza? E in quel contesto, poi. Per ottenere cosa?

Quello che per certo aveva ottenuto era una serata relegato in un angolo della cucina a sorseggiare in solitaria un drink analcolico, mentre Sara giocava a beer pong e si sbellicava dalle risate con Andrew, Vicky e company, e Dan se la spassava chissà dove.

Col trascorrere delle ore, la musica si fece sempre più assordante e l'odore di alcol e sudore così pregnante da dare il voltastomaco. Jem realizzò di essere l'unico rimasto sobrio là dentro. Non voleva bere né parlare con nessuno e, dovendo fare in qualche modo passare il tempo, decise di impegnarsi in qualcosa di socialmente utile.

Il suo slancio di solidarietà, però, non durò molto: aveva cominciato col recuperare bottiglie di vetro e lattine vuote dal pavimento – per evitare che qualcuno ci ruzzolasse sopra – ed era finito col tener indietro i capelli alle ragazze che si fiondavano a vomitare nel lavandino. Una di queste l'aveva perfino abbracciato per ringraziarlo di aver evitato che si sporcasse quello straccetto camuffato da vestitino che indossava. Jem se l'era scollata di dosso con espressione schifata, scaricandola tra le braccia del primo passante.

Decise che avrebbe cambiato postazione: si sarebbe spostato in salotto, nella speranza di mimetizzarsi tra i mobili.

Mentre attraversava l'angusto corridoio tra i due ambienti, tenendosi rocambolescamente a distanza da soggetti sguaiati e bicchieri traboccanti d'alcol, una ragazza che doveva aver rubato il costume ad Harley Quinn, strattonata dall'amica, gli rovesciò addosso metà del suo cocktail rosa e appiccicoso per poi sparire coi suoi codini multicolor nella fiumana di gente che andava nella direzione opposta.

Fantastico, ci mancava solo questa!

Jem si trovò costretto a deviare per il bagno; tornò indietro facendosi largo a spallate e gomitate tra la folla sudata e scalpitante. Bussò alla porta del bagno ma gli era impossibile sentire alcunché sopra la musica. Dopo aver atteso qualche secondo invano, abbassò la maniglia ed entrò.

Purtroppo, il bagno era tutt'altro che libero: due ragazzi – fatti di chissà cosa – ronfavano placidamente dentro la vasca da bagno circondata da bottiglie e bicchieri, mentre una coppia pomiciava senza ritegno contro il muro a fianco del lavabo. Le mani di lui erano strette sui glutei di lei che pareva sul punto di divorarlo come una mantide che di religioso aveva ben poco. Jem biascicò un rapido "sorry" e, ancor prima che notassero la sua intrusione, si richiuse la porta alle spalle con un tonfo secco.

La maglietta avrebbe aspettato.

In quel marasma di ubriaconi scatenati al ritmo martellante di una canzone pop sparata a tutto volume, di Dan non c'era più traccia: si era letteralmente volatilizzato assieme al suo gruppetto di amici.

Superò un'altra coppia impegnata a scambiarsi saliva e tornò sui suoi passi.

Ma perché non si prendevano una stanza?

Magari perché sono già tutte occupate? gli suggerì una voce impertinente nella sua testa, procurandogli un'istintiva reazione di disgusto. In quel momento, ebbe un flash: che Dan fosse in una delle stanze al piano di sopra? Non era impossibile. Ma poi, che gli importava di cosa stesse facendo Dan? Di sicuro si stava divertendo più di lui.

Qui tutti si stanno divertendo più te, gli fece notare la vocina crudele.

Erano appena passate le undici e Jem non vedeva già l'ora di andarsene da quella schifo di festa. Non era mai stato un party animal e non se ne intendeva di feste, ma era certo che quella avrebbe scalato la classifica delle peggiori della sua vita.

Alle due di notte la situazione era fuori controllo: i presenti ballavano come degli ossessi e urlavano a squarciagola tra luci intermittenti e musica spacca timpani. C'era chi faceva prove di accoppiamento agli angoli delle stanze, chi balzava sui tavoli, chi saltellava da un divano all'altro, chi si era accasciato a terra privo di sensi. La moquette del salotto era ridotta a una palude scura e collosa su cui rotolavano lattine, bottiglie e bicchieri vuoti; scarpe, borsette e indumenti volavano da una parte all'altra della casa o venivano scalciati via con noncuranza.

Giunto al limite della sopportazione, Jem decise che per quella sera poteva bastare. Recuperò una Sara alticcia da una lurida poltrona di velluto che aveva condiviso con Vicky dopo l'ennesimo bicchiere di birra a buon mercato. Salutò al volo Andrew – che molto probabilmente neanche lo riconobbe – e, sorreggendo la sua lamentosa e assonnata metà, si lasciò alle spalle quel covo di matti.

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