6 - Bad Memories

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«Grazie per avermi riassunto la lezione sui poeti romantici. Sei stato molto esaustivo.»

«E tu molto fortunato: è uno dei miei argomenti preferiti.»

«Ah sì? Per questo ti brillavano gli occhi mentre parlavi del culto di Keats per l'arte e l'eterna bellezza? Non credo rimpiangerò la spiegazione di Walker... non fraintendermi: è un pozzo di cultura quell'uomo, ma lo trovo un po' pesante da seguire. Tu, piuttosto, potresti avere un futuro da accademico. Ti ci vedo! Ci hai mai pensato?»

I due si lasciarono alle spalle le alte porte vetrate del nuovo UCL Student Centre e attraversarono il Japanese Garden, incastonato fra solidi muri di mattoni color sabbia. Grappoli di studenti si incrociavano nel cortile lastricato con le sue vasche di terra e piante esotiche; un'eco vivace di battute e schermaglie rallegrava l'atmosfera del campus.

«Mi piace quello che studio, ma non so se la carriera universitaria faccia per me» confessò Jem. «Però, non lo escludo. Forse avrò le idee più chiare su quale sarà la mia strada una volta terminati gli studi. A dir la verità, non mi dispiacerebbe neanche continuare con il mio attuale lavoro.»

«Che sarebbe, se posso?» azzardò Dan sostando presso un basso muretto con un albero di ciliegio alle spalle e portandosi una sigaretta alle labbra; se l'accese e diede un primo tiro, alzando il mento e increspando le palpebre dalle ciglia chiare per schermarsi da un abbagliante mezzogiorno di metà ottobre.

«Oh, ehm, io... compongo musica per un'azienda di videogiochi londinese, i Doomsday Studios» rispose distrattamente Jem, chiedendosi quanto quella frase dovesse suonare strana.

Non si sorprese quando il ragazzo si voltò e lo squadrò come fosse una bestia rara.

«Really?! Wooow, that's so sick, man!» esclamò tra l'incredulo e l'ammirato. «Non è un lavoro da tutti. Come funziona? È stressante?»

«Immersivo, direi. È come entrare in un mondo parallelo: quando ci sei dentro non esiste nient'altro. Devo stare attento a separare il tempo dello studio da quello del lavoro. E, no: non sto tutto il giorno a giocare» aggiunse con una punta di sarcasmo anticipando la domanda successiva. Dan sogghignò, rilasciando uno sbuffo di fumo che andò a pizzicare le narici di Jem.

«Ok, ma vi chiederanno di testare il videogioco a un certo punto, no?»

«Ovviamente c'è una fase di playtesting, ma è affidata a un selezionato gruppo di giocatori. Siamo in tanti a essere coinvolti, ognuno svolge la parte che gli compete.»

«Chissà com'è essere pagati per giocare ai videogiochi.»

«È un lavoro come un altro, alla fine. Ma è innegabile che faccia gola ai fanatici dell'entertainment. Dopotutto, il divertimento è l'origine e il fine di questo mondo. Quello dei videogiochi è un mercato in continua espansione e che punta tantissimo sui giovani. Il bello, per me, è poter vedere cosa c'è dietro al prodotto finale: la progettazione, il lavoro di squadra, la voglia di sorprendere gli utenti... Ammetto che non è facile, e poi ci sono un sacco di tecnicismi» fece Jem liquidando l'argomento con un gesto secco della mano. «Tu, invece, che lavoro fai?»

Dan soffocò una risata con il dorso della mano che reggeva la sigaretta.

«Scusa, è che dopo questo, il mio ti sembrerà il lavoro più insulso del pianeta» lo avvisò, stringendosi nelle spalle. «Lavoro in una pasticceria vicino a Regent Street.»

«Ma dài!» esclamò Jem animandosi. «Lavoro anch'io in quella zona. Magari passo a trovarti qualche volta.»

«Perché no?» acconsentì Dan, sorpreso da quello slancio d'entusiasmo. «C'è qualcosa che ti piace in particolare?»

«Perché me lo chiedi?» Jem assunse un'aria diffidente. «Non starai pensando di corrompermi con qualche dolcetto.»

«Chissà» rispose l'altro con un sorrisetto furbo. «Non posso?»

«Dipende. Avete qualcosa con la Nutella?»

«Ehm... no, non credo.»

«Allora no» decretò inflessibile Jem.

«Però abbiamo un'ottima coffee cake» aggiunse l'altro speranzoso.

«Mmm. Caffè, caffè...»

«Ahaaa, beccato! Hai un debole per il caffè! Bene, ora so cosa portarti la prossima volta in cui avrò un favore da chiederti.»

«Spero non ne avrai bisogno. A proposito, eri assente per motivi di lavoro?»

«Già. Ho dovuto rimpiazzare un collega ammalato. Avevo programmato i turni così da tenermi libero per le lezioni, ma l'imprevisto c'è sempre» disse gettando la cicca e liberandosi della giacca di jeans. Chiuse gli occhi e si godette il tepore del sole sul viso e sulle braccia scoperte. Mentre si toglieva la giacca, Jem intravide delle lingue nere lambire la sua nuca e un altro disegno emergere da sotto la manica destra della t-shirt.

«È una fenice» disse Dan riaprendo gli occhi e indicando il retro del suo collo.

«Oh» fece Jem sentendosi improvvisamente a disagio, come sorpreso a spiare dal buco della serratura. «S-scusa, io non...»

«Non stavi ammirando i miei muscoli e tatuaggi?» scherzò il biondo con la baldanza di chi sapeva di non passare inosservato. «Questa, invece, è una croce celtica. Un tributo alle mie origini irlandesi» spiegò con una nota nostalgica nella voce, scoprendo il tatuaggio impresso sul bicipite ben allenato. Una croce dai bracci di uguale lunghezza decorati con una trama di linee intrecciate e circondata da un cerchio.

«E in onore delle tue origini inglesi che hai fatto? Ti sei tatuato il Tower Bridge sul petto?» domandò Jem caustico.

«Ah ah, non proprio» sogghignò Dan, abbassando la manica e lasciandogli il dubbio. «E tu? Che mi dici di quello?»

I suoi occhi fissavano il polso destro di Jem.

«L'ho notato mentre scrivevi» si affrettò ad aggiungere.

Jem tirò d'istinto la manica della camicia sul triangolo d'inchiostro.

«Oh, quello... Non è niente» tagliò corto, ritrovandosi in piedi e con lo zaino in spalla senza neanche accorgersene.

Tre ragazzi e il loro sogno. Il simbolo di una promessa. L'inizio della fine.

Non deve sapere.

Nessuno deve sapere.

La sua risposta evasiva non sfuggì a Dan.

«Non ne vuoi parlare, eh? Ok, got it» fece recuperando la giacca e affiancandolo attraverso il cortile. «Mi dispiace, non volevo metterti a disagio» aggiunse vedendolo serio e taciturno.

«Non preoccuparti. È tutto ok.»

«Sicuro?»

«Sì, solo... ricordi non proprio piacevoli.»

Dan si limitò ad annuire. Decise che fosse meglio cambiare argomento.

«Allora, prendi anche tu i mezzi per venire qui o abiti da queste parti?»

«Prendo la metro da Hampstead, zona due a nord di Londra. Vivo lì con la mia ragazza.»

«Sei in buona compagnia, quindi» disse il biondo dandogli un colpetto col gomito. «Studia anche lei qui?»

«Sì. È iscritta al corso di linguistica. Passa molto tempo qui tra lezioni, tutoraggio, pomeriggi in biblioteca e riunioni di qualcuno dei mille club a cui è iscritta. È instancabile.»

«State insieme da molto?»

«Due anni e tre mesi.»

«Mmm, sembra una storia seria» constatò Dan. «Come si chiama la fortunata?»

«Sara. Ci conosciamo da sempre, in pratica. Abbiamo frequentato le stesse scuole e condividiamo molti interessi. È una ragazza straordinaria. Le piace tutto ciò che è arte, adora ballare – ha studiato danza classica – ed è impegnata nel sociale. Nomina una buona causa per cui lottare e la troverai lì, schierata in prima linea. E poi, è bellissima» dichiarò Jem fiero. «Sono io quello fortunato.»

«Wow! Da come la descrivi dev'essere una ragazza davvero speciale. Unica.»

«Lo è. L'unica e sola» enfatizzò Jem.

«Lovely!» esclamò Dan con un entusiasmo che suonò un po' forzato. «Sono contento per voi.»

«Tu, invece, in che zona vivi?» s'informò a sua volta il moro.

«Io sto a Brixton, capolinea della Victoria Line a sud. Divido l'appartamento con un altro studente.»

«Brixton?» Jem si fermò e corrugò la fronte. «Non è una zona pericolosa?»

«Lo era in passato, ma è stata riqualificata. Oggi è un quartiere giovane, multiculturale, con un mercato caratteristico e tanti negozi. C'è una bella movida la sera, non mancano pub e locali dove spassarsela.»

«Parli per esperienza?»

Dan sogghignò malizioso. «Non crederai che abbia passato due anni qui solo a lavorare.»

«Ti piace la vita mondana, dunque. Sei single?»

«Felicemente single» rimarcò il collega, abbandonandosi a un sorriso beato che Jem invidiò e detestò.

In quel momento realizzò che non sarebbe mai stato in grado di sorridere a quel modo. Perché lui, a dispetto di ciò che aveva, non poteva dirsi felice.

Il fascino della seduzione, la leggerezza di un cuore innamorato, le promesse di felicità eterna erano solo un mucchio di illusioni. Il Jem adolescente rifuggiva l'amore come la peste prima di cedere anche lui al suo irresistibile richiamo. E nel momento in cui aveva abbassato le barriere della ragione e si era concesso di essere felice, il mondo gli era franato addosso.

L'amore rende infelici.

L'amore rovina.

Non c'è benedizione senza rovina, in amore: una contraddizione intrinseca e universale, che tutti conoscono ma che nessuno riesce a evitare. Perché l'amore non lo puoi evitare, così come non puoi evitare di provare dolore se qualcuno ti strappa il cuore dal petto.

La verità è una e una sola: se ami qualcuno, sarai infelice.

«Ehi, senti un po',» il viso spensierato di Dan e il suo entusiasmo lo riportarono al presente «perché non ci facciamo un giro dalle mie parti qualche volta? Sembri uno di quelli così impegnati da non avere mai tempo per sé. Dovresti concederti un po' di svago, sul serio.»

«Se per svago intendi stare per ore chiusi in un locale buio, puzzolente e pieno di ubriaconi sudati, no, grazie. Passo.»

«Che c'è, sei astemio?» lo schernì Dan sorpreso dall'asprezza della sua reazione.

«No, ma evito di bere se posso.»

«Bad memories with alcohol

«Awful memories.»

«Well, it's a shame!» sospirò Dan rassegnato. «Mi sarebbe piaciuto presentarti i miei amici. Ma se non ti va, non insisto. Non vorrei ti trovassi a disagio. They are heavy drinkers, you know...»

Jem scrollò le spalle, indifferente.

«Quindi, ricapitolando, alcol e tatuaggi sono argomenti off limits con te. Buono a sapersi» constatò Dan increspando la fronte. «Sei un tipo particolare, lo sai?»

«Grazie per avermelo ricordato» disse Jem atono. «Ma va bene. Sono abituato a recitare la parte dell'outsider.»

«E scommetto che non ti dispiaccia poi tanto.»

La chiacchierata venne interrotta dall'incursione di due ragazze che, avanzando a passo concitato, gli si pararono di fronte. Una aveva lunghi capelli castani tirati in una coda alta, sopracciglia arcuate, naso appuntito e una generosa dose di blush spalmato sulle guance; indossava una canotta giallo canarino ricamata e dei jeans che aderivano perfettamente alle sue lunghe gambe magre. L'altra era bassa e ricciolina, graziosa nei tratti ma meno appariscente della prima; si era messa in disparte, come se fosse stata trascinata lì a forza.

«Ciao, Jem!» lo salutò la tipa alta con un sorriso a trentadue denti, ricevendo sguardi confusi in risposta.

«Ehm... ciao» disse Jem in tono incerto. «Ci conosciamo?»

«Oooh, scusa, che stupida! Sono Victoria... Vicky! Forse non ci siamo mai presentati. Sono con Sara nel club femminista e nella società per la tutela dell'ambiente» spiegò porgendogli la mano. «Ed ero alla festa di compleanno di Emily» aggiunse, leggendo ancora il dubbio negli occhi del suo interlocutore. A quelle parole, Jem s'illuminò. Emily era una cara amica inglese di Sara: si erano conosciute a lezione e non si erano più lasciate. Gestivano insieme le pagine social del loro Book Club ed erano sicuramente iscritte a qualche gruppo attivista di cui non ricordava il nome.

«Ah sì, la festa di Emily. Ora ricordo» disse impacciato, stringendo la mano prima a lei, poi all'altra ragazza che si presentò come Rose.

«No problem» Vicky emise un risolino acuto e si rivolse a Dan. «Noi invece ci siamo visti un paio di giorni fa al...»

«Refettorio» completò Dan per lei. «Peccato per quella lasagna. Doveva essere buona...»

«Oh, nooo, non sai quanto mi dispiace! Sono proprio un'imbranata» gemette Vicky in tono melodrammatico sgranando gli occhi e coprendo la bocca con le mani. «Tutto quel sugo! Credi che la macchia andrà via? Spero non fosse una maglietta preziosa.»

«Non preoccuparti, era solo una maglietta.»

«Era?! Oddio, sono mortificata! Prometto che mi farò perdonare, ehm...»

«Dan.»

«Dan» ripeté la ragazza illuminandosi. Il suo sguardo percorse ammirato il suo braccio ben tornito mentre gli stringeva la mano.

«Scusate, non vi ho ancora detto perché vi ho disturbati. È che vi ho visti e ho pensato fosse stato carino invitarvi di persona.»

Dan e Jem si scambiarono un'occhiata interrogativa.

«Sabato sera do una festa a casa mia» annunciò elettrizzata. «Una cosa intima e informale, solo colleghi e qualche amico. Volevo dirlo a Sara, ma non ho salvato il suo numero e oggi non l'ho ancora vista in giro. Che fortuna che ci siamo beccati!»

«Che fortuna» l'assecondò Jem in tono piatto. «Grazie dell'invito, riferirò.»

«Verrete? Ci terrei tanto» lo pressò Vicky in tono supplichevole.

«Certo che verremo» s'intromise Dan con un sorriso sfolgorante, prendendo Jem in contropiede.

«Marvellous!» esultò la ragazza battendo le mani e scambiandosi un'occhiata trionfante con l'amica. «Posso lasciarvi il mio numero, se volete, così vi mando l'indirizzo.»

«Ok.»

Dan si fece avanti con disinvoltura, smartphone alla mano.

Come rimorchiare all'università: lezione uno, pensò Jem squadrando con distacco i tre e sentendosi di colpo un alieno.

Le ragazze salutarono e si allontanarono confabulando.

«Complimenti, hai fatto colpo» decretò Jem sollevando un sopracciglio in direzione di Dan e riprendendo a camminare.

«Non era mia intenzione, ma...»

«Non fare il modesto. Se io sono l'outsider, tu sei il dongiovanni. Adesso che abbiamo anche festa e spasimanti, la commedia può andare in scena.»

«Ah ah, ma come parli?! Commedia? Spasimanti? Guarda che non ho fatto niente di che» si difese lui divertito dal cipiglio ombroso di Jem. «Basta cogliere l'occasione, scambiarsi i contatti e il gioco è fatto. Easy peasy!»

«Easy peasy for you» puntualizzò Jem lanciandogli un'occhiata pungente e scatenando nel biondo una risata colpevole.

Quel ragazzo aveva tutto ciò che un essere umano potesse desiderare: fisico scolpito, occhi di un blu magnetico e un sorriso che avrebbe stregato chiunque; per di più, sapeva attaccare bottone con gli sconosciuti con una naturalezza disarmante ed era senza dubbio di gran compagnia alle feste. Dopo solo un paio di lezioni, tutte le ragazze del corso erano crollate ai suoi piedi come birilli a uno strike.

L'aitante rubacuori gli mollò una vigorosa pacca sulla spalla a mo' di saluto. «Ci si vede alla festa, allora. Non portarti dietro tutto quest'entusiasmo, eh!»


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