Black out

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Quel qualcuno alto e grosso e decisamente conosciuto altri non è che Stefano, con le gote leggermente arrossate da calore e alcol e le mani saldamente posizionate sui miei fianchi, dove mi ha afferrata pochi secondi prima per impedirmi di cadere.

«Oddio, scusami!» biascico, nel tentativo di ricompormi dopo che nell'urto con il suo petto ho preso una storta e mi sono quasi rotta una gamba cadendo dalle scarpe alte. Per fortuna mi ha vista arrivare ma non è riuscito a spostarsi in tempo, per cui mi ha afferrato al volo prima che potessi rovinare a terra.

«Tranquilla» sorride mesto con gli occhi leggermente socchiusi, probabilmente ha bevuto più di quanto avrebbe dovuto.

«Tu sei Sofia» esordisce quando le porte dell'ascensore si chiudono e finalmente questo comincia a muoversi, portandoci verso la destinazione. Deve aver decisamente bevuto troppo se sta ammettendo di conoscermi nonostante non abbiamo mai parlato, così decido di sorridere di rimando ed evitare qualsiasi conversazione di cui domattina potrebbe pentirsi.

«Io ti guardo sempre, sei davvero bella» continua a parlare, incurante del fatto che io non abbia proferito parola e che al momento gli stia dando le spalle. Farei qualsiasi cosa pur di evitarlo, potrei persino farmela a piedi se questo coso mi permettesse di scendere adesso.

Probabilmente qualcuno dall'alto deve aver udito i miei sproloqui mentali e si sta adoperando per rendere il mio soggiorno su questa terra –e in questo ascensore- molto più simile all'Inferno dantesco.

Un rumore metallico e decisamente non di buon auspicio ci fa scattare sull'attenti, consci che la situazione si stia mettendo male. In effetti, più che male, la situazione sta per diventare malissimo.

Lo stridio metallico ha presagito il brusco arresto dell'ascensore, che dopo un tonfo sordo e trenta secondi di blackout totale -in cui nella mia testa si sono susseguiti i peggiori scenari- è stato scosso in maniera talmente violenta da farci cascare entrambi a terra.

La prima cosa di cui riesco a prendere coscienza, dopo gli attimi di panico in cui ho letteralmente sentito il cuore pulsarmi in gola, è che il tacco delle scarpe si è spezzato e mi ha piegato la caviglia, la quale ora sembra pizzicata da centinaia di aghi contemporaneamente. Dubito che sia rotta, nonostante il dolore riesco a muoverla completamente, ma credo di aver preso una brutta distorsione.

Stefano, invece, se ne sta accasciato con il capo sullo specchio e un'espressione di dolore sul volto. Credo che nell'impatto abbia battuto la testa, ma non riesco a mettermi in piedi da sola per accertarmi che stia bene; lui, d'altro canto, non sembra essere molto collaborativo.

«Stefano, hey, voltati per favore, ho bisogno d'aiuto» tento di coinvolgerlo più possibile per spronarlo a reagire, ma l'unico mutamento che noto è una maggiore contrazione dei suoi muscoli facciali.

«Ti prego, devo alzarmi, non ce la faccio da sola» la mia voce ormai somiglia più a una supplica che all'ordine autoritario che avevo formulato nella mia testa e che avrebbe dovuto farlo voltare immediatamente, ma paradossalmente riscuote più successo.

Il mio lamento lo ha spaventato, per cui ora mi osserva con gli occhi sgranati attraversati da un lampo di panico, permettendomi di osservarlo meglio: sotto gli occhi chiari due occhiaie sono accentuate dal rossore sulle gote; le labbra socchiuse permettono a un maggior quantitativo d'aria di raggiungere i polmoni, già fortemente provati dai respiri spezzati che gli sollevano ritmicamente il petto; una ciocca di ricci ribelli, sfuggita alla cera, si poggia sulla fronte grondante di sangue.

«Tesoro, abbassati per favore, siediti accanto a me» gli faccio posto contro la parete provando a mantenere un contegno e una calma che in questo momento non mi appartengono, ma a quanto pare lui è già abbastanza terrorizzato per entrambi.

Non si è accorto del sangue finché qualche gocciolina non mi è scivolata sulla mano quando gliel'ho passata sulla fronte, e adesso è, se possibile, ancora più spaventato e irrequieto. La loquacità che ha sfoggiato fino a pochi minuti prima sembra essere svanita, insieme al colorito roseo sul viso, ora improvvisamente pallido. Deduco che sia impressionato dalla vista del sangue, per cui cerco di adoperarmi al fine di bloccare il flusso che continua a scorrere dal taglio profondo sulla fronte.

Tre anni di infermieristica pediatrica, turni infiniti di tirocinio e una serie di esami superati con ottimi voti avrebbero dovuto prepararmi al meglio ad una situazione del genere, eppure mancano gli strumenti per poter fare qualcosa di concreto. Inoltre i bambini non sono così spettrali, quando sono spaventati piangono e gridano, e preferirei di gran lunga sentire le urla di Stefano piuttosto che il suo respiro affannoso e spezzato.

«Okay, adesso sta' tranquillo, è solo un taglietto, fermo subito il sangue» tento di tranquillizzarlo come meglio posso mentre spremo le meningi cercando qualcosa da utilizzare per coprire quel taglietto che aveva persino frammentato lo specchio.

«Mi serve qualcosa di stretto per fasciarti» dico a voce alta, coinvolgendo anche Stefano nel tentativo di risvegliarlo dal torpore in cui pareva essere caduto.

«In ascensore non c'è mai un kit di emergenza, gli unici oggetti a disposizione sono quelli che ho nella borsa e quelli che... indosso!».
Di colpo un'illuminazione mi fa balzare in avanti, sotto lo sguardo stupito e sempre più teso di Stefano che mi osserva posare le mani sul seno.

Ho bisogno di qualcosa di stretto da poter legare intorno al suo capo, e la cosa più stretta presente in questo abitacolo è proprio il mio crop top, che sfilo velocemente adagiandolo sulla sua fronte e stringendo dietro la testa, riuscendo finalmente a fermare il sangue che scorreva copiosamente.

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