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Rientrata l'emergenza, l'adrenalina che mi ha fatto agire così prontamente sta lentamente fuoriuscendo sotto forma di sudore. Mentre la temperatura all'interno dell'ascensore sale vertiginosamente, Stefano riprende colorito e facoltà mentali smaltendo l'alcol assunto durante la serata.
Invano abbiamo tentato di farci udire dall'esterno poiché la musica ovatta ancora gli altri suoni, il pulsante di emergenza, inoltre, è andato fuori uso, per cui saremo rimasti chiusi qui dentro per chissà quanto altro tempo.

Dopo averle tentate tutte ci siamo lasciati cadere lungo le pareti e abbiamo ripreso fiato, sperando che prima o poi qualcuno si sarebbe accorto di quell'ascensore fuori uso e avrebbe mandato dei tecnici a liberarci.

«Grazie» mi sorride d'un tratto Stefano, mentre nella mia testa sto ripercorrendo tutte le mosse sbagliate compiute dal primo vagito, cercando di capire chi possa avercela con me al punto da augurarmi di rimanere bloccata in ascensore con l'uomo dei miei sogni e in reggiseno per poterlo curare. Sì, ho decisamente problemi mentali.

«Figurati» gli sorrido di rimando, cercando di evitare il suo sguardo. Sono consapevole di non essere al meglio delle mie condizioni, avvolta da una patina di sudore che si sta asciugando sulla pelle, col trucco sfatto e senza una maglietta indosso.

Diciamo pure che il problema principale è la maglietta, non l'avrei mai tolta, ma c'è stata una situazione d'emergenza e ho dovuto sfruttare tutti gli strumenti disponibili sul luogo, compresi miei abiti.

«Sai il... sangue mi dà la nausea» si giustifica gesticolando animatamente e rischiando più volte di togliersi la fasciatura, ormai allentatasi a causa del tempo trascorso.

«Tranquillo, è piuttosto comune, una volta ho visto un tirocinante oss svenire quando sono saltati i punti di sutura di un'operazione» rispondo per rassicurarlo; solitamente i maschi credono di dover essere impavidi, intrepidi in qualsiasi situazione, quando invece è normale provare timore.

«Beh, almeno io mi tengo a debita distanza dagli ospedali» ironizza, ridendo leggermente e sospirando all'ennesimo movimento della fasciatura.

«Aspetta, la sistemo di nuovo» mi sporgo verso di lui prima che faccia danni e il sangue riprenda a sgorgare in fiotti. La sua statura non è molto superiore alla mia, ma per ottenere la giusta angolazione da cui osservare la ferita ho bisogno di sollevarmi sulle ginocchia e avvicinarmi a lui.

«Il sangue si è fermato, dovremmo disinfettarla almeno superficialmente ma non ho niente di meglio della saliva» spiego, tentando di eliminare le tracce di sangue rappreso dalla sua fronte.

«Fai pure, io preferisco non vedere né sapere niente» scherza ancora, facendo ridere anche me. Forse l'ho giudicato troppo presto, non tenta di nascondere i propri timori, non teme di mettere a rischio la propria virilità, magari voleva solo spiegarmi la sua reazione piuttosto estrema.

«Tutto sistemato, spero solo che ci tirino fuori prima di doverla aggiustare nuovamente» provo a scherzare anch'io, allontanandomi leggermente per controllare di aver coperto l'intero taglio e accorgendomi solo in quel momento del suo sguardo posato sul mio seno.

Se prima la situazione era già abbastanza imbarazzante, ora è difficile stabilire chi dei due sia più desideroso di scomparire all'istante: io ho percepito il sangue affluire direttamente sulle guance, ora di un vivido color pomodoro, e in una situazione normale mi sarei attribuita il primato; tuttavia Stefano, oltre a un ben poco discreto color pesca sulla gote abbronzate, ha persino iniziato a balbettare, per cui non me la sento di rubargli il primato così alla leggera.

«S-scusa... s-scusami io... no-non sono un maniaco» continua a balbettare ininterrottamente finché la mia risata -isterica, imbarazzata e piuttosto divertita- lo mette finalmente a tacere.

«Scusami tu, non avrei dovuto sbattertele in faccia così alla leggera» cerco di sdrammatizzare questa situazione oramai divenuta tragicomica. In un altro contesto avrei davvero iniziato a scavarmi una fossa, profonda almeno quanto basta da permettermi di raggiungere il magma, ma oramai siamo bloccati in ascensore da circa un'ora, la lucidità sta svanendo e la stanchezza sta avendo la meglio su entrambi.

«Non che mi dispiaccia eh» si lascia sfuggire con un sorriso sornione, salvo poi soffocarlo con un colpo di tosse, dandosi poco discretamente del coglione e decidendo saggiamente di mettersi a tacere mordendosi un dito e affondando la testa tra le ginocchia.

«Non ti reputo un maniaco, penso solo che tu sia un maschio leggermente brillo a cui qualcuno ha mostrato il seno» osservo tranquillamente, aggiungendo nella mia testa qualcuno di estremamente stupido dopo aver aperto la mia stramaledetta bocca.

Perché gli insulti verso la propria persona abbondano in questo ascensore.

«Credo di aver smaltito almeno tre dei sette bicchieri di vino che ho bevuto» confessa, strofinandosi gli occhi con le dita come farebbe un bambino molto stanco.
In effetti tra i riccioli biondi, gli occhi grandi e le gote ancora arrossate, gli manca solo un dito in bocca per mimetizzarsi tranquillamente con un bimbo che sta per addormentarsi.

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