Bunker 300, ore 15:39

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Ivy mi corre incontro non appena apro la porta dell'infermeria. Mi salta addosso, le sue zampe mi si conficcano quasi nello stomaco. La lingua che mi dissemina bava sulla faccia è liscia come sempre. La sua pelliccia, sotto le mie mani, è ancora morbida come la ricordavo.

Crollo in ginocchio, sulla sostanza nera, e le affondo il viso nel collo. Del suo odore, quella puzza confortevole che, per me, ha sempre significato casa, non è rimasto nulla.

C'è soltanto zolfo.

Eppure, lei è proprio Ivy. Pigola non appena si accorge delle mie lacrime. Prova ad asciugarmele via. Mi esce una risata strozzata dai singhiozzi, e lei inclina la testa di lato, incuriosita.

«A quanto pare i cani reggono meglio dei gatti.» Mirtilla se ne sta in piedi dietro di me, a osservarci. Neanche la ascolto. «O forse è solo lei che è speciale.»

«Ivy? Ehi, piccola» la chiamo, e lei torna a slinguazzarmi i palmi. «Piccola, anch'io sono felice di rivederti. Non ti ho abbandonata, visto? Non lo farei mai. Scusami. Scusami se ti ho lasciata sola.»

«Se ti unisci a me, potrete stare insieme.»

Il significato nascosto della sua affermazione mi blocca il respiro e perfino le lacrime. Potremmo restare insieme, come due mostri uniti da un'entità superiore che ci comanda, separate dal resto della famiglia. Oppure, posso scegliere di combatterla.

Non ci sono altre soluzioni. Questa è la scelta che la vita mi pone davanti.

E io non sono pronta. Ho affrontato mostri, lottato contro i miei amici, li ho visti morire, eppure non sono pronta. Sono tutti avvenimenti che dovrebbero avermi resa più dura. Dovrei essermi costruita una corazza con cui proteggermi dalle ingiustizie della vita, a questo punto, no? Nei film funziona così. Nei libri funziona così.

Invece mi sento più a pezzi di prima. Più fragile. Tutta questa storia mi ha strappato l'anima in tanti piccoli pezzetini e li ha gettati sul fondo di un pozzo, nel buio più oscuro. Mi rimane solo un pezzettino microscopico ancora al suo posto, ma si è smosso non appena ho poggiato gli occhi su Ivy. Non appena il suo odore mi ha colpita.

Poggio la fronte contro la nuca della mia cucciolona. Chiudo gli occhi. Assaporo il momento.

«Se mi unisco a te, posso veramente resta' co' lei?»

«Sì.»

«E sarà davvero lei? Voglio dire...» La lingua mi si accartoccia su se stessa. Mi fermo. Deglutisco. Respiro. Ricomincio. «Resta Ivy? O sei solo tu dentro il suo corpo?»

Gli occhi di Mirtilla sono focalizzati su Ivy: seguono il movimento della sua testa mentre si struscia sulla mia maglia. «Adesso chi pensi che sia?»

Non ho bisogno di riflettere per conoscere la risposta. Questo ammasso di peli qui davanti è proprio Ivy, e niente potrà mai farmi cambiare idea. Lo vedo scritto perfino nel suo sguardo, il suo amore incondizionato per me, quell'amore puro, che solo un animale sa regalare.

«Ma come faccio a esse' sicura» comincio «che rimane così? Se si trasforma dopo? Come Maria?»

«Sta a te scegliere se rischiare.»

Certo.

Ovvio.

Porca troia, giuro che darei qualsiasi cosa pur di riportare Ivy nel suo stato normale, per permetterle di restare se stessa. Perfino l'ultimo pezzettino della mia anima ancora attaccato al suo posto, se servisse a qualcosa.

«Potreste tornare in superficie insieme. Non ti piacerebbe, vederla scorrazzare in giro come dovrebbe?»

Se non fosse per Giulia e per i miei genitori e perfino per Davide, avrei già deciso. Così però il mio cuore è diviso in due metà, una tende verdo Ivy, la cerca, la vuole; l'altra desidera la mia famiglia.

«Ci sono anche loro.»

Un rumore ne preannuncia l'arrivo. Tonino entra nella stanza, calmo, muovendo un braccio o una gamba alla volta, come un ragno a sole quattro zampe. Un'altra creatura lo accompagna: si regge ancora dritto, ma del suo viso resta ancora meno. Non è altro che un cumulo di pelle che gli ripende dalla testa. Due code gli si attorcigliano attorno alla vita, mentre l'ultima si agita e tasta le pareti, come se stesse scandagliando il luogo.

Riconosco ciò che rimane dei suoi vestiti luridi. Cris.

Torno a concentrarmi su Ivy, sul suo musetto umidiccio, perché temo che altrimenti perderei il lume della ragione. Riesco solo a versare lacrime silenziose, e null'altro.

«Allora? Hai preso la tua decisione?»

Come potrei?

Ivy mi lecca la guancia, poi le palpebre, e infine mi sbuffa sul naso. Cerco i suoi occhi. Neri. Enormi.

E ora so. So la risposta.

«Va bene» annuncio. «Mi unirò a te.»

Un nuovo sorriso si fa strada fra le labbra di Mirtilla. «Hai fatto la scelta giusta» dice. «Mandane giù un po', sarà abbastanza.» Indica la sostanza nera che ricopre il pavimento e le pareti dell'intera stanza.

Non riesco a fermare in alcun modo il tremolio delle mani. Una piccola parte del mio cervello cerca di dirmi che è assurdo fare tutto questo soltanto per un cane: l'aspetto di questa voce somiglia tanto a Maria, com'era prima di trasformarsi, quando non passava giornata senza che mi ricordasse che Ivy non è altro che un cane e non vale quanto una persona.

Peccato che il mio cuore la pensi diversamente.

E poi, tanto ormai non ho altra scelta se voglio avere una speranza di sopravvivere.

Affondo le dita nella sostanza, chiudo gli occhi e stringo i denti nel sentirla così viscida e schifosa.

Dai, La'.

Con l'altra mano mi tappo il naso. Apro la bocca. Quando la avvicino abbastanza, la sostanza si infila nella mia gola di sua spontanea volontà, una gigantesca lumaca che mi sguscia sulla lingua e nella trachea.

La sua voce arriva subito dopo. Forte, totalizzante. Mi paralizzo sotto gli occhi di Ivy e Mirtilla.

Sussurri che non comprendo. Frasi sconnesse. Tutte cose che mi riempiono la testa, ma che non hanno alcun significato. Questa è la sua essenza, e dovrei accettarla adesso, dovrei unirmi a lei e lasciare che decida cosa farne di me. Scoprire se, una volta che mi sono arresa, mi permetterà ancora di ragionare con la mia testa, di essere me.

Avrei pensato che avesse una voce diabolica, degna di un diavolo, invece è melliflua e calda. Il mio cervello però la rigetta. Non la vuole accogliere.

Sento le lacrime bagnarmi le guance e scendermi lungo il collo.

Non mi voglio ribellare, ma non riesco a non farlo. La sua presenza si espande sempre di più dentro di me, cerca di muovermi a suo piacimento. Mi controlla le dita, il braccio, mi ordina di muoverli, ma non riesce a produrre altro che degli spasmi inconsulti.

«Che cosa cerchi di fare?»

A parlare è Mirtilla, come è la voce melliflua che mi rimbomba all'interno. Spinge in ogni direzione, alla ricerca di un punto debole, di una parte di me da comandare a suo piacimento, da trasformare.

Si scontra con quell'ultimo, stupido pezzettino di anima che ancora rimane al suo posto. Io finisco con le mani affondate nella sostanza e un dolore che mi attraversa i muscoli, la carne, e scorre sempre più in profondità.

«Tu sei» inizia Mirtilla. Si blocca per un attimo, durante il quale la sua essenza mi trafigge il cranio con una stilettata. «Sei peggio di quei gatti.»

Le mie dita si stringono in un pugno, ma non sono io a ordinarlo.

«Ho fatto un grosso errore di calcolo» la sento lamentarsi. «Mi dispiace, Lara, ma a quanto pare ti dovrò eliminare.»

Assurdo. Per cosa cazzo sto soffrendo a fare allora?

Tonino e Cris fanno schizzare le code nella mia direzione. Le sento sferzare l'aria, ma non posso muovermi. Morirò così. A un passo da Ivy. Sto per deludere tutti, sia lei, sia Giulia.

La mia condanna non arriva mai. Niente mi libera dalla sofferenza di questo schifo di merda che cerca di ordinarmi cosa fare e come pensare e che io, per qualche assurdo motivo, non riesco ad accettare. Ho scelto io di ingerirlo, eppure il mio istinto si ribella.

Con grande sforzo, riapro gli occhi. I denti di Ivy sono più lunghi di quanto dovrebbero, sporgono in un grigno minaccioso. I peli sulla coda le sono caduti, adesso volano sul pavimento. Al posto di scondinzolare come avrebbe dovuto, quella stessa coda,nuda e rossa, si è allungata fino ad afferrare in una morsa quelle di Tonino e Cris.

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