Chapter 41 - Ave Atque Vale

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Arrivai al piccolo cimitero improvvisato, cercando esattamente dove mi aveva indicato Maggie: terza fila, seconda tomba a destra. Raggiunsi abbastanza in fretta il luogo indicato, sperando di non trovarvi ciò che stavo cercando; e invece, non appena il mio sguardo si posò sul suo nome, percepii il mondo crollarmi addosso, il cielo frantumarsi in tanti piccoli pezzi di vetro cristallini e il terreno spaccarsi sotto i miei piedi.
"Papà, perché te ne sei andato, perché non sei rimasto..." Sussurrai a fior di labbra, scuotendo la testa e piegandomi in due per il dolore, finendo in ginocchio di fronte alla sua tomba.
Sembrava tutto così surreale, come se non fossi io la protagonista di ciò, ma una semplice spettatrice al di fuori della bolla degli eventi. Strinsi i pugni talmente forte da piantare le unghie nella carne, sentendo poi il sangue colarmi giù dal palmo, fino ad arrivare sulla gamba; cercavo un dolore meno permanente, di tipo fisico, piuttosto di quello morale che mi stava uccidendo lentamente in quel momento. Le lacrime cominciarono a spingere per uscire una volta che il mio cervello ebbe realizzato l'accaduto, ed io non potei impedirglielo; erano calde mentre scivolavano lungo il viso, ma avrei preferito fossero gelide, per sentirle ancora meglio contro la mia pelle già bollente. Mi afferrai le braccia, abbracciandomi da sola, cercando di non cadere in mille pezzi, ma rimanendo integra. I singhiozzi mi scuotevano il corpo in modo violento, il sangue ricopriva in piccole porzioni parte delle gambe e delle braccia, il cuore pareva esplodere e la vita sembrava volermi abbandonare in quel momento, come se non avesse più alcun senso tenerla stretta a me. Intorno a me non c'erano altro che immagini sfocate, i suoni di chi urlava e lavorava erano attutiti, una bolla mi avvolgeva e mi isolava di conseguenza da tutto il resto; finalmente ero consapevole di ciò che stava accadendo, ero la protagonista di un dramma, in cui mio padre non poteva restare. Sentivo che quella parte di me, quella ragazzina che era scappata quando il padre glielo aveva gridato, era morta con lui.
Si era portato via l'unico ricordo di quando ancora il dolore fisico e morale non esistevano, la tristezza era un semplice brutto voto preso a scuola o una sgridata per una marachella, e l'istinto di sopravvivenza era sommerso dal conforto della propria casa. Quando tutto cambia all'improvviso, e si è costretti a dover crescere di colpo, ciò che davi per scontato diventa una delle cose più importanti che tu possa possedere: l'acqua e il cibo, un bagno pulito, la carezza di una persona cara. In me, oramai, non esisteva più niente che mi collegasse alla vecchia vita, nessun legame con la bambina che litigava con il fratello maggiore, che ascoltava il padre quando parlava di mitologia e che cercava amore nelle braccia della madre.
Erano tutti morti, chi per un motivo e chi per un altro.
In quel momento alzai il viso pieno di lacrime, accarezzai il nome sulla piccola corce e mi posizionai con la schiena dritta, sussurrando delle promesse rivolte a me stessa.
A mio padre.
Ormai la parte di me ancora innocente e infantile era morta, al suo posto c'era un vuoto da riempire; l'avrei sostituito con quella che ero diventata, una ragazza adulta e matura, alle volte impulsiva, ma comunque razionale. Sarei sopravvissuta in quel mondo ostile, pieno di ostacoli, popolato da mostri che non vedevano l'ora di ammazzarti, in una società in cui guardarti le spalle era una delle cose essenziali da fare, almeno per il momento.
Ma c'erano anche dei lati positivi in tutto quel caos.
Mi sarei lasciata amare e avrei amato a mia volta, senza mettere un freno al mio cuore, ma rischiando e soffrendo come una qualunque adolescente. Per quello che avrei potuto fare, avrei cercato di avere una vita 'abbastanza' normale, cominciando a creare progetti e costruendo castelli fatti di sogni e speranze, tenuto su da desideri.
"Pulvis et umbra sumus." Sorrisi tra le lacrime, ricordando e ripetendo le parole che mi diceva continuamente mio padre, provenienti da un'opera di Orazio: signficavano siamo polvere e ombra, ma non avevo mai capito fino in fondo che cosa volessero veramente dire.
Almeno, fino a quel momento.
Siamo granelli di polvere compatti, incollati dall'aria che respiriamo e seguiti dalle ombre del nostro passato, oltre a quelle che sono riflesse sul pavimento e i muri. E se fossero le nostre anime? In fondo, non ci lasciano mai, quando muoriamo diventano più sbiadite, non sono più di quel nero pece. Non ce ne rendiamo mai conto, ma forse è la verità: anima e corpo sono due realtà diverse, dove quest'ultimo è solo un involucro, una specie di prigione, esattamente come affermava anche Platone migliaia di anni prima. Forse aveva ragione, probabilmente il corpo è solo un intreccio di ingranaggi e olio, mentre l'anima è ciò che ci differenzia da tutto e tutti, e di conseguenza non può mai morire. Come il ricordo.
"Mi dispiace per tuo padre." Disse all'improvviso una voce dietro di me, facendomi sobbalzare; non ebbi neanche il bisogno di girarmi, sapevo benissimo a chi apparteneva.
"Grazie." Risposi con voce gelida, chiudendo a pugno le mani, sentendo le unghie penetrare nel palmo di nuovo.
"Carl ti stava cercando." Mi informò, mentre io mi alzavo in piedi, spazzolandomi via la terra.
Senza che aggiungesse nulla, cominciai ad incamminarmi verso la casa dove io e Carl stavamo momentaneamente, sperando di incontrarlo lì.
"Ferma!" Mi bloccò lei, avvicinandosi e parandosi di fronte a me, guardandomi dritta negli occhi. "So che ci sono state della divergenze tra noi, ma ora è tutto risorto, nessun rancore." Mi porse la mano, come a suggellare un patto di pace dopo un lungo periodo di battaglie.
Anche se di malavoglia, la strinsi; in fondo, perché non provare ad andare d'accordo?
"Vieni, ti accompagno."
La seguii, attraversando tutta la cittadina di Hilltop, fino ad uscire dalle mura ed arrivare ad un camper abbandonato poco distante.
"Entra, ha detto che ti aspetta lì dentro." Mi disse Enid, rivolgendomi un sorriso.
All'inizio indugiai, mi sembrava strano che Carl volesse incontrarmi in quel posto, avevo il dubbio che mi stesse prendendo in giro; poi però cedetti, ed entrai dentro a quel vecchio e arrugginito camper.
La porta si richiuse dietro di me.

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