Chapter 43 - Consolazione

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Carl mi accompagnò in infermeria per disinfettarmi le poche ferite che mi ero procurata, anche se quella era solo una scusa: voleva tenermi sotto controllo, e il modo migliore per farlo era quello di prendersi cura di me, anche se non ce n'era il bisogno.
"Ciao Siddiq." Lo salutai appena entrammo, e lui ricambiò il saluto.
Mi accorsi solo in quel momento che Negan non si trovava più nel letto in cui l'avevo visto il giorno in cui mi avevano dimessa; infatti esso era vuoto, con le coperte candide sistemate e senza la presenza di quell'uomo malvagio.
"Dov'è Negan?" Chiesi ai due ragazzi, non riuscendo a trattenere del tutto la preoccuoazione che era trapelata dalla mia voce.
"Tranquilla, Rick l'ha spostato in una piccola prigione che ha costruito fuori da Hilltop. È controllata da due guardie ventiquattr'ore su ventiquattro, quindi non abbiamo da preoccuparci." Mi rassicurò Siddiq, rivolgendomi un sorriso dolce, che io ricambiai immediatamente.
Era un bravo ragazzo, la sua educazione era basata sull'Islam, la religione dei suoi genitori, e su certi valori morali improntati sulla gentilezza e l'aiuto reciproco, oltre che al rispetto verso i vivi e i morti. Mi convincevo sempre di più del fatto che avevamo fatto bene a salvarlo, anche se ero stata abbastanza titubante all'inizio, dato che Carl ci aveva anche quasi rimesso la vita. Ora era quasi un amico, le varie dinamiche avevano impedito che potessimo conoscerci ulteriormente, ma speravo di avere più tempo una volta che tutto fosse finito.
"Vieni." Carl mi prese delicatamente un braccio e mi fece sedere sul letto lì vicino, per poi andare a prendere del cotone, disinfettante e una piccola pinzetta, anche se non capii bene per quale motivo l'avesse presa con il resto.
"Hai dei pezzi di vetro conficcati nel palmo." Mi spiegò lui, posando il tutto di fianco a me, per poi prendermi la mano destra e voltarla supina con gentilezza; realizzai solo allora che effettivamente dei piccoli pezzi della finestra erano penetrati nella pelle della mano. Cominciò ad estrarli lentamente, in silenzio e con attenzione, come se stesse eseguendo un'operazione chirurgica. Una volta che tutti i pezzi di vetro furono nel vassoio di metallo sul comodino, passò al disinfettante, con il quale impregnò in batuffolo di cotone. Sussultai non appena lo poggiò sulle ferite, sentendo un dolore pungente ed una scarica attraversarmi il corpo.
"Scusa, faccio più piano." Si scusò lui, e la sua mano tremò per un attimo.
"Non fa niente." Tentai di rassicurarlo, ma non alzò neanche minimamente il viso su di me; continuava a rimanere attento su ciò che stava facendo, evitando appositamente di incrociare il suo sguardo con il mio.
Non appena ebbe finito di medicarmi, ripose tutto quello che aveva utilizzato, buttando via ciò che non serviva più. Io rimasi seduta sul letto, aspettando che tornasse; quando lo fece, rimase in silenzio, appoggiandosi contro il materasso. Mi spostai in modo che il suo corpo fosse in mezzo alle mie gambe, mentre le mani ai due lati, separati dal mio corpo. Gli presi il viso e lo alzai, facendo finalmente incontrare i nostri sguardi. L'occhio -al cui cambio di colore repentino ero ormai abituata- era di un grigio chiaro come la nebbia, ma ciò che mi preoccupò di più fu l'espressione che aveva dipinto in volto: lo sguardo era triste e lucido, le lacrime che spingevano per uscire gli illuminavano il viso; la bocca una linea dritta e sottile, quasi invisibile.
"Che cosa sta succedendo Carl? È per Enid?" Gli mormorai, tirandolo verso di me quando riuscì a malapena ad annuirmi, mentre una lacrima scendeva a rigargli il viso. Lo chiusi in un abbraccio abbastanza stretto, nel frattempo lui si aggrappava a me, schiacciando la faccia contro la mia spalla.
"Non riesco a capacitarmi di quello che ha fatto, lei non... Non è così... No, non lo è, io... Io pensavo di conoscerla..." Sussurrò tra un singhiozzo e l'altro, mentre sentivo le lacrime calde bagnarmi la spalla, coperta ancora dalla maglia sporca che avevo utilizzato per rompere la finestra.
Non mi ero resa subito conto di quali effetti potesse avere quella situazione su Carl, soprattutto perché ero stata troppo impegnata a pensare come farla pagare ad Enid. Il mondo e le sicurezze che aveva finalmente acquisito si stavano sgretolando sotto ad un macigno più grande di lui: pensava che Negan fosse solo una persona da uccidere, un essere crudele e senza cuore; che suo padre fosse capace di uccidere tutti senza la minima esitazione, e che Enid fosse l'amore per cui aveva aspettato da tempo. Adesso l'istinto di uccidere Negan era scomparso, sostituito da un irrefrenabile impulso di salvare qualsiasi vita umana; suo padre si era rivelato più 'umano' e Enid non era decisamente chi credeva che fosse. E poi, d'altronde, aveva scoperto che i suoi sentimenti per me superavano di gran lunga quelli verso di lei. Si staccò dall'abbraccio all'improvviso, guardandomi con l'occhio rosso a causa del pianto; gli presi il viso tra le mani, facendo in modo che i nostri sguardi si incontrassero di nuovo.
"Mi dispiace." Mi sussurrò, poggiando la sua fronte contro la mia; gli asciugai una lacrima che era appena scesa, sforzando un piccolo sorriso.
"Ti dispiace per cosa, esattamente?" Gli domandai, passando le mani dal viso alle braccia, strofinandogliele.
"Perché tu hai appena rischiato di essere morsa, ed io sto piangendo per una stronzata." Scosse la testa con una piccola risata, mentre mi poggiava le mani lungo le cosce.
"Non ti devi dispiacere. Questo conferma solo che sei ancora umano; lato positivo, dato quello che sta accadendo nel mondo."
Avvicinai pian piano le mie labbra alle sue, facendo in modo di farle combaciare; lui si precipitò immediatamente in quel bacio, trasformandolo dall'essere dolce e delicato in qualcosa di disperato e bisognoso. Si aggrappò ai miei fianchi, stringendo forte, mentre io gli afferravo i capelli e li tiravo appena, provocandogli un po' di piacere. Fui io la prima tra i due che si staccò da quel bacio, nonostante la sensazione paradisiaca e di torpore, fissando per un attimo le sue labbra rosse e appena gonfie, che sfiorai appena con le dita.
"Devo andare un attimo a fare una cosa. Ci vediamo dopo, va bene?" Gli dissi, scendendo dal letto ed incamminandomi verso l'uscita, decisa a fare ciò che avevo in mente.

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