Chapter 5 - Negli Inferi

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"Hey, va tutto bene?" Gli chiesi ad un certo punto, come se stesse emanando una specie di aura negativa.
"Sì, più o meno." Rispose, fermandosi per togliersi il giubbino indossato durante l'andata e riporlo nella sacca.
"Cosa c'è che non va?" Domandai, mentre lui si rialzava in piedi, zaino in spalle.
"Un po' tutto, come sempre." Accelerò un po' il passo ed io dovetti cercare di affrettare il mio. "Sai com'è: l'inizio della fine del mondo è già cominciato; i morti non sono morti, anzi, rischiano di ucciderti; e non ti puoi fidare di nessuno, neanche dei vivi." Si sfogò Carl, alzando le spalle.
"Eppure ti sei fidato di me, e volevi fare lo stesso anche con quel ragazzo." Gli ricordai, facendolo bloccare e voltare verso di me, perché mi guardasse bene negli occhi.
"Vorrei credere che non tutto il mondo sia marcio, a partire dalle persone." Si giustificò Carl; lo guardavo nell'occhio, leggendovi dentro tutta la speranza che cercava di nascere, a partire da una piccola scintilla grigia per arrivare ad un fuoco azzurro ghiaccio. "Vorrei sperare che non siano tutti come i Salvatori, persone il cui unico obiettivo è uccidere e dominare con la violenza."
"Quello lo vorrei anch'io," ammisi con sicurezza e determinazione. "ma bisogna anche stare attenti, secondo te come sono sopravvissuta da sola per due anni, in un mondo del genere?" Gli chiesi, ma era una domanda retorica, infatti aggiunsi subito dopo: "Proseguendo con prudenza, non mi univo di certo con il primo gruppo che incontravo, potevano essere dei cannibali, come mi è capitato di incontrare."
"Terminus." Sussurrò lui, annuendo ed abbassando per un secondo lo sguardo.
"Ci sei stato anche tu?" Gli domandai sorpresa, mentre annuiva di nuovo.
"Mio padre e altri nostri due amici hanno rischiato di diventare il loro pasto; poi, per fortuna, Carol ci ha salvati tutti creando un diversivo." Rispose, spiegandomi che Carol era l'unica donna sopravvissuta che conoscesse da quando tutto era iniziato, e che era stata una sorta di 'zia', all'inizio; stava per aggiungere qualcos'altro, ma non appena ebbe pronunciato un nome -Sophia- si zittì all'istante.
Decisi di passarci sopra.
"Siete stati voi allora." Constatai, sorridendo per la bizzarra coincidenza. "Siete voi che avete dato fuoco e fatto entrare dei Vaganti a Terminus un attimo dopo che me n'ero andata."
"A quanto pare... Ma tu che ci facevi lì da sola?" Chiese ridendo.
"Chi ti ha detto che ero da sola?"
"Hai usato il singolare, lo davo per scontato." Spiegò, scrollando le spalle.
"Avevo appena perso mio padre, stavamo cercando di arrivare a Terminus perché avevamo letto su dei cartelli che era un rifugio, che accoglievano i sopravvissuti. Quando l'ho trovato sono entrata di nascosto, volendo esplorare un po' il luogo, per fortuna non mi avevano ancora visto; sarei anche rimasta, se solo non fossi entrata in un magazzino pieno di corpi penzolanti, e non avessi sentito una voce dalla stanza vicino che spiegava a qualcuno che uccidevano le persone per poi mangiarle." Incrociai le braccia al petto, cercando di non pensare al dolore acuto che avevo appena sentito al fianco.
"Stai bene?" Mi chiese Carl.
Gli avrei anche risposto, se solo non mi avesse afferrata per un braccio, per poi trascinarmi dietro all'albero più vicino, mettendosi l'indice sulle labbra e facendo segno di fare silenzio. Tentando di soffocare il dolore alla ferita, premendoci sopra una mano, mi sporsi dall'altro lato del tronco, vedendo un Vagante passarci davanti; poco dopo, venne abbattuto da un'accoltellata alla tempia da Carl.
"In the underworld." Dissi sottovoce mentre mi avvicinavo a lui, non credendo mi avesse sentito; ed invece era proprio così.
"Cosa?" Chiese infatti un secondo dopo, guardandomi stranito.
"In the underworld." Ripetei, questa volta a voce più alta, affiancandolo. "È il termine che sta ad indicare gli Inferi; nell'antichità si usava per simboleggiare l'Ade, luogo in cui riposavano o venivano torturate le anime nell'antica Grecia, regno del Dio Ade, appunto." Spiegai, sentendomi travolgere dai ricordi: rividi con l'occhio della mente una bambina seduta sulle ginocchia di un uomo dai capelli chiari, mentre le leggeva e le spiegava le curiosità dell'antica e sfarzosa civiltà greca.
"Ti piace la cultura greca?" Mi chiese Carl, guardandomi con le sopracciglia aggrottate.
"Mio padre era un professore di lingue antiche, oltre che appassionato di cultura greca e latina." Risposi, sentendo l'amaro come retrogusto ad ogni parola.
Mi piegai all'improvviso sulle ginocchia, sentendo un dolore lacerante nella zona sinistra del busto: mi bruciava in un modo incredibile, come se qualcuno stesse rigirando una lama affilata nella carne fresca della piaga.
"Hey Gwen, che ti succede?" Domandò Carl preoccupato, avvicinandosi a me; nonostante avessi gli occhi chiusi lo capii, perché percepii una mano posarsi sulla mia schiena, mentre un'altra mi aiutava a sedermi per terra.
"Mi fa male il taglio." Dissi con un filo di voce, mentre sentivo le mie energie prosciugarsi con quel semplice doloretto.
"Sapevo che non avrei dovuto permetterti di venire con me." Disse sovrappensiero, mentre io stringevo i denti e cercavo di trattenere delle smorfie.
"Non è colpa tua, sono stata io che ho insistito per venire." Tentai di tranquillizzarlo, ma Carl sembrava preparato in queste situazioni, quasi abituato: mi fece spostare contro il tronco dell'albero più vicino.
"Ma sono io che te l'ho permesso, e adesso guarda che cosa è successo." Mi sollevò leggermente la maglia, accorgendomi solo in quel momento che era macchiata di sangue, il mio sangue; la benda sotto ne era impregnata.
"Cazzo..." Mormorai, mentre qualche lamento mi sfuggiva dalle labbra.
"Già, è il termine giusto." Commentò, prendendo la sua giacca dalla sacca e premendomela contro il fianco per cercare di fermare l'emorragia.
Rimanemmo in silenzio per un po', fino a quando Carl non decise che il flusso di sangue si era fermato.
"Così dovrebbe andare." Constatò alla fine, allontanando la sua giacca zuppa di sangue e prendendo garze e bende dalla sacca. Mi bendò il taglio, per poi ritirare giù la maglia con delicatezza; il sangue sembrava finalmente essersi fermato.
"Vieni, ti do una mano." Mi fece passare un braccio intorno alla vita -facendo attenzione alla ferita- e l'altro lo fece scivolare sulle sue spalle, prendendosi il mio peso addosso ed aiutandomi ad alzarmi.
"Ce la faccio." Tentai di staccarmi da lui, odiavo dover affidare la mia vita a qualcuno, soprattutto da quando avevo perso la mia famiglia. Non mi fidavo di nessuno. Mai.
"Sei bianca come uno straccio, dove credi di andare in questo stato?" Carl alzò un angolo della bocca, divertito dalla mia affermazione e non mollando la presa su di me. "Andiamo, prima troviamo il ragazzo e prima ti riporto ad Alexandria." Disse infine, incamminandosi di nuovo per il bosco, alla ricerca di questo ragazzo.

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