|Prologue - La Mia Vita|

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I raggi del sole mi colpirono le palpebre chiuse, costringendomi così ad aprirli. Li sbattei più volte cercando di svegliarmi almeno un po', rimanendo con la schiena premuta contro il tronco. Slegai la corda che mi legava all'albero, per poi, facendo attenzione, scendere dal ramo su cui avevo dormito; era una cosa molto utile quando mi trovavo da sola e dovevo riposarmi, senza qualcuno che mi potesse dare il cambio della guardia. L'avevo imparato da un film, quando ancora potevo permettermi di passare le serate tranquille in casa con la mia famiglia o con i miei amici. Una lacrima scese a bagnarmi la guancia, che io prontamente asciugai, non avevo tempo per cadere a pezzi, dovevo pensare a sopravvivere. Come ogni giorno. Rovistai un po' nello zaino, vedendo che cosa avessi ancora a disposizione: un paio di bottigliette d'acqua da mezzo litro, cinque bustine di patatine al formaggio, una torcia, una pistola, un coltello e la corda che avevo usato per legarmi all'albero. Misi l'arma da taglio nello stretto spazio tra la cintura e il bordo dei jeans nella parte laterale, la pistola invece dietro, coprendola con la maglia; avevo sempre preferito le armi bianche rispetto a quelle da fuoco, non erano rumorose e più facili da usare, l'unica pecca era il rischio degli scontri corpo a corpo. Mi spazzolai un po' le braccia e le gambe, togliendomi di dosso un po' della corteccia del vecchio albero che ormai stava cadendo a pezzi. Richiusi lo zaino, lo misi in spalle e cominciai ad incamminarmi, in cerca di qualche gruppo da osservare e valutare, sperando fosse abbastanza fiducioso per farmi accogliere fino al prossimo spostamento. Non rimanevo a lungo con i sopravvissuti che incontravo, volevo evitare il più possibile di affezionarmi per paura che un giorno sarebbero potuti morire per qualsiasi causa, distruggendo quel pezzo di cuore che ancora resisteva, l'unica cosa che riusciva a farmi andare avanti senza crollare. Questo accadeva sempre, fatta eccezione per l'ultimo gruppo, dove ero scappata miracolosamente, mentre gli altri erano tutti morti.
Quando il sole splendette all'incirca al centro del cielo, decisi di sgranocchiare un pacchetto di patatine, tanto per darmi un po' di energie.
All'improvviso mi fermai e mi nascosi dietro ad un albero, sentendo dei passi e dei gemiti - misti a rantoli - poco distanti da me. Mi sporsi per vedere chi fosse e, come pensavo, vidi un Vagante che stava viaggiando solitario, dandomi le spalle; il corpo morto dell'uomo a cui era appartenuto un tempo si trascinava appena, versi gutturali gli graffiavano la gola priva di respiro. Approfittai dell'occasione per sgattaiolargli dietro e infliggergli una coltellata sulla tempia, per poi indietreggiare di un passo e lasciare che il corpo - già deceduto - si accasciasse a terra. Controllai se per caso avesse delle merendine o qualsiasi tipo di cibo nelle tasche, oppure qualcos altro di utile. Niente. Mi rialzai sconfortata spazzolandomi via la terra dai pantaloni, per poi ricominciare il mio viaggio da nomade. Speravo di trovare anche un piccolo laghetto in cui potermi lavare, darmi almeno una sciacquata dal sudore che formava piccole goccioline sulla fronte; era da un mese che non ne trovavo uno, non riuscendo ad avere la possibilità di lavarmi, nonostante si trattasse acqua sporca, forse anche più di me, era utile per darmi come minimo una rinfrescata. Continuai con quel fare da vagabonda per tutto il giorno, fin quando non decisi che era arrivato il momento di arrampicarmi su un albero per riposarmi, dormire e ricominciare il tutto il giorno dopo. Arrivai al primo ramo più basso, facendo passare la corda intorno al tronco e, successivamente, legarmi la parte finale intorno alla pancia, sistemandomi lo zaino sulle gambe; vi tirai fuori un secondo sacchetto di patatine, sgranocchiandole con lo sguardo perso nel cielo, mentre il sole tramontava dietro le basse colline e si faceva intravedere la luna, ancora uno spicchio bianco-grigio nella tavolata nera della notte. Poggiai la testa sul tronco dietro di me, osservando le stelle che cominciavano a comparire attraverso i rami; l'unica cosa positiva che era successa da quando la fine del mondo era iniziata, era la scomparsa dell'inquinamento luminoso e la comparsa di una miriade di stelle. Mi venne in mente la mia famiglia, mangiata tutta dai Vaganti, io ero rimasta l'unica sopravvissuta della stirpe Stone. Dicevano sempre che ero la copia identica di quando era giovane mia madre: stessi occhi scuri che non vedevano l'ora di scoprire il mondo, osservare e vedere cose nuove; la voglia di esplorare, nonostante il mio comportamento timido e la paura sempre di sbagliare. Avevamo anche la stessa tonalità di capelli più o meno, un castano miele che brillava quasi come se fossero stati biondi alla luce del sole; l'unica differenza era che i miei erano lisci ed i suoi mossi.
Ormai tutto era cambiato: la paura di sbagliare era praticamente inesistente, la timidezza era sparita, sostituita da un continuo e temporaneo nervosismo quando incontravo un nuovo gruppo.
Mio fratello, invece, era sempre stato la copia di mio padre: educato e garbato, i capelli chiari e sbarazzini così come gli occhi, accompagnati sempre da un sorriso che faceva cadere le ragazze ai suoi piedi. Era più grande di me di tre anni e si comportava come una guardia del corpo nei miei confronti: cercava sempre di proteggermi dal mondo e, soprattutto, dagli altri ragazzi, non volendo vedermi soffrire. Abbassai lo sguardo mentre le lacrime cadevano dal mio viso alle mani in grembo, facendomi rendere conto della situazione: mi stavo facendo prendere di nuovo dalle emozioni, mi stavo rivelando fragile per il mio passato, cosa che mi ero promessa di non rifare più. Deglutii, cercando di eliminare il groppo che mi si era formato in gola a causa del pianto e mi asciugai le lacrime, ripromettendomi di non piangere più. Non servì a nulla. Chiusi gli occhi per cercare di dormire, le lacrime che ancora uscivano.

Mi svegliai abbastanza presto la mattina dopo, dato che il sole non era ancora sorto del tutto. Sbattei più volte le palpebre, slacciai la corda e scesi dall'albero, tirando fuori coltello e pistola per riposizionarli nello stesso posto di sempre. Era un altro giorno in cui avrei ripetuto le stesse cose, sarei sopravvissuta e avrei dormito su un albero a caso; le cose sarebbero andate così fin quando non avessi trovato un nuovo gruppo con cui stare, con un accampamento in cui poter dormire distesa da qualche parte e non seduta sul ramo di un albero. Decisi che forse era meglio se trovavo qualcosa da mangiare, qualsiasi cosa, bastava solo che potesse saziarmi. Vidi poco distante da me uno scoiattolo che stava mangiando una ghianda, capendo subito quale sarebbe stato il menù di quella sera.
Mi incamminai per inseguire la preda.

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