38.

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Alice

Ho il cuore che batte velocissimo mentre entro nella stanza di Edoardo, mi sudano i palmi delle mani e un leggero senso di ansia si propaga dal mio stomaco fino alla mia gola. Sono ferma sulla soglia e lo guardo avvicinarsi al letto per accendere la piccola abatjour che ha sul comodino, che illumina la stanza dandole un'atmosfera intima, calma e raccolta e in netto contrasto con quello che si sta agitando dentro di me.

Devo dirglielo, penso istintivamente. Mi ha portata qui nella sua stanza e non credo che voglia fare una partita di scacchi. Porca miseria, come cavolo glielo dico? Così dal nulla? Uscendomene con un «Ehi, sono vergine?». No, troppo esplicito. Mi batto mentalmente una mano in fronte.

Mamma che disagio!

C'è talmente tanto silenzio nella stanza che credo si possano sentire il battito erratico del mio cuore e il rumore dei miei pensieri, soprattutto quando Edoardo si volta nella mia direzione e mi rivolge un sorriso che vuole essere rassicurante, ma che mi agita ancora di più.

Si siede poi sul bordo del letto e batte sullo spazio vicino a sé invitandomi a sedermi di fianco a lui, con lo stesso sorriso di poco fa e lo sguardo limpido su di me. Deglutisco nervosa e mi avvicino a lui a passi incerti con le gambe che sembrano gelatina, ma che, allo stesso tempo pesano duecento chili l'una. Mi siedo vicina a lui, Edoardo prontamente mi cinge un fianco prima di posare un delicato bacio sulla mia guancia e voltare poi gli occhi verso la parete e io non posso che seguire il suo sguardo.

Appena i miei occhi si posano sulla parete di fronte al letto non posso che rimanere a bocca aperta: un'infinità di fotografie tappezza tutto il muro, mille colori si susseguono uno vicino all'altro, dai più sgargianti ai più tenui e io non riesco a soffermarmi su un singolo scatto talmente sono tanti e così belli dimenticandomi improvvisamente di tutta l'agitazione che si era impossessata di me.

«Scatto fotografie da quando avevo cinque anni, da quando mio nonno mi ha messo per la prima volta in mano una macchina fotografica», dice ricordando un episodio della sua infanzia.

«Da allora, mi è sempre piaciuto immortalare istanti, dettagli o panorami mozzafiato, ma la cosa che mi piace di più è scattare le fotografie a tutto ciò che è bello», mi dice indicandomi un angolo particolare e il mio cuore salta un battito: ci sarà almeno una decina di mie fotografie, scatti rubati con sorrisi genuini sul volto o espressioni particolarmente assorte in qualcosa che stavo osservando. Mi alzo istintivamente, avvicinandomi alla parete per vederle meglio: al centro di tutte c'è la prima fotografia che abbiamo insieme, quella in piazza Duomo, la fotografia che ci ha scattato quella ragazza e che mi ha fatta scappare come una codarda. Non l'avevo mai vista e adesso mentre la guardo mi si stringe lo stomaco talmente è bella, tutto sembra essere stato studiato ad arte: le luci, l'inquadratura, la posizione dei nostri corpi, ma tutto ciò passa in secondo piano nel momento in cui i miei occhi si concentrano sul viso di Edoardo, leggermente inclinato nella mia direzione, e sul suo sguardo. Lo riconosco immediatamente: è lo stesso sguardo che mi rivolge prima di baciarmi o dirmi qualcosa di particolarmente dolce e io non posso che rimanere stupita dalla cosa. Mi stava davvero guardando così già quella sera? Come ho potuto scappare se aveva già quello sguardo, come ho potuto essere così sciocca?

«Non avevo mai visto questa fotografia», gli dico con un filo di voce senza riuscire a voltarmi e a distogliere lo sguardo dallo scatto. Sento Edoardo alzarsi e cingermi il bacino con le braccia e appoggiare il mento sulla mia testa, «Eri bellissima quella sera, forse è una delle mie fotografie preferite di sempre», sussurra come se avesse paura che un tono di voce troppo alto potesse rovinare l'atmosfera intima della stanza.

Mi stringe tra le sue braccia per tutto il tempo che dedico a guardare le fotografie: ce ne sono un paio di Parigi, oltre a quella di Sacré-Cœur, che non mi sono mai accorta che mi avesse scattato. Per esempio, ci sono io in Place Vendôme e credo che sia stata scattata appena prima che notassi Edoardo con il girasole in mano, oppure una al Louvre mentre mi stavo guardando intorno sul set di Dior. E poi ci sono tutte quelle delle settimane successive, scatti più o meno rubati, di Capodanno, delle nostre uscite insieme, fino a quelle di qualche giorno fa al Castello Sforzesco. Lascio scorrere il mio sguardo tra tutte e noto come il filo rosso che le lega sembra essere il mio sorriso o il mio sguardo, più luminoso e spensierato di come non sia mai stato.

«Lo vedi?», mi chiede Edoardo a un certo punto. «Vedi come io ti vedo bella e spensierata? Vedi perché io continui a scattarti fotografie e perché voglia appenderle al muro?».

Mi volto restando però tre le sue braccia che si stringono maggiormente a me mentre lascio che le mie mani gli cingano il collo. I suoi occhi verdi mi guardano in attesa con una scintilla luminosa e con un trasporto tale che mi fa mancare il fiato e battere forte il cuore mentre il suo classico sorriso sghembo adorna le sue belle labbra piene.

Resto a guardarlo senza riuscire a dire niente e mi beo della sua bellezza, dei suoi tratti affilati, dei suoi occhi verdi che sembrano leggermi dentro ogni volta che si incastrano con i miei e dei suoi sorrisi accennati. Vorrei dirgli tutto quello che sento in questo momento, vorrei dirgli come mi sembri di essere protetta e amata ogni volta che sono tra le sue braccia, vorrei dirgli come le farfalle sbattano violentemente nel mio stomaco ogni volta che mi sorride o mi lascia un bacio delicato su qualche parte del mio viso, vorrei dirgli quanto mi senta sopraffatta da tutto quello che provo, ma, soprattutto quando mi guarda così, con questo sguardo limpido e luminoso, come non riesca nemmeno a formulare un pensiero coerente o a riuscire a trovare la voce, che mi muore puntualmente in gola.

Spero che a rivelargli quello che sento siano i miei occhi, le mie guance rosse e il battito erratico del mio cuore. I suoi occhi sono fissi nei miei per un tempo che sembra infinito, Edoardo è immobile come lo sono io, solo il suo respiro caldo batte sulle mie guance. Un ciuffo castano gli ricade sul volto, arricciandosi all'altezza degli occhi e io istintivamente stacco una mano dal suo collo e glielo sposto, inserendolo di nuovo tra quella chioma sempre ribelle. Faccio scorrere le dita tra le ciocche, massaggiandogli la cute e Edoardo chiude gli occhi appoggiando la fronte sulla mia mentre continuo a passargli la mano tra i capelli.

Una distanza effimera ormai ci separa, i nostri nasi si toccano, ma Edoardo resta in attesa di una mia mossa, non muovendosi nemmeno di un millimetro, e io non resisto un attimo di più e appoggio le mie labbra sulle sue, facendogli rilasciare un sospiro mentre inizio a muovere la bocca sulla sua. È un bacio dolce, lento, nel quale provo a mettere tutto quello che sento in questo momento e tutto quello che provo nei suoi confronti.


Edoardo

Alice è finalmente rilassata tra le mie braccia, tutta l'agitazione che le ho visto in volto quando l'ho portata in camera mia sembra essere defluita nel momento in cui le ho fatto vedere la parete con le fotografie. Era decisamente nervosa, il viso leggermente pallido, nettamente in contrasto con il suo classico rossore, e i suoi occhi erano velati da un senso di agitazione palpabile. Stava certamente soppesando qualcosa, mentre era appoggiata allo stipite della porta di camera mia e sono sicuro che stesse per dirmi qualcosa che la mette un po' in imbarazzo. Non che non lo voglia sapere, ci mancherebbe altro, ma non voglio che si senta a disagio quando deve dirmi qualcosa e soprattutto non voglio più vederle quell'espressione in viso.

Siamo sdraiati sul mio letto, in silenzio, e la testa di Alice è appoggiata sul mio petto mentre gioco distrattamente con i suoi capelli: vorrei rimanere in questa posizione per sempre, con lei appoggiata su di me, il suo braccio stretto al mio busto. In questo momento sono totalmente rilassato e in pace con il mondo, nessun rumore a guastare l'atmosfera intima che si è creata.

Improvvisamente però Alice si irrigidisce appena, prende un respiro profondo, si stacca dal mio petto e io lascio cadere la mia mano sul bordo del letto.

La osservo confuso mentre si siede a gambe incrociate e si sistema i lunghi capelli scuri dietro alle orecchie per poi posare le mani sulle ginocchia. Prende un altro respiro profondo e mi guarda: nei suoi occhi vedo una scintilla di imbarazzo, poi confermata dal rossore che le imporpora le guance e io mi sistemo meglio sul letto in attesa che dica qualcosa.

Scuote la testa come a riordinare i pensieri, «Edoardo, devo dirti una cosa», dice con la voce che le trema appena e un senso di ansia si impossessa di me. Annuisco non riuscendo a distogliere i miei occhi dal suo viso.

«Ecco, io...», le muoiono le parole in gola e abbassa il viso in evidente imbarazzo. Mi avvicino, le alzo il volto e le scocco un sorriso che spero possa essere rassicurante e lei mi sorride di rimando arrossendo ancora di più, «Cosa c'è che ti preoccupa?».

Sbuffa una risata e si alza, iniziando a percorrere la stanza a grandi passi, poi si blocca di colpo e mi guarda appoggiando le mani sui fianchi, «Dai, tolto il dente tolto il dolore».

La guardo sorridendo e alzo un sopracciglio in attesa mentre lei inspira, «Edoardo, ecco io... sono vergine», dice d'un fiato portandosi poi le mani al viso per nascondersi.

Rimango un attimo interdetto da queste parole, non per quello che comportano, ma perché questa sua rilevazione chiarisce il suo comportamento timido e la sua evidente agitazione di poco prima. La cosa non mi preoccupa, non mi importa che lo sia, anzi mi sento lusingato che abbia voluto dirmelo perché questo implica il fatto che si sia fidata a tal punto di me da rivelarmi una cosa così intima e privata. Mi alzo dal letto, mi avvicino ad Alice, che ha ancora il volto chino e le mani sul viso, e la stringo tra le mie braccia, appoggiando la guancia sulla sua testa. Le lascio poi un bacio tra i capelli e lei alza finalmente lo sguardo verso di me: ha le guance in fiamme e i suoi occhi sono grandi e spalancati. Le sorrido e le sistemo una ciocca di capelli dietro all'orecchio e le accarezzo poi il viso delicato come se fosse fatta di cristallo, «Non mi importa», le dico gentile. «Anzi, mi sento lusingato che tu abbia voluto dirmelo».

Lei sorride con quel sorriso timido che mi piace tanto, «Davvero? Non è un problema?», mi domanda pinzando il labbro inferiore tra i denti.

Corrugo la fronte di fronte a questa domanda, «E perché mai dovrebbe esserlo?». Lei si stringe nelle spalle e io le afferro il volto con entrambe le mani per guardarla negli occhi, «Ali, non potrebbe interessarmi di meno. Mi piaci, voglio passare il mio tempo con te, voglio condividere le tue giornate e vorrei che...». Ho anche sulla punta della lingua alcune parole che vorrei dirle, ma non voglio mettere sulla bilancia delle rivelazioni ulteriori pesi. Scuoto la testa, «Qualsiasi cosa ci sarà tra di noi a livello più fisico sarà dettato dai tuoi tempi. Andremo al tuo passo, senza fretta. Sono disposto ad aspettarti per tutto il tempo che ti sarà necessario».

Sono completamente sincero quando glielo dico, non ho il minimo dubbio o ripensamento mentre le dico queste parole e vengo ripagato con uno dei sorrisi più belli e luminosi che Alice mi abbia mai rivolto. Si stringe poi a me appoggiando la sua guancia al mio petto e io ricambio l'abbraccio beandomi del calore del suo corpo stretto al mio.

Alza la testa dopo un po' e mi lancia uno sguardo carico di quello credo che sia affetto, mi sorride poi timida e io non posso che ricambiare, «Era questa cosa che ti preoccupava prima?».

Si affretta ad annuire, «Sì, cioè... mi hai portato in camera tua», rilascia una risata imbarazzata. «Ho pensato che ti aspettassi qualcosa e io dovevo trovare le parole giuste per dirtelo», arrossisce e io scuoto la testa di fronte alla sua timidezza. Mi avvicino alle sue labbra e le sussurro qualche parola, «Non mi aspetto niente, Ali. Scusami se hai pensato che ti stessi spingendo a fare qualcosa», ma non la lascio ribattere prima di posare le mie labbra sulle sue.

La bacio con trasporto, beandomi dei sospiri che rilascia e io non posso fare a meno di lasciar di nuovo scorrere le mie mani sul suo corpo, non riuscendo a trovare uno su cui soffermarmi. Alice mi segue a ruota mentre lascia che le sue mani vaghino sul mio di corpo, facendomi ribollire il sangue nelle vene e facendo accelerare i battiti del mio cuore.

Indietreggio verso il letto fino a sedermi sul bordo facendo presa sulle gambe di Alice per farla sedere a cavalcioni su di me, voglio andarci piano con lei, come le ho detto, ma voglio anche farle sentire quello che provo per lei. Infilo le mani al di sotto del suo maglione e lei me lo lascia fare stringendosi a me e avvicinando ulteriormente i nostri bacini. La pressione del suo corpo sul mio mi fa approfondire il bacio e infilare le mani ulteriormente al di sotto della maglia fino al seno, «Adoro la grana della tua pelle», le confesso interrompendo il bacio, ma non allontanandomi da lei tanto che i nostri respiri si mescolano. «È così liscia, i miei polpastrelli fremono ogni volta che ti tocco e passerei le mie giornate a tracciare linee immaginarie su di te».

A queste parole Alice si stacca appena e mi guarda: i suoi occhi scuri sono luminosi e sembrano soppesare qualcosa, una battaglia imperversa nelle sue iridi fino a quando si pinza il labbro inferiore tra i denti e porta le sue mani dalla mia nuca al bordo del suo maglione per poi sollevarlo e levarlo dalla testa. Lo lascia cadere sul pavimento, mi prende le mani, appoggiate ora sulle sue gambe e me le posa sui suoi fianchi, riportando poi le sue braccia sulle mie spalle incrociando le mani dietro alla mia testa e io rimango senza fiato di fronte a questa sua mossa audace. Muoio dalla voglia di abbassare lo sguardo sul suo corpo scoperto, ma non distolgo gli occhi dai suoi che adesso mi stanno guardando imbarazzati.

Le sorrido e lei di tutta risposta si pinza il labbro inferiore tra i denti prima di ricongiungere le nostre labbra e stringersi ulteriormente a me.

Mi bacia con trasporto e inevitabilmente le mie mani iniziano a vagare sul suo corpo, libere dall'ingombro del maglione e la sua pelle si ricopre di un sottile strato di pelle d'oca.

Voglio baciare ogni singolo centimetro di pelle scoperta così la prendo dal retro delle cosce e la faccio sdraiare sul letto sovrastandola con il mio corpo. La guardo in quegli occhi incredibilmente grandi che si ritrova prima di iniziare a posare un lieve bacio sulle sue labbra, sulle sue guance, sulla sua fronte sul suo naso e di nuovo sulle labbra.

Scendo poi lungo la sua gola e Alice rilascia un sospiro strozzato che mi fa alzare immediatamente gli occhi sul suo volto: è arrossita e io le sorrido, «Sssh, rilassati», le sussurro all'orecchio prima di lasciare un altro bacio sul collo e riprendere a scendere. Le mie labbra si posano sulla sua gola, nell'incavo del collo giù fino al suo seno stretto in un semplice reggiseno nero ma che mi manda fuori di testa. Mi concedo un attimo per ammirarla, per vedere come la carne soda del suo seno sia stretta nel pudico indumento, lasciando che il mio indice tracci il bordo di pelle al di sopra della stoffa. Alzo ancora una volta gli occhi sul suo viso per accertarmi che vada tutto bene prima di posare le labbra sul suo seno sinistro, in corrispondenza del cuore. Rimango un attimo immobile sentendo il suo cuore accelerare i battiti sotto alle mie labbra, mi sposto poi verso il destro, riservandogli la stessa cura del primo. Scendo poi nella valle tra i seni, giù fino al suo stomaco e le mani di Alice si incastrano tra i miei capelli, mentre continuo a scendere fino al suo ombelico per poi spostarmi sui fianchi, lasciando una scia di baci lungo tutto il suo addome.

«Resta qui stanotte», le dico con le labbra ancora sulla sua pelle, mentre ripercorro al contrario il percorso che ho tracciato sul suo corpo. Alice non risponde e quindi alzo lo sguardo verso di lei: i suoi occhi scuri stanno studiando il mio viso e vedo che al loro interno sta imperversando una battaglia. Lascio che valuti la cosa, senza metterle fretta, ma non posso fare a meno di posare un altro bacio appena al di sotto del suo ombelico accarezzandole con le dita i fianchi per poi risalire velocemente fino ad avere il mio viso vicino al suo e posarle un delicato bacio sulle labbra.

La guardo, guardo i suoi tratti delicati, le sue labbra piene, il rossore delle sue guance e i suoi occhi, il tratto che amo di più in lei, la guardo cercando di trasmetterle tutto quello che sento per lei e le accarezzo lievemente il volto, sistemandole una ciocca di capelli dietro all'orecchio.

Credo che funzioni perché arrossisce un po' e si sporge verso di me per congiungere le nostre labbra prima di portare entrambe le sue mani al mio viso, «Resto».


Buona Pasqua a tutti!

Spero che abbiate già aperto le vostre uova di cioccolato e che presto inizierete ad abbuffarvi!

Condivido con voi oggi uno dei miei capitoli preferiti e spero che possa farvi compagnia in questa domenica di Pasqua strana. Quando l'ho scritto ho provato a metterci dentro tutte le sensazioni che si potrebbero provare in una situazione del genere e spero che vi siano arrivate. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate:)

Ancora Buona Pasqua e a presto!

Un bacio,

Alice.

Ps: abbiamo superato le 3000 letture e io non ci credo ancora! Grazie

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