56.

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Lo so. 

E passato nuovamente un sacco di tempo e io sono un po' una bestia per avervi lasciato in attesa, ma come vi avevo detto la volta scorsa ho passato (e lo sto facendo ancora in parte) un periodo decisamente intenso con il mio master e con i colloqui per gli stage e ho avuto decisamente pochissimo tempo per scrivere. 

Finalmente però vedo la fine delle lezioni, sono stata presa in stage nel posto che sognavo da sempre (yey!) e sono riuscita a scrivere sto maledetto capitolo. Quindi eccomi qui!

Spero che vi piaccia e spero di tornare presto con un nuovo!

Un bacio,

Alice.

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Alice

«Libertà! Libertà! Lo senti anche tu questo profumo? Aaaah».

Giulia mi stringe in un abbraccio spaccaossa mentre usciamo finalmente dall'università con l'ultimo esame alle spalle.

Rido, «L'unica cosa di cui sento l'odore è quello della neve che sta per scendere».

Giulia alza gli occhi al cielo e sbuffa una risata mentre Piero si intromette nella discussione, «La neve non ha odore».

«Invece sì».

Ed è vero: la neve ha un odore specifico, che non saprei descrivere se non con "odore di neve".

Alzo il viso verso il cielo grigio che incombe su Milano e inspiro a pieni polmoni l'aria frizzante. Gli esami sono finalmente finiti, la sessione si è chiusa nel migliore dei modi con un bel voto e adesso ho un paio di settimane prima che ricomincino le lezioni; posso passare finalmente il mio tempo libero a fare quello che mi piace di più e che mi è mancato: leggere.

Forse adesso è diventato il tuo secondo passatempo preferito, no?

Faccio una smorfia alla mia coscienza e trattengo a stento un sorriso pensando che adesso, dal momento che sono finalmente libera dagli esami, posso passare più tempo con Edoardo, che nell'ultima settimana ho visto solo a spizzichi e bocconi perché mi sono praticamente rinchiusa in casa per il ripasso finale.

«Solo tu puoi imbambolarti a guardare il cielo senza un apparente motivo», borbotta Piero.

«Oh, ma il motivo c'è eccome», ribatte Giulia prendendomi sottobraccio e lanciando uno sguardo in direzione del nostro amico. «E la ragione ha i capelli castani e un paio di occhi verdi».

Arrossisco e scuoto la testa e Giulia non fa altro che rincarare la dose, «Mi sbaglio?», alza un sopracciglio e proprio in quel momento il mio cellulare inizia a squillare.

«Ovvio che no, non mi sbaglio mai».

Le faccio la linguaccia, a cui risponde con uno sguardo fintamente scioccato, e mi allontano di qualche metro per rispondere al cellulare.

«Ciao Girasole», mi saluta la voce calda di Edoardo.

Ogni volta che usa questo nomignolo con me, il cuore mi balza in gola e un senso di pura felicità mi pervade ogni singola cellula.

«Sei finalmente libera? Ti ho tutta per me, stasera?», fa una breve pausa. «Accetto solo risposte affermative, sappilo».

«Ciao», mi pinzo il labbro inferiore tra i denti cercando di trattenere – con scarsi risultati – l'emozione che ho nella voce. «Libera come l'aria».

«Mmm, era proprio quello che volevo sentirmi dire. Fatti trovare pronta per le otto», dice con il suo tono di voce roco che usa quando è particolarmente felice e che ogni volta mi fa nascere la pelle d'oca sulle braccia.

«D'accordo. Ma dove andiamo?».

«È una sorpresa», fa una pausa e sto già per fargli almeno duecento domande su qualsiasi cosa, ma lui interviene nuovamente. «Ah, Ali...».

«Sì?».

«È scontato che tu resti da me, stanotte», dice con un ghigno nella voce senza darmi la possibilità di ribattere o dire qualcosa.

«A più tardi», si congeda poi chiudendo la telefonata, lasciandomi come al solito senza parole e senza fiato.

Non credo mi abituerò mai: non penso che riuscirò mai a tenere a bada le sensazioni e le emozioni che si scatenano in me ogni volta che lo sento.

Passeranno prima o poi il batticuore e le farfalle allo stomaco anche per la più semplice interazione tra di noi? Riuscirò mai a darmi una calmata e non risultare una ragazzina alla sua prima cotta?

Ma tu sei una ragazzina alla sua prima cotta!

Vero anche se non posso classificare Edoardo come una semplice prima cotta, dal momento che lui è molto di più. Talmente di più che non riesco nemmeno a esprimere a parole quello che rappresenta ed è per me questo ragazzo.

Scuoto la testa, mi pinzo il labbro inferiore tra i denti e stringo al petto il telefono, felice di poter passare un po' di tempo con lui stasera, ma soprattutto stanotte, tanto che un brivido piacevole mi si propaga lungo la spina dorsale e mi pizzica la punta delle dita.

«Terra chiama Alice!», mi richiama la voce di Piero facendomi voltare nella direzione dei miei amici che sono rimasti qualche passo indietro rispetto a me: li trovo entrambi a fissarmi con un'espressione eloquente dipinta in volto e una scintilla maliziosa negli occhi.

Giulia è la prima a parlare, «Scommettiamo: ti ha chiesto di uscire con lui», mi guarda come una che la sa lunga, forse fin troppo lunga e io non posso che ricambiare lo sguardo con un grande sorriso in volto. «Ormai sono diventata troppo brava a leggerti in volto», un sorriso compiaciuto le si apre sulle labbra, a rispecchiare il mio. «Quindi? Dove ti porterà?».

«Non lo so, è una sorpresa», mi stringo nelle spalle. Non sono mai stata una grande fan delle sorprese, eppure quelle che mi sta facendo Edoardo me le stanno facendo rivalutare.

«Strano», ribatte divertita. «Sembra una prerogativa degli ultimi...», dice ma poi si zittisce immediatamente spalancando gli occhi come se avesse appena fatto un errore madornale e io corrugo la fronte cercando di capire il motivo di questa reazione. Piero, però, si intromette  e mi prende sottobraccio, lanciando un'occhiata di ammonimento nella direzione di Giulia che prontamente si riscuote e si schiarisce la voce.

«Ma siamo sicuri che questo ragazzo non abbia un fratello?», svia il discorso la mia amica.

«Ehi! E a me?», ribatte Piero. «Chiedi a Edoardo se ha DUE fratelli. Oppure la soluzione sarebbe quella di clonarlo».

Rido di fronte alle loro parole non riuscendo a trattenermi di fronte alle loro espressioni, «Mi dispiace, ma Edoardo è tutto per me», dico poi corrucciata, arricciando le labbra

«Eccola subito che tira fuori gli artigli», Giulia lancia un'occhiata a Piero. «Tranquilla, nessuno te lo tocca», mi guarda e mi trova ancora imbronciata. «Mamma mia che carattere», mugugna poi e io non posso che farle il verso.

«È inutile che mugugni», mi prende a braccetto. «È la pura e semplice verità».

Come darle torto!

Qualche ora più tardi sto sistemando la borsa con il cambio per la notte che passerò con Edoardo, anche se so già che gli ruberò una maglietta per dormire – l'ennesima, che aggiungerò ovviamente alla mia collezione.

Chiudo poi la zip e lancio uno sguardo alla mia figura allo specchio di camera mia: non sapendo dove mi porterà – e sotto costrizione delle mie coinquiline – ho indossato un tubino blu scuro, con le maniche lunghe e lo scollo a cuore, recente lascito di Aurora che mi ha caldamente invitato a metterlo alla prima occasione di uscita con Edoardo dal momento che, a detta sua, «si sposa da dio con la tua carnagione e con i suoi occhi».

Inutile dire che mi ha fulminato nell'esatto istante in cui ho alzato le sopracciglia perplessa, accusandomi di «non capire niente» e di «non provare nemmeno a ribattere perché il vestito della Scala ha fatto il suo dovere». Al che non ho potuto che alzare le mani in segno di resa e darle ragione, mettermi a battibeccare con lei non avrebbe avuto senso.

Lo schermo del mio cellulare che si illumina mi risveglia dai miei pensieri; lo afferro e leggo la notifica. «Scendi, sono qui sotto», recita il messaggio di Edoardo e io praticamente mi lancio verso l'ingresso infilando al volo il cappotto e salutando le mie coinquiline che si stanno preparando anche loro per uscire.

«Non torno a casa, stanotte», le informo dalla porta di casa.

«Nessuno aveva dubbi in merito», mi urla da camera sua Arianna mentre Marta e Chiara si lanciano uno sguardo d'intesa dal divano.

«Divertiti!».

Scuoto la testa e rivolgo loro un ultimo sorriso prima di chiudermi la porta alle spalle e correre giù per le scale, impaziente di vedere Edoardo. Lancio un'ultima occhiata alla mia figura nello specchio all'ingresso e faccio un respiro profondo cercando di calmare il battito erratico del mio cuore.

Esco poi nell'aria fredda di febbraio raggiungendo in fretta il cancello: Edoardo è lì, appoggiato al muretto vicino al citofono, la lunga sciarpa a cingergli il collo e il cappotto scuro lasciato aperto nonostante le temperature gelide. Sorrido istintivamente quando i suoi occhi scorgono finalmente la mia figura e le sue pupille si dilatano appena, andando a coprire parte delle sue iridi verdi.

Un ampio sorriso si apre anche sul suo volto e presto mi trovo tra le sue braccia, stretta in un abbraccio che mi toglie il fiato, «Finalmente», dice allontanandosi un po' da me e posando entrambe le sue mani ai lati del mio viso. «Finalmente sono finiti sti maledetti esami e posso averti tutta per me», detto ciò si avvicina nuovamente e mi bacia; e quando le sue labbra si posano sulle mie, prima delicate e poi sempre più fameliche, dimentico qualsiasi cosa che non sia lui. Lui e il calore del suo corpo stretto al mio, lui e la morbidezza delle sue labbra, lui e il suo respiro affannato.

Si stacca dopo quello che mi sembra un tempo troppo breve e appoggia la sua fronte sulla mia guardandomi negli occhi prima di allontanarsi un po'.

Gli sorrido timida mentre i suoi pollici accarezzano le mie guance e io sento affluire il sangue dove i suoi polpastrelli sfregano la mia pelle.

«Mmm sì, mi sei decisamente mancata», sussurra a un palmo dal mio viso, tanto che sento il suo respiro caldo battere sulle guance.

Nonostante il cuore in gola e la testa leggera, decido di prenderlo un po' in giro, «Ma se è passata solo una decina di giorni dall'ultima volta in cui ci siamo visti», alzo un sopracciglio con fare fintamente beffardo, dal momento che non posso che essere d'accordo con lui sul fatto che mi sia mancato e che siano stati dieci giorni eterni.

«Non posso esserti mancata così tanto».

Cerco di assumere un'espressione seria, rilassando i muscoli delle guance e provando a non pinzarmi il labbro inferiore tra i denti, perché Edoardo sa che, quando lo faccio, lo sto prendendo in giro e non riesco a trattenere le risate.

«Ah, davvero?», ribatte lui alzando le sopracciglia. Una scintilla di divertimento gli illumina lo sguardo e i suoi occhi verdi brillano luminosi alla fioca luce dei lampioni. È bellissimo in questo momento: i suoi capelli castani sono scompigliati come al solito, dal momento che non fa altro che passarci in mezzo una mano per sistemarsi il ciuffo che puntualmente gli ricade sulla fronte, e un ampio sorriso è ben presente sulle sue labbra rosse, invitanti come al solito.

Annuisco nonostante non sia più in grado di sostenere a lungo questo gioco perché mi cinge la vita con un braccio avvicinandomi nuovamente a sé e posando la mano destra sul mio viso.

«Sei sicura?», avvicina ulteriormente il viso al mio non distogliendo nemmeno per un secondo gli occhi dai miei. La punta del suo naso poi mi sfiora lo zigomo e sento l'ombra delle sue labbra vicino al lobo dell'orecchio, «Mmmm», mugugna. «Forse dovrei rinfrescarti la memoria», posa un delicato bacio appena dietro al mio orecchio, all'altezza del girasole che ho tatuato lì indugiando quel tanto che basta per farmi accelerare i battiti del cuore.

Si sposta poi lunga la mia mascella seguendone il contorno fino a fermarsi a un millimetro dalle mie labbra. Credo che ormai il cuore mi stia per esplodere nella cassa toracica e capisco di non poter aspettare un secondo di più prima di unire nuovamente le nostre bocche.

All'ombra del palazzo, con le luci fioche dei lampioni, io e Edoardo siamo nella nostra bolla, non esistiamo per nessuno, se non per noi stessi. Siamo soli in questa notte che è appena iniziata e che spero non finisca mai, soprattutto perché siamo così, stretti l'uno nelle braccia dell'altro.

Edoardo sorride tra un bacio e l'altro e io con lui fino a quando, spinto da una forza di volontà che a me manca e sempre mancherà, si allontana appena da me.

I suoi occhi chiari tornano a fissarsi nei miei, «Scusa mi puoi ripetere quello che mi hai detto poco fa?», sorride furbo. «Perché non mi sembra di aver capito bene».

Scoppio a ridere, «Ritratto tutto quello che ho detto».

E come non potrei farlo d'altronde?

«È proprio quello che volevo sentirmi dire», afferma compiaciuto prima di lanciare uno sguardo all'orologio che ha al polso.

«Per quanto vorrei passare la serata a baciarti», mi lancia uno sguardo pieno di malizia. «C'è un tavolo che ci aspetta. Forza andiamo».

Intreccia le nostre mani e si avvia verso una macchina nera parcheggiata poco distante dal portone di casa mia e apre la portiera del passeggero, «Signorina, se vuole salire». Accenna un mezzo inchino, «La carrozza la aspetta».

«Non sapevo avessi una macchina».

«E non hai visto ancora niente!», mi rivolge un occhiolino. «Ho ancora un sacco di assi nella manica».

Scuoto la testa e salgo in macchina, Edoardo chiude la portiera, fa il giro e sale al posto del guidatore.

«Dove andiamo?», gli chiedo curiosa mentre lui mette in moto, fa retromarcia ed esce dal parcheggio.

«Lo vedrai», dice sibillino guidando la le vie di Milano, ormai buie. C'è un po' di nebbia stasera e le strade sono praticamente vuote, ma Edoardo guida sicuro.

Quando ci fermiamo a un semaforo posa una mano sulla mia coscia coperta solo dal leggero strato delle calze.

«Anche oggi un vestito?», mi lancia una lunga occhiata alle gambe mentre con il pollice inizia a compiere dei cerchi immaginari. «Sono proprio fortunato, stasera».

Il semaforo torna verde e lui ingrana la marcia posando poi nuovamente la mano sulla mia gamba, questa volta più in alto, appena sotto l'orlo del vestito.

«Chi devo ringraziare questa volta?», ricomincia a muovere le dita, su e giù, sabotando qualsiasi tipo di mia concentrazione e facendomi dimenticare quasi la domanda.

Il lento assalto dei suoi polpastrelli continua, «C-come scusa?».

Cerco di raccogliere i pensieri e provare a dargli una risposta e lui mi rivolge un sorriso sghembo, mandando ancora più in pappa il cervello.

«Dicevo», fa una pausa, ma non smette di muovere la mano. «Quale tra le tue amiche ti ha costretta a mettere un vestito?».

Non riesco a rispondere, ci sto provando con tutte le mie forze, ma sono troppo presa dai suoi gesti.

Edoardo sorride compiaciuto prima di pinzarsi il labbro inferiore tra i denti. «Quindi?».

«T-tutte in realtà», prendo un respiro tra i denti. «A-anche se il vestito è di Aurora. M-me l'ha regalato perché a lei non andava più», dico in un sospiro quando le sue mani si addentrano al di sotto dell'orlo, sempre più in alto lungo la mia coscia.

«Ah», si illumina. «Dovrò aggiungere ulteriori regali o ringraziamenti a quella ragazza», la sua mano risale sempre più pericolosamente e io trattengo l'impulso di stringere le gambe. «Prima il vestito della Scala e ora questo», dice compiaciuto lanciandomi una veloce occhiata prima di tornare a guardare la strada. «Sono proprio uno stronzo fortunato».

Avessi le mie solite facoltà mentali adesso gli risponderei a tono, gli direi qualsiasi cosa per ribattere, ma sono decisamente distratta dalla punta delle sue dita ormai vicine al bordo delle mie mutandine.

Si ferma a un altro semaforo e si sporge verso la mia direzione per lasciare un lungo bacio sul mio collo e risalire lentamente lungo la mia guancia fino all'angolo della mia bocca dove si ferma per posare nuovamente le sue labbra su di me.

Il suo mignolo trova la sommità delle mie gambe e inizia a muoversi su e giù togliendomi il fiato: inspiro bruscamente e sento l'ombra del sorriso di Edoardo sulla pelle. Il cuore ormai batte erratico nella mia cassa toracica e il sangue mi ribolle nelle vene concentrandosi irrimediabilmente nel basso ventre.

Spinta dal desiderio, volto il viso nella sua direzione per congiungere le labbra finalmente con le sue e intrecciando le dita tra i suoi capelli ribelli. E, come poco fa, siamo di nuovo immersi nella nostra bolla incuranti di quello che succede intorno noi; lo siamo a tal punto che praticamente saltiamo sul posto quando il guidatore dietro di noi, a ragione, ci suona per farci notare che il verde è ormai scattato da un po'.

Chiudo istintivamente le gambe mentre Edoardo scuote la testa e ingrana la marcia, borbottando una serie di improperi nei confronti del tizio dietro di noi.

Arrossisco immediatamente, mi pinzo il labbro inferiore tra i denti e scuoto la testa.

Dio che imbarazzo! E se ci avesse visti? E se mi avesse vista? Oh, porca miseria.

«Tranquilla», la voce calda di Edoardo mi tira fuori dai miei pensieri. «Nessuno ci ha visti», mi lancia un'occhiata veloce accompagnata da un occhiolino e un sorriso sghembo. «I vetri della macchina sono oscurati».

Corrugo la fronte sorpresa ancora una volta dalla sua capacità di leggermi nel pensiero e allo stesso tempo sollevata di questa informazione che mi ha appena dato. Credo che comunque le mie guance siano ancora rosse come il fuoco e sento il sangue in subbuglio, come d'altronde lo sono i miei pensieri ancora fermi alle sensazioni delle mani di Edoardo su di me.

«Comunque siamo arrivati. Riprenderemo più tardi», mi promette poco dopo rallentando fino a trovare un parcheggio.

Ferma la macchina, si slaccia la cintura e si volta nella mia direzione, «Adoro questa sfumatura sulle tue guance», si sporge verso di me passandomi il pollice sullo zigomo e sistemandomi una ciocca di capelli dietro all'orecchio.

«La amo quasi quanto amo te», mi sorride poi e si affretta a uscire dall'auto, fare il giro e aprirmi la portiera; mi porge poi una mano che afferro prontamente uscendo e raggiungendolo sul marciapiede.

Mi aggrappo al suo braccio non sicura della stabilità delle mie gambe e, a questo mio gesto, Edoardo mi lancia uno sguardo fin troppo furbo e consapevole.

«Sei tremendo», esclamo.

«Non mi sembrava che la pensassi così poco fa», mi cinge il bacino con braccio e mi lascia un bacio sulla testa.

Alzo gli occhi al cielo e arriccio le labbra cercando di trattenere un sorriso, «Rimani comunque tremendo». Gli do una pacca sulla spalla e lui in risposta scoppia a ridere e io non posso che unirmi a lui.

«Bene», si passa una mano tra i capelli cercando di sistemare il ciuffo ribelle che gli ricade sulla fronte. «Ora, se hai smesso di importunarmi, vorrei portarti finalmente a cena».

«Se qui c'è qualcuno che sta importunando qualcun altro, quello sei sicuramente tu».

«Oh, ma smettila. La colpa è solo ed esclusivamente tua e di questo vestito», mi lancia un'altra occhiata carica di desiderio che mi fa tremare le ginocchia e battere forte il cuore.

«Ti ho già detto che sei bellissima, stasera?».

«Sì, ma puoi continuare a dirmelo tutte le volte che vuoi».

«Allora non smetterò mai», mi bacia un'ultima volta.

Lo spero anche io.

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