7.

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Alice

Un paio di giorni dopo la pessima trovata del volantino giallo, sono seduta in aula aspettando che la lezione inizi. Un timido raggio di sole fa capolino dalla finestra illuminando il banco su cui sono appoggiata. Rilascio un sospiro stanco dovuto alla notte insonne che ho passato. Non c'è stato verso di dormire e non riesco a capire perché. Mi massaggio le tempie per attutire un po' del mal di testa che mi attanaglia.

Forse perché un paio di occhi verdi ti hanno tenuta sveglia?

No, nessun paio di occhi o quant'altro, sarà la preoccupazione per gli esami di gennaio.

Certo, continuiamo a raccontarcela.

Sono talmente immersa nei miei pensieri che non mi rendo nemmeno conto delle chiacchiere dei miei compagni finché la mia attenzione non viene attirata da Giovanni che entra in aula saltellando. «Babbo Natale Segreto!», esclama lanciandosi sulla sedia di fianco alla mia. Mi porto una mano alla testa e rilascio un verso di dolore, «Giò, ti prego! Abbassa la voce, ho un martello pneumatico che mi pulsa nelle tempie».

«Oh, tesoro! Mi dispiace, hai preso qualcosa?». Al mio cenno di assenso, mi scocca un sorriso e usa un tono di voce decisamente meno squillante.

«Allora? Cos'è questa storia di Babbo Natale?», chiede Piero rivolgendosi al mio vicino di banco. Noto che le altre ragazze lo stanno guardando perplesse, in attesa di un chiarimento.

«Beh, che sono quelle facce? Mai sentito parlare? In pratica ognuno pesca un bigliettino con il nome di uno di noi e deve fargli il regalo. Nessun tipo di spoiler, fino alla fine nessuno deve sapere niente!», dice severo porgendoci una scatola con un foro al centro.

Giulia lo guarda con un sopracciglio alzato. «Chi ti ha dato questa brillante idea? E chi mi assicura che tu non abbia scritto il tuo nome su tutti i biglietti?».

Ludovica e Roberta le danno man forte, «Conoscendoti, Giò, l'avrai di sicuro fatto!».

Scoppio a ridere, effettivamente non hanno tutti i torti. Giovanni è un po' egocentrico e tende a voler  essere sempre al centro dell'attenzione, come quella volta in cui ha indossato un maglione fucsia con tanto di paillettes, per attirare l'attenzione di un ragazzo che gli piaceva. Dire che non ha funzionato è riduttivo.

«Stronzette, ovviamente ci ho pensato! Ma poi mi sono ricordato che sono di buon cuore e quindi ho scritto anche i vostri nomi!», afferma puntando l'indice verso di noi.

«Per me è una bellissima idea!», interviene Piero allungando la mano per pescare il suo bigliettino. «Possiamo fare un pranzo prima delle vacanze per scambiarci i regali e cucinare qualcosa insieme!».

Lo osservo, un sorriso felice si apre sulle sue labbra. È partito per la tangente ormai, «So già cosa fare: ho visto l'altro giorno la ricetta di un dolce che sembra squisito. Proverò a farlo per il pranzo». Sorrido alla sua proposta, Piero è un grande appassionato di cucina: si interessa di qualsiasi novità culinaria e spesso e volentieri, soprattutto per la mia gioia, ci propone le sue creazioni. Io sono il suo esatto opposto: se dovessi paragonare le sue doti culinarie alle mie, lui sarebbe Carlo Cracco e io la cuoca della mensa dove andavo alle medie. Rabbrividisco ancora al pensiero dei capelli che trovavo ogni volta nella pasta.

O forse erano i suoi baffi?

Per questa sua dote gli ho già dichiarato amore eterno e fedeltà imperitura – oltre ad avergli chiesto di sposarmi – ma, per mia sfortuna, anche lui è gay. Quindi addio matrimonio felice e pancia piena per il resto della vita.

«Piero, ma sei sicuro di essere gay? Cioè per me potresti ripensarci! Io ho bisogno di qualcuno che mi sfami per il resto della mia vita!», lo supplico con la mia migliore espressione da cucciolo ferito. Il mio obiettivo nella vita è trovare qualcuno che mi cucini sempre. Oltre a essere estremante pigra, sono un disastro ai fornelli. Potrei facilmente bruciare per sbaglio il condominio ed ecco perché, spesso e volentieri, le mie coinquiline cucinano per me.

«No, Ali», ride. «Ne abbiamo già parlato. E poi Simone mi ammazzerebbe!».

Simone è il ragazzo di Piero. È più grande di noi e sembra un tipo tranquillo. Non sono certa però che lo renda felice e l'ultima cosa che voglio è che il mio amico soffra. Ma io non sono nessuno per giudicare, quindi aspetterò e vedrò come andranno a finire le cose. 

Mi riscuoto dai miei pensieri quando Giovanni mi porge la scatola con i bigliettini. Ci infilo la mano e apro quello che ho preso: mi è capitato proprio lui. Trattengo un sorriso, pensando di essere stata fortunata. Con Giovanni si gioca sul semplice: qualche ombretto o rossetto ed è pronto a giurarti amore eterno. So già cosa regalargli e nei prossimi giorni andrò in centro per comprargli il regalo.

Guardo i miei compagni pescare a loro volta nella scatola, assottiglio lo sguardo e cerco di capire chi sarà il mio Babbo Natale Segreto. Vedo le loro espressioni cambiare e farsi pensierose mentre probabilmente stanno valutando quale regalo comprare. Nessuno incrocia il mio sguardo, tranne Giovanni. «Alice!», mi riprende. «Vedo quello che stai facendo! Tieni a freno la curiosità, altrimenti che gusto c'è?».

Beccata in pieno, scrollo le spalle. Un altro mio difetto è la curiosità ed è per questo motivo che odio le sorprese.

Forse anche perché ti senti terribilmente in imbarazzo ogni volta che sei al centro dell'attenzione? 

«A quando il pranzo quindi?», chiedo rivolgendomi ai miei compagni. Le lezioni finiranno tra poco più di due settimane, quindi dovrebbe essere perfetto un giorno qualsiasi della seconda settimana di dicembre.

Giulia apre la sua agenda per controllare i suoi impegni, di solito corre da una parte all'altra di Milano per dare ripetizioni e in più va in palestra dalle tre alle quattro volte a settimana. Dire che la ammiro è riduttivo, non riesco proprio a capire dove trovi tutte quelle energie. Io riesco a malapena a fare le scale della metro e non morire.

«Che ne dite di mercoledì 13 dicembre?», chiede dopo aver chiuso l'agenda.

Siamo tutti d'accordo, le lezioni finiscono il martedì di quella settimana, quindi è perfetto. Nessun orario che ci condiziona e siamo ancora tutti a Milano.

Nei minuti successivi, ascolto i miei compagni che si mettono d'accordo sul menù. Ho già l'acquolina in bocca al pensiero delle prelibatezze che stanno proponendo. Credo di avere la bava alla bocca perché Giulia e Piero mi scoccano un sorriso furbo. «Con quali doti culinarie ci stupirai, Ali? Finocchio bollito e stracchino?», mi prendono in giro. Scoppio a ridere e fingo di essermela presa, «Ehi, non cucino solo quello».

No, infatti cucini anche le carote bollite.

Edoardo

Sono le nove in punto quando Max fa il suo ingresso in ufficio e si siede alla sua scrivania. Ho caricato tutte le fotografie sul computer come mi aveva chiesto e sono teso come una corda di violino per i litri di caffè ingeriti stamattina per stare sveglio.

Con un cenno mi indica la sedia di fronte alla sua scrivania. Lo osservo mentre scorre le fotografie. Le mie mani stanno tremando e sento un brivido corrermi lungo la schiena. Il mio capo ha un'espressione neutra, nessuna emozione traspare dal suo volto.                                        Dopo un tempo indefinito distoglie lo sguardo dal computer e mi guarda. Lo fisso negli occhi come un cervo abbagliato dai fari.

Dai, dì qualcosa! Ti prego sto morendo!

«Ben fatto Edoardo, davvero! Non pensavo che ci saresti riuscito. Ho voluto metterti alla prova, lo ammetto», si congratula con me con fare soddisfatto. Un sorriso sincero si apre sul suo volto e mi rendo conto di non averlo mai visto sorridere davvero.

«L-la ringrazio,» balbetto a fatica. «Sono contento che il mio lavoro le sia piaciuto».

«Vedo che i miei insegnamenti stanno dando i loro frutti, però ora non montarti la testa! La strada è ancora lunga e in salita!», afferma tornando al suo solito cipiglio. Ne sono più che consapevole, il mondo di cui voglio fare parte è molto competitivo, ma sono pronto a mettermi in gioco. Per questo, il suo giudizio positivo sul mio lavoro è davvero gratificante.

Mi congeda dicendomi di prendermi il resto della mattinata libera e mi dà appuntamento nel pomeriggio in Galleria Vittorio Emanuele II per il servizio di Swarovski che, come tutti gli anni, si occupa della decorazione dell'albero di Natale.

Mi dirigo verso la mia scrivania, spengo il computer e infilo la giacca.

L'aria fredda di Milano mi punge il volto appena esco dal palazzo, mi stringo meglio la sciarpa intorno al collo. L'inverno è ormai alle porte, ma un bel sole splende sulla città. Decido quindi di fare un giro e provare la nuova macchina fotografica istantanea. L'ho acquistata da poco e non vedo l'ora di testarne le caratteristiche. Prima di avviarmi però, controllo per la milionesima volta il cellulare per vedere se mi è finalmente arrivata la risposta che sto aspettando con ansia. Rileggo il messaggio che ho inviato, «Non sono un maniaco e non è stata mia l'aborto di idea dei volantini, ma di un mio amico. Okay, sono consapevole che possa sembrare una scusa ma è davvero così. Comunque, mi chiamo Edoardo e ho davvero voglia di conoscere quella ragazza, o meglio Alice, visto che ora so il suo nome. Vorrei incontrarla e parlarle. Ma tu chi sei?».

Un sorriso timido fa capolino sulle mie labbra, non riesco a smettere di pensare a lei. Non riesco a darmi pace e non riesco a capire il motivo.

Una notifica illumina lo schermo, «Non ti interessa sapere chi sono per ora, prima devo essere sicura che tu non sia un pazzo maniaco e poi ti dirò come e quando potresti incontrarla. Quindi, caro mio, parlami di te: come ti chiami, cosa fai nella vita, perché vuoi incontrarla?».

"Sicura?", si è svelata involontariamente. È una ragazza e di sicuro è molto vicina ad Alice se ha potuto fare una foto così ravvicinata.

Mi concentro sulla sua richiesta. Parlare di me?

Le ripeto il mio nome, cosa faccio e che non sono di sicuro un malintenzionato. Ma il messaggio mi sembra anonimo e privo di quello che penso davvero. Aggiungo quindi un altro messaggio a quello appena inviato.

«Nessuno sguardo mi ha mai colpito come quello di questa ragazza. Quando ho incrociato i suoi occhi lucidi, ho colto un universo tutto da scoprire. Ho notato intelligenza, sensibilità e un nonsoché che mi ha lasciato senza parole. Ho da subito sentito la necessità di parlarle anche se lei non era per niente dell'umore. Volevo sapere cosa la turbasse e cercare di aiutarla. Ed era, ed è ancora, una sconosciuta, dannazione, ma è stato più forte di me. Quando poi l'ho trovata intenta a fissarmi ai tornelli della metropolitana, sono rimasto colpito dall'intensità con la quale mi stava guardando, come se fossi un mistero da scoprire. Ma poi è fuggita veloce e lieve come una folata di vento in primavera. Ho provato a fermarla ma non si è lasciata conoscere. Per questo ti chiedo, chiunque tu sia, aiutami a trovarla».

Concludo il messaggio e lo invio, forse ho esagerato ma ho parlato con il cuore.

                                                                                    ***************

Il resto della mattina scorre veloce e le prove con la nuova macchina fotografica vengono decisamente bene.

Milano si sta pian piano addobbando a festa per Natale, le prime luci iniziano a essere montate e in Gae Aulenti stanno allestendo i mercatini. La musica soffusa crea un'atmosfera da cartolina. La fontana centrale fa riunire intorno a sé diversi bambini, affascinati dai giochi di colore che si formano con i raggi del sole. Una mamma è alle prese con il figlio che sta mangiando della cioccolata. Ha il volto sporco e ride felice mentre lei si sporge verso di lui per pulirgli il viso. Il piccolo fa una smorfia infastidito dal continuo sfregare del fazzoletto, ma, una volta pulito, si lancia tra le braccia della donna. Alzo la macchina fotografica e scatto. L'istantanea prende pian piano colore, ho catturato il momento giusto: il sorriso del bambino fa da padrone alla fotografia e non posso che essere soddisfatto del risultato.

Perso tra le persone, passo le ore che mi dividono dall'appuntamento con Max.                               Alle quattro, arrivo puntuale in Galleria e lo vedo già intento a sistemare alcune luci.

«Ah, perfetto Edoardo! Sei qui! Sistema quelle due luci e poi siamo pronti per iniziare a scattare», dice autoritario come al solito. Noto che una piccola folla si sta riunendo intorno all'albero, curiosa di vedere cosa sta succedendo. Come ogni anno, infatti, nonostante l'imponente albero che mettono in piazza Duomo, quello in Galleria attira sempre di più gli sguardi delle persone.

Il set è praticamente pronto, giusto gli ultimi ritocchi. Sistemo le luci come Max mi ha chiesto. Queste, infatti, non devono essere troppo forti per evitare che gli Swarovski che adornano l'albero vengano resi piatti dalle luci eccessivamente forti.

Sto facendo qualche scatto di prova per vedere la resa dell'immagine e l'inquadratura, quando sento il mio capo richiamarmi, mi volto verso di lui in attesa che mi dia qualche altra direttiva sul servizio, ma non è di quello che vuole parlare.

«Non mi capita mai di prendere la metropolitana», esordisce. «Ma oggi, visto che viaggiavo leggero, l'ho presa e ho notato che tante stazioni sono piene di questi. Mi vorresti spiegare?».

So già di cosa sta parlando ancora prima che me lo mostri, lo guardo mentre apre lo zaino e estrae uno dei volantini gialli. Sbianco e trattengo il fiato.

Sento il licenziamento dietro l'angolo.


Buongiorno e buon lunedì!

Piccolo squarcio di quotidianità sulla vita di Alice, che non sembra essere poi così indifferente a quello che, per lei, è ancora solo il ragazzo della metropolitana.

Edoardo, invece, riceve finalmente una risposta dal numero che l'ha contattato. Chi sarà ad avergli scritto? E cosa succederà con Max?

Spero che la storia vi stia piacendo! Fatemi sapere che cosa ne pensate, se vi va!

A presto:)

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