Aurora - Epilogo

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La stanza d'ospedale era in fermento, e i suoni dei macchinari e le voci dei medici e degli infermieri sovrastavano il lieve soffio della ventilazione artificiale. Sul letto, un giovane ragazzo giaceva immobile, il suo petto che ormai non si sollevava più.

Katsuki era in coma da mesi, dal giorno di quell'incidente terribile.

Era uscito all'alba per surfare, come faceva spesso ormai. Da quando il suo ragazzo era morto in mare, trascinato via dalle onde, non riusciva più a dormire. Passava le notti sveglio, tormentato dai ricordi di una felicità scivolata via dalle dita e dai rimorsi per non essere riuscito a salvarlo.

Sentiva che, in qualche modo, il mare era l'unico legame rimasto tra lui e l'anima coraggiosa di Izuku. Così, spesso, si ritrovava a surfare all'alba, più o meno alla stessa ora in cui l'amore della sua vita gli era stato strappato dall'oceano, cercando di ritrovare quel contatto perduto, di sentire ancora una volta la presenza di quel ragazzo che per lui era come il sole.

Ma quella mattina il mare era stato particolarmente crudele. Un'onda troppo forte, presa male, lo aveva trascinato sott'acqua e l'aveva sbattuto violentemente contro gli scogli. Il colpo alla nuca gli aveva fatto perdere i sensi immediatamente, l'acqua salata che riempiva i suoi polmoni e il sangue che si mescolava al mare.

Da allora, non aveva mai ripreso conoscenza.

I suoi genitori stavano fuori dalla stanza, le spalle curve e lo sguardo perso nel vuoto. Erano stati lì ogni giorno, sperando in un miracolo, pregando per un segno di miglioramento. Ma il loro figlio non si era mai mosso, non aveva mai mostrato un minimo cenno di ritorno da quel limbo incosciente in cui era finito.

Dentro la stanza, i medici lavoravano freneticamente. Il cuore di Katsuki aveva cominciato a cedere, il battito irregolare che diventava sempre più debole. Le macchine emettevano allarmi, e i medici si affannavano intorno a lui, cercando disperatamente di salvargli la vita. Ma il monitor dell'elettrocardiogramma mostrava una linea sempre più piatta, un suono continuo e acuto che riempiva la stanza come un grido di sconfitta.

Il sole cominciava a sorgere all'orizzonte, illuminando la stanza con una luce tenue e calda. Fuori dalla finestra, il mare sembrava tranquillo, come se non sapesse della tragedia che si stava consumando. Le onde si muovevano lente e ritmiche, riflettendo il cielo che si tingeva di rosa e arancio.

Un medico, con il volto segnato dalla rassegnazione, alzò lo sguardo verso gli altri. «Dobbiamo fermarci...», disse, la sua voce carica di delusione. Tossicchiò per ricacciare in gola l'emozione. «Ora del decesso: 5.45.».

Un infermiere dal volto contrito, si sporse, fermando i macchinari, il loro sibilo costante che si spense lentamente. La stanza piombò improvvisamente in un silenzio pesante e tetro. Il medico tolse i guanti, li gettò sulle lenzuola e si incamminò con un sospiro e il passo trascinato alla porta della stanza e uscì nel corridoio, dove i genitori di quel giovane stavano aspettando.

La madre, Mitsuki, aveva gli occhi pieni di speranza e paura, le mani strette intorno al braccio di suo marito. Inko, la madre di Izuku, era seduta accanto a loro, il viso pallido e preoccupato, cercando di offrire conforto con la sua presenza silenziosa.

Il medico si fermò davanti a loro, con lo sguardo basso e il cuore pesante. Prese un respiro profondo, cercando di trovare le parole giuste per comunicare l'inimmaginabile. «Mi dispiace.», disse infine, la sua voce bassa e piena di rammarico. «Abbiamo fatto tutto il possibile, ma... I polmoni hanno ceduto e il cuore ha smesso di battere. Vostro figlio non ce l'ha fatta. Mi... Mi dispiace molto per la vostra perdita.»

Mitsuki lasciò andare un singhiozzo soffocato, portando una mano alla bocca. Le lacrime le scesero copiose lungo le guance mentre cercava di accettare la dura realtà. Masaru la prese tra le braccia, stringendola forte mentre lei si abbandonava alla disperazione.

Inko, con gli occhi umidi, si avvicinò alla donna, mettendole una mano sulla spalla, accarezzandola, confortandola. «Ho pregato così tanto, Mitsuki...», mormorò, la sua voce rotta dalla stessa disperazione che pervadeva i due genitori, che singhiozzavano l'uno ancorato all'altra. «E so che non c'è nulla... niente che io posso dire per alleviare il tuo dolore... Ma credo che il tuo Katsuki abbia finalmente trovato pace.».

Il ricordo del figlio le strinse lo stomaco e le lacrime cominciarono a scorrere anche sul suo viso tondo.

Mitsuki si voltò ad osservarla, prima di stringersela contro, in un abbraccio stretto. La disperazione di due madri che si fondeva in quella stretta salda e confortante. «Io... Sono sicura che adesso è con Izuku... Da qualche parte, a guardare le onde, come facevano sempre insieme.».

Mitsuki annuì debolmente, strofinando il viso contro il suo collo, stringendosela contro con più forza, sentendo Inko fare lo stesso, mentre le parole della donna sembravano trovare un piccolo spazio di calore nel suo cuore spezzato. Masaru continuava ad accarezzarle la schiena, i suoi occhi pieni di lacrime trattenute a stento.

Il sole continuava a salire, illuminando il corridoio con una luce dorata che sembrava riempire ogni angolo di quel luogo freddo e sterile. Dalla finestra, il mare rifletteva i colori dell'alba, una distesa infinita che sembrava abbracciare il cielo in un'unione perfetta di luce e ombra.

All'interno della stanza, il corpo di Katsuki giaceva ancora immobile sul letto, ormai privo di vita. I medici si muovevano in silenzio, rispettosi, mentre spegnevano le ultime macchine e coprivano il corpo con un lenzuolo bianco. Fuori, il mare continuava a ondeggiare dolcemente, come se stesse cullando il mondo in un abbraccio silenzioso.

Mitsuki si staccò da Masaru, prendendo un momento per guardare attraverso la finestra. La vista del mare, così vasto e misterioso, sembrava chiamarla, ricordandole le parole di Inko.

Si immaginò Katsuki e Izuku, insieme, finalmente liberi dalle catene del mondo terreno, a cavalcare le onde con i loro sorrisi luminosi e i cuori pieni di gioia.

Una nuova lacrima le scese lungo la guancia, ma questa volta non era solo di dolore. Era una lacrima di speranza, di pace, di un amore che, in cuor suo, sperava potesse trascendere la vita.

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