3. Codardo

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https://youtu.be/vOxKG0ErDlw

Qualcosa di grande mi urtò con violenza. Ebbi paura, non della morte, ma dell'ignoto che mi girava attorno muovendo l'acqua in vortici. 

Uno squalo? 

Era assurda la mia paura per i pescecani mentre avevo fame d'aria e volevo solo respirare, eppure temevo di sentire i denti aguzzi lacerarmi la carne da un momento all'altro. 

Mi avevano sempre preso in giro i colleghi che pensavano lo facessi per mettermi in mostra, per sentirmi al centro del mondo come quando ero famoso. 
Non era così.

Ero un pescatore! Non potevo diventare mangime per pesci...  non era nemmeno quello il motivo vero.
Forse era l'anossia o il bruciare feroce che avvertivo nei polmoni che portava a galla gli incubi di bambino. 

Questo timore era una bizzarria ereditata da quello che consideravo il mio vero genitore. 
Pietro Menni, per età, poteva essere mio nonno, mi voleva bene forse perché condividevamo il destino di non essere stati riconosciuti dai nostri padri.

Fu lui il mio maestro. 

A scuola mi insegnavano cose di cui non mi importava nulla: io volevo solo conoscere il mare e tutto ciò che lo riguardava. 
Quell'acqua blu indaco che giaceva ai piedi di Camogli come una sposa devota era la mia ossessione, ne sentivo il richiamo, l'affetto, la pericolosità, la potenza. 
Ne distinguevo l'odore a seconda delle stagioni, le mutazioni di colore durante la giornata, lo spirare del vento quando proveniva dalla Corsica caricandosi di umidità e quando, invece, aveva accarezzato il monte di Portofino trascinando con sé il profumo della macchia mediterranea. 
Il mondo racchiuso in quei metri cubi di acqua, poi, si ammantava di magia se pensavo alle creature degli abissi dalle capacità di fendere l'oscurità in modi diversi e ai cetacei che migravano per migliaia di chilometri. 

Ero affascinato da ogni aspetto del mare, quasi mi chiamasse a sé in modo misterioso e insistente... ma le domande che facevo rimanevano spesso senza alcuna risposta che mi soddisfacesse.

Fino a quando conobbi Pietro. 

Lui passava ore a raccontarmi le sue avventure, aveva vissuto per la maggior parte della vita su una barca a vela e aveva fatto il giro del mondo un numero di volte imprecisato, numero che variava ogni volta che narrava la storia della sua vita a seconda di chi fosse il pubblico e, soprattutto,  che dipendeva da quanto e da cosa avesse bevuto. 

Rispondeva con pazienza a ogni mia domanda e, come solo i grandi maestri sono in grado di fare, ogni sua risposta mi faceva sorgere nuove domande, accrescendo così l'interesse per il mare.

Fu lui a spronarmi ad affrontare gli oceani da solo, dopo aver convinto mia madre a lasciarmi partire. Sapeva che era rischioso, azzardato, ma lui aveva cieca fiducia nella mia capacità di sentire i venti ed era convinto che la mia vita sarebbe cambiata in meglio. 

È vero, cambiò in meglio... fino a quando mi impegnai per rovinare tutto.

Pietro aveva il dono delle parole. Conosceva tante lingue quanti i paesi che aveva visitato, ma nessuna bene e spesso i suoi discorsi erano una matassa di idiomi e dialetti dei paesi dove aveva abitato per più tempo.

Prima di incontrarlo, pensavo che, crescendo senza padre, non avrei avuto le stesse possibilità degli altri, ma, grazie a lui, venni considerato un bambino prodigio: io sentivo il vento solo perché lui mi aveva insegnato come fare.

Ci sedevamo sugli scogli vicino al faro, chiudevamo gli occhi, il silenzio del mondo durava ore, fino a quando una nuova voce nasceva da un posto che all'inizio pensai essere dentro di me. 
Non poteva essere così perché quella voce mi raccontava cose che non avevo mai sentito. Veniva da fuori!
Senza sapere come, conoscevo le usanze dei popoli che abitano i deserti, la vita da recluse delle donne nei paesi arabi, la corsa alla carriera che ammorba il nuovo mondo. Assaporavo gusti inediti, il mio naso si avventurava sentori esotici, i polpastrelli percepivano le consistenze di tessuti prodotti con le fibre più disparate.

Le immagini dei luoghi lontani si adagiavano sul dorso inconsistente dell'aria per migrare, giungere in luoghi diversi da dove erano nate e presentarsi a coloro che sapevano riconoscerle e decifrarle per gli altri. Ai tempi, quando ancora sentivo i venti, lo avevo spiegato a un paio di scienziati, ma mi avevano deriso, anche quando avevo detto loro che quel modo di viaggiare delle immagini era il fondamento dell'origine, nei diversi continenti, del pane, del vino, della ruota, dell'agricoltura. Si erano presi gioco di me perché sono senza una laurea! Ma non sanno, questi uomini vuoti, che chi gira il mondo impara da libri che non sono di cellulosa?

A fine giornata andavamo a casa di mamma che ci cucinava le trofie al pesto e raccontavamo le storie che il maestrale o lo scirocco ci avevano portato dai luoghi dove ancora non ero stato.

Quelle storie, chissà se mia madre pensava che me le inventassi? 

Pietro mi insegnò tutto ciò che sapeva, soprattutto a non temere nulla, se non lo squalo bianco.
Da bambino aveva assistito a un attacco mortale a pochi metri dalla riva.
«Il mare bollì e became red. L'uomo accanto a me scomparve, di lui rimase l'odore di ferro. Accadde a Varazze, non nel lBahr al-Ah- mar

Si passava una mano tra i capelli lunghi e bianchi, il ciuffo gli rimaneva scompigliato per la salsedine, la fronte si raggrinziva come il mare quando arriva una raffica. Tratteneva il fiato, poi inspirava lento, mi metteva una mano sulla spalla e nella mia mente si materializzava un mostro dalla dentatura triangolare infinita. 
Mai sottovalutare uno squalo.
La paura  mi fece sentire Pietro vicino. 

Se fosse stato vivo, lui mi avrebbe fermato dal commettere quell'errore, non avrei ucciso Lara e ora starei con lei da vivo.

Di nuovo, quel qualcosa mi urtò e mi nuotò attorno. 

Il cuore scelse quell'istante per fermarsi. 

L'ultimo battito fu il più forte della mia vita.

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