4. L'erba cattiva non muore mai

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Salivo nell'alto dei cieli.

Avevo la sensazione di entrare in una nuova dimensione che mi alleggeriva e mi faceva sperare che tutto il male commesso sarebbe stato dimenticato.

Una forza divina mi riportò in superficie, ma, anche se sentii la brezza sul viso, la bocca non si aprì per prendere aria. Gli occhi erano colmi di buio, la paura era scemata, sostituita da un senso di pace che mi auguravo fosse una promessa di redenzione.

Ero morto, ne ero certo e consapevole.
Ero riuscito almeno a uccidermi, nella felicità di quel momento sapevo di aver perso qualcosa.

Tutta la mia vita sembrava passare al setaccio di una rete da pesca: le cose anodine non erano trattenute in alcun modo, liberate in un oblio che le incatramava negli abissi, mentre la bellezza, grossa e maestosa megattera, era rimasta imbrigliata e mi trascinava con sé fino a fonderci in un unico essere, io ero lei e lei me. Il mio aldilà era un meraviglioso cetaceo che mi avrebbe portato nei luoghi più remoti e inesplorati di mari e oceani.

Qualcosa si posò sul petto e una luce mi illuminò da dentro.

I ricordi piccoli e grandi tornarono a rimescolarsi indistinti, deprivati, però, di quella sofferenza che li aveva caratterizzati. Non capivo come fosse possibile che un bagliore così accecante potesse essere racchiuso nel mio essere.

Il cuore batté con una tonalità nuova, a un ritmo serrato e sottile simile a quello di un bambino, ma con una forza tale da sentirlo muoversi contro le coste, a sollevare il petto, quasi stesse nascendo dallo sterno e potesse, da un momento all'altro, librarsi...

L'aria mi riempì i polmoni, tossii e sputai.

Qualcosa mi artigliò i polsi e iniziò a muoversi trascinandomi sull'acqua.
Ero portato così veloce che spesso bevevo, cercavo un punto di riferimento, ma nel buio e nello strano tepore che mi avvolgeva non distinguevo nulla.
Era veloce come un pesce, ma la sua presa era umana. Uno squalo mi avrebbe fatto a brandelli.
Erano mani - anche se la mia sensibilità era ridotta per l'ipotermia - erano mani.

Cos'altro avrebbe potuto essere se non un umano?

Chiusi gli occhi, inerme, il buio era ovunque tranne che dentro di me, mi sorpresi quando le gambe sbatterono contro i sassi della spiaggia. Gli occhi distinsero, nel chiarore fioco dei lampioni, il contorno delle case e del monte che si ergeva scuro alle loro spalle.

Quel qualcosa mi aveva riportato a riva. Il mio corpo divenne un sacco trascinato sulla battigia, lasciato cadere e rivoltato sulla schiena. Gli alti palazzi di Camogli si ergevano muti a guardare il figliol prodigo tornato a casa.

Il corpo nudo tremava tra i dolori sulla spiaggia di ghiaia quando su di me si abbassò un volto incorniciato da capelli scarmigliati e un corpo bollente mi coprì. In quel momento non distinsi altro che il suo tepore, ogni parte ancora viva di me era concentrata su di esso, forse perché tutto il mio essere aveva capito che da quel calore dipendeva la mia vita.

Era una donna, o almeno così credetti. Cercai di metterla a fuoco. Aveva le labbra piene e l'arco delle sopracciglia esasperava lo sguardo d'abisso. Verso il mare, una coda di pesce sbatteva sull'acqua. Un fischio, un borbottio basso mi distrassero.
Guardai di nuovo lei. Gli zigomi alti, il naso diritto, il mento sottile rendevano quella creatura assai singolare, diversa da qualsiasi donna avessi incontrato.
Mi sembrava bellissima e inquietante allo stesso tempo.
Sentii le sue mani nervose tra i capelli in una carezza che aveva tutto di umano.
Era una donna o non lo era?
Poteva essere mezzo essere umano e mezzo pesce?

Volevo domandarle chi fosse, volevo chiederle se sapeva di aver salvato un assassino, ma il calore del suo corpo mi irradiava un senso di pace e mi godevo quel conforto.

Con quale diritto, però, ero ancora vivo?

L'abbaiare di un cane si fece sempre più vicino, insistente, disperato. Sentivo che correva nella mia direzione. L'animale si fermò poco distante, ringhiando alla creatura.

Era Acciuga!

Vedere lì il mio cane mi commosse, era l'unico che tenesse veramente a me. Come era riuscito a uscire dal mio appartamento? Oscillava la testa avanti e indietro, tra me e lei, timoroso di avvicinarsi. Volevo tendergli le braccia, non riuscivo a sollevarle, non potevo muovermi, né parlare.

Lei fissò il cane, inclinò la testa e fece un fischio acutissimo quando le si avventò contro. Fischiò di nuovo, Acciuga si acquattò, senza smettere di ringhiare, poi scattò e le afferrò il braccio con la bocca. Lei urlò, allontanandosi da me, allontanando il suo calore da me. Un borbottio, un tuffo, una coda batté sull'acqua.

Il buio riprese ad avanzare nel petto.

Dov'era andata?

Ancora vivo?

La città, rimasta silenziosa fino a quel momento, riprese a parlare.

La lingua tiepida di Acciuga mi leccò viso e torace, ma non riuscì a eguagliare il calore che avevo sentito con lei. Avevo freddo. Sarei morto lo stesso?

Il cane abbaiò forte, il suono si arrampicò sulle case scivolando nei caruggi e risvegliando le persone dal riposo notturno.

Non so quanto tempo passò prima di trovarmi circondato dai concittadini.  Alcuni bisbigliavano con toni di biasimo e critica, un'anziana mi aveva gettato sull'inguine nudo un telo, due ragazze sospiravano e ridacchiavano nel guardarmi, qualcuno sospettava la verità, che avessi provato a uccidermi.

Nessuno si faceva avanti per aiutarmi.

Chiusi gli occhi e il tempo scivolò nell'incoscienza trascinando con sé tutto il male.

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